Danza Acida: Atto 4

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Il giorno trascorse rapido e monotono, come la gran parte dei giorni in quella scuola di danza. L'eterea esibizione di Nadia aveva sorpreso sia David che Boyle, ma chi era rimasto più ammaliato dalle delicate ed affascinanti piroette era stata Melissa. Aveva difatti seguito tutta la performance con lucidità, fissando e giudicando la sua compagna mentre disegnava quei cerchi perfetti e seguiva quell'impossibile ritmo elettronico, ed era rimasta stupefatta. Sentiva la pelle nuda formicolare per l'emozione, per una strana passione che non riusciva a concepire, come se avesse abbandonato quella realtà per un momento e si fosse immersa in un nuovo universo del quale non era altro se non un granello di polvere. Non appena finita l'esibizione, Melissa si era voltata verso l'istruttore e lo aveva visto ardere. Intimidita, si era dunque allontanata di soppiatto, satura di pensieri vagheggianti e sfilacciati in una coltre di passione che non concepiva ancora.
Anche David venne avviluppato in un turbinio di pensieri viscerali. Immaginò prima di uccidere Boyle, fomentato da quello sguardo e da quell'improvviso abbandono del mondo concreto per quello astratto. Poi si rasserenò del fatto che quello fosse solo un pensiero. Cercò di ricordarsi che egli era un maestro di danza e che doveva solo fare il suo lavoro. Ogni rapporto con le ballerine, eccetto quello con Nadia, era un rapporto professionale, e quello con Boyle non avrebbe fatto differenza. Era solo un megalomane regista che li avrebbe abbandonati dopo due settimane, deluso dal flop del suo stupido spettacolo colmo di musica aliena e traboccante egocentrismo. Seguì quindi con lo sguardo Nadia che, più scioccata di tutti, si allontanava dietro il sipario con passo barcollante. Forse avrebbe dovuto parlarci, o forse doveva solo lasciarla stare. Dopotutto, quella performance aveva turbato tutti in quella sala. Sarebbe servito del tempo a entrambi per realizzare quello che era successo. Solo Boyle, a quanto pare, sembrava soddisfatto e compiaciuto.
Nadia apparve improvvisamente da dietro i pannelli che reggevano il sipario e si diresse verso il maestro di danza.
«David...» mormorò con voce rauca e tremante. L'uomo si voltò, sollevando il sopracciglio, e cercò di rimuovere dalla faccia quell'espressione da ebete che gli si era cementificata sul volto.
«Io torno a casa, se per te va bene» gli disse infine. Non aveva più in mano il copione e i suoi occhi erano intrisi di timore e perplessità. David si limitò ad annuire e Nadia lo ringraziò con un delicato inchino. Raddrizzò quindi la schiena e l'uomo la osservò camminare verso l'uscita del teatro barcollando sotto il peso del turbinio di emozioni che ora la stava divorando. Non gli aveva mai chiesto qualcosa del genere in quasi dieci anni e ora se ne andava in quel modo, senza spiegazioni. David la seguì con gli occhi socchiusi e la mente scombussolata finché ella non aprì la porta antincendio con mani tremanti e sparì alla sua vista. Si voltò quindi verso Boyle, che aveva assistito a tutta la scena con un enigmatico sorriso. A David sembrava davvero che quell'idiota si volesse atteggiare come un Dio, un falso idolo onnisciente che mai si scomponeva nella sua altezzosità. Strinse i denti quando notò che le altre ballerine si accingevano a seguire Nadia verso l'uscita del teatro. Non poteva biasimarle: Boyle le aveva appena sminuite in maniera plateale e dopo quella bizzarra esibizione non aveva senso rimanere lì. Le danzatrici sfilarono davanti a lui disordinatamente, chiocciando tra loro e mormorando a bassa voce. Alcune già iniziarono a slacciare le code di cavallo mentre si preparavano a struccarsi nei camerini.
«Anche noi andiamo» mormorò Melissa, e a David non rimase che seguire con lo sguardo le professioniste che per anni aveva istruito con serietà uscire dal teatro dopo un collettivo sospiro d'irritazione.
