Capitolo cinque

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"Nella tana del lupo"
Prima parte



Che cosa sarebbe la vita se non avessimo il coraggio di correre dei rischi?
-VINCENT VAN GOGH



02:40 Franciville, villa Brown.

Il fruscio del vento accompagnava la quiete avvolta attorno alla stanza semi oscurata. Un ambiente caldo e placido, sprovvisto di qualunque emozione esistenziale, così come il petto di nudo di Elijah riflesso nello specchio. La sua immagine veniva catturata dal flebile bagliore lunare, un'aureola scintillante di cui i raggi filtravano fra le finestre tinte d'oro macchiato. Se stava seduto difronte a un sontuoso baldacchino, ammirando con ardore il corpo che ci dormiva sopra. Erano passate un paio d'ore da quando la morte lo aveva sfiorato. Ore interminabili nelle quali aveva paragonato la sua vita a sabbia pronta a sgretolarsi.

Un tempo avrebbe impugnato l'arma, sterminando chiunque avesse osato minacciare ciò che restava della sua immorale esistenza.
Ma ora, difronte all'angoscia degna di un sopravvissuto, quel desiderio estremo gli pareva solo un bisogno fugace. Un incubo insignificante del quale non sarebbe stato più prigioniero.
Si poteva essere così sprovveduti da rinunciare alla vendetta a causa dei più futili dei motivi?

A causa di...lei?

La sua esistenza doveva essere così misera e insignificante, se il pensiero di una donna ferita, gli procurava una voragine nel petto.
Aveva temuto per Isabel, aveva quasi creduto di perderla ancora prima di averla. Condividere la morte è un'esperienza decisamente folle, eppure era stata incapace di scalfirlo questa volta.
Ciò probabilmente, era dovuto all'abitudine di trovarsi costantemente sotto attacco.
"Spiacevoli abitudini, senz'altro" pensò.
Ma non per la vita che aveva tentato disperatamente di salvare.

Per lei aveva previsto un finale ben più lieto del suo.

Con una mano si grattò la barba ispida riflettendo sulla prossima mossa da fare: l'avrebbe svegliata o avrebbe atteso il suo risveglio con impazienza?
Detestava avere le stesse insicurezze di un adolescente. Non viveva certo la vita di un saggio, ma con le donne lo era di sicuro. Per Elijah erano una specie di manuale aperto dal quale non faceva che imparare con smania, tralasciando volutamente le parti basate sul reciproco rispetto.
Quello sembrava non averlo per niente e per nessuno.
Furtivo come un ladro, fra la brezza gelata della notte, decise di agire come tale: si alzò dalla poltroncina in pelle, sopra la quale non sostava più alcun libro, avvicinandosi al bordo del letto.

Isabel dormiva profondamente.
Sembrava una fata ancora più bella ora che finalmente non scalciava più. Ora che aveva accettato di abbandonarsi al suo dominio fra la dolorosa impotenza di quel pomeriggio. Aveva rischiato di perdere la sua bambola, il suo nuovo giocattolo preferito e questo non gli andava bene.
Non gli piaceva affatto, anzi, lo detestava!
Destava che la sua nuova proprietà riportasse un danno così grave da sgorgare fiotti di sangue.

La sua ferita era così profonda che ci volle l'intervento di più di un medico per fasciarla.

Ma alla fine, lo squarcio provocato dal colpo era riuscito a richiudersi, permettendo alla sua fata di riprendere fiato.
Con delicatezza, allungò una mano sul suo volto immobile, sfiorandole una guancia. Lui era rimasto accanto a lei tutto il tempo, assicurandosi che non fuggisse. Che come una fata capricciosa non celasse nuovamente la sua esistenza in una zona remota della terra.

Anche se, probabilmente, non sarebbe bastato.

Lui l'avrebbe stanata comunque, riportandola nell'unico posto in cui le avrebbe concesso di splendere: il suo letto.
Era lì che doveva stare, lì o in un qualsiasi altro spazio che comprendesse la sua presenza.

Non le avrebbe dato altra scelta.

