Capitolo trentasei

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"La proposta"

La gente ha bisogno di un mostro in cui credere.
Un nemico vero e orribile.
Un demone in contrasto
col quale definire la propria identità.
Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi.
-CHUCK PALAHNIUK

Elijah era già stato baciato da Isabel, ma quella volta si trovò totalmente impreparato all'impeto con cui cercava la sua lingua, con cui lo tirava a sé, lo stringeva, come se entrambi fossero un'unica cosa, come se l'uno fosse ossigeno per l'altro.

Si sentiva dannatamente fortunato, felice.
Quel bacio portava con sé un sapore nuovo, di consapevolezza, di vero sentimento!
Le credeva quando diceva di amarlo, voleva disperatamente crederci, con tutto sé stesso.
E non perché ne avesse bisogno ma perché lo desiderava davvero.
Voleva Isabel.

Ogni cosa, avrebbe amato ogni aspetto di lei: la zia Clorinda sarebbe diventata un pilastro nella sua famiglia, la modesta dimora in cui l'aveva trovata si sarebbe trasformata nella sua reggia preferita.
La scuola sarebbe diventata una priorità, il giardinaggio un mestiere, una dannata vocazione.
E infine, spinto da un coraggio indomito, avrebbe cercato il perdono di Thómas, tentando la via della riconciliazione.

Non gli importava di nulla, tranne che di lei, la sua fata uscita da un libro di fiabe scritto appositamente per lui. Era certo che qualcuno si fosse preso la briga di inventarla in una giornata di pioggia, con l'unico scopo di portare il sole nella sua esistenza. Quella donna rappresentava esattamente ciò, pura luce capace di dissipare le tenebre più oscure e violente.
Le sue tenebre.

Ma prima doveva avere la certezza che anche lei lo accettasse interamente: lui, i suoi demoni, il suo cuore marcio, malato che lottava per guarire. Voleva essere degno del suo amore, della sua purezza e straordinaria bontà.

In quel momento, comprese che il loro amore non era solo un'utopia, ma una storia reale, pronta a svelare la bellezza di una vita condivisa se solo si fosse giocato bene le sue carte.

Già, se solo lo avesse fatto. 

Una consapevolezza dolorosa si insinuò in lui come un'ombra. Ogni volta che posava lo sguardo su di lei, l'anima gli urlava dentro: non reggeva il peso della sua innocenza. Isabel, pura e luminosa, sembrava priva di peccati, e lui temeva di sporcarla, di macchiarla con le sue imperfezioni. Si sentiva in torto, come se l'avesse ingannata nel permetterle di amarlo, consapevole di non meritare il dono prezioso che lei gli stava offrendo.

L'amore che provava per Isabel sfidava la razionalità, cresceva in maniera esponenziale fino a consumargli il cuore nel petto. Si odiava per questo, non tollerava la sensazione di sconforto che lo stringeva, soffocandolo ogni volta che lei gli dichiarava il suo amore.
Non era alla sua altezza, Isabel era troppo, troppo preziosa per lui.

Non la meritava nonostante gli sforzi di lei per dimostrare il contrario.

«Isabel...» Elijah la allontanò delicatamente, interrompendo il bacio. Isabel lo guardò con occhi curiosi, in attesa di comprenderne il motivo.
«La storia non è ancora finita, perché mi stai baciando?» le chiese, il tono grave, significativo.

«Perché sono felice...» rispose lei, con uno splendore di gioia nei suoi occhi.

«Sei felice?»

Isabel annuì.
«Adesso so perché ti amo...»

Qualcosa dentro di lui scattò: eccolo lì, il senso di colpa, viscido come un verme.
«Isabel...»

«Fammi finire!»
Lei gli posò un dito sulle labbra.
«Ho visto chi sei davvero, Elijah. Un uomo buono, frantumato dal dolore. Le ferite ti hanno cambiato in qualcuno che nel profondo non sei, spingendoti a credere erroneamente di essere malvagio. Ma no!»
Isabel scosse la testa.
«Sei dolce, attento, sincero! Parli di Lily, di Matthias e di come hai cercato di salvarlo, di tua sorella e del sacrificio che hai fatto per proteggerla...Un uomo senza cuore si impegnerebbe in gesti così altruistici?»

Isabel cercò di sollevare il suo viso, ma Elijah desistette. Non poteva permettersi di guardarla, altrimenti avrebbe corso il rischio di baciarla fino a perdersi in lei. Poi l'avrebbe portata nella Jeep, l'avrebbe spogliata e fatta sua, mandando all'aria ogni proposito precedentemente stabilito.

Di nuovo.

La dolcezza di Isabel si stava rivelando la sua più grande vulnerabilità.

«Non permettere a quel fardello di farti dubitare del tuo valore...» riprese a dire lei, incapace di rassegnarsi.
«Perché sei più di questo. Sei la mia gioia, Elijah.»

