Capitolo trentacinque

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"Questo è cio che sono!"

Trova un posto dove c'è gioia,
e la gioia brucerà il dolore.
-JOSEPH CAMPBELL


1975, ore 14:30
Villa Brown.

Era trascorsa una settimana da quando l'inevitabile si era compiuto. Sette giorni esatti da quando Elijah rifiutava di mangiare, di abbandonare la camera dentro cui si era rinchiuso.

Il funerale di Lily era stato bello e toccante, quello del padre breve e insignificante, o così li aveva descritti sua madre; Elijah aveva rifiutato di partecipare a entrambi. L'idea di Lily in una bara sommersa dalla terra era insostenibile, così come salutare un padre i cui ricordi gli provocavano conati di vomito irrefrenabili.

Preferiva la morte piuttosto.

Riusciva solo a piangere, dormire, poi piangere e ancora dormire. Senza forze, sfiancato dal dolore che imperava nel suo cuore.
A cosa serviva nutrire il corpo?
Prolungare quella stramaledetta agonia nella sofferenza, imporsi di respirare pur continuando a soffocare. Sarebbe stato da idioti masochisti e lui aveva scelto di non esserlo. Non aveva il coraggio di uccidersi, ma nemmeno quello per vivere, di sopravvivere nella costante monotonia, nel susseguirsi di una quotidianità che detestava: senza amore, senza sole, senza stelle.
Senza niente.
Così, la scelta migliore sembrava essere quella di lasciarsi morire.

Ma suo fratello, sua madre, Brooke non volevano arrendersi. Ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera, bussavano da dietro la porta, implorando Elijah di mangiare, di aprire.
Ma il ragazzo persisteva nel suo silenzioso e autoimposto isolamento.

«Elijah, ti prego, devi mangiare qualcosa!» supplicava Matthias, desiderando che il fratello uscisse da quel buio che lo imprigionava. Ma ogni, ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera, l'epilogo manteneva la sua continuità: nessuna risposta.

«Elijah!» Matthias bussò ancora, questa volta con più violenza.
«Elijah apri questa cazzo di porta o la butto giù!»

Ma Elijah lo ignorò, ancora una volta.
Non aveva voglia di far niente tanto meno di ascoltare un'altra delle paternali di Matthias. Ne aveva sentite molte in quell'ultimo periodo, seduto dietro la porta; non voleva che suo fratello soffrisse, che si assumesse responsabilità che non gli appartenevano come il destino legato alla sua sopravvivenza. Quella spettava solo ed esclusivamente a lui, e lui aveva deciso di gettarla al vento.

Da giorni, Elijah si interrogava con angoscia: perché suo fratello aveva ucciso James?
Cosa lo aveva spinto a compiere un omicidio così efferato?
Non riusciva a capirlo.

Ma non era l'unico enigma a perseguitarlo.

Accecato dall'ira, sul momento, non aveva notato un dettaglio inquietante: suo padre non aveva opposto resistenza. Nessuno dei suoi uomini aveva cercato di intervenire, sfondando la porta o sparando all'interno. Nessuno aveva tentato di salvarlo, di proteggerlo; l'uomo più importante di Franciville era stato distrutto da un adolescente infuriato, abbandonato dalla sua stessa cerchia.

Perché?

E ancora, perché Benjamin gli aveva passato il coltello?
Cosa ci aveva guadagnato?

Troppe incognite che persistevano senza una risposta, lasciando Elijah immerso in un mare di interrogativi irrisolti. Ma la domanda più importante per lui, restava solo e soltanto una.
Sempre la stesa a dire il vero: perché suo fratello aveva deciso di uccidere James?

Pur essendo restio all'idea di porre la domanda, mancava del coraggio necessario per affrontare la faccenda; il senso di colpa lo soffocava.
Si rimproverava di non averglielo impedito, di non aver potuto fare niente per salvare l'anima di suo fratello. Gli sarebbe stato debitore in eterno.

