Capitolo sessantanove

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"Non respingermi!"





Riesce a mostrarmi il suo peggio e mi chiede,
"Dimmi, il tuo dov'è?"
Ma il mio peggio è lei e lei è il meglio di me...

-EMAN


Isabel si svegliò la mattina seguente, ma non si sentiva affatto riposata. Non aveva chiuso occhio; a fatica aveva trovato la forza di cenare prima di mettersi a letto. L'odio e l'angoscia le chiudevano lo stomaco, ma doveva ricordarsi che non era sola: ora c'era un bambino da sfamare. Seduta sul letto, si accarezzò la pancia, cercando un conforto che faticava a trovare. Si voltò verso il lato vuoto del materasso, e lo trovò, purtroppo, ancora intatto.
Elijah non aveva neanche sfiorato il cuscino.

Corrugò la fronte, portando le gambe al petto.
«Che stronzo!» sbottò, con rabbia soffocata.

Le aveva fatto una promessa quando avevano scoperto della gravidanza, una promessa che Isabel aveva preso sul serio: che non l'avrebbe mai più lasciata da sola. E invece, eccola lì, sconfortata e dimenticata, con la vescica piena e una solitudine che pesava più di qualsiasi macigno.

«Lo odio!»

E guai a chi le avesse detto che tutto questo era solo colpa della debolezza dovuta alla ferita. Se aveva avuto la forza di pugnalarla con le sue accuse crudeli, avrebbe potuto trovare anche il modo e il tempo per starle accanto.
Di scusarsi, perlomeno.

Ma niente. Elijah era capace di dare tutto e, se lo riteneva necessario, togliere tutto. Poteva essere l'amante più passionale e devoto, per poi trasformarsi nel tiranno che lei aveva detestato fin dal primo incontro.

Chi era davvero Elijah Brown?
Potevano, entrambe quelle facce, coesistere nello stesso uomo?

Dopo aver deciso che lei e suo figlio avrebbero fatto colazione, si alzò infilando i piedi nelle ciabatte. Con movimenti lenti, come se ogni passo fosse comandato dalla stanchezza e dalla disillusione, si diresse verso il bagno. Si sistemò alla meno peggio e tornò in camera per vestirsi.

Stavolta, non sarebbe crollata così facilmente. O forse sì. Ripensando alle parole di Elijah, sentiva le lacrime salire e traboccare come fontane. Ethan era stato dolce con lei: l'aveva consolata, abbracciandola come un fratello maggiore che protegge i più piccoli dalle tempeste della vita. Le aveva detto che non era colpa sua, che aveva solo cercato di proteggere chi amava, e Isabel aveva voluto credergli. Aveva bisogno di quella certezza, di aggrapparsi a quell'unico filo per non sentirsi completamente sbagliata. Era l'unico modo per trovare la forza di affrontare Elijah,- di nuovo- ma senza sentirsi obbligata a perdonarlo troppo in fretta. Non sarebbe bastato un semplice gesto a cancellare ciò che era accaduto.

Perché se la prima volta lui aveva strappato il suo cuore dal petto, adesso sarebbe stata Isabel a fare di peggio.

C'era una nuova risolutezza dentro di lei, una forza che forse aveva sempre avuto, ma che Elijah aveva risvegliato in modo brutale. D'ora in poi, avrebbe giocato secondo le sue regole. Non era più disposta a lasciare che lui decidesse tutto. Era stanca, ma soprattutto delusa. Delusa per le accuse che lui aveva avuto il coraggio di riversarle addosso.

Non lo credeva possibile di una tale crudeltà, ma era evidente che si sbagliasse.

Inconsciamente si ritrovò a fissare l'armadio, mentre con un dito spostava distrattamente le grucce. Gli abiti le scorrevano davanti come in una lenta e pigra sfilata, ma la sua mente era altrove. Oh, quanto avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, fargli sentire almeno una parte del dolore che lui aveva inflitto a lei!

E forse un modo c'era. Anzi, ce n'erano tanti. Avrebbe cominciato con qualcosa di "soft", un piccolo assaggio, per poi aumentare gradualmente la posta in gioco.
Lo avrebbe fatto impazzire dalla rabbia!

Mentre valutava le sue opzioni, un bussare deciso la fece trasalire. Si girò di scatto, esaminando la porta come se potesse trapassarla con lo sguardo. Il cuore prese a battere più forte, stravolto da speranza e rancore.

"È lui," pensò. "È venuto a scusarsi?"

"Scopriamolo," mormorò, prendendo un respiro profondo. Con passi poco decisi si avvicinò al suo ingresso. Girò la maniglia e aprì. Ma rimase interdetta. Davanti a lei, invece di Elijah, c'era Felicity, che le sorrideva raggiante. Aveva un'aria mesta ma, al contempo, un entusiasmo che non riusciva a nascondere. Nella mano teneva una busta, un po' spiegazzata, piena di oggetti che sembravano aver attraversato più di una battaglia.

«È permesso?» chiese la domestica, un poco agitata.

Isabel sentì un'ondata di gioia spazzare via il cattivo umore. Solo per un po'. «Felicity! Oh mio Dio!» esclamò, spalancando la porta e sporgendosi per abbracciarla di slancio. «Cosa ci fai qui?»

Felicity restituì l'abbraccio con calore, stringendola forte, come se volesse trasmetterle tutta la sua vicinanza. «Credevate di esservi sbarazzata di me?» disse con una risata leggera.

Isabel si ritrasse quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. «Affatto! Ma non mi aspettavo di vederti qui!»
Era sorpresa, sì, ma anche sollevata di vedere Felicity. Quella donna aveva portato con sé una piccola luce in quella giornata grigia.