Elijah non seppe che dire. Era sconcertato. Lui, l'uomo oscuro e tetro delle caverne, si ritrovava amato e lodato dalla creatura fatata più bella che avesse mai incrociato il suo cammino.
Qual era la cosa giusta da fare?

Il fuoco della tentazione cominciava a torturarlo: cedere a impulsi fuori luogo e immotivati in quel momento sarebbe stato da folli, da pazzi incoscienti! Non poteva permettere a quella donna di ammaliarlo. Lui era più di questo, era un uomo buono, giusto?
Un uomo "meritevole", almeno secondo le parole di Isabel, di affetto e misericordia.

Ma era vero?

La domanda martellava la sua mente.
Se doveva chiederselo la risposta non era poi così certa.
Il dubbio si faceva conferma: forse non era davvero un uomo "degno" come lei sosteneva.

La rabbia iniziò a crescere, accecandolo, rendendolo nervoso, infuriato. Isabel aveva ragione. Elijah non accettava completamente che lei lo amasse, sebbene il suo affetto fosse vitale per lui, indispensabile come una preghiera per Cristo. 

Perché la verità era un'altra.
Lui non era buono e tutt'ora non si sentiva cambiato: un po' per la lussuria accecante, un po' per i suoi irrimediabili peccati.

Persino tra le braccia Isabel, il male continuava a distruggerlo.

La guardò, i suoi occhi brillavano d'ira come una tempesta in arrivo, ma nel loro abisso si celava un amore ardente, intenso e mai provato prima.
Le prese la mano e l'avvicinò alle labbra; Isabel sentì il suo respiro solleticarle le pelle.

«Non so come abbia fatto a vivere senza di te in tutti questi anni, non lo so» ripeté.
Poi si concentrò nuovamente su di lei, lasciando piccoli baci sul dorso della mano che teneva stretta. Lentamente, la aprì e se la poggiò sulla guancia.
«Ma non mi sentirò mai alla tua altezza, Isabel. Ti ho ferita, ti ho condannato a una vita orribile che non meritavi...»

L'espressione di Isabel si ammorbidì, quasi rise «mi hai condannata?» ripetè, vagamente irrisoria.
Scosse la testa «no, Elijah anche tu mi hai salvata!»

Elijah la scrutò attentamente: «che intendi dire?» chiese.

Allora, l'espressione di Isabel si incupì; si strinse nelle spalle, come se quel gesto potesse spiegare ogni cosa.
«Tu credi che fossi felice prima di te? La mia vita era...così piatta e grigia. Ogni mattina mi svegliavo, preparavo il pranzo, andavo a scuola; non parlavo con nessuno a parte i miei alunni. Amavo il mio lavoro, non per la paga, che a dire il vero era piuttosto modesta, ma perché insegnare mi appassionava. Era l'unico spiraglio di luce nella mia vita, ma si spegneva ogni volta che tornavo a casa. Dopo la malattia della zia Clorinda, mi sono ritrovata ancora più sola di prima. Non avevo niente, niente e nessuno, eravamo solo io e i ricordi che mi restavano di lei...»

Isabel lasciò la frase in sospeso, guardandolo.
Si riappropriò della capacità di parola solo quando Elijah la esortò a continuare. Gli faceva male sapere che la vita di Isabel fosse stata tutto tranne che spensierata, bastava quello a farlo scattare, a intensificare la sua rabbia.
Non lo sopportava!
«E poi mi hai conosciuto...» disse allora lui, come a voler sottolineare che il suo arrivo avesse peggiorato tutto.

«E poi ti ho conosciuto, sì» fece eco Isabel, sorridendo. Poi gli svelò un'altra verità, di quelle scioccanti e sincere, capaci di lasciare senza fiato persino un uomo come Elijah Brown.
«Ma non è stato un male.»

Elijah respinse dentro di sé quell'idea assurda: no, non era un bene che lui l'avesse conquistata, nonostante fosse lei stessa a ripeterlo.
«Sì, invece!» ribatté con fermezza.

«No!» Isabel gli posò la mano libera sul petto, o almeno ci provò, considerando gli strati di stoffa che separavano i loro corpi.

«È vero, anch'io credevo che avessi rovinato la mia vita, che il tuo arrivo non avesse un motivo a parte quello di farmi soffrire. Ma poi...poi è cambiato tutto, Elijah. Mi hai mostrato chi sei, i tuoi sentimenti, la tua anima, il cuore, belli come un tramonto. Il modo in cui mi hai rincorsa convincendomi a ricambiare il tuo amore, le tue premure, il tuo continuo lottare per me, per la mia incolumità...» fece una pausa, ispirando, come se ogni dettaglio dell'elenco la emozionasse.