A tal proposito, poteva dimostrarglielo aprendo finalmente la porta e parlando con lui. Ma come il ruggito del mare che persiste indomito sotto la luna, Elijah manteneva la sua essenza inalterata: un uomo egoista e vigliacco, anche di fronte all'ineluttabile.

Ciononostante, non avrebbe potuto rifugiarsi ancora per molto nella codardia. Affacciato alla finestra, vide una fila di auto scure parcheggiare di fronte alla  villa. Uomini in giacca e cravatta nera ne scesero. Elijah, da lungo tempo, aveva imparato a riconoscere quelle figure sinistre e malvagie: erano collaboratori di suo padre.

"Che diavolo ci fanno qui?" pensò, osservandoli attentamente. Poco dopo, sua madre uscì dalla villa, andandogli incontro: indossava un abito meraviglioso, di un verde mare che la faceva risplendere. Appariva così radiosa da quando il viscido di suo padre era morto, sembrava rinata. Virginia, in ogni caso, era sempre stata una donna affascinante, ma ora sembrava aver riscoperto una serenità che la rendeva ancora più bella.
O qualche parvenza, dati gli allarmanti comportamenti di Elijah.

Una volta faccia a faccia, li vide colloquiare per un po'. Sua madre, tranquilla, ascoltava attentamente.
Uno degli uomini fece un cenno indicando la villa e lei acconsentì, chissà a quale richiesta, annuendo.
Di seguito, un altro estrasse una cartellina bianca e la passò sempre a Virginia.
Quando Elijah scrutò l'interno, notò diversi fogli.
La curiosità gli bruciava dentro: cosa c'era in quei documenti? 

La donna l'accettò, sfogliandoli, ma fu a quel punto che la vide innervosirsi; lanciò via la cartella, furiosa. I fogli volarono, sparpagliandosi lungo il terriccio. Indietreggiò alzando la voce.

«Andate via! Subito!» gridò, indicando la strada da cui erano venuti.

«Ci saranno delle conseguenze, conosce la procedura!» rispose l'uomo che le aveva passato la cartella. La sua voce era dura come la pietra, severa.

«Sparite! O vi farò arrestare!» Virginia sembrava irremovibile.

A quel punto, il tizio che per primo aveva preso parola, si fece avanti guardandola: si avvicinò al suo orecchio, bisbigliandole qualcosa che Elijah non riuscì a sentire.
Ma bastò quell'unica frase a peggiorare la situazione: Virginia lo schiaffeggiò.

Doveva intervenire.
«Mamma!» gridò con forza, in modo da farsi sentire.
Virginia alzò la testa, così come gli uomini, individuandolo. Senza perdere tempo, scattò verso la porta, liberandola dalla serratura. Brooke e Matthias erano seduti con le spalle al muro, si alzarono quando, finalmente, lo videro uscire.

«Elijah! Cazzo era ora!» Matthias provò a parlargli, la sorella ad avvicinarsi, ma Elijah li superò senza degnarli di alcuna considerazione.
Sua madre veniva prima di tutto.

«Ehi, dove stai andando?» chiese Matthias, correndogli incontro, mentre Brooke approfittò della situazione per portare il piatto che avevano preparato per lui nella sua stanza. Con discrezione, lo depositò sulla scrivania, gli appose un bigliettino e sgattaiolò via, dirigendosi verso i suoi fratelli. Elijah non voleva parlare ma lei aveva così tanto da dirgli.
Gli mancava suo fratello.

Nel contempo, Elijah e Matthias avevano raggiunto l'androne.
«Vuoi dirmi che succede?!» esclamò Matthias, allarmato.

«Ci sono degli uomini fuori, stanno parlando con la mamma. Sembra grave» rispose Elijah in tono monocorde.

Matthias aggrottò la fronte «oh bene! Vedo che ti ricordi ancora come si fa a parlare, perché diavolo non rispondi, allora?» domandò adirato. «È da giorni che non esci!»

«Non voglio parlarne adesso!»

«E quando allora? Il mutismo non è un opzione che accetto, non puoi vivere questo lutto da solo, hai bisogno dei tuoi fratelli!» Matthias continuava a seguirlo, arrabbiato.

