Danza Acida: Atto 5

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Ecco fatto. Il gran giorno era arrivato. La notizia che John Boyle, il visionario regista del secolo, avrebbe collaborato con la grande Minkova, la cui leggendaria grazia era troppo ardua da descrivere con umane parole, si era sparsa in tutti e cinque i continenti. Era già tutto pronto, così aveva detto il regista. Normalmente passavano anche mesi di prove prima dell'esibizione, per curare ogni minimo dettaglio con l'attenzione dell'incisore, ma il prodigioso Boyle aveva avuto bisogno solo di un giorno. Un miracolo agli occhi del pubblico e della critica. La notizia che lo spettacolo sarebbe stato anticipato al giorno successivo era comparsa ufficialmente solo alle otto di sera sul profilo Twitter di John Boyle e il pubblico si era strappato i capelli e le unghie pur di accaparrarsi uno dei biglietti per lo spettacolo. Ancora una volta il regista aveva stupito tutti con il suo genio e il valore di quella futura performance era salito a livelli stellari. Si vociferava che la Minkova e il regista avessero passato la notte insieme mentre l'équipe del teatro veniva contattata a sorpresa la sera prima per allestire il palco all'oscuro di tutti. Chi erano loro per dire di no al visionario Boyle?
Erano le dieci della mattina quando il teatro finalmente aprì. Gli addetti girovagavano confusamente in cerca di informazioni su dove fossero Boyle e la Minkova, su quanto costasse il biglietto dell'entrata e su quanti spettatori potessero entrare senza prenotazione. E mentre i bigliettai si scervellavano a inventarsi soluzioni per problemi che nessuno aveva posto loro, la fila di spettatori lievitava alle porte del teatro.
Fu alle dieci e venti circa che Nadia Minkova e John Boyle emersero dai vicoli che accerchiavano l'edificio per poi dirigersi verso l'entrata del backstage senza degnare la folla di uno sguardo. Una marea di domande da parte dell'incerta équipe del teatro sommerse il regista non appena egli stese la caviglia oltre la porta d'ingresso. Boyle scostò infastidito gli addetti, rispondendo con bruschi cenni e monosillabi ai più impazienti.
«Gratis! Fateli entrare tutti gratis!» strillò Boyle, alzando gli occhi al cielo e dirigendosi verso i camerini.
«Vai a cambiarti. Iniziamo tra un quarto d'ora» disse poi alla compagna. Lei non rispose, fissandolo negli occhi con sguardo vago. Boyle la accompagnò ancora per qualche metro, ghermendole il fianco con dolcezza mentre la scortava nei camerini femminili. Soffiò dalle narici quando vide Melissa, in piedi in mezzo alla stanza, che si stendeva l'ombretto violaceo sul viso.
«Che ci fai tu qui? Qualcuno ti ha chiesto di venire?» sbraitò il regista, stringendo la presa più forte sui fianchi tremanti di Nadia. La ragazza si voltò sgranando gli occhi ed ebbe un sussulto non appena vide il regista che la guardava in cagnesco.
«Puoi anche tornare a casa. Non hai sentito che lo spettacolo è solo fra noi due? Non abbiamo bisogno di estranei che intralcino la nostra performance» continuò lui con sguardo sprezzante mentre la ragazzina lo fissava sbigottita.
«Mi hanno detto che lo spettacolo era oggi... io...» balbettò Melissa.
«Io voglio sfondare e stare al vostro fianco, certamente. Questo vuoi, ma il nostro spettacolo si fonda sul talento e sulla sincronia tra danza e poesia, entrambe cose che mancano a te e alle tue compagne. Se proprio vuoi che la gente veda i tuoi balletti puoi tenere occupati gli spettatori fuori dal teatro mentre noi ci prepariamo. Magari ti gettano qualche soldino»
Un membro della troupe chiamò Boyle, che sbuffò spazientito e sparì alla vista delle due donne con la velocità di un fulmine.