Come un fuggiasco lasciò che il suo sguardo si avventurasse oltre la camicetta in seta che aderiva ai suoi seni. La coperta celava parte del suo corpo, un corpo sinuoso e tremendamente invitante che non faceva che alimentare il suo desiderio.
Voleva scoprirla, voleva toccarla, voleva stringerla.
Eppure non fece che guardarla come un gioiello in una teca.
La luce flebile delle candele, sparse accuratamente per la stanza, donava all'ambiente un'aria decisamente meno tetra a differenza dell'oscurità affacciata alle finestre semi aperte.

Le aveva regalato la stanza più bella della villa, anche se lei non lo sapeva ancora. La sua fata non poteva certo vivere nel marciume nel quale l'aveva trovata. Doveva essere ricoperta di sfarzo ed eleganza, le stesse che ora adornavano le pareti in stile barocco della camera, grande la metà del campo in cui l'aveva quasi persa.

Quel pensiero gli rammentò il perché non poteva aspettare oltre...

Le sue dita divennero improvvisamente ingorde, al punto tale da non riuscire a controllarle.
Con delicatezza le fece scorrere lungo il suo collo, fino ad arrivare ai solchi leggeri del seno.
Era così bello e...morbido.

Lo sfiorò con prudenza, con un desiderio accecante ma ponderato dalla misera ragione.
Avrebbe voluto stringerlo, assaporarlo, bearsi di ogni suo piccolo spasmo mentre lo mordeva con avidità.
Voleva spogliarla, toccare la sua intimità, leccarla fino a gustarne il sapore.
L'aveva immaginata nuda in mille modi diversi, in tante posizioni diverse, in tante stanze diverse.
Ma principalmente l'aveva immaginata lì.

Nel suo letto.

Nel quale avrebbe tanto voluto consumare la potenza del suo desiderio.
Ma non poteva...
Non avrebbe potuto in quello stato.
Parte del suo piacere risiedeva fra suoi occhi verdi.
Li avrebbe voluti puntati su di se, avrebbe voluto leggerne l'eccitamento mentre con foga si spingeva in lei.

Avrebbe voluto tante, tante cose...

Eppure restò inerme a fissare la sua mano peccatrice come un bambino intento a rubare. La ritrasse con non poche remore ma si sforzò di farlo, soprattutto quando, con sorpresa, notò che fra i suoi occhi vibrava una parvenza di lucidità.
«Finalmente» mormorò, indietreggiando di un passo, lasciando che la vista riacquistasse vigore.
«Isabel? Isabel, riuscite a sentirmi?»

Quella voce le arrivò come una specie di suono ovattato. I sensi di Isabel riprendevano lentamente conoscenza, mentre il soffice fruscio del vento le annunciava la fine della tempesta.

"O forse sono morta e il paradiso mi sta accogliendo fra le sue braccia" pensò.

Probabilmente era questo il motivo per cui una strana pace ora cullava il suo petto privo di macigni esistenziali.
Le sue palpebre meno pesanti, le consentirono di batterle, permettendo ai suoi occhi di studiare l'ambiente circostante. Una sensazione d'angoscia le si dilagò nel petto all'amara considerazione che non potè fare a meno di pensare: dove si trovava?
Tutto quello sfarzo non le apparteneva di certo.
«Dove mi trovo?» biascicò quindi, fra il sonno passeggero e la confusione.

Contrariamente a ciò che pensava non era morta.
Ma si aspettava di esserlo in realtà.
Provò uno sconsiderato sollievo a quella realizzazione, ma al tempo stesso, una terribile spossatezza e un dolore perpetuo al braccio. Si voltò, allungando una mano sulla fasciatura che lo avvolgeva. Era intrisa di sangue.
Quella visione fu come un pugno allo stomaco.

All'improvviso ricordò il perché della sua spiacevole convinzione legata alla morte.
Ricordò i corpi, ricordò quell'uomo sparare, ricordò la pioggia battente...
Il sangue.
Il colpo che l'aveva trafitta.
Terrore e frustrazione l'assalirono nuovamente, lasciandole addosso una strana sensazione di caldo mischiato a freddo. Il suo cuore riprese a martellare come un tamburo, impedendole persino di respirare.
Le sue gote si inumidirono a causa delle lacrime irruenti.
Era certa che da lì a poco avrebbe gridato nuovamente.
Come avrebbe fatto a superare una cosa del genere?