Ma Elijah, anche stavolta, si limitò ad ignorarlo.
Suo fratello poteva diventare testardo in maniera fastidiosa, ancor più di lui in realtà! A passo veloce spalancò la porta che portava fuori dalla villa. Gli uomini erano ancora lì, così come Virginia ancora intenta a discutere con loro.

«Vi ho detto dì sparire da qui!» li esortò nuovamente.

«Non senza una risposta, Virginia» ribatté il tipo che sua madre aveva schiaffeggiato.

«Mamma! Che succede?» Elijah l'affiancò, proteggendola con il suo corpo: si pose fra lei e gli uomini, fronteggiandoli senza paura. Virginia era sbalordita; da settimane suo figlio non le parlava, non l'abbracciava. Il suo cuore esplose di gioia al solo vederlo. Avrebbe voluto parlargli, consolarlo ora che ne aveva l'occasione, ma non poteva ignorare il problema davanti a sé. Quell'incubo andava risolto, e non stava bene che i suoi figli ascoltassero.

«Va di sopra Elijah, non succede niente! Matthias porta via tuo fratello...» ordinò. Ma la sua richiesta rimase un vano tentativo affidato al vento.
Matthias non si mosse, Elijah neppure.

Il sesto senso stava sventolando la bandiera rossa nei loro corpi. Si prospettavano guai imminenti, riuscivano a sentirlo!

«Che diavolo volete?» Elijah fu il primo a esprimersi, le labbra contratte in una smorfia di fastidio.

L'uomo misterioso rispose con una risata beffarda, ma gli occhi tradivano un'oscurità cupa e profonda, come se provenissero dagli abissi del male.
«Esattamente questo, un diavolo!» il tono graffiante con cui lo disse, gli provocò brividi su tutto il corpo.

Matthias deglutì, mostrandosi impervio e senza paura: si fece avanti dando man forte al fratello, deciso, come un baluardo contro il pericolo. Cominciava a capire a cosa si riferisse.
«Avete sentito cos'ha detto mia madre, vi conviene andare via. Non c'è niente che possa interessarvi qui.» Il suo sguardo, freddo e penetrante, sfidava gli uomini misteriosi a disobbedire.

Ma l'uomo si mostrò totalmente indifferente ai loro moniti, anzi: ora sembrava quasi più divertito di prima, come se stesse godendo dello sconcerto che stava seminando.
«Mi piacete entrambi, sapete?» continuò a dire, spocchioso e arrogante.
«Da una parte, Matthias, sei così...risoluto, quasi incanalato nella tua saggia determinazione.»
Rivolse uno sguardo complice al giovane, con un misto di approvazione e sarcasmo.
«Dall'altra, Elijah, sembri così... indomito, un'anima ribelle che non si sottomette facilmente!»

L'uomo sospirò, affondando le mani nella tasche «sarà dura scegliere, ma sono sicuro che insieme troverete un giusto compromesso.»

Il suo tono superbo si interruppe bruscamente quando la madre, fino ad allora in silenzio, alzò la voce con fermezza. «Non acconsentirò mai a una simile assurdità! I miei figli non si uniranno a voi!»

L'uomo rispose con indifferenza, «ci dovrà essere un successore, che lo vogliate o meno. Il clan lo esige! Hai due figli maschi, spetta a loro prendere una decisione, Virginia. Non a te.»

«Che decisione?» s'intromise Elijah, confuso e vagamente irritato.

Matthias, con voce grave e occhi annebbiati dall'ombra di una scelta inevitabile, rispose: «chi di noi due prenderà il posto di papà.»

L'uomo sorrise inorgoglito, come se un dubbio nel petto avesse trovato conferma.
«Come ho detto, sarà difficile scegliere.»
Si voltò bisbigliando qualcosa ai suoi soci. Loro annuirono, tornando alle rispettive macchine.

«Avete due giorni» riprese a dire, mentre li seguiva. «Dopodiché, se non avrete ancora scelto, o se, peggio ancora, vi rifiuterete di ottenere l'incarico, ci saranno delle conseguenze.»
Aprì la portiera, indugiando prima di entrare in auto. Li guardò, entrambi, Elijah e poi Matthias.
Non c'era bisogno di aggiungere altro, il suo avvertimento era chiaro.