La ragazzina rimase in piedi in mezzo alla stanza, gli enormi occhi da cerbiatta a un tratto velati da una patina di lacrime. Non aveva la forza di alzare il braccio a pulirsi le iridi gonfie, come se questo si fosse trasformato nello stelo di un girasole ormai appassito per il voler troppo ergersi. Fissò Nadia, il trucco che ormai iniziava a sciogliersi sulle guance, ma non trovò nessun conforto nella rassegnazione dipinta sul volto del cigno. Nadia si limitò ad abbassare il capo in un muto segno di scuse prima di allontanarsi verso i camerini.
Fu allora che Melissa reagì. Scagliò a terra il trucco con tutta la violenza possibile ed emise un rauco strillo di rabbia che assordò tutti i ballerini del camerino di fianco. Tutti tranne l'impassibile Nadia, che dopo un forte tremito serrò le palpebre piumate. Mentre le lacrime iniziavano ad erompere dagli occhi, facendo colare il trucco, Melissa afferrò l'asciugacapelli e con un altro grido disperato lo schiantò contro lo specchio dinanzi a lei. Il vetro si ruppe in mille pezzi, l'immagine della ragazzina si annichilì con esso e l'innocenza precipitò dentro il lavandino, saturando con i propri cocci il sifone senza più pietà, senza più pazienza.
Melissa uscì dai camerini scalza, il volto ormai impiastrato di lacrime, come un livido arcobaleno di dolore contratto in una smorfia che mai avrebbero potuto credere possibile su un viso tanto delicato. Tutto era finalmente eruttato fuori, facendosi strada sotto la sua carne con le unghie e con i denti fino alla superficie. Era stufa di quella competizione. Era stufa di fare la parte della bambina paziente e stupida. Era stufa di lasciare che la sua innocenza fosse protagonista del suo animo. Il pubblico intento a fluire nel teatro notò la ragazza uscire sull'asfalto con il trucco colato, scalza ed infuriata, e fu subito assalito da perplessità. Che era successo? Era forse tutta una tecnica del maestro Boyle per rendere ancor più indimenticabile quell'esibizione? Arte scalza e su due gambe che faceva da antipasto allo spettacolo, pronta a essere interpretata dai critici? Qualche impietosa foto fu scattata e qualche piccolo dibattito scaturì prima di morire sepolto dalle dicerie sulla serata precedente in casa Minkova.
I posti a sedere erano molti e comodi, ma non abbastanza per gli spettatori bramosi di assistere a ciò che il genio di Boyle aveva da offrire loro. Qualcuno si sedette a terra, ma con galanteria. Qualcuno decise invece di restare in piedi. Pian piano il teatro si stava riempiendo di smanioso e irrequieto materiale organico e già i critici gorgogliavano mentre estraevano le mont-blanc dal taschino per annotare le loro considerazioni.
Boyle scostò lievemente il sipario per scrutare come fosse la situazione là fuori. L'impazienza si palpava nell'aria. Squadrò il pubblico per esaminare chi fossero gli eletti scelti per vedere la sua arte. Un uomo di mezza età, grasso e dal naso schiacciato, con un monocolo al seguito ed un cappello a cilindro sulla zucca pelata... Una donna vestita con un abito grazioso, un sorriso mielato di rimorsi ed una borsa che sembrava accudire sul grembo... Una cicogna elegante che non la smetteva di digitare su un portatile e non sembrava prestare attenzione all'atmosfera di tensione...
«John, io non lo voglio fare questo spettacolo» sussurrò una voce femminile dietro di lui. Era Nadia, in piedi dietro di lui, innocente e timida come una bambina. Si era già truccata perfettamente e aveva già indossato l'abito che Boyle le aveva consegnato, acquistato con i propri soldi in mancanza del manager. Quel manager che era venuto ad importunarli la sera prima. Lui le sorrise dolcemente e le strinse il braccio «Non avere paura» mormorò, fissandola negli occhi dall'alto al basso «Noi abbiamo creato qualcosa di nostro. Abbiamo la tecnica e l'ispirazione, tutto ciò che compone l'arte. Neanche il terzo elemento disdegniamo, ovvero l'amore. È l'amore che fa e che crea, che ammalia il pubblico per la sua realtà fisica e interiore. Non devi fare altro che lasciarti andare. Devi solo lasciarti andare...». Detto ciò la spinse dolcemente contro la colonna che sosteneva il sipario e le carezzò il clitoride mentre lei espirava aria fredda dal becco.