Con le poche forze rimaste, scostò le coperte azzardando un passo, ma una presenza niente meno che spettrale sbucò fuori dalla penombra impedendole ogni altro movimento. «Temo che non sia prudente nelle vostre condizioni, Isabel...» la quale non poté fare a meno di cacciare un esile grido. Trasalì e si riaccucciò nel letto, dentro al quale strinse un cuscino come il più improbabile degli scudi. Malgrado il calore della stanza le suggerisse tutt'altro, non poté fare a meno di sentirsi in pericolo.

Come si sarebbe difesa?
All'interno della camera, non c'erano altro che cianfrusaglie degne di un imperatore, sarebbero bastate a proteggere la sua vita?

«Isabel, va tutto bene adesso, siete al sicuro.»
La voce calda e suadente di prima interruppe i suoi pensieri machiavellici. La figura di Elijah avanzò dalla penombra, rivelando il suo corpo seminudo. Le sue labbra erano socchiuse mentre continuava a osservarla: ricordava una scultura austera, di cui ogni particolare veniva messo in risalto dalla luce fioca delle fiamme. Una roccia scolpita, come il suo petto ampio e robusto, spuntato da qualche striscia di peluria. Dei jeans gli fasciavano il resto del corpo, che a dire il vero le pareva pronto a scoppiare, tant'era la forza con la quale aderiva a quell'ammasso di fibra sintetica.

I suoi occhi le scivolarono addosso senza permesso, due tizzoni ardenti che le sfiorarono la pelle con desiderio.

Per un istante si sentì improvvisamente nuda.

«Sono felice che stiate meglio» disse, affondando le mani nelle tasche.
«Dormivate già da un po', temevo non vi avrei incontrata prima di domani.»

Isabel avvampò girandosi di scatto. Non riusciva proprio a tollerare la sua sfacciata arroganza.
Cosa diamine ci faceva lì!
Cosa diamine ci faceva lì così!
«Gradirei vi rivestisse per piacere!» esclamò tutto d'un fiato.

Ecco cos'era, era semplicemente lui.
Elijah Brown.

L'uomo che aveva annientato la sua vita.
Colui che aveva distrutto la sua esistenza.
Lo detestava, cielo quanto lo detestava!
Ora forse più di prima.
Eppure, non potè fare a meno di provare un dolce sollievo alla sua vista. Probabilmente era dovuto al senso di familiarità che associava a quell'uomo, o al terrore della morte scampata.

Elijah scosse il capo, osservando il modo innocente in cui tentava di sfuggire all'imbarazzo. Avrebbe voluto stuzzicarla, giocare un po' con lei. Ma il ciclone d'angoscia che da lì a poco le avrebbe invaso il petto era nettamente superiore a qualsiasi altro tipo di dispetto. Non vedeva l'ora di dirle che sarebbe rimasta lì con lui.
Perciò cedette. «D'accordo», annuì.

Con fare veloce si avvicinò a una poltrona bianca difronte al suo letto, sulla quale era adagiata una camicia bianca.
La indossò arrotolando le maniche fino al gomito. «Accontentavi di questo perché non l'abbottonerò», sbuffò, gettandole un'occhiata severa. In cuor suo sperò che quella piccola arrogante avesse apprezzato il gesto, dato che non avrebbe assecondato altro se non quell'insulso capriccio.

Isabel parve riflettere un istante: come poteva un uomo mostrarsi gentile e intollerabile al tempo stesso?
Era certa che prima o poi lo avrebbe ucciso!
«Gentile da parte vostra...» il suo tono era venefico, la sua ironia sferzante. Si issò sul braccio incolume, sistemandosi più comodamente. «Ma avrei un'altra cosa da chiedervi.»

«Chiedetela, allora.» Elijah avanzò lentamente, fino ad arrivare al bordo del suo letto. «Dite pure.»

Isabel si mostrò perplessa. Chinò lo sguardo, torturandosi le dita. «Cosa-cosa intendevate dire con...prima di domani?» Aveva forse dimenticato qualcosa?
«Cosa...cos'è successo? Dove siamo?» domandò, accentuando la sua confusione.