«Figlio di puttana!» Elijah scattò: voleva affrontarlo, spaccargli la faccia, ma Matthias lo trattenne.
«Fermo, cazzo!»

L'uomo sogghignò, mentre gli altri due mettevano in moto le berline.
«Due giorni o pagherete l'affronto!»

Elijah era terroizzato, il cuore martellava nel petto, violento come i tuoni durante una tempesta scatenata.
Ma la situazione andò peggiorando quando, con orrore, si accorse che l'uomo misterioso aveva cambiato la traiettoria del suo sguardo. Non era più loro che stava guardando. Il suoi occhi puntavano la piccola Brooke, in piedi davanti al portico.

Garret era un uomo pericoloso.

***


Grindelwald, Svizzera
Presente.


«Sai, ci furono davvero delle conseguenze.»
Elijah e Isabel erano seduti su una panchina ai piedi di una quercia imponente. Lui le stringeva la mano, occasionalmente la baciava, poi la scrutava, osservando le sue reazioni. Era rimasto al suo fianco senza mai allontanarsi. Non avrebbe potuto; Isabel simboleggiava l'ancora che lo teneva aggrappato alla realtà, il suo fragile rifugio. Avrebbe rischiato di impazzire altrimenti: ricordare orrori così funesti si stava rivelando un incubo.
A ogni parola, era come se venisse colpito da centinaia di spilli, una pioggia di aghi taglienti che perforavano la sua mente e il suo cuore.

Stava diventando estenuante, ma doveva resistere.
Era per Isabel che sopportava il dolore.
Sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa per lei. Assolutamente qualsiasi cosa.
Persino ricordare.

Isabel era in lacrime.
Niente, nessuna parola poteva esprimere come si sentisse in quel momento.
Riusciva solo a piangere sommessamente e ad ascoltare.
Ascoltare.
E ascoltare.
In silenzio.
Aveva il cuore a pezzi.

Elijah le scostò una ciocca: lentamente si protese, baciandole la guancia bagnata, con tenerezza.
«Non voglio che piangi», sussurrò.
«Lo detesto!»

Isabel riuscì appena a sorridere: si girò, passando le dita tra i suoi capelli. Malgrado non lo volesse, le lacrime continuavano ad arenarsi sulle sue labbra.
«È un po' difficile in questo caso, non trovi?»

La nebbia che velava i suoi occhi cominciava a dissolversi: ora capiva molte più cose.
Di certo da dove provenisse tutta la rabbia con cui spesso era arrivata a scontrarsi. Anche se mai, mai avrebbe immaginato che la vita di Elijah fosse stata costellata da simili aberrità!
Non poteva crederci.

«Lo so...» Elijah le prese il viso tra le mani. In un impeto decisamente meno casto, cercò le sue labbra, baciandole. Aveva bisogno di quel contatto, come se il coraggio si annidasse tra quelle carni paradisiache, pronto a rinvigorirlo per affrontare la storia.

Isabel si lasciò andare alla sua dolce, appassionata richiesta: inclinò la testa in modo che lui potesse esplorare meglio la sua bocca, con focosa energia, con bisogno intenso, quasi disperato. Era una situazione difficile da affrontare, ma la presenza dell'uno rendeva il peso più leggero per l'altro. L'effetto che, con amore, riuscivano a donarsi reciprocamente si stava dimostrando più forte del previsto.

Aveva paura di scoprire il resto di quell'odissea maledetta; Elijah, enigmatico ma sincero fino al midollo, l'aveva messa in guardia fin dal principio. Diceva il vero quando le aveva preannunciato che la storia sarebbe stata tragica e insidiosa. Tuttavia, sentiva la necessità di conoscerla, di capire cosa l'attendesse da quel momento in avanti.

Sentiva di amarlo, certo, ma fino a che punto?

Isabel si ritrasse pur rimanendogli vicino.
«Cos'è successo dopo?» chiese, fingendo che quella richiesta fosse alla portata delle sue fragili emozioni.