Solo allora Boyle smise di sorridere e si alzò dalla poltrona sulla quale era rimasto sdraiato tutto il tempo. Si diresse verso il palco e quando giunse dietro le quinte afferrò il copione che Nadia aveva abbandonato al suolo e incominciò a rileggerlo con falsa noncuranza.
David sentì ribollire il sangue nelle vene, la sua mente già pronta a formulare una scusa per cacciare via Boyle, ma notando il velo di sorpresa dietro lo sguardo del regista decise che quella manifestazione di estrema antipatia da parte dell'intera compagnia bastasse e avanzasse. Forse non sarebbero stati necessari formalismi per convincere quel megalomane a levarsi di torno ed evitare una figura di merda con il pubblico. Nadia aveva ragione. Perché non si era informato? Perché si era basato su quel nome, senza considerare le capacità delle sue danzatrici e i loro bisogni professionali? Era colpa sua alla fin fine. Tutta quella scenata era colpa sua. Perché ormai aveva capito che quel regista non sapeva stare con i piedi per terra e a poco sarebbero servite le parole. Potesse morire affogato nel crogiolo delle sue presunzioni egoistiche.
David uscì dal teatro senza dire una parola alle ballerine che ancora chiacchieravano svogliatamente nei camerini. Quella era una giornata da dimenticare.
Arrivato a casa, si preparò un caffè, poi rimuginò a lungo sulla possibilità di ubriacarsi con il Domaine de Bellevue fresco di settimana. No, avrebbe passato il resto del giorno a fare qualche altra attività, in modo da poter cancellare quella scenata dalla memoria. Doveva essere pronto a ricominciare daccapo il giorno dopo. Eppure per quanto corresse sul tapis-roulant con i Nickelback in cuffia, non riusciva a eliminare l'immagine di Nadia che si allontanava allucinata e vacillante verso la porta per i camerini. Probabilmente lei ora stava peggio di lui, intenta a rivivere ciò che era successo e cercare di trovarne il senso. Se la conosceva bene, ora avrebbe mantenuto un atteggiamento più taciturno per parecchi giorni. Non era abituato a sbalzi di tensione simili, avendola sempre considerata una donna controllata e seria, ma quel giorno qualcosa era andato più storto del solito. David lo sentiva. Mentre si rilassava sotto una doccia fredda, continuò a meditare e a porgere cibo alle meningi, che masticavano senza sosta ogni immagine o previsione su Nadia. Forse avrebbe dovuto consolarla. La verità era che voleva vedere il cigno per assicurarsi che stesse bene, per farle dimenticare quella mattinata con la sua presenza, per farla distendere sul letto con la sua persona, senza l'artificiale seduzione che Boyle credeva potesse funzionare, ma solo con il suo amore. Voleva vedere Nadia e rasserenarla. Farle passare un'altra notte di spensieratezza e sesso lento. Avrebbero pensato al regista l'indomani. Ma ora voleva vederla.
Ghermì allora il giubbotto, indossò in fretta le scarpe da ginnastica e sbatté la porta di casa mentre usciva. Aveva deciso: l'avrebbe incontrata, volente o nolente, e le avrebbe fatto una piacevole sorpresa. In un modo o nell'altro doveva fare in modo che lei ricordasse quella giornata come un altro intenso pomeriggio con lui e non come un'allucinata figuraccia sul palco del teatro. Percorse il marciapiede lastricato che costeggiava la strada senza mascherina, trattenendo il fiato per non inalare lo smog e stando attento a non calpestare le fessure tra i sampietrini. Il vento era piuttosto forte e gli fischiava tra i capelli ricci, solleticandogli la carne nuda. I passanti come al solito badavano agli affari loro, lo sguardo chino e la schiena ingobbita. Gli occhiali di David si appannarono non appena egli aprì la porta del condominio dove resideva la donna. Il giallo sporco dell'atrio gli assalì le pupille, illuminato dalla luce artificiale delle lampadine. Salì le scale appoggiato al corrimano di legno consumato. Man mano che saliva l'odore di cibo industriale si faceva più intenso e lo sbatacchiare di forchette sui piatti di ceramica, insieme al gracchiare dei televisori, era più forte, seppur ovattato da quei muri ingrigiti. Era quasi ora di cena, d'altronde, e gli abitanti di quello squallido complesso si sarebbero preparati a lavorare in qualche locale alla luce dei neon tutta la sera.