Felicity le porse la busta con una cura quasi reverenziale, come se dentro vi fosse qualcosa di molto più prezioso dei pochi oggetti che conteneva. «Pensavo che avreste avuto bisogno di questi. E poi, Morales è stato piuttosto insistente nel farmi venire qui. O meglio, il signor Brown ha insistito, sapendo che forse...avevate bisogno di un'amica.»

Isabel ammutolì, la menzione di Elijah la fece irrigidire.
«Il signor Brown?» ripeté con distrazione studiata. Fingendo che la notizia non avesse alcuna importanza per lei.

Bugiarda!

Felicity confermò con gioia, ignara o forse volutamente cieca al gelo che Isabel cercava di proiettare. «Sì, mi ha chiesto di non chiamarvi in anticipo, voleva che fosse una sorpresa per voi.»

«Oh, capisco,» Isabel fece un debole cenno di assenso.  Raddrizzò le spalle e le lanciò un sorriso educato, seppur distante. Era decisa a non concedere terreno, a non permettere che l'attenzione di Elijah, o la premura di Felicity, scalfissero la corazza che stava cercando di costruire attorno a sé. Doveva resistere, non doveva assecondare né lui, né quella parte di se stessa che voleva disperatamente accogliere quella gentilezza come un segno di riconciliazione.

Si schiarì la gola, ideando un appiglio per sfuggire all'imbarazzo che lei stessa aveva creato. Fu allora che la sua attenzione cadde sulla busta che Felicity le stava porgendo. «Cos'è?»

«Lo capirete da sola,» Felicity colse al volo il suo tentativo di cambiare argomento, ma scelse di non insistere. Preferiva lasciarle il tempo di aprirsi.

Isabel accettò il sacchetto e, con impazienza, sbirciò dentro. Riconobbe subito i pochi averi che aveva dimenticato alla villa la sera del ballo di beneficenza: oggetti che ora sembravano lontani anni luce. C'era una malinconia silenziosa nel rimirare quei vecchi frammenti di sé, un memento delle sue radici e di ciò che aveva lasciato indietro. Erano le uniche cose che le ricordavano la vita che aveva avuto, prove tangibili di un'esistenza che a volte le sembrava una lontana illusione.

Si ricompose, celando al meglio quella vaga sensazione, e dedicò un'occhiata grata a Felicity. «Grazie. Non so davvero come farei senza di te.»

Felicity le strinse la mano in segno di complicità.
«Non deve fare tutto da sola, signorina. Ci sono io qui con lei. Ricorda? Sono la sua domestica.»

«Io non ho bisogno di una domestica!» l'ammonì Isabel, scherzosamente, facendo un passo indietro e aprendo di più la porta per farla entrare.

«Sì, dicono tutti così», Felicity le fece l'occhiolino, poi si accomodò nella dependance. «E a proposito: auguri!» squittì, saltellando con l'enfasi di un bambino.

«Per cosa?» chiese Isabel, un po' confusa.

«Oh, per innumerevoli cose, ma prima di tutto per il vostro fidanzamento! So che lei e il signor Brown ora siete ufficialmente una coppia!» Felicity andò a sedersi sul bordo del letto, battendo piano la mano sul materasso per invitarla a raggiungerla.

Isabel la seguì, ma si sedette con un'espressione incerta, quasi esitante. «Oh...sì. Grazie.»

Felicity la prese sotto braccio, con una dolcezza che Isabel non potè ignorare. «Grazie? Dovreste essere al settimo cielo! Glielo avevo detto o no che si sbagliava?»

Isabel annuì lentamente. «Già...a proposito, mi dispiace tanto di non averti dato ascolto. Sono stata odiosa e ti ho trattata male, non te lo meritavi.»

«Mi cara, niente scuse. Non era colpa di nessuno. Il vostro cuore non era ancora pronto ad ascoltare, a capire...ad accettare come stavano i fatti,» volle rassicurarla Felicity, con una calma che sembrava provenire da una saggezza antica.

Isabel inarcò le sopracciglia. «Con "fatti", ti riferisci al passato di Elijah?»

«Precisamente, sì, ma non solo...» Felicity esitò, pesando ogni parola.

Isabel si accorse di quell'accenno di ritrosia, come se ci fosse molto di più sotto la superficie.
«Spiegati meglio Felicity!»

«Non si preoccupi, non dobbiamo parlare di questo...»

«Di questo?»

«Di lei!» si lasciò sfuggire la cameriera. Appena si rese conto di ciò che aveva detto, portò una mano alla bocca, come se il gesto potesse ricatturare il segreto...

Isabel la fissò per un lungo momento. «Parli di Lily?» chiese piano, come se temesse di rompere un equilibrio fragile.

Felicity rimase di stucco. La sua faccia sbigottita, lasciò rapidamente posto a una sottile consapevolezza. «Voi...sapete, dunque?»

«Sì, Elijah mi ha raccontato tutto,» Isabel confermò senza indugiare. «Era questo che volevi dirmi quel giorno alla tenuta? Stavi cercando di parlarmi di lei

«Sì, di lei e...di come il signor Brown è cambiato da allora. Prima di incontrare Lily, Elijah era un ragazzino timido e tanto generoso. Stenterà a crederci, ma era Matthias quello più dispotico.»

Isabel scoppiò a ridere: aveva ragione, non poteva assolutamente crederci. «Matthias? Ma che dici!»

Felicity sorrise, il ricordo sembrava alleggerirle il cuore. «Avreste dovuto vederlo! Se ne andava in giro con l'aria di chi comandava il mondo, come se avesse sempre la soluzione in tasca. Era Elijah a essere gentile con la servitù, a darci una mano se ne avevamo bisogno. Ma poi...»

«Poi?» Isabel la incalzò, affascinata dalla storia.

