Capitolo settanta

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"Stammi vicino"





Non è l'amore a complicare le cose,
ma la paura di perderlo.

-DARK FLOWER


Le fate sono creature incantevoli, pensava Elijah. Lo aveva sempre creduto, sin da quando, un giorno, mentre vagava tra gli scaffali di una biblioteca polverosa, aprì un vecchio libro. Le pagine ingiallite raccontavano storie antiche, ma fu un disegno a catturare la sua attenzione: una fata dalle ali luminose come il cristallo al primo sole del mattino. Elijah era solo un bambino, ma anche allora sentì un fremito di meraviglia, come se avesse appena scoperto un segreto nascosto tra le pieghe del mondo.

"Con ali trasparenti come la rugiada e occhi che riflettono la luce delle stelle, danzano leggere tra i fiori..." gli raccontava sua madre, accarezzandogli i capelli quando lui proprio non riusciva a dormire. Era terrorizzato dal rossore sul suo volto, dalla stanchezza che ne velava lo sguardo. Ma sua madre insisteva, voleva che dormisse, forse perché quella realtà era troppo cruda per entrambi, e i sogni erano l'unico rifugio in cui poteva ripararlo.

E allora continuava a leggere quel libro, l'unico che sembrava avere il potere di calmare il cuore agitato di Elijah. Solo il libro delle fate, quelle buone, che spesso salvavano gli adulti e i bambini dai loro mali. Così Elijah chiudeva gli occhi e si immergeva in quei boschi magici raccontati dalla madre, sperando di incontrarne una. Voleva chiederle aiuto, supplicarla di volare verso casa sua e usare la sua magia per scacciare via la tristezza, la paura, e soprattutto, suo padre.

Lui, in cambio, le avrebbe dato alloggio in un piccolo tronco in giardino, uno di quelli con grandi rami che si intrecciano a formare un rifugio perfetto. Sarebbe stato il suo custode silenzioso, pronto a vegliare su di lei e a proteggerla da tutto. Ma per quanto sognasse, non ne trovò mai nessuna. La speranza si assottigliò, col passare degli anni, e l'età adulta spazzò via quella fragile fantasia. La consapevolezza crebbe, la magia si ritirò, e con essa svanì anche il ricordo di quella bizzarra ricerca, sepolto in un angolo remoto della sua mente.

Lui e sua madre non parlarono più di fate, fino a una delle loro ultime passeggiate insieme, poco prima che lei morisse. Camminavano piano, la luce del tramonto si insinuava tra i rami, tingendo ogni cosa di un bagliore dorato. Tutto tranne un dettaglio: del muschio verde su un albero, che, quasi per incanto, catturò l'attenzione di lei. Le ricordava gli occhi di una fata, ammise sorridendo, di quella che Elijah aveva visto nel suo libro tanto tempo prima. Con un gesto tenero, gli baciò la guancia e gli disse una cosa che lui non avrebbe mai dimenticato: "Non preoccuparti, le fate esistono. Un giorno ne incontrerai una, ne sono sicura."

Lui sorrise, ma non disse nulla.
Il giorno dopo, lei se ne andò.

Per tre anni Elijah si portò dentro quella profezia, custodendola come un segreto. E fu in una stanza d'ospedale, sotto la luce tremolante di un neon, che guardando Isabel capì tutto. Si era sempre domandato perché l'avesse soprannominata così, "fata". Ed ora finalmente lo sapeva: Isabel era la fata di cui parlava sua madre, il sogno che aveva rincorso da bambino. Persino la prima volta che l'aveva vista, l'aveva paragonata a una capricciosa ninfea, una che ondeggiava sull'acqua, pronta a lasciarsi trasportare lontano, oltre l'orizzonte, fuori dalla sua portata.

E quando finalmente era riuscita a catturarla, a farla sua, in un luogo che sembrava quasi indegno di ospitarla, aveva creduto di ricevere una benedizione. La sua vita aveva trovato un senso solo dopo essersi perso in lei, circondato dal tremolio dorato di mille fiammelle danzanti. I suoi flebili ansiti l'avevano convinto che la felicità non fosse un'illusione, ma qualcosa di tangibile, qualcosa che poteva stringere e sentire battere sotto le dita.

Eppure, proprio come una fata, lei sembrava destinata a rimanere al di là di un velo invisibile, una presenza che poteva vedere ma non possedere completamente. E la colpa era solo sua. Sua e della sua dannata boccaccia. Si era ripromesso di moderare il suo linguaggio, di tenere a freno le scurrilità che sfuggivano nei momenti di cieca collera, ma la notte precedente aveva ceduto di nuovo, perdendo il controllo.

E ora rischiava di smarrirlo ancora.

Ogni volta che credeva di aver compiuto un passo verso di lei, si ritrovava a farne cento sui propri.