Un neonato qualche piano più in sotto emise un sordido vagito quando David suonò al campanello accanto all'unica porta ristrutturata del condominio. Si sgranchì la gola, provando a tornare a concentrarsi sul discorso che avrebbe dovuto fare a Nadia. Doveva essere sicuro di convincerla a passare la serata con lui e dimenticare tutto. Avrebbero finto di vedere un film, dopodiché sarebbero andati a letto, sopra le coperte, sudati e illuminati dalla luce bluastra della TV mentre facevano l'amore. L'odore del sesso doveva coprire il fetore dello speziato cibo orientale che aleggiava nel quartiere.
Suonò di nuovo, sorpreso che la donna impiegasse così tanto ad aprire la porta, e un brutto presentimento iniziò a farsi strada in lui. Questo presentimento si rivelò fondato nel momento in cui udì dei passi avvicinarsi alla porta da dentro l'appartamento. Passi diversi dai leggeri piedi palmati della danzatrice. Passi di un uomo barbaro e narcisista.
La porta si aprì e i lineamenti della faccia arrossata di Boyle si contorsero dalla sorpresa quando egli realizzò chi aveva davanti. Fu allora che le nocche di David si strinsero fino a tingersi di bianco e il sudore iniziò a grondare sulle guance. Il suo viso impallidì in un secondo, ma sotto la cute ardeva l'inferno. La vista di David si offuscò mentre le giunture delle gambe tremavano in sconvolta disarmonia con gli altri muscoli del corpo.
«Come mai qui, Lince?» disse Boyle, cercando in tutti i modi di soffocare l'imbarazzo con quel suo sorriso di marmo. A David la frase arrivò remota e appannata, infastidendogli le orecchie come un ronzio e costringendolo a inspirare profondamente. Le narici gli vibravano come mai prima d'ora, scuotendogli i nervi delle guance e soffiando sulle labbra screpolate.
Nadia si allarmò all'udire le parole di Boyle e accorse alla porta con un'espressione di profondo turbamento stampata sul viso. Quando vide David, il suo volto mutò espressione in un turbinio sfocato di emozioni. Era sconvolta, dispiaciuta, innocente, ansiosa, mortificata, e nei suoi occhi non s'intravedeva un eco d'amore viperino, ma David fra tutte vide solo l'innocenza. Un'innocenza falsa e femminile, che separava il cuore e la mente come domatore e bestia, l'innocenza che derivava dal lasciar decidere alle emozioni. E nel frattempo la faccia da culo di Boyle gli copriva la visuale, stando davanti alla porta con una finta espressione da babbeo snob, quasi a volerlo sfidare.
«Non farlo...» lo scongiuravano gli occhi sgranati di Nadia «Non farlo, posso spiegarti»
«E invece lo farò» rispose lo sguardo di David, dalle rughe neutre ma dalle iridi bollenti, i riccioli neri che proiettavano un'ombra sulla fronte come una corona di spine.
«Mi conosci. Non è come sembra... Ti spiegherò tutto... Devi solo ascoltarmi...» insistette Nadia con le pupille.