Elijah tacque un istante, poi mosse un altro passo in avanti. «Dopo gli spiacevoli inconvenienti siamo tornati alla villa, il proiettile che vi ha colpito è stato rimosso con successo e la vostra ferita è stata medicata. Ho riposto i vostri vestiti nell'angolo nel caso li rivo...»

«I miei vestiti!» esclamò lei. Con un certo allarmismo prese a tastare i nuovi abiti che le avvolgevano il corpo. Fra tutto quel trambusto non aveva fatto caso al suo aspetto, che ora non somigliava più a quello di una sguattera. Sentì una stoffa leggera al tatto, una di quelle vestaglie in seta che non avrebbe mai indossato a causa delle sue profonde insicurezze. Era di un blu notte, con una lieve scollatura intessuta di pizzo. «Chi...cosa...chi mi ha cambiata!?»

«State serena, ci ha pensato la vostra governante, è qui fuori se volete conoscerla. Ma spero in un vostro diniego, dato che ho ancora molto da raccontarvi.»
Elijah la studiò, sforzandosi di non toccarla: il suo strabiliante candore riusciva a destargli ogni sorta di desiderio perverso.

Isabel lo guardò a bocca aperta.
«La mia governante?» ripeté senza fiato.

La stanza sontuosa.
Le bende.
Il sangue.
La governante...
Cosa diavolo stava accadendo!

«Il mio compito ora è mantenervi al sicuro, e questo è l'unico posto adatto...» si affrettò a dire, quasi come se avesse già previsto il suo imminente rifiuto.
«Siete a villa Brown, e qui ci rimarrete. Vi verrà assegnata una scorta e come ho già detto una governante. Si chiama Felicity ed è piuttosto entusiasta riguardo alla vostra permanenza alla villa, quasi più di me in realtà. Il contratto vale ancora, sarete assunta a tempo pieno come maestra di Thómas, domattina lo firmerete nel mio ufficio» dichiarò. La sua attenzione divenne più acuta mentre la osservava.
Il tuo tono era leggermente più caustico, se ne rendeva conto, ma era necessario mostrare fermezza con quella fata capricciosa, altrimenti non avrebbe ascoltato.
«Questo è quanto e non vi concederò altro se non la possibilità di accettare, cosa che farete comunque dato che non vi lascerò andare» concluse poi, fastidioso e conciliante.

Gli occhi di Isabel divennero due tizzoni ardenti, due fiamme che si incupirono maggiormente quando con furia gli puntò un dito contro.
Come previsto la sua reazione non tardò ad arrivare.
«Allora proprio non riuscite a capire! Siete sordo per caso? Adesso siamo passati persino a una scorta e a una governante? Scordatevelo perché non accetterò niente di tutto ciò!»
Le sembrava di vivere un incubo.
Cosa diamine voleva quest'uomo da lei!

«No, siete voi che dovete ascoltare me!» Elijah sentì il sangue rimescolarsi dalla rabbia.
«Non siate capricciosa, in ballo c'è molto di più del vostro stupido orgoglio, Isabel...»

«Ah sì? E cosa? Illuminatemi di grazia!»

«Le nostre vite, Isabel! La mia e la vostra, alla quale, da ciò che mi pare di capire, non tenete affatto!»

«Non raccontatemi stupidaggini non sono una sciocca! Quell'uomo cerava voi non me, io non c'entro niente con i vostri stupidi affari!» gli fece notare, gesticolando con rabbia.

«Temo che la cosa sia un po' cambiata non credete? Davvero non riuscite a capire che ci siete dentro quanto me?» Elijah le gettò un'occhiata severa aggirando il baldacchino. Il suo passo era lento e ponderato, la sua mascella serrata come una morsa. Non sapeva se prendersela con la sua stupida testardaggine, o con la sua snervante irruenza.
Lui l'aveva salvata e lei avrebbe dovuto essergli grata per diamine!
Accettare senza discutere, ecco ciò che doveva fare, e invece si ostinava a demordere come una giumenta selvaggia.