«Pensi che sia stato facile per me ascoltare il tuo racconto senza rischiare di impazzire? Senza voler dare fuoco a tutto, a me stesso, alla villa, a ogni singola cosa in questa fottutissima stanza di merda?» Elijah chiuse un attimo gli occhi prima di riaprirli. Il suo sguardo bruciante si incollò su Isabel, come se cercasse risposte che non riusciva a trovare.

«Credimi, avrei preferito qualsiasi altra cosa, Isabel. Farmi strappare le unghie una a una dal corpo lercio e mezzo mangiato di Rick, o farmi soffocare da quel suo fetore insopportabile, piuttosto che accettare che tu abbia scelto di seguire quel fottuto bastardo! Cristo, avrei preferito perfino abbracciare il suo cadavere putrefatto e lasciarmi divorare vivo, che immaginarti a tavola con Fred. Non avresti mai, e dico mai, dovuto farlo!»

Isabel scrollò le spalle, combattendo la frustrazione che le inaridiva la gola. «Sai bene perché l'ho fatto! Credevo di aiutarti, di essere utile in qualche modo. E sì, ho sbagliato, ma ormai non posso più tornare indietro. L'unica cosa che posso fare ora è rimediare...»

«Ah sì? Rimediare e come?» volle sentire lui, indispettito.

Isabel cercò di nascondere il suo evidente disagio, chinando leggermente la testa per sfuggire alla sua attenzione. Rimase in silenzio, poi si girò verso la finestra, come se le parole che cercava fossero nascoste oltre il vetro. «Non lo so. Non so nemmeno se ci riuscirò. Ho la sensazione che qualunque cosa faccia per riconquistare il tuo rispetto sarà inutile. Tu non me lo concederai, non senza prima farmi impazzire!»

Elijah serrò la mascella, incrociando le braccia.
«È questo che credi? Che sia il mio rispetto ciò che devi guadagnarti?»

«Sì, è esattamente questo ciò che voglio.» Isabel lo fissò con intensità. Con rabbia e dolore. «Pretendo il tuo rispetto, così come la libertà che mi hai tolto e che continui a tenere stretta per te!»

Elijah si passò una mano tra i capelli, visibilmente frustrato. «Per l'amor di Dio, non ricominciamo con questa maledetta storia!» esclamò, esausto e parecchio infuriato. «Ti prego, qualsiasi cosa tranne questo!»

Isabel scoppiò in una risata amara, un suono secco che riempì la stanza come un tuono improvviso. «Oh, non vuoi parlare del passato! Eccellente. Ho un'intera lista di questioni irrisolte da proporti; scegli tu da dove iniziare!»

«Isabel!»

«Potremmo partire dal fatto che ho perso tutta la mia famiglia a causa della tua! Oppure dal folle che ha rapito e ucciso l'unica parente che mi restava, solo per farti un dannato dispetto...»

«Isabel, basta!»

«E non dimentichiamo il gran finale, signori: un pensionato delirante ti accusa della morte di sua figlia, ragion per cui, tenta di ammazzarci tutti come pecore al macello, non una, ma ben due volte...e non osare toccarmi!»

Isabel si ritrasse bruscamente quando lui cercò di afferrarle un polso. Si era stancata delle sue moine, dei suoi modi ardenti ed esasperanti che l'avevano sempre confusa. Questa volta doveva ascoltarla davvero e capire che, finché lui non fosse cambiato, il loro rapporto non sarebbe mai più stato lo stesso. Senza aggiungere altro, gli voltò le spalle e camminò lentamente verso il letto, interponendo una distanza concreta tra loro due.

Parlò senza nemmeno girarsi, con un tono che non lasciava spazio a emozioni. «Dunque, visto che non vuoi affrontare le conseguenze dei tuoi recenti e disgustosi atteggiamenti, quale di queste deliziose storielle preferisci approfondire? Sono sicura che verrebbe fuori una conversazione illuminante.»

Elijah imprecò sottovoce. Non voleva darle la soddisfazione di vederlo crollare, di vedere quanto quelle verità ancora lo perseguitassero. Stava in piedi davanti a lei, facendo l'impossibile per mostrarsi freddo e distaccato. La realtà, però, era diversa: i suoi fallimenti erano ferite che dolevano ancora, bruciavano fino a fargli mancare il respiro. La cosa migliore sarebbe stata porre fine a quell'inutile diatriba e tentare di riappacificarsi con lei, ma sapeva che Isabel non avrebbe mai lasciato perdere.

La sua fata aveva ragione, e lui ne era consapevole.

Alla fine, incapace di contenere tutta la tensione che gli ribolliva dentro, sbottò: «Cosa c'entra tutto questo con il rispetto?» si difese.