«Siamo al completo» li interruppe uno degli addetti del teatro con espressione perplessa «Quando incominciamo?»
Boyle si voltò e fulminò l'uomo con lo sguardo.
«Cominciamo ora» rispose «Avverti il tecnico delle luci che se sbaglia anche solo un dettaglio provvederò io personalmente a sollevarlo dall'incarico e rovinargli la carriera. E di' al tecnico del suono che la mia playlist è nella chiavetta sulla sua scrivania e che non faccia storie». L'addetto schizzò via scuotendo la testa e Boyle tornò a voltarsi verso Nadia.

«Devi solo lasciarti andare»

David si svegliò di soprassalto e ululò dal dolore quando sbatté il cranio sulla ceramica del cesso. Torse il collo per scrutare l'ambiente intorno a lui, ansimando con violenza mentre la vista gli si annebbiava in turbinii psichedelici. Si alzò a fatica e vide che aveva le maniche della giacca zuppe di quello che sembrava essere sudore. Che era successo? Perché si trovava in una specie di lurido bagno pubblico? Mentre la sua mente si schiariva, David si sforzò di fermare il tremore delle membra e di ricordare. Ricordava un uomo con degli occhiali da sole arancioni e una camicia a fiori che gli aveva infilato droga su per le narici. Il sole trapelava dalle inferriate della finestra e faceva luccicare lo strato di escrementi oleosi che chiazzava le piastrelle del bagno. Ricordava che si trovava nel bar in centro città e che aveva bevuto troppo. La testa smise di girargli e le vene si profilarono cariche di adrenalina sotto la pelle unticcia. Ricordava che doveva andare a uccidere Boyle.
Fece un passo in avanti e scivolò gridando sui liquami che insozzavano il pavimento. La rabbia iniziò a stringergli le meningi, la furia gli avvinghiò le viscere senza torpori. Doveva uccidere quel fottutissimo megalomane e doveva farlo ora, imbrattato di merda e sudore come un dannato fuggito dell'Inferno. Frugò con la mano lercia nella tasca dei pantaloni, alla ricerca del suo telefono, e l'incendio d'odio che ardeva nei suoi polmoni ebbe una vampata non appena l'uomo lo trovò. Con le unghie nere lo accese e aspettò imprecando che l'aggeggio si scaldasse. Lo sforzo di non gettarlo nel gabinetto per la furia fu immane e David dovette controllare tutte le sue membra per impedire all'odio di assorbire del tutto la sua carne e le sue ossa. Finalmente il trabiccolo si accese e fu allora che l'uomo impallidì.
Una sola notifica bastò. Una notifica recante scritto che al teatro era in corso lo spettacolo "Danza Acida" di John Boyle e Nadia Minkova. Questo bastò perché l'odio lo impregnasse fino all'ultimo capillare e gli desse la forza di sfondare la porta con un calcio di dolore e vendetta.

Le luci calarono sul pubblico, che emise un flebile coro di suggestione prima di acquietarsi. L'aspettativa era palpabile. Una luce sola si illuminò, livida e verdastra dietro il sipario. Le tende color vermiglio si scostarono piano rivelando il palco. Era lo scrosciare della pioggia quello che fuoriusciva dalle potenti casse del teatro? Nadia Minkova era lì, illuminata dal verde dei riflettori, il lungo collo reclinato a fissare il suolo. La musica iniziò a saturare l'aria fredda. Si poteva udire un violino, forse un piano, ma erano percussioni quelle che si sentivano in sottofondo? Boyle aveva forse tenuto tutti all'oscuro del fatto che si trattasse di un'esibizione di danza moderna? Che aveva in mente?