Elijah continuava a guardarla con intensità, la mano posata sulla guancia di Isabel. Dopo il bacio, si sentiva leggermente sollevato, ma un'ombra di paura ancora persisteva. Si appoggiò su un gomito per guardarla meglio, come se cercasse di mettere a fuoco i turbamenti interiori.

«Mh, sai, è curioso, non me lo ricordo più» scherzò, in un attimo di leggerezza.

«Elijah», lo riprese Isabel.
Le labbra le si incresparono in un sorriso complice.
«Dimmi cos'è successo dopo» mormorò.

Elijah ci pensò, poi rispose: «un altro bacio e te lo dico!»

Isabel rise; persino in un momento come quello poteva diventare fastidiosamente ilare!
Scosse la testa, «non se ne parla!»

Allora lui assunse un'espressione più seria, ma vagamente divertita, come se la presa in giro fosse annidata nei suoi occhi.
«Sbagli ancora, fata. Neanche questa è una domanda...»

E, senza darle modo di opporsi, la baciò con maggiore fermezza, sorridendo tra le loro labbra unite. Solo la sua fata poteva procurargli un sollievo così intenso; era la sua morfina preferita!

Isabel cercò di allontanarlo, facendo pressione contro il suo petto, ma Elijah era totalmente, incredibilmente legato a lei, con il cuore e con la lingua.
L'amava e desiderava che lei lo sapesse, sempre, in ogni istante, lì soprattutto, mentre seduti su una sbarra di ferro le raccontava di Lily, del loro giovane amore naufragato. Non voleva che si sentisse in qualche modo "inferiore", né che pensasse che i sentimenti provati per Lily fossero ancor maggiori di quelli che nutriva per lei.

No, Elijah non aveva mai amato nessuno come amava Isabel.

Dopo averle dimostrato con i fatti la veridicità dei suoi sentimenti, le permise di prendere aria, staccandosi da lei. Con le dita percorse il contorno delle sue labbra, «sei qui...» realizzò a voce bassa.

Ci face caso solo allora: Isabel accettava ancora i suoi assalti, le sue carezze, il cuore che le aveva donato.
Era incredibile.

Isabel annuì, i suoi occhi scintillavano amore.
«Sono ancora qui» confermò, poggiando le labbra sul suo polpastrello, baciandolo.

Elijah sorrise: un senso di felicità innata lo colse alla provvista, ma andò via via a spegnersi come una fiamma soffocata dal vento.
"Certo che sei qui, il peggio deve ancora arrivare..." pensò, mentre il peso delle responsabilità lo riportava alla realtà.

D'un tratto, Elijah si allontanò, freddo e brusco infilando le mani nella giacca. Il suo volto si trasformò, diventando più severo, quasi lampante di rabbia.
Era evidente quanto non sopportasse l'idea di perdere Isabel, di accettare la possibilità di un suo rifiuto.
Lo mandava in bestia!

Isabel non riuscì a capire, a motivare la sua reazione.
Nonostante il profondo legame che li univa, c'erano molte sfide che dovevano affrontare insieme, alcune più ostiche di altre, come gli improvvisi sbalzi d'umore di Elijah. Era essenziale che imparasse ad aprirsi con lei, un po' come prima.
Stava andando così bene!

«Ehi, che succede?»
Lei tentò di stabilire un contatto, ma Elijah aveva eretto un muro emotivo intorno a sé. Si alzò dalla panchina, battendo la punta del piede sulla grana del ghiaccio.
Era frustrato, dannatamente frustrato.

«Elijah!» Isabel lo raggiunse «ma che ti prende?» chiese, vagamente allarmata.

«Che mi prende...» ripetè lui, come immerso in chissà quale riflessione.
Si mordicchiò il labbro inferiore, osservando un punto imprecisato del bosco.
«Sono incazzato» le disse in fine, «molto incazzato, con te!»

Isabel lo fissò come se fosse impazzito «con me? Perché?!»