«C'entra eccome,» lo incalzò lei. «Perché se mi rispettassi, non mi tratteresti così, non mi parleresti come se fossi una bambola di tua proprietà. Mi perdoneresti l'unico errore che io abbia mai commesso, come io ho perdonato decine dei tuoi!»

«Io ti rispetto, Isabel, e molto...»

«No, non è vero!» lo interruppe lei, scuotendo la testa.
Tornò a fronteggiarlo, senza scomporsi di un millimetro. «Non quanto vorrei. Io ti amo, e tu ami me, questo l'ho capito. Ma non significa che la stima faccia parte del pacchetto.»

Ascoltare quelle assurdità fece scattare qualcosa in lui.
Qualcosa di arcano e viscerale, che non fu in grado di comprendere, di controllare. Perse la calma falcando i pochi metri che li separavano: si avvicinò così tanto a lei, che Isabel potè percepire il calore che emanava la sua rabbia. «Non ti avrei mai chiesto di sposarmi se non ti avessi rispettata!»

Isabel si ritrovò con le spalle al muro. Non aveva più spazio per arretrare, per scappare e la cosa la fece rabbrividire. Si sentiva intrappolata, bloccata lì tra lui, la fredda parete e l'orgoglio che le impediva di cercare conforto nel suo tocco.

«Io non ho mai accettato, però.»
Lo disse apposta, per provocarlo, per riprendere un po' di quel controllo che sembrava scivolarle dalle mani.
E la sua mossa funzionò.

Il fuoco lampeggiò negli occhi di Elijah.
«Lo so...» sussurrò, quasi come se parlasse a se stesso. «Purtroppo, lo ricordo. E sappi che non lo accetto!»

Isabel si lasciò sfuggire un sorriso amaro. «Vuoi impormi anche questo? Sul serio?»

«Non voglio costringerti. Vorrei solo che mi sposassi di tua spontanea volontà. Ma se mi costringi...»

«Cosa farai? Mi infilerai un vestito da sposa e mi trascinerai all'altare?»

Elijah finse di pensarci. Un ghigno sfrontato gli giocava sulle labbra. «La proposta è allettante, potrei addirittura pensarci!»

«Pensa meglio, perché non funzionerebbe!»

Lui si piegò leggermente in avanti, «ne sei sicura?» sussurrò, mentre con le dita percorreva il suo braccio con una delicatezza inaspettata. Lei s'irrigidì, pronta a respingerlo, ma non si mosse. Era una battaglia tra l'istinto di allontanarlo e il desiderio di volerlo ancora più vicino.

«Per unire due persone in matrimonio serve che entrambi diano il proprio consenso,» rispose invece, autoritaria, anche se il cuore batteva più forte. «Io non lo darei in ogni caso!»

Elijah si adombrò. In lui ardeva qualcosa di intenso, una sfida accesa che non si spegneva. Le sue dita risalirono lungo la spalla, indugiando per un istante troppo lungo. Aveva un'aria così combattuta. Voleva scavare nelle sue difese. «Fidati, lo daresti entro la fine della cerimonia.»

«Ne è convinto, signor Brown?» Isabel si trattenne a stento. L'obbiettivo era quello di mostrarsi risoluta, ma il suo corpo tradiva un'incrinatura di vulnerabilità.

Non doveva toccarla, non in quel modo.

«La sua arroganza finirà per ritorcersi contro di lei, e molto presto, glielo assicuro.»

Elijah sollevò la mano colpevole, e con essa, le sfiorò il viso. Il pollice le accarezzò appena la guancia. «Non mettermi alla prova, fatina,» mormorò, la voce bassa e rauca simile al brontolio di un animale, lo sguardo che si faceva più scuro, «potresti pentirtene!»

Il contatto, per quanto breve, accese in Isabel una scintilla di sdegno e desiderio che la divise a metà. «Giusto, ti odierei soltanto di più,» sibilò. Le parole le uscirono soffocate, come se l'odio fosse solo una copertura per un altro sentimento che non voleva ammettere. «Anche se sarebbe difficile detestarti più di quanto non faccia adesso!»

Il primo impulso di Elijah sarebbe stato quello di obbiettare a tono, di ribattere con la veemenza di un disperato. Eppure, qualcosa lo trattenne: sapeva che assecondare le sue provocazioni avrebbe solo peggiorato le cose. Non poteva permettersi di aizzarla ulteriormente contro di lui, non se voleva estorcerle quello che agognava più di ogni altra cosa. La sua ostinazione nel cercare quel "" da Isabel era diventata un'ossessione, una necessità bruciante che sentiva fin nelle ossa, come se il respiro stesso dipendesse da lei.

«Sposami.»

«No.»

«Perché no?» Elijah incollò il corpo al suo, la fronte alla sua. Il loro inguini erano vicini, ma non si toccavano.