Il pubblico sussultò quando Nadia si mosse, rapida e leggerissima, e subito rimase ammaliato. Lo spettacolo era finalmente iniziato, senza preludi e spiegazioni, e già sembrava aver catturato l'attenzione di chiunque fosse in quel teatro. I movimenti fluidi di Nadia come lo scrosciare della pioggia sembravano sedurre gli spettatori e il suo disegnare ampi cerchi con grazia eterea rapì anche i cuori più scettici. Il ritmo pompato dalle casse, che ora era evidente fosse un pezzo di musica elettronica, riempì il teatro con le sue vibrazioni lucide e geometriche. E Nadia danzava seguendo quei pacati tumulti elettronici come se le scorressero nelle vene, perfetta in ogni movenza, leggiadra e insonne. Gli spettatori si sciolsero mentre la loro mente veniva stregata da quei gesti. A ognuno pareva sbocciasse qualcosa nel cuore. Un familiare, caldo tepore di pura ispirazione. La pioggia cullava tutto, fluida come lacrime, e i cerchi delineati dai piedi palmati della danzatrice s'ampliavano in armonia col sapore della musica. E l'intensità cresceva, cresceva, e s'abbarbicava liscia nelle viscere degli attoniti spettatori. Nessuno osava sbattere più le palpebre e una sinfonia di singulti saturò l'aria umida non appena Boyle sbucò da dietro le quinte.
La luce cambiò, calda e gialla come le fiamme di un camino in pieno inverno, e il regista si diresse verso la sfrenata danzatrice con un'estasi sul viso. Fu allora che la musica precipitò lievemente e lei fermò la sua danza, ma non la sua grazia. Si diressero l'uno verso l'altra, Marco e Gisella, dimentichi di chi fossero e cosa stessero facendo. Scivolarono lievi sul legno, mimi di loro stessi, e si guardarono negli occhi. La passione scaturiva dalle nere pupille di Boyle come un fiume in piena, scalpitante di assorbire l'amore e marcirvi dentro dolcissimamente. Il respiro degli spettatori non aveva il coraggio di interrompere il silenzio che quello sguardo avvolgeva, ma da quella distanza non potevano scorgere l'ombra di incertezza che velava le cornee di Nadia. Il suo io era ancora lì? O era troppo ormai intensamente avviluppata nel carnale sarcofago della sua danza?
I due danzatori si avvinghiarono e insieme fluirono con le proprie membra in un'esibizione di pura passione mentre la musica tornava a crescere, più impetuosa e travolgente di prima. Un turbine leggiadro di carne e piume sgorgava dalla passione che i due amanti avevano abbracciato. Un critico cinico avrebbe scatenato gossip sul fatto che Boyle fosse sul palco a danzare, ma tanto era rapito il pubblico dall'allucinata danza che nessuno fiatò, immerso nel lieto scivolare dei corpi. Nadia si arrestò mentre il fiato degli spettatori si condensava. Boyle la carezzò e la sedusse con le membra mentre questa si stendeva sul pavimento in un profilo perfetto. La passione ormai divampava e il palco era divenuto un barlume di fulgida vita, un allucinato piacere voyeuristico che scaldava i midolli degli spettatori. La musica scemò quindi per dare spazio a loro due. Il sognatore Marco e l'innocente Gisella. Le labbra e il becco si sfiorarono pregustando il momento, e poi fu un leggerissimo vortice di membra che si annodavano e toccavano calde. L'estasi allora esplose in tutto il teatro e le menti degli spettatori lambirono la purezza e la bellezza. Niente di tutto ciò era mai avvenuto. Mai l'uomo si era spinto così oltre nell'arte della passione. Era tutto troppo perfetto, troppo intenso. Tutto era condensato in quegli istanti e nulla esisteva al di fuori della carne e della passione.
All'improvviso l'incantesimo svanì e le palpebre ricominciano a baciare le cornee. La porta del teatro si spalancò e una folata di vento travolse i cappelli delle signore sugli spalti. David era in piedi sulla soglia, e si stagliava contro la forte luce del giorno. Avanzò tra le file di spettatori, spettinato e ricoperto di merda, noncurante della musica e degli sguardi sgomenti del pubblico. Man mano che proseguiva eradicò le menti dei presenti dall'allucinato stato di immersione in cui si stavano crogiolando, e metro dopo metro si avvicinò al palco. Gli occhi erano sgranati, la musica più tonante che mai.
