Capitolo diciotto

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"Ti voglio, adesso!"


Ci sono un milione di ragioni per cui dovrei rinunciare a te. Ma il cuore vuole quello che vuole.
- SELENA GOMEZ.


Isabel sentì le gambe andare a fuoco, temeva che avrebbero ceduto da un momento all'altro, eppure non si fermò. Continuò a correre per gli anditi desolati di villa Brown senza alcuna destinazione. Gocce salate lambivano le sue guance, sentiva il cuore palpitare violento, tanto da frastornarle le orecchie. Era confusa, tanto confusa, preda di uno smarrimento inspiegabile, di qualcosa che avrebbe faticato a motivare, a esprimere con razionalità.

Perciò continuò a correre. Ancora. E ancora.

Senza fermarsi, senza voltarsi, senza ascoltare le sue maledette implorazioni.

«Isabel, ti prego! Fermati!» Elijah le stava alle calcagna, la inseguiva urlandole parole che non voleva ascoltare.
«Dammi una possibilità, lasciami spiegare!»

Sembrava non avere nessuna intenzione di mollare quella caccia e lei nessuna intenzione di voltarsi.
Di fermarsi, diamine!

Non sapeva da cosa stesse fuggendo, oltre che da lui chiaramente. Se da una verità scomoda e inaccettabile che l'aveva lasciata senza fiato, o da una conferma brutale e sconvolgente che lentamente si faceva spazio nel suo cuore: anche lei lo desiderava. Ma non nella maniera convenzionale. Era arrabbiata con lui, molto arrabbiata, in un modo che le era difficile spiegare, persino realizzare, ma al contempo - e in maniera del tutto illogica - bramava le sue attenzioni, i suoi baci, le sue carezze, i brividi pari a scintille di fuoco ogni volta che le sue mani le accarezzavano il corpo, la cingevano con violenza, con fame crescente.

Non era innamorata di lui, quella era una certezza. Isabel era tutto tranne che una scellerata. Eppure nutriva delle emozioni spossanti per quell'uomo, quel diavolo perfido e incantatore che lentamente stava imprigionando la sua anima. Era abituata a vivere nei panni di un fantasma, di una massa conforme a un corpo che si muove, che parla, respira, ma che non vive realmente, che annaspa fra l'inutilità delle sue giornate, fra l'aridità che caratterizzava la sua vita.

Non c'era emozione nella sua esistenza, niente che la facesse sentire amata, realizzata, desiderata, quasi una persona reale che vive in carne e ossa. Non prima che quell'uomo piombasse nella sua vita.

Cos'era stato per lei? Un temporale a ciel sereno?
Forse, ma non ne era poi così certa.
Quando si è abituati a vivere fra la tempesta, che differenza può fare un ennesimo lampo?

Nessuna, nessuna era la risposta.

Ma cosa accade, quando in maniera inaspettata, la tempesta ti fa venir voglia di abbandonare l'ombrello e goderti la pioggia?

Non ne aveva idea.
Anzi forse lo sapeva, ma non era disposta ad accettarlo.
Ecco perché fuggiva.

Perché quella tempesta, quella nube nera e inaspettata che aveva invaso il suo cielo era lui, erano le sue braccia, i suoi occhi, le sue labbra morbide e invitanti, il modo in cui l'afferrava per non farla andare via, le sue spalle larghe e possenti, le sue mani forti e avvolgenti. Non riusciva a smettere di pensarci, di desiderarlo, per quanto dentro si sforzasse di farlo. Aveva bisogno che qualcuno la trattasse così, con affetto, con vigoroso desiderio, con passione bruciante, come se fosse la donna più bella e appetibile del mondo. Aveva bisogno di sentirsi viva, da tanto, troppo tempo che quasi dimenticava la sua dannata scelleratezza.

Quant'era contorto il suo corpo?
Quant'era illogico e irrazionale il fuoco che la divorava?

No, non poteva cedere. Voltarsi e accettare la realtà era sbagliato. Lui era sbagliato. Non poteva abbandonarsi a simili tentazioni, si rifiutava di accettarle, di scavalcare ogni difesa e lasciare che Elijah la prendesse, che la conquistasse, che la facesse sua come vorrebbe. Era un pensiero inammissibile, terrificante persino per lei.

Non poteva amare la rovina della sua esistenza.
Il suo cuore era pronto ad aprirsi, pronto ad accogliere l'amore che stava aspettando, a ricambiarlo con vigore e passione. Ma non poteva essere lui. No, tutti tranne che lui!