«Perché non puoi avere tutto ciò che vuoi, quando lo vuoi, Elijah!» Il tono di Isabel si alzò di un'ottava. Forse per proteggere se stessa dalla confusione con cui lui riusciva a manovrarla.

Elijah si sollevò di poco, incredulo.
«Quindi, fammi capire...non mi sposi per dispetto?»

«È una questione di principio.»

«Di principio?» scattò Elijah, irritato. «È così che definisci il tuo essere ostinata, adesso?»

Isabel desistette. Non seppe che dire. Già, perché si rifiutava di sposarlo se, invece, ne aveva tutta l'intenzione? «Vorrei solo che lo facessimo al momento giusto» lo liquidò in fine.

«E quando sarebbe il momento giusto?»
Elijah non sopportava più di rimandare. L'esigenza di averla tutta per sé lo consumava; pretendeva che fosse sua, completamente, senza riserve né esitazioni. Se quell'affascinante creatura non fosse stata così assurdamente testarda, l'avrebbe sposata quel giorno stesso, legandola a sé per sempre con lo stesso ardore smisurato che gli bruciava dentro.

Ma Isabel continuava a sfuggirgli, proprio come le fate dei suoi sogni, e questo lo faceva ammattire.

«Di certo non questo, Elijah» Isabel aggrottò la fronte.
«Siamo nel bel mezzo di una guerra e di un litigio furioso. Tu pensi davvero che questo sia il momento giusto per chiedermelo?»

«Tu stai litigando!» Elijah le puntò un dito contro, volendo ignorare tutto il resto. Con decisione, si portò i pugni sui fianchi, assumendo una postura rigida, quasi di sfida e rimprovero. «Da quando hai messo piede in questa stanza di merda, ti comporti come una pazza scatenata! Io volevo solo parlarti e chiederti scusa!» 

«Parlarmi e chiedermi scusa, certo,» ripetè Isabel sarcastica. «Ed è per questo, immagino, che stamattina mi sono svegliata da sola. Mi avevi promesso che saresti stato al mio fianco durante la gravidanza!»

«Io ti sono vicino!» instette lui, gesticolando energicamente. «Sei tu che cerchi sempre di allontanarmi, e non lo sopporto!» 

«Sul serio? Non mi sembra che stamattina ti abbia buttato fuori dalla camera, neanche ti sei degnato di venire a scusarti!»

«Stamattina? Stamattina ero lì con te!»

Isabel lo guardò con sfiducia evidente. «Non è possibile...»

«Assolutamente sì!»

«Bugiardo!»

Elijah serrò le labbra, reprimendo a stento un grido esasperato. «Sono entrato mentre dormivi e sono uscito prima che ti svegliassi. Morales è venuto a chiamarmi all'alba.»

Isabel alzò un sopracciglio, ancora scettica. «Non ti credo.»

Elijah si limitò a scrollare le spalle. «È un problema tuo. Ma ciò non cambia il fatto che ero lì, di fianco a te.»

Isabel battè le palpebre più volte.
Possibile che fosse vero?

Ma che importava, alla fine. Anche se fosse stato davvero lì, se n'era comunque andato prima che lei potesse appurarlo, tradendo la sua promessa. Guardandolo con più accuratezza, si accorse di averlo ferito, di aver colpito il suo orgoglio. Eppure, soffriva il bisogno di spingersi oltre, di sfidarlo ancora un po'.

Di punirlo ancora un po'.

«Dimostramelo!» lei sollevò le lunghe ciglia, invitandolo implicitamente a smentirla.

Elijah piegò la testa, compiaciuto. Non aspettava altro che quello: l'occasione di ammutolirla, finalmente. Un lento sorriso gli sollevò gli angoli della bocca. Trasmetteva una sorta di magnetismo irresistibile, una seduzione spossante che mirava a disorientarla. Si chinò su di lei, lasciando che il calore della sua voce le accarezzasse l'orecchio, come un sussurro ipnotico.

«Le tue mutandine rosa sono una prova sufficiente, o devo citare anche la seta del tuo reggiseno?»

Isabel si pietrificò, il sangue fluì sulle sue gote per l'imbarazzo. «Come...come fai a saperlo? Avevo il pigiama, e soprattutto lo avevo con i pantaloni abbottonati!»

Elijah sogghignò appena, divertito. «Isabel, non c'è niente che mi sfugga di te. Niente

«Tu mi hai spogliata? Mi hai spogliata non è così? Razza di pervertito, sei un degenerato!» Isabel artigliò il suo petto, provò addirittura a colpirlo, ma Elijah non sembrava intenzionato a concederle tregua. L'uomo affondò maggiormente le dita sulla carne, fino a farle male.
Fino a stringerla saldamente tra le sue braccia forti.