Elijah, girandosi, svelò la paura che lo tormentava. «Perché ti amo, e questa cosa mi terrorizza! Non so se accetterai quello che ho da dirti, e questo pensiero mi sta distruggendo. Non ti impedirei di andare via, ma... non riuscirei ad accettarlo. Mai!» concluse, raddolcendo il tono.

Isabel sospirò, la sua reazione fu istintiva. Si avvicinò rapidamente, abbracciandolo, seppellendo la testa tra le pieghe della sua giacca. Guardandolo dal basso verso l'alto, sussurrò: «Perché non vuoi fidarti di me?»
Ammirava il modo appassionato con cui Elijah la amava. Era un sentimento che la lasciava attonita, che la colpiva profondamente.

«Ti ho già spiegato qual è il problema, Isabel» Elijah le circondò le spalle con entrambe le braccia.
«Non sono disposto a lasciarti...»

«Ma io non voglio andare via!»
«Lo dici adesso!»
«Te lo dirò anche dopo, Elijah!»
«Questo non puoi dirlo!»
«Beh, neanche tu eppure mi stai già sentenziando» disse lei, con un filo di voce.

Elijah trasse un profondo respiro: sentiva il peso della sofferenza di Isabel, leggeva il suo sconcerto, il suo sentirsi offesa. Con dolcezza, le posò una mano sulla nuca, cercando di avvicinarla al suo petto.
Percepiva il calore della sua pelle, voleva averla addosso, nuda come prima.
Erano troppo vestiti per i suoi gusti!

«Sei tutto per me, Isabel. Tutto» sottolineò, come se ciò bastasse a giustificare i suoi dubbi.
«Mi preoccupo per il nostro futuro. Non voglio che la paura ci divida!»

«Non succederà, devi solo fidarti di me!» Isabel gli sfiorò la guancia arrossata dall'aria gelida.
«Dici di amarmi, ma l'amore richiede fiducia reciproca. Senza di essa, come affronteremo le difficoltà, Elijah? Come faremo a superarle?»

A quel punto, Elijah ricominciò a mordersi il labbro, nervoso. Isabel aveva ragione, in realtà lo sapeva fin da quando aveva cominciato a fare il paranoico. Ma quello era l'effetto che la sua fata aveva su di lui, sulla ragione, sul cuore in tempesta. Il compito che lo attendeva era semplice, nulla di estraneo al suo repertorio. Doveva solo fidarsi di lei. In fondo, non aveva alternative.
Le parole di Isabel erano il suo unico porto sicuro, il faro che lo guidava nel vasto oceano dell'incertezza.
Decise di farsele bastare.

Si chinò a baciarle il naso «va bene» acconsentì, senza pronunciarsi oltre. Si avvicinò alla panchina, mettendosi a sedere. Poi, con gentilezza, prese Isabel per mano, tirandola dolcemente verso di sé. Lei, con un sorriso complice, si adagiò sulle sue gambe, creando il loro piccolo spazio di intimità.
Non era molto, ma certamente bastava a entrambi.

«Mi fido di te, fata» sussurrò, una volta che lei si strinse a lui.

Isabel si chinò per baciarlo, di nuovo, ma si fermò a pochi centimetri dalle sue labbra.
«E allora, dimmi...» sussurrò, sfiorandole appena.
«Cosa accadde dopo?»
Infine, lo baciò con grazia straordinaria, delicata come una piuma.

In quell'attimo, Elijah rafforzò la sua certezza: il paradiso non era soltanto una terra promessa, ma dimorava in lei, in Isabel.
L'angelo giunto per salvarlo.

Cristo, quanto la amava.

«Rapirono Brooke» Elijah riprese fiato, mentre la guardava. Deglutì, ma lo fece a fatica poiché la gola sembrava stringersi, ostacolandogli persino il respiro.

Isabel inorridì, il suo volto rifletteva sconcerto.
Era profondamente scossa, incapace di concepire che un ragazzo di quindici anni avesse vissuto un calvario così atroce. Con voce intrisa di angoscia, chiese: «Perché non volevate assumere il ruolo di tuo padre, giusto?» anche se la risposta era ovvia.