«Oggi mi sono preoccupato per voi! Ho avuto paura di morire tanto quanto voi e questo non lo nego. Ma non posso permettere alla vostra stupidità di farvi uccidere, e sì avete capito bene, stupida, perché non so come altro definirvi a questo punto! Quello che avete visto oggi è solo una piccolissima parte di ciò che potrebbe accadere se vi lasciassi andare. L'uomo che vi ha sparato è solo una goccia nel mare, un mare troppo oscuro per pesciolini come voi. Avete bisogno di una guida e di qualcuno che vi protegga, soprattutto da tipi come De la Cruà. Quell'uomo vi ha vista oggi e che lo vogliate o meno, vi crede legata a me in qualche modo. Sa che ero lì per voi, perché in questa cazzo di casa c'è un traditore che non ho stanato per rimanervi accanto tutta la notte! E credetemi quando vi dico che gli staccherò la testa nello stesso modo in cui Rick la staccherà a noi se non rimarremo uniti. Perciò, non siate incoscienti e fate ciò che vi dico!»

Isabel si sentì sopraffatta. Le parve quasi di non respirare più: se ciò che sosteneva quell'ammasso di frustrazione fosse vero, un uomo le stava dando la caccia. Un uomo che non aveva mai visto prima di quel dannato pomeriggio.

Prima che quella presenza oscura invadesse la sua già misera esistenza.

«Questa è tutta colpa vostra! Se ve ne foste andato in tempo ora non mi troverei in questo pasticcio!»

«E ditemi, dove sareste adesso? Uhm?» Elijah si sporse a guardarla con malignità. «Dove sarebbe la povera e innocente insegnante disoccupata e odiata da metà della sua scuola? Già so tutto riguardo alla vostra reputazione, non godevate di alcun favoritismo se non sbaglio, tanto meno della più frivola delle benevolenze! Dove sareste quindi? Ditemi, illuminatemi, perché proprio non riesco a immaginare un posto migliore della villa nella quale vi trovate, protetta da armi e soldati e con un salario che farebbe impallidire un senatore. Ditemi, perché proprio non riesco a immaginare niente di meglio che possa equiparare alla terra nella quale vi ho trovata. Una fogna misera, una latrina ricoperta d'erba nella quale avreste annaspato nella più totale disperazione, e voi lo sapete Isabel, probabilmente meglio di me! È questo ciò che vi auspicavate? Il sudiciume e il disprezzo?» le domandò con furia.

Ma ci fu solo silenzio.

Quello che accadde da lì a poco non fu certamente colpa di Isabel. Fu senza dubbio un demone ad impadronirsi del suo spirito rendendolo selvaggio. Un diavolo irruente, che allungò una mano a colpire la guancia di Elijah con uno schiaffo preciso e sonoro. «Ma come vi permettete!» gridò. «Voi non sapete nulla della mia vita, nulla, un bel niente! Volete la guerra? Bene l'avrete!»

Con un gemito acuto si divincolò dalle coperte scoprendo le gambe nude: si girò su un fianco fino a trovarsi a carponi, ansimante e pronta a scattare in piedi. Non le importava di provare dolore, se ne infischiava della sua stupida ferita e se ne infischiava della sua stupida vita. Preferiva di gran lungo la morte piuttosto che trascorrere ancora un istante con quell'uomo!

Elijah era tutt'altro che un salvatore per lei.
Solo un disgraziato senza cuore che continuava a mortificarla!

Una freccia nel petto sarebbe stata meno dolorosa delle sue parole.

Una strana sensazione di calore mischiata a oltraggio e raconore le invase le carni. Non riusciva più a ragionare.
Eppure non demorse un istante, neanche quando con prevedibile violenza, Elijah l'afferrò per le caviglie trascinandola come un sacco.
Il suo corpo divenne improvvisamente rigido, le braccia una mazza con due pugni stretti sul fondo.

Lo aveva fatto arrabbiare.
E molto.
E questo non era un bene, non lo era fatto.

