Danza Acida: Atto 2

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Le coperte del letto erano stropicciate e disegnavano linee sinuose come uno stagno di seta. Nadia non aveva rifatto il letto e non aveva intenzione di pensarci adesso. Sarebbe stato comunque inutile dato che l'afa estiva, mista al suo denso piumaggio bianco, quasi la soffocava dal caldo durante le notti. Per questo lei rimpiangeva quella splendida stagione che era l'inverno. Amava ricoprirsi di indumenti caldi, che le solleticavano la pelle e le inibivano i nervi, recandole quasi piacere a vestirsi come una palombara. Aveva sempre detto che non preferiva né il caldo, né il freddo, bensì il fresco quando c'era caldo e il caldo quando c'era freddo.
Dopo aver lasciato il borsone sulla sedia accanto al comodino, Nadia si gettò sul letto. Sbuffò dal becco e si girò in modo da essere semiseduta sul cuscino, la schiena appoggiata alla testiera e le gambe stanche stese a riposare sopra il materasso. Finalmente era da sola, nella sua stanza. Nell'aria viziata si poteva percepire l'impercettibile odore di sesso che ancora non era svanito dalle lenzuola. Avrebbe dovuto aprire i finestroni, invece si era solo limitata ad alzare le veneziane per far trapelare la luce, senza arieggiare la camera. Guardò fuori dalle finestre e concentrò lo sguardo sulle particelle di polvere che fluttuavano nell'atmosfera afosa, illuminate dai flebili raggi di luce del crepuscolo. Il cielo era rossastro e ferroso, invaso da un pulviscolo nero che rendeva la vista quasi granulosa. Ancora piovigginava a gocce lievi e rade, come se le nubi stessero singhiozzando nella mesosfera. Il dolce ticchettio della pioggia, tuttavia, non copriva il ronzio dei veicoli imbottigliati nel traffico della metropoli, i colpi di tosse del vicino con l'asma da smog o la sua televisione in statico, che soffiava e gracchiava in attesa di incominciare a strillare slogan pubblicitari e carismatiche frasi di eleganti uomini di spettacolo. Quando fu stufa di fissare le gocce di pioggia scivolare sul vetro della finestra, Nadia spostò lo sguardo sul plico di fogli che sporgeva dal borsone.
Emise un altro sbuffo dal becco, poi stirò le membra prima di alzarsi per dare un'occhiata a quel mucchio di fogli targati narcisismo. Afferrò il copione e lo squadrò con circospezione, facendo scorrere l'indice sul margine per farsi un'idea di quante pagine fossero. Dovevano essere una trentina o poco meno. Ciò che più si notava quando lo si prendeva in mano era il trionfale titolo pieno di fronzoli, accompagnato dal nome del suo autore poco più sotto. Danza Acida. Che stupido titolo. Non avrebbe attirato uno spettatore nemmeno per sbaglio.
Abbassò le veneziane, tirando con calma il nastro madreperlaceo per godersi le ultime gocce di pioggia, e la luce della stanza mutò dal rosso al bianco sporco. Quindi accese il ventilatore sopra al letto prima di stendersi a leggere il copione. Si sdraiò sopra le coperte e rizzò la tozza coda piumata, poi umettò l'indice, pronta per iniziare ad accontentare il nuovo regista.

Danza Acida
di John Boyle

Che stupido titolo. Insopportabile. Aprì il copione con attenzione e svogliatezza, poi espirò profondamente. La prima pagina era scritta in un carattere tipografico e profumava di macchina da scrivere. Le parole e le frasi erano alternate in corsivo, grassetto ed altre diavolerie, rendendo la lettura quasi ridicola. Sembrava un libro per bambini. Nadia fece roteare le pupille ed iniziò a leggere.

Buio
La pioggia lercia in sottofondo apre il sipario di carne. Sembrano pozzanghere i riflessi di luce del palco. Movimenti lenti, riflessivi. Come pioggia che danza sul liscio. Scende, si scioglie, fluisce in un fiume. È un autunno di pomeriggio lento. Le foglie sono già cadute e gli acquazzoni levigano il legno. Una casa di mogano, robusta. Le finestre appannate, sembra latte la pioggia che scende.

Improvvisamente un tuono riscosse Nadia dalla lettura. La donna trasalì e gettò un'occhiata alla finestra appena chiusa. Il picchiettio delle gocce di pioggia si era trasformato in uno scroscio temporalesco. Ritornò a fissare il copione aperto sopra il cuscino. Ma che diavolo aveva appena letto? Era un'introduzione? Un preambolo poetico alla descrizione oggettiva della danza, giusto perché Boyle voleva dare sfoggio anche delle sue doti di scrittore? Improvvisamente Nadia iniziò a sentirsi leggermente confusa per quell'incipit vago e inaspettato, e la sua mente iniziò a lavorare febbrilmente per ipotizzare cosa ci facesse quel mucchio di frasi in mezzo ad un copione per danza moderna. Ma mentre una parte di lei era confusa, quasi stizzita per quella narcisistica presa in giro, l'altra metà era leggermente incuriosita. "Gli acquazzoni levigano il legno", le piaceva questa frase. Era una bella figura retorica, qualsiasi cosa fosse. Nadia scrollò le spalle piumate, aspettandosi che le prossime righe descrivessero una specifica danza, e si rituffò nella lettura.