«Non sono quel tipo d'uomo, Isabel», mormorò, deluso che lei potesse davvero pensare che fosse capace di azioni così deplorevoli.
«Se avessi voluto scoparti, avrei trovato il modo di farti partecipare...Diamine, no, dimentica tutto,» si corresse subito, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli. «Non ti avrei costretta, e sai perché? Perché non ce ne sarebbe stato bisogno.» La sua voce si abbassò di poco, come se stesse condividendo un segreto. «Ho ricordi vividi e ardenti che mi ricordano la tua piena e desiderabile partecipazione...»

Isabel, per poco, non tentò di aggredirlo ancora.
«Beh, ti conviene aggrapparti a quei ricordi,» rispose lei, volendo essere dura e coercitiva. «Perché non li rivivrai per un bel po', te lo assicuro!»

Nonostante sapesse che lui non mentiva mai, almeno non apertamente, Isabel continuava a non fidarsi. Forse perché conosceva bene le sue attitudini discutibili, o perché sapeva quanto fosse disposto a superare ogni limite pur di ottenere ciò che voleva. Lo aveva fatto anche con lei, all'inizio, quando pensava che fosse necessario per la sua incolumità.

Perché avrebbe dovuto essere diverso adesso?

Accorgendosi della sua titubanza, Elijah capì che parlare non sarebbe bastato; doveva fare qualcosa di più concreto per convincerla.
«Posso spiegarti come sono andate le cose?» domandò lui, con un accenno di serietà che non aveva mai usato prima. «O preferisci accusarmi per sempre?»

Isabel arretrò, incrociando le braccia.
«Non so se voglio sentirlo...»

«Proviamoci, o meglio, che ne dici se facciamo un patto?» Elijah le lanciò un'occhiata d'intesa, una che Isabel colse con troppa facilità.

Lei sollevò un sopracciglio, sospettosa.
«Un patto?» ripetè.

«Sì, un patto. Uno conveniente per entrambi.»

Lei sospirò, già stanca della piega che stava prendendo la conversazione. «L'ultima volta che mi hai proposto un patto non è finita bene.»

Touchè.

«Il contratto che ti ho proposto all'inizio, era per tenerti legata a me; avevo paura che te ne andassi. Dovevo fare qualcosa, così ti ho...» Elijah si strofinò la mascella con aria colpevole. «Sollecitato a prendere posizione. Ma adesso è diverso. Questo è un altro tipo di patto.»

Isabel ci pensò su. Alla fine, però, decise di accontentarlo, anche se non era sicura fosse la scelta giusta. «Avanti, spara,» lo incitò controvoglia.

«Eccellente,» fece lui, con sfacciata malizia.
«Ecco la mia proposta: io ti racconterò esattamente come sono andate le cose stanotte e, se la mia versione non ti convincerà, ti chiederò perdono in ginocchio almeno un centinaio di volte. Sarò disposto a esaudire ogni tuo desiderio. Puoi chiedermi qualunque cosa, e io ti dirò di sì. Qualunque cosa il tuo cuore desideri, sarà tua. È una promessa.»

Isabel annuì lentamente, senza però abbassare la guardia.
«E se vinci tu?» ebbe il coraggio di chiedere.

Elijah avanzò di un passo, stavolta con più autorevolezza. «Se vinco io, tu dovrai darmi un bacio. Qui e ora. E non è tutto: voglio che ti sbarazzi di questa gonna, ma fuori dalla mia vista, lontano da questa villa, e che la bruci. Non voglio più vedertela indossare, soprattutto quando ci sono degli estranei in casa. Mai più, Isabel e non scherzo!» stabilì, ostentando la sua malsana gelosia. «Allora, che ne dici, si può fare?»

Isabel valutò seriamente la sua proposta. «Non avevi detto di non volere una riconciliazione?»

«Non è quello che ho chiesto, infatti. Io voglio un bacio, fata. Un bacio è solo un bacio, per me. O almeno, così la pensavo prima di assaggiare i tuoi.» Elijah socchiuse gli occhi. Con la delicatezza di chi teme di imbrattare un petalo di seta, toccò le sue labbra, tracciandone il contorno col polpastrello.
«I tuoi baci sono l'unico cielo in cui voglio perdermi, anche quando l'inferno dei nostri litigi mi brucia dentro.»

A Isabel si serrò lo stomaco. Fu solo per una manciata di secondi, che resse all'impulso di scostarlo. Quando le parlava in maniera così dolce e sincera, ogni nube che scuriva il suo umore, scompariva. Elijah sapeva essere come la luna piena sul mare: incantevole e travolgente, capace di piegare ogni onda al suo richiamo. Ma lei non voleva farsi trascinare dalla marea. Se l'avesse fatto, che ne sarebbe stato del suo orgoglio, del suo onore?

Valeva davvero la pena sacrificare tutto per amore?

Si schiarì la gola, spezzando quell'incantesimo.
Certo che ne valeva la pena, ma Elijah doveva prima imparare a non dare l'oceano per scontato.