Elijah annuì. «Sì...» prese un lungo respiro, uno di quei respiri che sembrano contenere un peso imponderabile.
Poi continuò, con immensa fatica.

«Dopo che gli uomini andarono via, io e Matthias discutemmo sulla loro offerta. Nessuno dei due voleva portare il peso di una scelta così devastante: assumere il ruolo di mio padre avrebbe significato annientare la nostra vita, demolirla completamente. Le implicazioni erano spaventose - uno di noi due avrebbe ereditato tutto, il suo schifosissimo impero, le aziende commerciali, i club notturni; qualsiasi atrocità commessa da mio padre sarebbe ricaduta sulle nostre teste. Non potevamo permetterlo, mio padre era morto cazzo, non poteva più farci del male! Così decidemmo: avremmo rifiutato, entrambi...»

Si interruppe.
Ispirò ancora, profondamente, poi esalò con calma.
«Due giorni dopo, quegli uomini tornarono. Non dimenticherò mai l'espressione di goduria sul viso di quel losco individuo quando gli comunicammo la nostra decisione. La sua reazione fu immediata: immobilizzarono me e Matthias, poi irruppero alla villa. Brooke giaceva ancora addormentata quando subì l'aggressione. La portarono giù, mia madre urlava e piangeva; persino Benjamin si fece avanti per difenderla, ma venne spinto via. Ci informarono che avevamo altri due giorni per "riflettere con più attenzione", minacciando di uccidere Brooke se non avessimo ceduto alle loro richieste...»

«Mio Dio! Elijah» Isabel si protese, pronta a tirarlo in un abbraccio, ma Elijah la fermò. Non avrebbe potuto continuare il discorso se si fosse abbandonato alle sue carezze. Era un rituale doloroso che si ripeteva nel tempo, come accaduto con sua madre prima di lei. Scelte difficili che persistevano, seppur manifestandosi in modi diversi.

«Dovevamo scegliere, non c'era tempo. Non sapevamo chi fossero quegli uomini, né che intenzioni avessero. Avevo già perso Lily, se avessero fatto del male anche Brooke io, io...» scosse la testa, respingendo il pensiero.
«Non potevo permetterlo! Così, io e Matthias ci riunimmo ancora, gli dissi che sarei stato io a prendere il posto di papà, ma lui rifiutò era categorico. A quel punto, sperando che cambiassi idea, mi confessò il motivo che lo aveva spinto a uccidere nostro padre: voleva salvarmi l'anima, Isabel. Mio fratello ha cercato di liberarmi dalla condanna eterna, il mio cazzo di fratello aveva sacrificato la sua anima per permettere alla mia di raggiungere Lily. Era questa, solo questa la ragione per cui lo aveva pugnalato...»

Sentì qualcosa di umido sulla guancia.
Una lacrima. Era stato lui, Elijah a versarla.
«Mi abbracciò, dicendomi che mi amava e che non avrebbe mai vissuto senza suo fratello, senza Brooke o la mamma, eravamo troppo importanti. Ma anche loro lo erano, erano tutto per me, come lo sei tu fata...»

Isabel aprì la bocca, intenzionata a rispondere, ma non riuscì a proferire parola. Si sentiva sopraffatta dalla tristezza, dalla sofferenza.

«Tornai nella mia stanza, quella sera decisi di mangiare, di non chiudermi a chiave. Lessi il biglietto che mi aveva lasciato Brooke, e piansi. Matthias mi raggiunse, e pianse insieme a me. Non c'era nulla di eclatante nelle sue parole, solo un "ti voglio bene" pasticciato di colori. Rivolevo mia sorella, la serenità della mia famiglia, ma poi riflettei: eravamo nati in mezzo a un campo di battaglia, la guerra avrebbe fatto parte della nostra vita che lo volessimo o meno.
Non potevo cambiare un destino già scritto, ma senz'altro potevo salvare la vita ai miei fratelli. Avrei preso il posto di papà, avevo deciso, non sarei tornato sui miei passi, ma... sapevo che Matthias non l'avrebbe mai accettato, anzi: era lui a voler prendere il comando. Voleva salvarmi un'ennesima volta, probabilmente. Ma no, Dio! Non gli avrei mai permesso di fare una cosa simile: lui si era già condannato l'anima, non potevo permettere che gettasse via anche il resto della sua vita.»