Isabel scalciò come una selvaggia, come se da ciò dipendesse la sua vita, tanto che dovette persino resistere al dolore della ferita.
Fra la rabbia incalzante l'osservava in un modo che Elijah non seppe spiegare.
I suoi occhi sembravano un lago traboccante, un fiume pronto a straripare; ne poteva leggere l'umiliazione.
Un randagio ferito e prigioniero fra le sue lenzuola, una lastra rigida e tremolante.
Ecco cosa accadeva quando l'incoscienza sguinzagliava la rabbia: permetteva al mostro infondo al suo petto di fuggire via dalla gabbia dentro al quale lo teneva prigioniero.
Una creatura immonda e costantemente in fuga dalle sue stesse carni.

Un uomo smarrito che non avrebbe mai evaso dal suo tormento.

La sua più che a una vita somigliava a una costante sopravvivenza. Una lotta interminabile fra lui e il marciume annidato nel suo cuore. Un cuore selvaggio, che ora rifiutava il male che tentava di sopraffarlo: qualcosa simile a impotenza e colpa che lo infastidì in maniera insopportabile.

Nonostante i colpi incalzanti da parte di lei, che a dire il vero schivò per un pelo, riuscì a immobilizzarla. Il divario tra loro era così abissale che, in un lampo, si trovò a dominarla a cavalcioni. Il suo peso la opprimeva, privandola di ogni movimento; solo le braccia erano libere, ma Elijah si affrettò a imprigionarle rapidamente sopra la sua testa. Erano così esili che avrebbero potuto spezzarsi al minimo sforzo.

«Lasciatemi andare maledetto! O giuro che urlerò talmente forte da risvegliare i morti!» gli intimò lei, cercando di mostrarsi impavida e senza paura.

«Fate pure, ma i morti non vi aiuteranno!» Elijah ghignò, mantenendo ferrea la sua presa. Era quasi esilarante osservare il modo in cui tentava di divincolarsi, sembrava un uccellino intrappolato in una gabbia d'acciaio. «Questi capricci sono inutili Isabel e tremendamente infantili. Non voglio farvi del male, ma smettetela di scalciare come un mulo!»

«Farò anche di peggio se non mi lascerete andare all'istante!» Isabel digrignò i denti. Le sue gambe erano bloccate, si sentiva impotente. Riusciva a malapena a muoverle con tutto quel peso addosso. Ma non si sarebbe arresa, neanche morta. Poteva morire certo, o morire di dolore se lui avesse continuato a stringerla in quel modo, ma di certo non si sarebbe arresa.

Ed Elijah lo sapeva.
Perciò sospirò, esausto.
Perché lo era.
E non certo come avrebbe voluto.

"Questa fata così dolce...è così impertinente" pensò.

A differenza di ciò che si poteva pensare non era abituato a ottenere tutto con facilità: rispetto agli altri boss, i suoi averi li aveva guadagnati. Ma non questa volta, no. Questa volta sarebbe stato diverso. Non gli importava di sapere se lei lo ritenesse abbastanza degno da possederla, lui se la sarebbe presa in ogni caso.

Si chinò a un soffio dalle sue labbra ignorando il suo fare bellicoso. Per un solo istante la guardò e basta. Che magnifici rubini scintillavano fra le sue cornee di cristallo. «Se vi lascio andare, mi promettete di stare buona?» domandò. Il suo tono stavolta era quasi indulgente. Infondo glielo doveva, non avrebbe retto a lungo in quella posizione. Non senza che le sue mani si ribellassero ancora.

Ma Isabel non rispose, continuò piuttosto a dimenarsi e a voltare lo sguardo su qualsiasi altra cosa che non fosse lui. Elijah le afferrò il mento costringendola a guardarlo. Ora le stringeva entrambi i polsi con una sola mano, e il che pareva non disturbarlo affatto. Ogni fatica veniva trascinata sul fondo di quei due oceani verdi.

Era così splendida.
Non aveva mai visto una donna più bella di lei.

«Quando capirete che il nemico non sono io?» sussurrò.
Un fiotto caldo si depositò sulle labbra, un brivido le sfiorò la schiena. Tentò di opporsi ma alla fine cedette alla sua morsa.

«Quando la smetterete di comportarvi come tale!»
«E se vi dicessi che non smetterò mai di esserlo?»
«Allora io non smetterò mai di ribellarmi a voi!»

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