«Mi hai fatto cambiare idea; non sempre quello che vogliamo è ciò di cui abbiamo bisogno, e tu me l'hai dimostrato. Sognavo un uomo totalmente diverso da te, e invece... è proprio di te che mi sono innamorata.»

Elijah la guardò con tale intensità che, per un istante, sembrò fondersi con i suoi occhi.
Si sentì incredibilmente commosso, estasiato, come se le parole di Isabel avessero acceso una luce in un angolo buio del suo cuore. Ancora una volta lo aveva ammutolito. Cominciava a diventare una piacevole abitudine.

Stava per dire che anche lui l'amava, anzi, che l'adorava e che sinceramente non avrebbe immaginato di vivere senza di lei.
Si sarebbe ucciso piuttosto.
Tuttavia, qualcosa nel suo discorso lo infastidì, senza alcun motivo apparente.

«Un uomo diverso, che uomo?»
Nonostante la domanda potesse sembrare ingenua, Elijah la pronunciò con una serietà straordinaria.
Era fin troppo serio!

Isabel lo guardò: avrebbe preferito non ridere, ma non riuscì a trattenersi.
«Di tutto quello che ti ho detto, hai capito solo questo!» commentò incredula.

Ma lui ignorò ogni tentativo di sdrammatizzare.
«Isabel, che uomo» sibilò, duro, irremovibile.

«Elijah, non puoi essere geloso di una fantasia!»

E non sbagliava nel dirlo: la sua reazione era del tutto illogica e immotivata. Senza senso, e tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi irritato, sofferente.
Lei accanto a un altro uomo.
Gli umani sbagliavano a dire che l'inferno era un luogo; no, gli inferi erano quel maledetto pensiero.

«Tu sei mia, fata, mia!» Elijah le strinse la carne attorno alle cosce. La stava rivendicando, lì sì, in modo totalmente sciocco e impulsivo, ma non gli importava.
Lei era sua.
Doveva tenerlo bene a mente.
Sempre.

«Au! Elijah!» lo rimproverò Isabel, «mi fai male!»

«Anche tu quando mi dici queste cose!» replicò lui, allentando la presa.

«Ma quali cose, ti ho detto che ti amo nonostante il tuo carattere!»

«Sì, e dopo hai aggiunto che sognavi un uomo diverso da me, non mentire!» la riprese Elijah.

Isabel rimase inebetita, senza parole.
Non poteva credere che si fosse realmente arrabbiato per quella frase.
«Elijah tu sei pazzo!» esclamò, ma il suo tono era...quasi dolce, divertito. Non riusciva a odiare l'ardore con cui la voleva tutta per sé.
Anzi, la eccitava.

«Mh, è vero» Elijah schiuse le labbra lasciando intravedere la punta della lingua tra i denti, poi le rivolse un sorriso lascivo.
«Ma lo sarei di più senza di te!»

Isabel gli carezzò la guancia, salendo fin sopra ai capelli. «Bugiardo...»

«No, sono sincero, fata. Mi sentirei incompleto senza te, in balia degli eventi, del futuro, del dolore, come un ramoscello alla mercé della brezza» la fissò con occhi pieni d'amore.
«Ti amo e non importa se per dimostrartelo dovrò fare il pazzo, lo farò...» Elijah le sfiorò il viso.
«Ti amo, fata, ti amo. Ti amo più della mia vita e so che questo non è un paragone appropriato dato che la odio, ma per te sarei pronto a rinunciarci. Mi ucciderei, sacrificherei tutto, ogni cosa per te, per noi, per vederti felice... No, ehi, basta piangere!»

Isabel si toccò le guance e si accorse che erano umide: stava piangendo veramente. Era così immersa nell'ascoltarlo, concentrata sulle sue parole, da non accorgersi che il cuore non reggeva l'emozione.
Si era commossa, perché dopo aver vissuto nell'ombra, ora si sentiva incredibilmente felice.
Viva, entusiasta.

Elijah la guardava preoccupato, incapace di dare un senso alle sue lacrime.
«Isabel?» sussurrò. «Ehi, perché...»

Ma non riuscì a terminare la frase.
Isabel lo baciò, piano, dolcemente, ispirando a pieno il suo buon odore. Elijah la strinse, la strinse così forte che Isabel credette di non avere più fiato.
La passione, la voglia di lei cominciavano a palesarsi con insistenza.
Doveva fermarla, doveva assolutamente!

«Isabel, non ho finito di raccontarti...» mormorò, ritraendosi.

«Andiamo a casa, vuoi?» lo interruppe, la voce tradita dall'emozione. «Comincia a fare freddo, qui...»

«Sai che non parleremmo a casa» le disse, mentre piegava la bocca in un sorriso eloquente.

«Allora andiamo nella Jeep!»

«Non lo faremmo neanche lì, fatina.»