«Isabel, maledizione!» Elijah si slanciò abbastanza da afferrarle la gonna: era riuscito a raggiungerla in quel momento e a strattonarla in modo che si fermasse.
«Voglio che mi ascolti!»

Isabel perse l'equilibrio, capitombolando a terra.
«Non voglio!» gridò incollerita. Tentò di gattonare via prima che Elijah riuscisse a immobilizzarla, ma fu troppo lenta: lui l'aveva afferrata per le caviglie, trascinandola sotto di sé. Nonostante i colpi incalzanti di lei, che a dire il vero schivò per un pelo, il suo peso le gravò addosso impedendole qualsiasi mobilità.

Era bloccata lì, ormai!

«Dovrai farlo invece!» Elijah si premurò di intrappolarle le braccia sopra la testa; ricordava cos'era accaduto quando le aveva permesso di usarle. Non voleva che lo schiaffeggiasse ancora, non prima che lui la baciasse. Perché era esattamente questo ciò che voleva fare!

Isabel respirava violentemente, le sue guance si imporporarono come prugne. «Lasciatemi andare!»

«Solo dopo che mi avrai ascoltato. A quel punto lo farò, promesso.»

«Perché dovrei?» ringhiò ardita. «Cosa volete ancora da me? Raccontarmi l'ennesima barzelletta sui vostri sentimenti? Grazie, ma preferirei farne a meno!»

Elijah si chinò, a un soffio dalle sue labbra. Per un solo istante la guardò e basta. «Non sono barzellette, è la verità! Tutto quello che ho detto è vero, Isabel: io-ti-voglio» mormorò.

Lei scosse la testa, poi si girò, incapace di reggere il peso dei suoi occhi. «No, non è vero!»

«Sì, invece!» Elijah le afferrò il mento, costringendola a guardarlo. «E tu lo sai, Isabel, lo sai, ma ti rifiuti di accettarlo. Lo sai da quando ti ho incontrata a scuola, da quando ho smesso di occuparmi di me per pensare a te, da quanto ti ho baciata...» lui le sfiorò la guancia con un dito. «Sono incapace di nasconderlo ancora, non voglio più farlo, non voglio rischiare di perderti, Isabel. Io non sono disposto a lasciarti andare. Ho bisogno che tu rimanga qui, con me. Io ho bisogno di te!»

Il modo in cui rivangò quelle parole la fece rabbrividire. Avrebbe voluto urlare, il suo cuore stava cedendo, sarebbe esploso da un momento all'altro ne era certa. Sentiva la testa girare, era come inebetita dai suoi occhi magnetici, dal caldo che si mischiava al freddo sulla sua pelle.
«Io...io non vi credo» balbettò col fiato corto e sibilante.

Elijah la guardò, socchiudendo le palpebre «allora lascia che te lo dimostri» sussurrò. Avrebbe potuto parlare ancora, ma scelse un altro modo per convincerla: Isabel fece appena in tempo ad aprir bocca che Elijah la zittì con un bacio.
Uno dolcissimo, passionale e pieno di ardore. L'aveva incatenato sulle labbra troppo allungo, non era più capace di fermarsi. Isabel si aggrappò alle sue spalle, una presa morbida, appena accentuata, ma che lo spinse a rafforzare il contatto, ad affondarsi in lei con vigore. Voleva averla addosso, voleva spogliarla, voleva che sentisse la foga con cui la reclamava, con cui la desiderava, cazzo!

Elijah, allora, intensificò il bacio: la mordeva, l'accarezzava, la tastava con una passione travolgente, con sfrenata sensualità. Sentiva le sue labbra morbide e bagnate, il gusto dolce della sua bocca, il modo in cui si muoveva sopra di lei, lentamente, quasi temesse di romperla da un momento all'altro. La sua pelle calda, le dita pari a piume di seta aggrappate al suo collo...

Dio! Quant'era stato sciocco a pensare che avrebbe potuto resistere, respingerla ancora senza impazzire!

Non era riuscito a proteggerla, a impedire a sé stesso di farle del male e questo lo tormentava. Il pensiero di lei lontana da lui lo stordiva, lo rendeva un ammasso di carne debole, lo spingeva a diventare violento, terribilmente inquieto. Isabel era la sua luce, la sua unica speranza, un fiore sbocciato nel suo arido giardino. Voleva averla vicino, più vicino che poteva. Sentiva il cuore battere a un nuovo ritmo quando stava accanto a quella donna, quella fata così buona e bella che baciava con veemenza, come se ne andasse della sua stessa vita.