«Non sono arrabbiato con te» replicò silenziosamente David, poi le sue pupille scivolarono a puntare la sagoma atletica di Boyle «Risolverò io la questione. Io l'ho chiamato e io lo restituirò al proprietario»
«No!» esclamò il cigno, impregnando gli occhi di spavento e rammarico. Ma David aveva ormai già sbattuto la porta in faccia a Boyle. Lo sentì esclamare qualcosa a cui Nadia non rispose mentre scendeva i gradini smussati. L'odio lo aveva ormai assorbito e ingravidato di pensieri. Pensieri che pian piano lievitavano dalla violenza alla morte secondo climax squisitamente ordinati. Sarebbe toccata a lui la decisione di lasciare che si dissolvessero nella depressione o di generare una vendetta degna di essere ricordata. Uscì dal complesso sbattendo la porta e macinando spirali di odio e rancore dentro sé. Arrotolò la lingua per assaporare meglio i pensieri di punizione e annichilimento che sarebbero spettati al fottuto regista. Sentiva l'odio galoppare nelle vene e sussurrargli cose nelle orecchie. Cose di cui si gonfiava e di cui rideva sguaiatamente nel suo cranio. Contava i passi come contava le coltellate alla schiena che la sua mente immaginava nei dettagli. Avrebbe dovuto storpiare quella faccia da pretenzioso in una faccia di dolore indescrivibile. D'altronde l'odio era un ottimo pittore tra i meandri del suo encefalo.
David entrò in un bar di cui non sapeva il nome dopo aver percorso un indefinito numero di passi. Era partito al tramonto e ora si era fatta notte. Le ore erano passate rapide, rapendolo mentre il suo animo si dibatteva tra odio e razionalità. Ordinò dell'alcool. Non ricordava cosa avesse ordinato, sapeva solo che era roba potente, che lo avrebbe fatto dimenticare. Che avrebbe affogato i suoi pensieri e il suo dolore in un mare di sudore sotto a delle coperte pesanti in un letto solitario. Passò un tempo incalcolabile, tra un bicchiere ed un altro, rimpiangendo la lucidità che andava via via perdendosi nei contorti intrecci di emozioni tese come la tela di un ragno.
«Vorrei uno dei vostri androidi da sesso» ordinò al barista, il tono storpiato dai fumi dell'alcool.
«Ne abbiamo di tutti i tipi per i feticismi peggiori, amico» rispose quello, pulendo un bicchiere con uno straccio «basta che abbia da pagare e mi dica cosa vuoi»
David si leccò le labbra, scrutando le illeggibili scritte sulla bottiglia semivuota «Voglio un cigno» esclamò infine, fissando il barista con la coda dell'occhio.
Buona parte del locale scoppiò a ridere a quell'esclamazione.
«Abbiamo roba per tutte le perversioni possibili, ma tu chiedi troppo, amico,» rispose quindi il grasso barista, accennando un sorriso consolatorio «non vogliamo mica che un'irruzione della polizia».
«Non sono il tuo fottuto amico»
Il barista continuò a sorridere senza convinzione, mormorando degli insulti a bassa voce. Come si permetteva di sorridere in modo falso e sparlare di lui sotto i baffi? Gli ricordava Boyle. Boyle faceva sempre così. Teneva un sorriso da rompere col martello tutto il giorno credendo di sembrare cordiale, quel puttaniere. Forse quel barista meritava di fare la fine che avrebbe fatto anche Boyle.
«Ehi, ehi...» mormorò un tizio, mentre si avvicinava al suo tavolo. Nonostante avesse la vista offuscata dall'alcool, David riuscì a distinguere un figuro con una camicia nera a fiori gialli e degli occhiali rotondi color arancio che camminava goffamente verso di lui.
«Giornataccia?» domandò, alzando la testa per scrutarlo. Le sue pupille sfuggenti saettavano di qua e di là come quelle di un rettile. Scostò una sedia e si sedette al suo tavolo. David non disse una parola, limitandosi a fissarlo. Ormai non aveva più voglia neanche di pensare.
«Oh, Dio. Hai scelto un pessimo nettare per ubriacarti» continuò, strappandogli dalle mani la bottiglia che aveva ordinato «Barista, mi porti una bottiglia di Chartreuse!»
«Chi sei?» biascicò David, infastidito dalle movenze repentine dello sconosciuto. L'uomo sgranò gli occhi e fece roteare la testa, poi improvvisamente afferrò il tavolo con entrambe le mani e si protese in avanti per mormorare.