«Suo padre, per un motivo o per un altro, decise che Elijah avrebbe preso il suo posto. E da allora cambiò tutto. La realtà che conoscevamo andò in pezzi. Con l'arrivo di Lily, credevamo che l'umore alla villa sarebbe risalito, ma non ha fatto altro che peggiorare. Fino a che...non è crollato con la sua morte. Il giorno in cui la vidi distesa sulle scale, è stato il più brutto della mia vita.»

Isabel deglutì. Il dolore di quella scena, seppur solo immaginata, le fece male.
«Com'era Lily?» chiese con un nodo alla gola, anche se una parte di lei sapeva che non avrebbe dovuto. Ma il fantasma di quella ragazza era troppo presente, troppo reale, e voleva conoscerla, capire cosa la rendesse così indimenticabile.

Felicity la osservò con sottile compassione.
«Oh, Lily Rose era...splendida. Una ragazza indomita, dolce, e incredibilmente testarda. Elijah si innamorò di lei a prima vista. La incontrò per la prima volta nel bosco della villa: l'aveva vista arrampicarsi su un albero per rimettere sul nido un piccolo uccellino. Lui la prese in giro per il suo cappello di paglia, e lei lo criticò per la sua franchezza inopportuna. Da quel giorno, furono inseparabili...»

Isabel si aggiustò sul bordo del letto, come se stesse ascoltando una confidente svelare segreti dimenticati. «Lily veniva spesso alla villa?»

«Ogni giorno, a qualsiasi ora del giorno.» Felicity le andò più vicino. «Era come se con lei il sole sorgesse due volte. Portava una luce nuova, un'allegria contagiosa, una spensieratezza che mancava tra quelle mura. Tutte cose che a James, il padre di Elijah, non piacevano affatto. Per lui l'unica cosa importante era che Elijah si concentrasse sugli affari di famiglia, sulla gestione delle finanze e sulle alleanze storiche dei Brown. Ma Elijah...si opponeva. Detestava quel mondo rigido e privo di emozioni. A lui importava solo di una cosa, o meglio, di due cose: vedere felice sua madre e sposare Lily. Lily era il suo rifugio, la sua speranza di una vita diversa. O così credeva.»

La domestica fece una pausa. Rivivere quei momenti era complicato.
«Lily rappresentava tutto ciò che Elijah voleva proteggere. Era la sua sfida contro un destino che sembrava già scritto. Ma alla fine perse anche quella battaglia. Anzi, in realtà fu come se l'avessimo persa tutti.»

Isabel piegò il capo da un lato, soppesando quell'insolita riflessione. «Perché?» le sfuggì in un sussurro, subito seguito da un lampo di autocritica. "Santo cielo, piantala!" pensò. Una parte di lei voleva fermarsi, chiudere quella conversazione e lasciar andare quel passato che sentiva come una minaccia costante. Ma le parole erano già fuori, e ormai non poteva più tornare indietro.

Felicity fece un piccolo sorriso malinconico, quasi assorto. «Beh, tutti noi sognavamo il famoso lieto fine per Lily ed Elijah. In fondo, se lo meritavano...» precisò, con una nota di rimpianto.

Isabel si tormentava le unghie mentre ascoltava. Scioccamente si ritrovò a chiedersi se lei stessa sarebbe mai riuscita a lasciare un segno così profondo nell'animo di chi le stava attorno. Le sembrava di sfidare un fantasma, di essere solo una comparsa in un copione già scritto per qualcun'altra. In fondo, come poteva non pensarlo?
Quella sensazione aveva cominciato a mettere radici in lei già dalla sera prima, quando Elijah l'aveva crudelmente paragonata a Lily, ferendo la sua dignità.

"La madre dei miei figli non l'avrebbe mai fatto", aveva iniziato a dire. 
"Lily non avrebbe mai assecondato quel folle. Lei mi ascoltava, a differenza tua. È stato davvero un peccato che sia morta."

Quell'ultima parte era stata la peggiore.

Felicity notò l'ombra sul volto di Isabel e, con urgenza, si sporse a consolarla. «Oh, signorina! Non volevo turbarvi, mi dispiace tanto!»

Isabel si affrettò a minimizzare l'accaduto. «No, va bene. Ti ho chiesto io di parlare di lei. Non hai nulla di cui scusarti.» Per sviare la tensione si alzò e si diresse nuovamente verso l'armadio, fingendo di cercare cosa indossare.

Felicity la seguì rapidamente, costringendola a voltarsi. «Isabel...Lily è morta da anni ormai. Elijah ama solo voi. Credetemi, quell'uomo è pazzamente, ossessivamente, innamorato di voi.»

Isabel scosse la testa: non intendeva farsi illudere da quel romantico abbaglio, ma Felicity insistette. «Non l'ho mai visto così preso da una donna, dovete credermi!»

«Nemmeno da Lily?» la sfidò Isabel. Aveva quasi un bisogno disperato di sentire che fosse davvero diversa.

«Avevano diciott'anni, mia cara,» le fece notare Felicity, diplomaticamente. «Era un amore diverso, un affetto giovanile, non paragonabile al vostro.»

«Ma altrettanto intenso!»

Felicity increspò le labbra in una smorfia amara.
Doveva farla ragionare.
«State per avere un figlio insieme...»

«Anche lui e Lily, se non ricordo male,» replicò Isabel, senza scomporsi. «Noah.»

«Elijah vi ama. Siete una folle se pensate il contrario!» Felicity s'impose con convinzione, come se il suo temperamento potesse dissolvere ogni dubbio. «Il giorno dopo avervi visto a scuola, sapete quanta pena si è dato per riuscire a rintracciarvi? Ha dato ordine a Benjamin di cercarvi in ogni angolo della città. Stava impazzendo! Si è messo persino a interrogare il povero Thomas, chiedendogli chi foste, se sapesse dove abitaste, quali tratti particolari aveste! Era da anni che non lo vedevo così attivo, così energico...per voi

«E a cosa è servito? Non hai visto il modo in cui si è comportato? Mi ha fatta licenziare e poi mi ha rinchiusa alla villa, coinvolgendomi nei suoi affari loschi!»