«Bene,» disse, assumendo un che di insolente.
«Sarò lieta di rispedirti all'inferno, dopo aver ascoltato: accetto il patto!»

Era saggio fare accordi con un uomo che, nel 99,9% dei casi, diceva sempre la verità? Probabilmente no, ma Isabel era troppo arrabbiata per rendersene conto. Forse stava facendo un errore, ma non poteva fermarsi ora. Era troppo curiosa di sentire cosa avrebbe detto Elijah, e troppo determinata a vincere.

«Ottimo!» Elijah sembrò soddisfatto. Non mostrò alcun fastidio per il suo palese rifiuto. Non aveva dubbi: lei avrebbe cambiato idea dopo aver sentito la sua versione.

Si preparò, prendendo tempo. Voleva aumentare la tensione tra loro, rendere trepidante l'attesa. Poi iniziò a dare vita al racconto, scegliendo con estrema cura ogni sillaba, sapendo che il suo "futuro" dipendeva dalla sua capacità di soggiogarla...

«Ore zero cinque e cinquanta: entro nella tua stanza in punta di piedi, furtivo come un lupo affamato. Uno che sente la fame crescere ogni volta che ti guarda dormire. Mi siedo davanti a te, le coperte ti coprono appena le ginocchia. Fa caldo, e il tuo corpo ne risente anche nel sonno. Mi sporgo, voglio guardarti meglio, imprimere ogni dettaglio nella mia mente come se fossi un'opera d'arte che non posso permettermi di dimenticare. E penso, 'Dio, quant'è bella, sembra uscita da un libro di fate', il mio libro di fate, quello che tanti anni fa, trovai in soffitta...»

Lui le circondò la vita, staccandola dal muro e sospingendola verso il suo petto semi nudo. Isabel non fece nulla per ribellarsi. Non ci riuscì.

«Non resisto,» continuò Elijah, il tono che si faceva più insondabile, «voglio toccarti, ma non posso, non devo. Tu dormi, e io sono fin troppo sveglio, devo calmarmi. Respiro, poi respiro ancora, finché non riesco a mettere un freno a me stesso. Eppure, sono ancora furioso, vorrei che aprissi gli occhi solo per mandarti al diavolo, ma cazzo, io ti amo. Ti amo in un modo folle, un amore che mi consuma, fuori controllo, e quindi non riesco a starti lontano.»

Isabel ascoltava con sconcerto. Arrossì all'idea che lui l'aveva guardata mentre lei giaceva inerme, incurante di tutto.

In segreto, fu lieta di scoprirlo.

«Mi sposto sulla sedia più vicina a te,» proseguì Elijah senza distogliere lo sguardo, «a quel punto sono le cinque e cinquantotto. Lo so perché calmandomi, guardo l'orario, ma guardandolo, sono solo più nervoso di prima. Sto aspettando Morales, sto aspettando di progettare la mia vendetta contro Fred. L'unica cosa che mi fa star meglio, è vederti sognare. Quando la tua mano ha un piccolo spasmo, mi avvicino, quasi per prenderla, il tuo corpo però si gira, e i tuoi pantaloni scivolano appena. Quanto basta per vedere le tue mutandine rosa, delicate come il profumo di un fiore. Sono lì, a implorarmi di toccarle. E io resisto, fata. Resisto perché non ho scelta. Non voglio disturbare il tuo sonno, ma so che restando potrei fare follie. Così mi alzo, il sole comincia a filtrare nella stanza, raggiungendo il suo apice, proprio come il mio autocontrollo aveva raggiunto il suo. Respiro, respiro di nuovo, voglio almeno darti un bacio, ma un angelo di nome Morales mi salva dalle mie fantasie perverse, convocandomi a una riunione che dura quel tanto che basta a calmare il desiderio che mi stava soffocando.»

Elijah fece una pausa, cercando in lei una reazione, qualcosa che confermasse di essere stato capito. «Dunque, ti basta questo come resoconto? O devo rispiegartelo?» Le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, in attesa che rispondesse...

Ma la donna non si mosse.

Ancora stordita dall'incanto delle parole di Elijah, squisite e seducenti, e dal suo tocco che sembrava ipnotizzarla, Isabel si arrese alle richieste del loro accordo. Una parte di lei tremava all'idea di quella bramosia così cruda e violenta. Non la credeva umanamente possibile. Fu lei a baciarlo, come per liberarsi da ogni imbarazzo, dalla vergogna di aver alzato bandiera bianca e ceduto infine.

Lo baciò senza incontrare il suo sguardo, senza concedergli la possibilità di vedere il suo volto. Voleva nascondere a se stessa l'amarezza di aver capitolato e il trionfo che sicuramente brillava nei suoi occhi. Sapeva che questo l'avrebbe fatta sentire ancora più misera.