David salì sul palco allungando la gamba lercia. Fissò i due figuri avvinghiati sul parquet. Da una parte la carne del bastardo seduttore che in pochi giorni aveva distrutto la sua fottuta psiche. Dall'altra le piume di Nadia, dolcissima e corrotta come uno specchio infranto. L'abbandono alla libidine l'aveva trasportata in un'estasi orribile, in una prigionia sottocutanea che le divorava la mente. La sua Nadia aveva rotto l'equilibrio, rovinandosi, abdicando la materia per l'energia. La compassione si fondeva al rimorso, all'ira e al sentimento di chi era stato tradito dal proprio credo. Ma non si poteva tirarsi indietro.
David portò la mano alla cintura e agguantò un coltello, forse trafugato da uno dei tavoli del bar. Il pubblico ebbe un sussulto. Anche questo era parte dello spettacolo? C'era da allarmarsi dopo quell'incredibile esibizione o Boyle aveva in mente altra materia con cui stupirli?
David scostò Boyle con un calcio gonfio d'odio. Gli occhi sgranati di Nadia ebbero un fremito quando si videro strappare via il volto del regista da davanti. David alzò il braccio lanciò un grido selvaggio mentre assestava la prima, violenta coltellata. Non gli importava dove colpire, l'importante era che il sangue macchiasse il parquet sul quale avevano camminato insieme quei due. Un'altra coltellata colpì Boyle dritto nel petto, poi un'altra dritta alle viscere. David strillò la sua furia e il suo dolore, infierendo sul corpo ancora caldo del regista, che aveva contratto il volto in un'espressione in bilico tra la totale estasi e il più profondo terrore. La musica cresceva e cresceva, e il sangue scorreva. Nadia non riusciva a muovere un muscolo, pietrificata dall'orrore e dalla confusione per la velocità degli avvenimenti. David finì le coltellate solo quando il suo braccio fu esausto, poi si accasciò a terra con un sospiro di gioia. L'odio era finalmente sfociato, incarnatosi fisicamente in quegli squarci nel petto. Un peccato per purificare un altro peccato.
Con il petto che pulsava violentemente, David si alzò in piedi a fatica e tese la mano verso Nadia, accasciata a terra con il becco semiaperto. Il sangue caldo aveva lavato via il sudiciume dalla pelle dell'uomo. Il cigno non si mosse e fissò David negli occhi un'ultima volta, mentre egli si girava a dare la schiena all'attonito pubblico.
Nessuno sa come una bambina avesse potuto procurarsi una pistola in quello stato, se l'avesse comprata o se la custodiva da molto, in attesa del momento propizio.
Melissa stava in piedi davanti all'entrata della sala del teatro. Un colpo partì in direzione del palco.
David ebbe un singulto ed un tremito mentre la schiena iniziava a cedere, colpita dal piombo. Il sangue dell'uomo schizzò sul candido vestito di Nadia e spruzzò di macchie vermiglie le sue piume bianchissime. David sorrise, finalmente libero, mentre si accasciava a terra accanto al corpo massacrato del regista.
Solo Nadia era rimasta al centro del palco, lo sguardo perso nel vuoto, il cuore troppo allucinato per comprendere. Altre calde lacrime lavarono il trucco sulla faccia di Melissa prima che si sparasse un colpo in testa, sfigurando quel viso di bellezza unica che tanto era stato caro a David. Allora la musica si fermò, e Nadia mosse qualche passo avanti, fissando il palco. Il sangue ricopriva ogni cosa, anche lei, e la luce della porta la abbagliava infastidendole i delicati occhi. Si spostò fino al lato del sipario, con le gambe che crollavano, e sparì dietro la tenda.
Seguitò un breve momento di silenzio prima che il pubblico erompesse in applausi estasiato, e le tende del sipario venissero finalmente chiuse.
L'arte aveva versato il suo sangue, quel giorno, per il loro piacere. I critici avrebbero certamente scritto un'ottima recensione...

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