«Ammetto che i suoi modi sono stati discutibili, all'inizio...»

«Discutibili solo all'inizio? Sul serio?» Isabel si avvicinò a lei, minacciosa. «Devo ricordarti che mi ha quasi molestata?»

Felicity esitò, mordendosi il labbro. Sapeva che stava toccando un terreno pericoloso, non doveva difendere Elijah. Le sue azioni non erano giustificabili. Eppure, conosceva il suo padrone e credeva fermamente nel suo animo buono. «Lo so, e so che è scorretto passarci sopra, ma...ma ha sbagliato solo in quel momento, Isabel! Da allora vi ha portato rispetto, dovete ammetterlo!»

«Tu dici?» mormorò Isabel con un filo di voce, quasi sfidandola a una battaglia già persa. «Sai cosa mi ha detto ieri sera?»

Felicity scosse la testa, spaesata. «Come potrei saperlo?»

Isabel aprì la bocca, pronta a sputare fuori la verità che avrebbe messo a tacere quella donna una volta per tutte.
Ma prima che potesse parlare, la porta si spalancò di colpo. Matthias irruppe nella stanza come un tornado. Si fermò un attimo, sembrando imbarazzato per aver invaso così ingiustamente lo spazio privato di una donna, ma la sua urgenza superava ogni etichetta. Quella mattina, semplicemente, non aveva avuto altra scelta.

«Devi aiutarmi!»

Isabel lo fissava smarrita, mentre Felicity si ritraeva di lato, incerta su cosa stesse accadendo. Brooke era appoggiata allo stipite della porta, le braccia conserte e un'espressione annoiata sul viso.

«Sempre il solito melodrammatico del cazzo...» sbuffò.

Matthias non fece caso a lei. Piuttosto, si precipitò verso Isabel afferrandola per le spalle: la scosse appena, come se la sua urgenza potesse trasferirsi a lei. «Non sei ancora vestita! Perché non sei ancora vestita? Muoviti, abbiamo del lavoro da fare!»

Brooke sollevò un sopracciglio con disprezzo evidente. «Non darti troppo da fare, fiorellino. Mio fratello è solo un pazzo.»

Matthias si voltò di scatto, frustrato. «Sta' zitta!»

«Elijah ti scuoierà vivo piuttosto che darti ascolto,» ribatté la rossa con un sorrisetto sprezzante.

«Lo spero, così ti porterò al macello con me!»

Isabel approfittò del loro battibecco per liberarsi dalla presa di Matthias. «Ma di che diavolo state parlando?» esclamò, esasperata dalla baraonda e dal caos che l'uomo aveva portato con sé.

Matthias si affrettò a spiegare, lottando per ritrovare la calma. «Si tratta di Elijah. È deciso a fare una follia, dobbiamo fermarlo!»

«Una follia?» Isabel ebbe di colpo un cupo presentimento. «Che follia!»

Brooke si esaminò pigramente le unghie. «Stai solo perdendo tempo, fratello.»

Matthias ignorò il commento e proseguì con voce tesa:
«Una che potrebbe costarci molto caro...»

«O che potrebbe costare caro alla tua adorata Clara.»

Matthias fulminò la sorella con un'occhiataccia.
«Vuoi deciderti a tacere o no?!»

«Fammi pensare...» Brooke finse di rifletterci. «No.»

«Matthias, cosa sta succedendo?» Isabel lo incalzava, sempre più confusa e agitata, ma lui sembrava non sentirla nemmeno. Per l'amor del cielo, possibile che nessuno riuscisse mai a parlare chiaro quando c'era un problema?

«Prima vestiti, non abbiamo più tempo!» ordinò il biondo, frugando tra i possibili indumenti che offriva l'armadio.
Era talmente agitato da non accorgersi nemmeno di quanto fosse fuori luogo quel gesto. Se Elijah lo avesse visto, lo avrebbe ghigliottinato senza pensarci due volte. Ignorando del tutto il rischio, scelse una gonna scura e una camicia bianca con dei bottoni dorati, afferrò un paio di calze nere e delle décolleté, e li poggiò sul letto. Poi si girò verso Felicity, che immediatamente si mise all'opera per aiutare Isabel.

«Hai cinque minuti per prepararti e un minuto per scendere di sotto!» tagliò corto Matthias e, senza lasciare spazio a inutili repliche, uscì dalla stanza. Brooke lo seguì con una smorfia esasperata, alzando gli occhi al cielo come se la sua pazienza fosse ormai al limite.

«Parleremo più tardi,» assicurò Felicity, facendo segno a Isabel di spogliarsi. «Ora dobbiamo sbrigarci, forza!» la esortò, aiutandola a togliere il pigiama.

Isabel, ancora frastornata dalla confusione, si lasciò guidare dai comandi rapidi e perentori di Felicity. Per i Brown, la puntualità sembrava una virtù sacra, quasi un dogma inviolabile, soprattutto quel giorno, e in particolare per Matthias. Non volendo rischiare di irritarlo, Isabel si sforzò di accelerare i preparativi. In poco tempo infatti fu pronta, ma il cuore le martellava nel petto, sia per l'ansia sia per i tacchi alti che non indossava da tempo. Con l'aiuto di Felicity, si avviò verso le scale, dove trovò Matthias, già in attesa.

L'uomo si concesse di ammirarla per pochi secondi.
«Sei bellissima,» commentò, poi passò subito oltre, come se quel complimento fosse stato pronunciato per dovere, più che per sincera ammirazione. Anche se non era proprio così. Matthias l'aveva sempre trovata molto bella.