Elijah l'avvinghiò a sé, la sua lingua le penetrava la bocca con crescente avidità e impazienza, mentre Isabel si abbandonava completamente a lui. Per lui, e solo per lui.
La sua rabbia si intrecciava all'amore con la stessa intensità. La sua stessa fame la sorprese, mentre lo accoglieva, inerme, permettendogli di prendere ogni frammento di lei, fino all'ultimo respiro.

Ma quando Elijah cercò di farsi più audace, sollevando lentamente l'orlo della sua gonna, Isabel lo spintonò via. Aveva il respiro affannoso, il viso arrossato, e le labbra ancora gonfie per il bacio furioso che avevano appena condiviso. Per quanto quella vicinanza accendesse in lei una brama latente, non si sarebbe concessa. Non stavolta. L'attrazione era innegabile, ma c'erano limiti che non intendeva valicare. Non così, non l'amaro nello stomaco.

«Isabel, ti prego, non voglio più litigare.» La voce di Elijah si spezzò mentre si protendeva per raggiungerla, ma Isabel si era già ritratta verso l'altro lato della stanza.

Deglutì a vuoto, riassettando nervosamente il bordo della gonna. «Non ho ancora finito!» ribatté. La passione che l'aveva infiammata solo un istante prima si affievolì, soffocata dal rancore che le bruciava dentro, l'unica arma che aveva per difendersi da lui.

Elijah dovette contare fino a dieci per non perdere il controllo. Cosa diavolo le stava succedendo? Il suo atteggiamento era completamente sbagliato. Lo considerava innaturale per una creatura angelica e pacifica come Isabel. «Hai sentito cosa ti ho detto? Voglio che la pianti, fata, non farmelo ripetere!» quel comando gli uscì più severo di quanto avesse previsto.

E Isabel non tardò a farglielo pesare.
«Sì, Elijah, ho sentito forte e chiaro...» sembrava sull'orlo del pianto. Gli voltò le spalle, e lo fece con una freddezza che Elijah non riuscì a sopportare. «Ma non mi interessa.»

La mano di Elijah si chiuse e si riaprì nervosamente, un tic che Isabel aveva imparato a riconoscere fin dai tempi dei loro primi scontri. Aveva un peso enorme sul cuore, come se un masso insormontabile vi fosse posato sopra.
«Ti amo. Ho bisogno di te.»

Isabel reagì con noncuranza, con spietata intransigenza.
«Lo so, questo lo hai già detto, innumerevoli volte...»

«E quindi?»

«E quindi niente, Elijah. Se pensi di potermi convincere con le tue solite sviolinate struggenti, sappi che ti sbagli di grosso. Questa volta non basteranno, te l'ho già detto.»

Elijah barcollò appena, colpito dal suo rifiuto. Detestava quella distanza tra loro. Detestava ogni minuto trascorso lontano da lei. In qualche modo la durezza con cui lo stava trattando, riuscì a sopraffarlo.
«Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Cristo santo, mi respingi di nuovo...per cosa, stavolta?»

«Non ti ho detto nulla di assurdo, niente che sia
minimamente paragonabile a quello che tu hai detto a me ieri sera!»

«È ancora per Lily, vero?» Elijah si strofinò le mani sul viso, palesando una stanchezza profonda, quasi rassegnata.

«Lo dici come se fosse una cosa da poco!»

«Lo è, Isabel. Mi sono scusato per le cose che ti ho detto. Non era mia intenzione allontanarti...»

«Ma lo era ferirmi, no?»

Bingo.

«Ho sbagliato. Lo so...» ammise lui con prudenza.
«Non avrei mai dovuto pronunciare quelle oscenità. Sono stato impulsivo, avventato, e stupido. Un vero bastardo. Ma non posso rimediare se tu non me ne dai la possibilità.»

«Tu sei ancora innamorato di lei, vero?» Isabel lo chiese con voce flebile, con gli occhi colmi di un dolore che Elijah non era sicuro di saper affrontare.

Lui si sentì come se l'aria gli fosse stata strappata dai polmoni. La sua domanda lo aveva lasciato senza la forza di controbattere, con un acido amaro che risaliva dalla gola. «Cosa? Ma di cazzo stai parlando?!»

«Ti ho chiesto se sei ancora innamorato di Lily,» Isabel insisté in un modo che lo colse impreparato.
«Non è una domanda così difficile. E pretendo una risposta!»

Elijah esitò, spinto in un angolo dal suo fare inquisitorio.
Lily era stata il suo primo amore, un amore che aveva cercato di seppellire insieme a lei tanto tempo fa. La sua morte l'aveva segnato, ma l'amore si era dissolto, lasciando in vita solo il fantasma di un passato irrisolto. Non amava più Lily, ma il ricordo di lei lo perseguitava ancora, era un'ombra impossibile da scacciare.