Elijah s'interruppe: con dolcezza, raccoglié una lacrima dalla guancia di Isabel.
Detestava vederla piangere.
Lo detestava proprio.

«Finsi di accettare il suo patto e andammo a dormire. Il giorno dopo, fui io a contattare quegli uomini. Tra i fogli che mia madre aveva gettato a terra, oltre al numero di telefono, trovai un testamento. Scoprii che mio padre aveva il cancro e sarebbe morto in ogni caso. Gli restavano pochi giorni, forse qualche settimana: il figlio di puttana si era fatto ammazzare per accelerare il processo di transazione dei beni. È morto ottenendo esattamente ciò che voleva. Matthias aveva ragione, lui ha sempre ragione.»

Elijah ridacchiò: quanto poteva essere tragicamente ironica la vita, a volte?

«Ad ogni modo, dissi a quegli uomini che avevamo preso una decisione: sarei stato io a sostituire James, a loro andava bene. Mi diedero appuntamento per quello stesso pomeriggio: io avrei firmato i documenti e loro mi avrebbero restituito Brooke, questo era il patto, semplice e chiaro; accettai. Chiesi a Benjamin di aiutarmi, dovevo impedire che Matthias lo scoprisse, che mi impedisse di presentarmi all'incontro. Fu complicato ma alla fine trovammo un modo, anzi fu lui stesso ad agevolarci...»

Ancora una volta Elijah si bloccò, rimanendo per un istante perfettamente immobile. Una statua di marmo, il cui cuore veniva scalfito dalle ferite del passato.

«Vuoi sapere cos'altro non dimenticherò mai?» chiese, senza aspettarsi davvero una risposta.
«Le sue grida quando scoprì che me ne stavo andando, le sue suppliche: era affacciato al balcone quando uscì in giardino, la Rolls Royce che avevano mandato mi stava già aspettando. Non poteva raggiungermi, lo avevamo rinchiuso nella dependance mentre dormiva. Non avevo avuto scelta...» sussurrò. «Lo guardai senza dirgli niente, non sono mai stato un uomo di grandi parole, Isabel. Speravo solo che un giorno sarebbe riuscito a perdonarmi.» 

Abbassò lo sguardo, incapace di reggere il peso della sofferenza. Isabel poggiò la fronte sulla sua: delicatamente si sporse a baciargli la guancia, gli angoli degli occhi e delle labbra. E per tutto il tempo lo tenne stretto, come se le sue esili braccia potessero sostenere il macigno che gravava sul petto di Elijah. Lentamente gli prese il viso tra le mani, scrutandolo con amore e compassione.

Ora, anche Elijah piangeva: le lacrime gli scivolavano via come gocce di pioggia sul vetro di una finestra.
«Sono diventato un mostro, Isabel, un mostro. Non merito il tuo amore, non lo merito...» riconobbe, con voce tremolante.

Isabel scosse leggermente il capo, «no, non è vero!»
Lo attirò a sé, e cogliendolo alla sprovvista incollò le labbra sulle sue, baciandolo.
Ancora.
E ancora.
Senza interruzioni, senza allontanarsi; perché all'improvviso, tutto divenne più chiaro ai suoi occhi, limpido, cristallino.

Solo allora riuscì a capire come si era innamorata di Elijah, perché in mezzo alla sofferenza e all'odio avesse trovato spazio per l'amore: il cuore vede dove gli occhi non possono arrivare. Attraverso l'irraggiungibile della comprensione umana, oltre la razionalità. La testa, spesso, ci annebbia la vista, mentre l'innata saggezza del cuore ci rende liberi.

E il suo sapeva tutto, aveva capito da un pezzo chi fosse Elijah Brown!

«Nessuno e niente al di fuori di te, Elijah, è degno del mio amore!»

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