Felicity li sorpassò poco dopo, congedandosi con un breve inchino. «Ci vediamo dopo,» disse, accennando un sorriso. Isabel avrebbe voluto salutarla, ma Matthias la incalzò nuovamente. Le prese la mano e la condusse in fretta verso una porta chiusa, una che Isabel conosceva molto bene: quella di Elijah.

«Oh, no. Te lo scordi.» La donna si fermò di colpo. «Io non parlo con lui!» stabilì con chiarezza, voltandosi per tornare indietro.

Matthias la bloccò, sconcertato. «Perché? Che diavolo è successo stavolta?»

Isabel si limitò a guardare fuori dalla finestra.
«Non ne voglio parlare...»

«Ma alla cameriera ne stavi per parlare!»

Isabel rimase sconcertata. «Hai origliato? Oh mio Dio!»

«Non ho origliato! Sono un uomo perbene, non mi metto ad ascoltare di proposito i pettegolezzi delle donne,» ci tenne a precisare lui. «Io e Brooke vi abbiamo sentite prima di entrare, tutto qui.»

«Questo si chiama origliare!» ribatté lei, incrociando le braccia sul petto.

«Siamo semplicemente arrivati nel momento sbagliato, è diverso!»

«E ne avete approfittato!»

«Ascolta, non sono qui per parlare delle tue confidenze con Felicity...» Matthias cercò di riportare la discussione al punto cruciale.

«E io di certo non sono qui per parlare con Elijah!» ribadì lei, il volto segnato da un rifiuto risoluto.

Matthias sospirò con impazienza. «Isabel, ti prego, dimmi cos'è successo tra voi.» La sua richiesta, benché invadente, era spinta da un'urgente necessità di capire; sapeva che la risposta di Isabel avrebbe fatto la differenza.

Isabel esitò, mordendosi il labbro. «Io...»

Matthias alzò un sopracciglio.
«Tu?» chiese, ma non attese che lei dissipasse i dubbi.
D'improvviso, il suo sguardo si fece più acuto, come se avesse intuito la vera ragione del suo rifiuto. Non era poi così difficile capirlo, conoscendo Elijah.

«Lascia che indovini,» la canzonò, infilando le mani nelle tasche. «Ieri sera, dopo avervi lasciato da soli, sei andata da lui. Vi siete chiariti, magari è stata una riconciliazione travolgente, intensa...forse perfino passionale. Ma poi, quando hai cercato di parlargli di Fred, tutto è andato a rotoli, vero? Lui non l'ha presa affatto bene. Riesco a immaginarlo chiaramente: occhi pieni di rabbia, parole dette a caso, gridate senza ritegno. Ti avrà detto cose terribili, irripetibili, tanto da farti a pezzi. E tu, per non fargli saltare i denti e finire a processo per tentato omicidio, hai preferito chiuderti a riccio. Hai pensato fosse meglio lasciarlo cuocere nel suo rancore piuttosto che affrontarlo a viso aperto, e da allora ti rifiuti di parlargli come una bambina petulante di tre anni. Dimmi, mi sto sbagliando?»

Isabel fu così colta alla sprovvista che iniziò a battere le palpebre in maniera incontrollata. Sapeva che prima o poi ci avrebbe preso, ma non così tanto. «Hai davvero tutte le risposte in tasca...» mormorò, incassando la sconfitta.

«Cosa?»

«Niente! Niente di...importante,» fece lei, timidamente.
«E comunque sì, mi ha ferita, ma non nel modo in cui pensi tu...»

«Chissà perché, ho la sensazione che stavolta abbia davvero esagerato.» intervenne Brooke, inserendosi nella conversazione. Batté le mani, quasi pregustando il momento. «Non vedo l'ora di godermi lo spettacolo! Quando entriamo?»

Matthias le lanciò un'occhiata assassina. «Non ti avevo detto di scomparire?»

Brooke fece un cenno vago con la testa, a metà tra un assenso e un diniego. «Scusa, da quando faccio quello che mi dite?»

L'uomo dovette contare fino a dieci per evitare di dare di matto. Era esasperato. Si girò di nuovo verso Isabel, appellandosi alla sua clemenza. «Ascolta,» iniziò con voce più calma, ma non meno pressante. «So che ti chiedo molto, ma è per una causa più grande di noi. Oltre questa porta ci sono Elijah, Morales e alcuni dei nostri soci più fidati. Vogliono assaltare Blakely House, eliminare Fred e impossessarsi di tutto ciò che gli appartiene. Se le circostanze fossero diverse, se non fossimo già con le spalle al muro, non esiterei ad appoggiarli. Ma nella situazione attuale è impensabile. Non possiamo permetterci di rischiare i pochi rinforzi che ci restano. Sarebbe un suicidio, Isabel! Fred era la nostra carta per contrastare Benjamin. Senza di lui, e senza gli uomini che ci rimangono, siamo finiti. Non solo perderemmo delle risorse, ma comprometteremmo ogni possibilità di sopravvivenza. Mi segui?»

Isabel iniziò a camminare avanti e indietro, con passi brevi e irregolari. Era così tesa, tanto tesa.
«E io che cosa c'entro con tutto questo?» volle sapere lei.

Matthias si affrettò a chiarire, arrivando persino a supplicarla: «Non posso farcela da solo. Sei l'unica che potrebbe convincerlo. Elijah ascolta te come nessun altro. Se c'è una minima speranza di farlo tornare sui suoi passi, quella speranza sei tu. E ora hai persino un'ottima ragione per negoziare. Elijah farebbe qualsiasi cosa pur di riconquistare il tuo favore. Devi solo sfruttare il vantaggio che hai!»

«Matthias, io non voglio parlargli. Forse non lo vorrò mai più!»

«Ti prego, Isabel,» Matthias si avvicino lei, abbassando la voce. «Fallo almeno per Clara.»