Voleva che lei gli credesse, che accettasse di diventare sua, che smettesse di rifiutarlo, perché ad essere franchi, non sapeva quanto ancora avrebbe potuto sopportarlo. Sognava quel momento, lo rendeva vivo nella sua testa ogni minuto che trascorreva a pensarla: alcune volte era vestita, altre non lo era affatto. E lui era stanco di sentirsi legato a una fantasia, voleva rendere vivido, tangibile quel momento!

Elijah si ritrasse leggermente dal bacio, prese il mento di Isabel, rialzandole il viso per guardarla negli occhi. In quel momento si rese conto che doveva averla lì, sul pavimento.
«Voglio che tu sia mia, Isabel, non ho scelta, non posso farne a meno» sussurrò. Con il pollice asciugò le lacrime che si erano formate ai lati dei suoi occhi, ora ancora più belli se possibile.

sabel cominciò a tremare, le parve di essere sul punto di sciogliersi. Sentì il cuore pulsarle con violenza, uno strano ronzio invaderle le orecchie. Non riusciva a muoversi, a emettere alcun fiato. «Non posso, non posso farlo» scosse la testa appena, facendo caso alle lacrime che non sapeva di aver versato.

Elijah appoggiò la fronte alla sua, prendendo un lungo sospiro. Quella risposta lo destabilizzò.
«Perché no? Sarebbe così orribile?»

Isabel distese le braccia, in un vano tentativo di scampare alle sue. «Non è questo, non...»

«Cosa? Ti prego, parlami Isabel, ho bisogno di capire cosa provi» Elijah le sollevò il viso in modo che potesse guardarlo. «Ho bisogno di capire se...»

«Non cambierebbe niente» Isabel mandò giù un groppo di saliva. «Io...io non voglio stare con te, con voi!» si corresse subito dopo.
«Io non-io non vi desidero, signor Brown...»

«Non ti credo!»
Elijah la baciò ancora, questa volta con rabbia, con una foga che le fece tremare le gambe. Le divorò la bocca con passione, con estremo desiderio, con un bisogno impellente, quasi primitivo di farla sua. Le mani iniziarono ad esplorarle il corpo, smaniose di strappare le vesti che lo avvolgevano. Isabel le sentiva dappertutto: le stringevano il fianco, le tastavano i seni, le accarezzavano le cosce, i capelli, le guance...

«Elijah, ti prego...» ansimò.

«Ti voglio!» ruggì, passando all'incavo del suo collo.
Non c'era niente che avrebbe potuto fermarlo in quell'istante, niente che potesse impedirgli di farla sua in mezzo all'androne della villa. Se ne infischiava persino dei domestici, ma qualcosa lo fermò, così all'improvviso.

No, non qualcosa.
Lei.
Isabel gli aveva detto l'unica cosa capace di rinsavirlo.
Lo aveva chiamato per nome, finalmente.

Elijah la guardò inebetito e ancora incollato al suo corpo.
«Cos'hai detto?»

Isabel riprese fiato, non riuscendo più a riflettere ormai, di dar voce alla ragione, del tutto contraria a quel momento tanto scellerato.
«Di fermarti...»

«No! Dii l'altra cosa, dilla ancora» Elijah le strofinò la punta del naso sulla guancia, «ho bisogno che tu lo ripeta, Isabel, ripeti il mio nome.»

Isabel scosse la testa «fermati e basta!...»

«Ti prego!» Elijah le accarezzò la pelle morbida vicino alla coscia. Era deciso a estorcerle il nome, non importava come, era stufo di tutta quell'insulsa formalità tra di loro. Soprattutto ora che erano così vicini, così intimi e uniti.
Ma Isabel parve non pensarla allo stesso modo.

«No!» lei scosse la testa e questa volta con decisione.
«Tutto questo è-è stato uno sbaglio, un terribile errore e io...»

«Sh-sh-sh!» Elijah le premette un dito sulla labbra.
«Non parlare, non farlo, non dirmi quello che stai per dire. Non allontanarmi, non di nuovo! Non riuscirei a sopportarlo, Isabel.» 

Diamine, no! Era così vicino alla meta, a un passo dall'averla, a convincerla ad aprirsi con lui, a condividere i suoi pensieri, i suoi baci, le sue mani, persino il suo letto. Non poteva mandare tutto a monte. Sentirla ancora distante lo avrebbe fatto impazzire. Non era disposto a scendere a compromessi, lui la voleva per sé, voleva che fosse sua e per la prima volta nella vita, il suo desiderio non era egoistico: voleva che anche lei desiderasse stare con lui. Certo, non allo stesso modo, per quello era ancora presto, ma ricambiarlo lo avrebbe fatto sentire meno frustrato, forse più paziente.