Entra Gisella. Leggiadra e abbandonata. A casa sua non c'è controllo, non c'è freno. Può guardare la pioggia. Respirare umido. Il muschio si sente sul palato. Freme d'eccitazione, dipinge cerchi di estasi. Si sincronizza alle gocce, è sciolta e fluisce. Danza come acqua su un vassoio, fresca e limpida. La pioggia non scema, crepita. Cinguetta il citofono.

Nadia inspirò profondamente, cercando di tenere aperti gli occhi. Percepì l'atmosfera della stanza rinfrescarsi mentre il ventilatore ruotava silenzioso. All'improvviso si sentì bene. Era lì, da sola, nella sua camera da letto. La pioggia copriva gli strepiti del televisore e il chiocciare della metropoli e la cullava nella lettura, quasi avesse deciso di scendere per acclimatarla. Il copione continuava ad essere perfettamente inutile, eppure sembrava delinearsi una storia. Si chiese subito se Gisella fosse il ruolo che spettava a lei, dato che era "il suo cigno". Più che confusione si stava facendo strada in lei della perplessità. Non capiva se quei fogli recassero una storia da studiare o una serie di parole da leggere per assorbire l'atmosfera che Boyle aveva menzionato. Aveva detto di farsi riempire d'ispirazione, di leggere il copione e immergersi nella storia e nel personaggio. Di danzare senza imitare, bensì essere, il personaggio. Quando aveva sentito quelle frasi sul palco, le erano davvero sembrate sconclusionate, pensieri di un uomo che credeva di essere un genio e di avere il diritto di imporre e giudicare l'arte, ma ora che leggeva quel copione iniziavano ad avere un senso. Nadia aveva praticato in passato yoga e la letteratura l'aveva abbastanza affascinata fin da quando era giovane, nonostante il suo destino da ballerina fosse già segnato nel marmo. Anche la parte recalcitrante di lei, la parte più razionale e professionale, ammise che era piacevole leggere quella specie di poesia. Qualcosa sembrava comunicare. Forse, dopotutto, la storia c'era eccome, come i suggerimenti per i passi da eseguire, e lei stava solo giudicando troppo in fretta. Accompagnata da un altro tuono, Nadia riprese a far scorrere lo sguardo sulle parole del regista.

La carne accarezza il pomello. Vibra nelle vene. La porta di mogano si apre, entra Marco. Gli occhi di lei riflettono lui e i ventricoli sono in tumulto. Galoppa l'estasi, accorda i tendini come arpa. Le sue labbra sembrano calde, pulsano con ardore, e le ciglia fremono. Passi lenti, d'amore. Le fronti congiunte, pelle su pelle. Le perle di pioggia scivolano lisce su lei. L'odore è pungente, pulito, brumoso. I due amanti si stringono, e i gesti si amplificano. L'amore attizza il cuore e fomenta la passione. La pioggia svanisce, sono solo loro due... Cresce, s'accresce, lievita. Sono un corpo solo ed una danza sola, veloce e pura. Le labbra si sfiorano, brividi scaldano i nervi. L'amore li assorbe e li ispira. I cuori galoppano e si sincronizzano in melodia. Insieme percorrono passi ampi e delicati, peripezie nelle loro meningi. Avventure di tatto e odore, carne e amore. Nulla li ferma e scivolano come piogge perlacee. Rivolo di danza nella dimora impudica. Le palpebre chiuse, le membra come steli al vento. Non serve vedersi per amarsi, solo percepire. E fluttuano quasi, libando passione dai pori. Lei cade distesa, si lascia vincere. Sente le sue labbra sulle tempie, arroventare. La passione non li consuma, li avvolge e fagocita. Sono ora fusi, entità di carne trascesa. Stesi sul suolo, la carne bacia la carne. Il calore è solo dei corpi. L'intensità stravolge, ammalia. L'immagine è immobile come una natura morta, ma pulsa di passione. Alcuni secondi per assumere e gustare, poi il buio cala. Scena prima terminata.