«Sono uno qualunque, di quelli che conosci e poi non ti ricordi più, anche se li rivedi tra il pubblico» sorrise grottescamente «ho delle cosine che vorrei condividere con un depresso di merda come te»
David fece dondolare il capo a destra e sinistra, squadrando il bizzarro individuo. All'inizio pensò si trattasse di un'allucinazione, ma mai gli era capitato che l'alcool gli provocasse sintomi così estremi, per quanto lo scombussolasse. L'uomo estrasse dalla tasca della camicia una grossa capsula rigida, poi, fissandola con occhi sgranati, la spezzò sotto le narici, inalandone il contenuto con avidità. Tirò infine un lungo sospiro di estasi, e contorse i lineamenti del viso in una smorfia grottesca.
«Prendine una. Devo liberarmi di questa merda prima di arrivare al capolinea» disse quindi il figuro, porgendo un'altra capsula allo straniato David. L'uomo esitò un istante prima di accettare il dono, ma l'alcool rombava nelle vene e la disperazione era burattinaia dei suoi atti quella sera.
«Capolinea?» biascicò, mentre portava la pillola sotto le narici, cercando di imitare lo sconosciuto.
«Capolinea, sì. Tutti prima o poi bisogna arrivare al capolinea, è inevitabile, mica sono diverso dagli altri, io. E devo spogliarmi di un paio di cose, lavarmi sotto le ascelle con il sapone, pulire questi sporchi occhiali...» rispose quello.
David spezzò la pillola e inalò con un respiro profondo tutta la polvere che v'era contenuta. Fu come se dei fuochi artificiali gli fossero schizzati su per il naso, trapassandogli le meningi ed eccitandogli i neuroni. Mille fuochi si sparsero sotto la cute e l'euforia s'impadronì del corpo di David, sprizzando scintille che bruciavano i ricordi, e il dolore, e nulla importava più.
«Non fa male, tranquillo. Fa più male quando finisce. Ti aiuta a dimenticare, a non pensare alle cose. Ti aiuta a uscire dalla realtà, cazzo. Ehh, ogni volta che l'uomo s'inventa qualcosa, quella cosa diventa la salvezza per qualcuno e il vizio per qualcun altro. Ma è così che gira il mondo, amico. Le persone nascono, imbrattano questo mondo e muoiono. E c'è chi muore ancora immerso nel suo mare di merda, e chi invece prende il primo tram per il capolinea, e riguarda indietro a quello che ha fatto. Però devi solo curare i dettagli della rete che hai tessuto, mica la puoi ricominciare da zero, cazzo! La smussi un po', la pulisci in qualche pezzo e ti accontenti. Una volta che hai preso il tram non torni più indietro. Solo alla fine la vedi dall'alto la tela, e può essere bellissima, piena di dettagli e sghiribizzi psichedelici, oppure può essere una merda, tutta storta. Le mie preferite, però, sono quelle con un unico soggetto, di chi non si è dedicato ad altro se non quello. Sono così pulite, dettagliate, estetiche, tipo la copertina di un vinile. Mancherebbe solo il titolo ed il codice a barre, ecco. Sì, avrei voluto una tela così, cazzo. Mica è una metafora, eh, idiota! Le metafore sono per i vecchi, i vecchi che leggono i libri. Noi siamo qui per sballarci, anzi tu, perché io sono qui per tagliarmi le unghie dei piedi e togliere il fango dagli scarponi. Ricorda di prendere il tram, amico. Al momento giusto devi ricordarti di prenderlo»
Detto questo, il figuro si alzò ed uscì dal bar. Quella fu l'ultima cosa che David si ricordò prima che la droga facesse definitivamente effetto e una spirale di pensieri ancora più intensi gli avviluppasse le membra in estasi. Turbe di psichedelici demoni iniziarono a ruotare intorno al suo cranio e mentre la mente trascendeva quello schifoso mondo i ricordi di David si fusero e liquefarono in vortici di nettarea estasi e amaro piacere.

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