Isabel s'irrigidì tra le sue braccia. Cosa stava facendo?
Una parte di sé, quella che ora cercava di far tacere, era tentata, voleva lasciarsi andare, accettare i suoi baci, le sue carezze, il suo cuore marcio e oscuro che prometteva di incatenarla per sempre. Oh, era così invitante il pensiero di concedersi a lui, immaginare le sue mani forti, smaniose di sfiorarla più giù, in posti inesplorati che ora traboccavano di piacere. Sarebbe stato semplice, bastava chiudere gli occhi e non pensarci.

Ma non poteva, non ci riusciva. L'orgoglio era più forte, non si sentiva ancora pronta a perdonarlo. Lui le aveva fatto del male, le aveva strappato via la sua vita e ora esigeva il suo perdono con baci perversi e insulse dichiarazioni?
No, troppo facile. Era decisa a farlo penare, a farlo soffrire proprio come lui aveva fatto con lei. Era stato bravo a confonderla, per un attimo aveva quasi scordato il motivo della sua fuga, la ragione per cui abbandonarsi alle sue avance l'avrebbe distrutta: a quel punto non sarebbe stata capace di lasciarlo, di allontanarlo.

Su quei pensieri si divincolò, girandosi di fianco, «non posso farlo, non posso. Mi dispiace...»

Elijah la trattenne ancora, «lo stavi facendo fino a un attimo fa!»

«Lo so e come ho detto è stato un errore» Isabel si raddrizzò, strattonando via la sua presa. Era così in imbarazzo che non riusciva neppure a guardarlo.

«No, non è vero!» Elijah corrugò la fronte.
«lo volevi anche tu, lo so, lo sentivo! Perché non puoi...»

«Cosa? Venire a letto con te?» Isabel avvampò mentre si riaggiustava la gonna.
«Sei un pazzo, non puoi credere che l'avrei fatto!»

«Tuttavia hai detto il mio nome, non volevi fare neanche quello, eppure...»
Elijah si alzò in piedi, offrendole una mano: «vieni con me, andiamo in un posto più appartato, ne parleremo lì.»

Isabel, ancora a terra, indietreggiò con cautela «non è vero, tutto faremmo tranne che parlare.»

«E sarebbe un male?»

«Sì» rispose lei, dopo una breve riflessione.

«No non è vero!» Elijah la raggiunse in due falcate, chinandosi a guardare i suoi occhi. «Non voglio starti lontano, non ci riesco.»

«Dovrai sforzarti!» Isabel lo squadrò severamente, «quello che è successo oggi è stato un...»

«Un errore sì, lo hai già detto!» la incalzò rabbioso.
«Ma non per me» lui le prese la mano e, cogliendola di sorpresa, la fece rialzare tirandola con forza a sé.
«Non sei un dannato capriccio Isabel, perché diavolo non lo capisci? Avrei fatto tutto questo se non ti considerassi importante?»

Isabel si divincolò dalla sua stretta, arretrando di qualche passo «è questo il motivo per cui mi hai fatta licenziare? Perché tu tieni a me?» domandò inacidita.

«Ti ho già chiesto scusa per quello! Sto cercando di rimediare.»

«Come? Trascinandomi al ballo con tuo fratello?!»

Elijah trasalì; quelle parole lo fecero scattare «io non voglio che tu ci vada, e lo sai!»

«Eppure è quello che succederà!» lei scosse la testa. «Anzi sai che ti dico? Non me ne importa, di questo parleremo dopo. La situazione che vorrei chiarire è quella fra noi due: non puoi pretendere che io diventi la tua amante, Elijah, ce l'ho ancora una dignità!»

«Ti sbagli, non la mia amante!» Elijah la guardò: fra i suoi occhi blu scintillava dell'autentico desidero.
«La mia compagna, Isabel. Quando tutto questo sarà finito, quando la minaccia di Rick svanirà e tu tornerai a casa, diamoci una possibilità. Dai a me una possibilità, non lasciarmi in quest'agonia, ti prego.»

Isabel batté le palpebre più volte, quasi volesse accertarsi che quello non fosse un sogno. Che le sue orecchie avessero udito per davvero quel che lui le aveva detto.
«La tua-la tua compagna?» ripetè con voce accorta.