Nadia distolse lo sguardo alla lettura di quel lungo brano. Era davvero intenso, certo, e piuttosto bello. Ancora non somigliava alla descrizione di dei passi di danza, però. Certo, rileggendo alcuni passi si intravedeva una vaga indicazioni di come danzare, ma un canovaccio per improvvisazione era ben diverso da quella strana, lunga poesia. E poi sembrava che Boyle avesse cercato di trovare una scusa per scoparsi una delle ballerine sul palco. Quella scena era descritta in modo astratto ed indefinito, ma non ci voleva un genio per capire che questa Gisella e questo Marco stessero facendo sesso sul pavimento, e sembrava che quella poesia fosse appositamente confusa in modo da ingannare le lettrici con questa "passione" che altro non era se non una sveltina sul tappeto nuovo. Si augurò che Boyle non fosse un maniaco sessuale. Dopotutto la gente non sarebbe andata ad una coreografia di danza per vedere un porno spacciato per arte, e l'uomo lo sapeva bene. Non era la prima volta che le richiedevano di stendersi su uno dei ballerini simulando passione, ma le parole idilliache di quel copione sembravano aver intenzione di spingersi oltre. Ricacciò indietro l'impulso di chiudere quei fogli di carta e si accinse a girare la prossima pagina. Era inutile farsi tutti quei problemi, avrebbe pensato al criptico messaggio di quelle parole più tardi. Dopotutto non sapeva nemmeno quale fosse il suo ruolo. Forse Boyle aveva altri piani che richiedevano l'aver letto quei pezzi di carta. Anche se il primo incontro con lui era stata una dimostrazione del suo ego sproporzionato e della sua convinzione di essere un artista senza precedenti, i critici lo consideravano un genio per qualche motivo. E quella poesia continuava a frullarle nella testa, insieme al discorso sull'intensità che aveva esposto alle ballerine. Tornò a fissare lo sguardo sul copione. Se prima pensava che quei pezzi di carta l'avrebbero attirata, ora l'avevano definitivamente conquistata. Quella poesia era risuonata così bene dentro la sua testa, complice forse anche l'odore di sesso che ancora impregnava le lenzuola, da averla impressionata. Nella sua mente aveva immaginato le proprie braccia muoversi e danzare senza che lei pensasse, come fosse regista di se stessa. Probabilmente questo strano riflesso dei suoi nervi era dovuto al fatto che lei danzasse ogni giorno per almeno sette ore, e si era abituata ormai anche a pensare in mosse di danza. Possibile che, oltre le immaginazioni cerebrali e visive, lei potesse anche avere un'immaginazione che trasponesse emozioni e concetti in passi di danza? Forse Boyle aveva predetto questo. Forse era per quello che aveva consegnato a tutte quel copione poetico e anticonvenzionale. Nadia sbadigliò, spalancando il becco, e voltò pagina per continuare a leggere.
Divorò avidamente tutte le trenta pagine in mezz'ora scarsa, ma fu una mezz'ora intensa. I suoi muscoli fremettero e si scaldarono come irrefrenabili arti fantasma mentre lei si immergeva nei meandri di quel poetico copione. La sua mente lavorò febbrilmente, assorbendo ogni sillaba e leggendo in fretta per assaporare il suono e il rintocco delle parole tra le meningi. E quei fogli la catturarono sempre di più, affogandola nell'abisso cartaceo di quella coreografia e rendendole impossibile staccare le pupille da quei caratteri battuti a macchina. Dimenticò la confusione che prima l'aveva attanagliata e tutti i pensieri tecnici sulla danza e sulla figura di Boyle. Il copione la rapì, come pure la sua storia. Lesse avidamente di Gisella, donna forte e decisa, che tradiva il marito Golia per la passione. Lui era un borghese, un uomo di freddi principi, mentre Marco era un artista, un uomo fuori dal comune. I giorni di passione si alternavano al rigore dei Golia, preoccupato dei suoi affari, lo sguardo fisso ad accumulare per il futuro incerto, senza godersi il presente. Marco invece la portava in un'altra dimensione, una dimensione di passione e fugacità. Pensieri descritti con intensi passi di danza. Ma il gaudio non poteva durare in eterno, e la lungimiranza era poca, tanto era perfetto il presente. Golia li coglie in flagrante e i cioccolatini fondenti di Marco si tingono di sangue. Il marito usa la sua penna per trafiggerlo al cuore e lo spensierato artista muore, colpito al cuore, tra le braccia della straziata Gisella. È allora che Golia beve il vino rosso della moglie, avvelenato dall'amica Ortensia, gelosa della bellezza di Gisella, e muore poco dopo. Disperata, Ortensia s'impicca, mentre Gisella si spoglia per il dolore ed esegue un ultimo, straziante ballo, prima che cali il sipario. Le trenta pagine non erano niente male. Nadia le divorò, assorbendo la storia fin nel midollo, e apprezzandola. Aveva giudicato male John Boyle. Forse aveva capito il significato di quel copione. Conclusa la lettura, Nadia si addormentò stremata, crollando sulle lenzuola scoperte con la pioggia che scemava e il ventilatore che faceva ruotare luci e l'ombre per la stanza in un monotono carosello. Nel suo cuore c'era una certa soddisfazione per l'aver decifrato gli intenti di Boyle. Anche quello faceva parte del suo repertorio di abilità professionali, l'entrare in sintonia con i registi, e l'anticonvenzionalità di quella sceneggiatura la stuzzicava profondamente. Boyle non le stava chiedendo di esibirsi seguendo le proprie istruzioni, ma di lasciarsi andare, e lei capì che era un omaggio alle proprie abilità invece di un pretenzioso ostacolo. Ecco cosa intendeva, pensò Nadia, espirando un'ultima volta dal becco mentre le palpebre si chiudevano. La serenità l'avvolse e la strinse in un abbraccio di sonnolenza mentre le palpebre si chiudevano piano e la mente si abbandonava a un meritato riposo.

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