Isabel sgranò gli occhi. «Clara? Che c'entra Clara? Hai parlato con lei?»

Matthias annui, visibilmente preoccupato.
«Sì, ieri sera. Fred ha nascosto sua sorella in un luogo segreto: vuole punirla per averti aiutata a fuggire. Solo lui sa dove si trova. Per questo ho dato la mia parola a Clara: le ho promesso che avrei cercato di far ragionare Elijah, per riuscire a guadagnare un po' di tempo. Ma se lui porta avanti il suo piano, Clara rischia di perdere l'unica famiglia che le resta. Ed io la mia.»

Isabel avvertì un improvviso impulso di scappare, come se la fuga fosse l'unica via d'uscita. Era combattuta tra il desiderio di rifugiarsi nella sua stanza e il peso della responsabilità che Matthias le aveva messo sulle spalle. Lo detestava quando aveva ragione: Elijah l'avrebbe ascoltata di certo, ma a quale costo? La sera prima, si era quasi convinta di volerlo affrontare, ma ora, con la mente più lucida, capiva di non essere pronta per un altro scontro. Elijah non si sarebbe limitato a urlare; lui avrebbe fatto irruzione nel suo cuore, spingendola a odiarlo. La sua inflessibilità l'avrebbe piegata fino al punto di rottura. Lo conosceva fin troppo bene per sapere che avrebbe potuto farlo senza alcuno sforzo.

Se non fosse stato per Clara, si sarebbe già rintanata nella sua dependance. Ma a quella donna doveva la vita, e per questo non poteva permettersi di tirarsi indietro.

«E va bene!» esclamò infine, rassegnata. Avrebbe collaborato, ma senza un briciolo di entusiasmo. «Però entrerò da sola. Voi aspetterete fuori.»

Matthias avrebbe voluto abbracciarla per il sollievo, ma si trattenne, consapevole di doverle concedere spazio.
«Elijah capirà che hai parlato con me e potrebbe infuriarsi. Sei sicura di saperlo gestire?» domandò cauto.

Isabel piegò la testa di lato, interdetta. Era assurdo, sembrava che stessero discutendo di come domare una bestia feroce, una creatura mitologica che sputava fuoco dal naso! Cos'era che rendeva Elijah così terribile, e chi diavolo gli conferiva un tale potere su tutti loro?

«Riuscirò a gestire il mio futuro marito, no?» ribatté lei con una calma forzata, quasi come una promessa a se stessa.

Matthias restò sorpreso, quasi incredulo, nel sentire quelle parole da lei. Se Isabel parlava ancora di matrimonio, forse c'era una speranza, forse la frattura non era irreparabile.
«D'accordo allora, ti aspetteremo qui.»

«Sempre che tu sopravviva...» borbottò Brooke tra sé, con un filo di voce appena percettibile. Non poteva farne a meno.

Lei e Matthias fecero un passo indietro, lasciando a Isabel lo spazio per raccogliere il coraggio necessario. Non sapeva come placare i nervi che le tremavano dentro, ma una cosa era chiara: il tempo dei dubbi era finito. Con un respiro profondo, prese il coraggio a due mani e si diresse decisa verso la porta. Senza pensarci troppo, la spalancò con un colpo secco, facendola sbattere contro il muro. Il suono rimbombò nella camera, attirando l'attenzione di tutti. Le teste si alzarono di scatto e le conversazioni si interruppero, lasciando solo un'eco di mormorii sospesi.

Nella stanza c'era davvero più gente di quanto Matthias avesse detto: oltre a Elijah, Isabel notò alcuni uomini che non aveva mai visto prima. Tra loro, c'era Morales, che teneva una mappa aperta tra le mani, ma la lasciò cadere sul tavolo appena la vide entrare. Tentò di nascondere la sorpresa con un saluto formale, ma il suo corpo tradiva un'insolita agitazione. Elijah, invece, sembrava colui che aveva preso la cosa peggio di tutti. Stava curvo sul tavolo, le spalle rigide e gli occhi socchiusi iniettati di veleno, identici a quelli che Isabel ricordava dalla notte precedente. Ma c'era qualcosa di più profondo, quasi feroce, in lui; sembrava che la sua intrusione lo avesse irritato fino all'osso.

Isabel non si lasciò intimidire. «Tutti fuori!» ordinò nella maniera più lapidaria possibile. «Adesso

Elijah si raddrizzò, poco alla volta. Ricordava quasi un grosso felino disturbato. «Come scusa?» la sua voce era un basso ruggito, un'avvisaglia di tempesta.

«Ho detto, tutti fuori.» Isabel non batté ciglio. «A parte te. Dobbiamo parlare.»

«Parleremo dopo, Isabel!»

«No!» Lei strinse i denti e alzò il mento con sfida. «Parleremo adesso, perché io ho deciso che parleremo adesso! Ti è chiaro?» Non avrebbe più permesso a Elijah di farle paura o di esercitare quel potere soffocante su di lei. Adesso era lei a decidere le regole, e lui avrebbe dovuto accettarle.

Elijah, tuttavia, non sembrava disposto a cedere. La sua espressione, sempre più incupita, non mostrava alcun segno di resa. Isabel non voleva neanche immaginare quali pensieri distruttivi, gli stessero passando per la testa; conosceva fin troppo bene la sua impulsività, sarebbe stato capace di schiacciarla con una semplice frase se avesse voluto. Ma questa volta, Elijah rimase in silenzio, trattenendo il suo consueto furore. Forse iniziava a capire che quel vecchio gioco con Isabel non funzionava più. Non dopo ciò che era successo la notte scorsa.

Ma le sue valutazioni si rivelarono errate un minuto dopo.