«Isabel, l'unica persona che amo, quella per cui il mio cuore esplode d'amore, sei tu. Solo tu. Non riesco a immaginare un futuro che non sia al tuo fianco. Le cose che provo per te, i sentimenti che provo per te, sono così...così fuori controllo, che a volte temo di perdere la testa. Com'è successo ieri sera. Non volevo ferirti, o almeno non così profondamente. Ma devi credermi: non amo Lily. Se lo facessi, non sarei qui. Sarei nella fossa accanto alla sua.»

Isabel si lasciò cadere sulla sedia, la stessa su cui poco prima aveva sfoggiato tutta la sua sicurezza. Ora, invece, sembrava fragile, sconsolata, malinconica. Elijah si inginocchiò davanti a lei, poggiando i gomiti sulle sue gambe coperte dai collant. Isabel trasalì e le serrò, come per difendersi da un contatto troppo intimo.

«Perché pensi questo? Dimmelo, per favore. Non voglio che resti nulla in sospeso tra noi.»

«L'ho sempre pensato,» ammise Isabel, ritraendosi. Non voleva averlo così vicino, non quando si sentiva così vulnerabile. «Dal giorno in cui mi hai parlato di lei. Il modo in cui lo hai fatto...mi ha fatto nascere dei dubbi. Anche il giorno in cui Brooke mi ha rapita, ti ho visto stringere la sua fotografia. E poi...Bè tutti parlano di lei, ne parlano come se fosse ancora qui, come se la sua presenza fosse tangibile, come se non se ne fosse mai andata. E ieri sera, paragonandomi a lei...hai solo alimentato le mie insicurezze.»

Elijah era attonito. Non aveva mai immaginato quanto Isabel soffrisse il peso di quel passato che lui stesso stentava a lasciar andare. Le baciò la fronte, poi allungò la mano e prese a giocherellare con un ricciolo dei suoi capelli, sperando che quel tocco lieve potesse dissolvere le ombre tra loro e riportarli alla vicinanza di pochi giorni prima.

Isabel non si sottrasse. Al contrario: Quando Elijah ritirò la mano, fu lei a prenderla, premendo la guancia contro il suo palmo. Il gesto era cosi dolce, così disperato, che qualcosa si ruppe nel petto di Elijah: l'esigenza di stringerla divenne improvvisamente insopportabile, travolgente.

Con febbrile decisione, l'attirò a sé, affondando il viso nel suo collo. Il suo respiro caldo si fuse al profumo della pelle di lei, in una danza silenziosa e inebriante. Era un muto e disperato tentativo di trasmetterle tutto quello che sentiva. Pretendeva che sentisse la brama insaziabile con cui la voleva sempre accanto, il desiderio sfrenato con cui la desiderava, e per cui era incapace di lasciarla andare.

Perché senza di lei si era completamente perso.
Non era solo un bisogno, era un'urgenza, una dipendenza.

«Non devi preoccuparti di lei, Isabel» sussurrò, lambendole la pelle, centimetro dopo centimetro. «Non devi preoccuparti di nessuna. Quello che abbiamo, l'amore che mi lega a te, è qualcosa che nessun fantasma potrà mai distruggere. Morirei se ti perdessi. Devi credermi.»

Isabel sorrise; i suoi occhi lucidi splendevano di sollievo e speranza nella penombra.
Il cuore le batteva forte. Troppo forte.
«Voglio farlo..Voglio crederti...» il suo corpo tremava, la sua voce era quasi un ansito delicato.
«Voglio perdonarti...»

Elijah si distese delicatamente sopra di lei e Isabel lo circondò con le gambe, modellandosi contro di lui. «E allora fallo» la implorò, facendo trasparire tutta la sua vulnerabilità. L'ossessione che nutriva per quella donna. «Ti prego, fallo. lo lo farò con te. Perdonami, fata, dimmi che lo farai.» 

Le suppliche si persero nel silenzio momentaneo che cadde tra loro. Isabel si lasciò sfuggire una lacrima. Una sola, che Elijah raccolse con lascivia, baciandole la guancia accaldata. Ma qualcosa in lei cambiò, e il suo volto assunse un'espressione più accorta.

Si allontanò di poco, abbastanza per poterlo affrontare.
«A una sola condizione, però.»

Elijah annuì. Era pronto a concederle tutto ciò che voleva.
Qualunque cosa, pur di non perderla.

«Dimentica la tua vendetta contro Fred» pronunciò con ferrea determinazione. «Abbandona questa missione suicida e io ti perdonerò. In caso contrario...» Si fermò, come se stesse raccogliendo tutte le sue forze per dire ciò che sapeva l'avrebbe distrutto. «Continuerò ad odiarti. Ti odierò con tutta me stessa, devi credermi. Per sempre.»

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