Elijah annuì «quando ti ho incontrata non avevo idea di chi tu fossi e ancora adesso non ce l'ho. Non so niente di te Isabel e tu non conosci niente di me, ma non mi importa. C'è ancora tempo, possiamo rimediare, io posso rimediare e vorrei farlo difronte a una candela e a una stanza piena dei tuoi sogni. L'arrederemo come vorrai, creeremo uno spazio solo nostro, uno in cui impareremo a conoscerci, a confidarci. Io ti racconterò della mia vita e tu della tua, ci scambieremo promesse, baci, carezze. Passerò i giorni a chiedere il tuo perdono, a inventare nuovi modi per dirti quanto io ti voglia, Isabel, accanto a me, sopra di me, sotto di me, in ogni dove...»

Elijah fece un passo avanti, poi un altro e un altro ancora, fino a sfiorarle la guancia con un dito. Isabel era una statua di marmo, non emetteva alcun fiato, a malapena poteva udire il suo respiro, un  rumore ovattato, quasi impercettibile. Sentiva freddo, poi caldo, sudava e tremava.

«Ti darò tutto quello che vuoi Isabel, qualunque ricchezza su questo dannato pianeta, io in cambio voglio solo te.»
Elijah le prese il viso fra le mani ammirando il modo in cui paura e smarrimento si alternavano nei suoi occhi.

Isabel aprì la bocca, sul punto di protestare probabilmente, ma non fu in grado di scoprirlo; una voce cauta e inaspettata la anticipò.

«Va tutto bene qui?»

I due, ancora persi nei loro sguardi, si voltarono all'unisono: Matthias li osservava in fondo al corridoio, le mani nelle tasche e un espressione guardinga in faccia. Si sentiva in imbarazzo per averli interrotti, in fondo, a giudicare dalle increspature sulla gonna di Isabel e dal torpore dipinto sulle sue guance, il loro era un momento piuttosto intimo. Tuttavia, preferiva non correre rischi; assicurarsi che lei stesse bene era diventata ormai un'imperativa priorità.

«Che cazzo vuoi Matthias?» Elijah, in maniera del tutto prevedibile, sembrò non gradire le sue premure.

Isabel si schiarì la gola provando a ricomporsi: fece di tutto per rimanere impassibile, per nascondere il suo dannato imbarazzo.

Matthias fece finta di non aver sentito- e notato- il loro fastidio.
«Mi dispiace interrompervi, ma dovresti seguirmi di sotto. Benjamin è tornato e ha delle informazioni che richiedono il tuo intervento. Parleremo dopo del gala.»

Elijah sembrò riscuotersi: Benjamin, maledizione!
Aveva quasi scordato l'incarico che gli aveva affidato qualche giorno addietro. Tutto il trambusto legato a Isabel lo aveva distolto dalla faccenda su cui stava indagando: la scomparsa di sua sorella. Le sue mani iniziarono a tremare, era impaziente di scoprire cosa avesse saputo.
Era viva?
Era morta?
Cosa diavolo le era accaduto?

Il suo primo istinto fu quello di rispondere con un lapidario "arrivo", ma poi ebbe la lucidità di voltarsi verso di Isabel, che lo guardava in attesa, distante di qualche passo.
Non poteva lasciarla così, in balia del sospeso. Doveva occuparsi di tante, troppe cose in così poco tempo per potersi ritagliare dello spazio con lei, non in quel momento perlomeno, ma era deciso a rimediare.

Elijah si avvicinò a lei con cautela.
Il suo sguardo si addolcì, colmo di tacita aspettativa.
«Ti prego, pensa a quello che ti ho detto. Promettimi che ci penserai» sussurrò.

Isabel prese un sospiro, poi buttò fuori tutta l'aria che aveva trattenuto.
«Dovresti andare» fu l'unica che riuscì a dire.
In realtà erano tante le cose che avrebbe voluto dire, ma temeva che Elijah non se ne sarebbe più andato, altrimenti. L'intimità che lui era stato capace di instaurare era troppa, non riusciva a sopportarla senza aver voglia di scappare ancora.

E poi, con gli occhi indagatori di Matthias puntati addosso, si sentiva oppressa in qualche modo, soffocata. Aveva bisogno di spazio, o avrebbe rischiato di boccheggiare lì, davanti a tutti.

Elijah, seppur contrariato, annuì.
Voleva baciarla ancora prima di andare, ma si disse che non era una buona idea. Aveva già osato e in una piccola- piccolissima parte- ottenuto quello che desiderava.
Se lo sarebbe fatto bastare, per quel momento.
Anzi, solo fino a quella sera.

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