«Esci da questa fottuta stanza, Isabel,» le ordinò Elijah, scandendo ogni sillaba. Qualcosa in lei lo infastidì. Il tono arrogante, forse, o l'atteggiamento prepotente che Isabel mantenne nonostante l'insicurezza di poter fallire. Andando contro ogni regola di prudenza, infatti, si rifiutò di obbedire.

Fece qualcos'altro, invece. Qualcosa che lasciò di stucco il suo burbero fidanzato.

«Se io me ne vado...» Isabel si mosse, facendo risuonare i tacchi contro il pavimento. Voleva che la guardasse in faccia mentre parlava. Gli sguardi di tutti i presenti erano inchiodati su di lei, ma Isabel li ignorò con la stessa indifferenza riservata agli scarafaggi.
«...E deciderai di non ascoltarmi, allora sarà per sempre.»

Quando gli fu davanti, Isabel intrecciò le dita dietro la schiena, come se stesse contenendo un impulso segreto.
Poi, in maniera lenta e calcolata, si sollevò sulle punte.
Le labbra si fermarono a un respiro di distanza dalle sue; il fiato caldo gli accarezzò la pelle, sfiorandolo come una tentazione sottile. Lo vide rabbrividire: la pelle d'oca che si arrampicava sul collo era un segno inequivocabile che aveva colto nel segno. Sapeva di averlo catturato, che lo stava conquistando, centimetro dopo centimetro, respiro dopo respiro. E la sensazione le scivolò addosso come una vittoria silenziosa.

«Se decidi di cacciarmi, adesso, non mi rivedrai mai più, Elijah, te lo giuro. Scomparirò completamente, diventerò così invisibile che nemmeno la più avanzata delle sonde spaziali sarà in grado di trovarmi. A te la scelta, amore. E ti avverto, oggi non sono in vena di paternali. Io e mio figlio non abbiamo fatto colazione stamattina. Quindi sai, siamo alquanto irritabili.»

Per la prima volta, Isabel fu libera dalla paura, padrona di se stessa. E le piacque da matti. Non sapeva se avesse toccato una corda abbastanza profonda da smuoverlo, ma non intendeva arretrare.

Elijah non disse nulla; lo fece il suo corpo traditore per lui. Fu un gesto impercettibile, quasi nascosto, eppure Isabel lo notò subito. Il suo palmo si aprì lentamente, la mano si tese verso di lei. Ma a metà strada esitò. Le sue dita rimasero sospese prima di ricadere lungo i fianchi, come se il coraggio lo avesse abbandonato. Voleva starle più vicino, voleva toccarla, e il non poterlo fare lo rendeva nervoso, vulnerabile per la prima volta. Era come se una crepa si fosse aperta nella sua corazza così ostinata. Il silenzio tra loro si fece più pesante, come se qualcosa fosse cambiato. Lei poteva vedere la lotta interna che lo stava tormentando: l'orgoglio contro la necessità di ascoltarla, la rabbia contro la sua resistenza.

Chi l'avrebbe avuta vinta? 

L'aria nella stanza divenne così densa da sfiorare il disagio, tanto che persino Morales avvertì un vago imbarazzo. L'uomo si fece avanti in un tentativo incerto di comprendere la situazione. «Signore...» provò a dire, confuso.

Ma Isabel lo zittì senza neanche voltarsi. «Morales, non ci senti? Uscite, è un ordine! Non ve lo ripeterò un'altra volta!»

Elijah era così assorto da lei, che dovette sforzarsi di fare un cenno liberatorio ai suoi uomini. Non si espresse neppure dopo la minaccia di Isabel. Decise solo, chissà perché, di assecondarla. La stanza si svuotò nel giro di pochi minuti, i presenti scivolarono fuori uno dopo l'altro, lasciando lei ed Elijah da soli. Proprio come la padrona di casa aveva chiesto. Ora sì che si cominciava a ragionare.

Quando la porta si richiuse, Isabel ancheggiò seducente verso una poltrona imponente, quella che spettava proprio al capo famiglia. Si sedette con disinvoltura, accavallando le gambe sul tavolo e le mani sul grembo. Gli rivolse un sorrisetto, esortandolo implicitamente a conversare, ma dovette girare la testa per sfuggire al suo sguardo di palese ammirazione. Somigliava troppo al modo in cui la guardava quando la inchiodava al baldacchino e...

«Si può sapere che cazzo cerchi di fare?!» chiese lui all'improvviso, tornando a riassumere quel suo timbro da tiranno. «Vuoi scavalcarmi, fatina? Ti lascio volentieri il timone, se ti va. Non dureresti metà giornata!»

«Vuoi sapere cosa sto facendo?» Isabel lo sbeffeggiò con una calma inaspettata, una che solo poche ore prima non avrebbe mai pensato di avere. «Sto facendo esattamente come fai tu. Mi comporto da pazza, da squilibrata presuntuosa che vuole tutto e lo vuole subito, senza mezzi termini e senza compromessi. Spero non sia un problema per te. Ma, ehi, se lo è, possiamo sempre tirar fuori la buon vecchia tavola Ouija e provare a contattare la tua ex defunta. Magari Lily deciderà di darti retta. Lei sicuramente non ti avrebbe sfidato così apertamente. Lily ti ascoltava, dico bene?»

Elijah aprì le mani come una stella marina, poi le serrò a pugno. «Quindi è di questo che si tratta? Sei arrabbiata per quello che ti ho detto ieri sera?»

Isabel si dondolò con la poltrona, oscillando avanti e indietro. Fu solo allora che si ritrovò a chiedersi cosa ci facesse una poltrona reclinabile in quella stanza d'ospedale.
«Arrabbiata non è il termine corretto,» ci tenne a specificare. «Io ti odio, cazzo!» Desiderava ardentemente afferrare qualcosa e scagliarlo contro di lui, ma l'assenza di oggetti contundenti la lasciò solo con quel bruciante senso d'impotenza. «Tu non hai idea di quanto mi hai ferita!»

Elijah si staccò dal muro contro cui si era appoggiato. Era impossibile stabilire cosa provasse, forse un miscuglio di rimorso e irritazione che Isabel gli lesse a malapena in faccia. Lui annuì piano, con una parvenza di umiltà dei modi. «Ho sbagliato a dirti quelle cose, lo ammetto. Non avrei mai dovuto menzionare Lily. Sono stato uno stronzo, uno stupido egoista ingrato. Non ho pensato a come ti saresti sentita dopo, è stato un mio errore.»

Isabel sussurrò un «Grazie...» che si perse nella stanza, ma Elijah non le diede tregua.

«Come lo è stato il tuo, seguire Fred,» le ricordò acido.
Non avrebbe dimenticato l'accaduto così in fretta. Elijah non trovava pace da quando quell'uomo aveva messo le sue viscide grinfie su di lei. La gelosia e la delusione gli stavano divorando lo stomaco. «In ogni caso, non mi rimangio il resto. Puoi anche odiarmi, sappiamo entrambi che ti passerà. Il vero problema rimarrà a me. Perché anche dopo aver staccato la testa a quel maniaco figlio di puttana e a tutta la sua banda di sudici traditori, il rancore che mi divora dentro non se ne andrà comunque.»

Elijah si allontanò, raggiungendo un tavolino su cui giaceva una garza pulita. La immerse nel disinfettante e iniziò a pulirsi le nocche, che quella mattina avevano un strano e pericoloso color vinaccia. Isabel si chiese come diavolo si fosse procurato quei lividi, ma la domanda rimase sospesa sulla punta della sua lingua. Probabilmente si era sfogato distruggendo qualcosa, anche se la stanza sembrava perfettamente in ordine. Che discreti dovevano essere i domestici dei Brown, o forse era solo merito di un salario elevato.

«Questa volta è diverso anche per me,» Isabel riprese a tormentarsi le unghie, lo faceva in automatico quand'era nervosa. «Non ti perdonerò così facilmente, Elijah. Te lo puoi sognare.»

Elijah lasciò cadere la garza sul piattino. Quella brutale franchezza gli fece venire un giramento improvviso. Senza nemmeno capire il motivo, si sentì soffocato da un calore che non aveva nulla a che fare con la temperatura della stanza. Non era solo rabbia, non era solo frustrazione: era la paura che lei potesse davvero voltargli le spalle. Forse per sempre. Aveva promesso a sé stesso che non avrebbe più perso la testa con Isabel, che avrebbe imparato a rispettarla, amarla, e a chiederle scusa mille volte per ogni errore commesso. Ma il pensiero che fosse già troppo tardi gli faceva scoppiare la testa, gli faceva perdere ogni briciolo di autocontrollo.

Senza pensarci due volte, si tolse la maglietta in un gesto impulsivo, come se l'aria potesse aiutarlo a raffreddare quel rogo che gli bruciava dentro. La gettò da una parte, rimanendo lì, in piedi, con i jeans che scendevano bassi sui suoi fianchi e la fasciatura che teneva intatta la ferita. Fortunatamente, sembrava fargli meno male rispetto a prima.

Isabel non riuscì a distrarsi con nient'altro. Si sforzò di guardare altrove, ma i suoi occhi continuavano a ritornare a lui, attratti come da una calamita. Si odiò per questo. Elijah era una visione di forza grezza, virile, con i muscoli delle braccia che si tendevano sotto la pelle e il petto scolpito che si sollevava a ritmo di respiri pesanti. Era intrappolata, incollata al magnetismo che emanava senza nemmeno sforzarsi.

Nessuno dei due disse una parola. E non ce n'era alcun bisogno, soprattutto quando, fugaci, tornarono a guardarsi. Tra loro, l'attrazione sottintesa brillava come un filo di elettricità. Era qualcosa che non potevano ignorare.

Maledizione!

«Perché ti sei vestita così?» Il timbro baritonale di Elijah si insinuò tra lei e la sua affascinante visione, minando il suo già fragile autocontrollo. Doveva sviare la mente. All'istante.

Isabel si strinse nelle spalle, palesando indifferenza. Avevano forse abbassato le armi?
«Non sono affari tuoi.»

«Lo sono eccome!» Elijah avanzò di un passo, con minaccia silente. «Non mi piace, la gonna è troppo corta. Cambiati.»

«No.»

Elijah aggrottò la fronte, le sue pupille si dilatarono.
«Scusami? Non ho sentito bene, puoi ripetere?»

«Hai sentito benissimo. Ho detto no!» Isabel si alzò, sfidandolo apertamente. «Non sono qui per parlare del mio guardaroba, né per una riconciliazione, se proprio vuoi saperlo.»

«Quella non la voglio neanch'io, non subito. Abbiamo ancora molto di cui discutere. Ma questo non significa che non mi importi di come te ne vai in giro. C'è un'etichetta in questa casa, e quando uscirai da qui, la prima cosa che farai sarà cambiarti quella gonna del cazzo. Altrimenti te la strappo di dosso e la uso come tappetino per l'auto. Scegli tu.»

Isabel era a tanto così, a un soffio dal colpirlo!
«Hai smesso di darmi ordini. D'ora in poi, le cose cambieranno e lo faranno da oggi! La mia minaccia rimane ancora valida. Se farai qualsiasi cosa per ferirmi, io me ne andrò. Me ne andrò davvero stavolta.» Isabel non capì se fosse abbastanza audace da farsi prendere sul serio ma si augurò di sì, perché lei non scherzava affatto.

Elijah s'incupii immediatamente: l'azzurro dei suoi occhi fu risucchiato via da una strana oscurità. Si prospettava una conversazione degna di una bomba nucleare.

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