«E allora parliamone dopo...» Isabel sprofondò il viso tra l'incavo del suo collo. Lo percorse, sfiorandolo con la punta del naso.

Elijah avvertì un brivido sottile e persistente sulla pelle, un formicolio che si diffondeva in modo devastante. Ogni contatto con Isabel generava una corrente elettrica di piacere, lo faceva vibrare di desiderio!

«Isabel» la canzonò lui, «non provocarmi!»

Ma Isabel sembrò non ascoltare: ora erano i baci che gli dava lungo la curva a renderlo impaziente.
«Isabel!» la riprese ancora, temendo di esplodere da un momento all'altro.

Isabel si arrese, sbuffando. Incrociò le braccia e si allontanò da Elijah, il suo sguardo manifestava chiaramente una protesta decisa.
«Tu lo fai sempre!»
«Cosa?»
«Provocarmi!»
«È...diverso», fece lui.
«È esattamente uguale, Elijah.»
«Può darsi, ma stavolta voglio parlare...» le percorse la guancia con l'indice fino ad arrivare alla bocca.
La sfiorò.
Ne voleva ancora, voleva lei!

Isabel trattenne il respiro.
«Non mi avevi detto che odi conversare a vanvera?»

«Troviamo un argomento, allora.»

«Quello che ho in mente non implica la conversazione.»
Lo sguardo di Isabel si fece tremendamente malizioso.
Elijah dovette supplicare sé stesso per evitare di denudarla sulla panchina.

«Nemmeno il mio», rispose con calma, la stessa che cercava di imporre alla protuberanza nei suoi pantaloni.
«Ma sto cercando di ignorarlo, e se qualcuno qui non fosse così bella» e lì le sfiorò la punta del naso col dito, «ci riuscirei di certo...»

Le strappò un sorriso, Elijah era così abile in questo.
In realtà, brillava in molte cose: nel confonderla, nel renderla docile, dipendente da lui. Dai suoi occhi penetranti al modo rude con cui la sbatteva sul letto, fino a strapparle i vestiti di dosso e a possederla completamente. Elijah rappresentava la sua più grande tentazione. Era la contraddizione più assurda della sua vita. Lo odiava e amava con la stessa intensità, con una perversa follia. Non riusciva a stargli lontano, anche se consapevole che era la causa della sua perdizione.

«Ultimamente mi dici "no" troppo spesso, sai?»
Isabel gli avvolse le braccia attorno al collo, poggiando la fronte sulla sua.

«È frustrante, vero?» chiese lui, con un sorrisetto diabolico. Elijah faceva chiaro riferimento a tutte le volte in cui l'aveva desiderata con insistenza, ricevendo solo rifiuti e insulti della peggiore specie.
Si meritava ogni respinta, ma trattenere il fuoco della passione era stato, così...
Così...
Difficile e struggente!

Era compiaciuto che ora anche lei sperimentasse lo stesso tormento.
Isabel distolse lo sguardo: non voleva ammetterlo, ma il guizzo che Elijah le notò sulle labbra, la tradì.
«È vero è frustrante. Ma ehi! Non puoi rimproverarmi eri un uomo detestabile, non ti sopportavo neanche!»

«Lo so, non devi giustificarti con me, fata. Ti ho fatta soffrire, in realtà ho fatto soffrire tante persone, troppe che ho perso il conto...» gemette sconfortato.
I pensieri intrusivi, oscuri, dolorosi, erano sempre lì, in agguato, pronti a rovinare momenti essenziali, importanti come quello.

Contemporaneamente Isabel vide il suo sconforto, la malinconia che gli scurò il viso.
La sentì dentro in qualche modo, fino alle ossa.
Era pentito in maniera sincera, ma ora desiderava conoscere i motivi legati al suo rimorso.
A tal proposito, aveva ancora qualche domanda prima di lasciarlo proseguire col racconto.
«Che mi dici di Rosalind?» domandò.
Era nervosa ma cercava di nasconderlo sotto una sottile patina di controllo.
«Gli strip club li hai...li hai ereditati, okay...»

Anche se no, non era okay; non andava bene per niente. Odiava l'idea di vedere l'uomo che amava immerso in ambienti così oscuri e carichi di decadimento.
«Ma l'hai costretta davvero a lavorarci?»

Elijah non rispose immediatamente. In realtà, dentro di sé, cercava il coraggio che sembrava essersi dileguato. Alla fine, non riuscendo a trovarlo, annuì come rassegnato. Non osava alzare lo sguardo, temendo di trovarsi di fronte al giudizio eterno, come se stesse scontando i suoi peccati di fronte al creatore.

Isabel prese un lungo respiro, profondo e pesante come un macigno. Rosalind aveva ragione, quindi non le aveva mentito. Quell'assurda considerazione le provocò un giramento. Rimosse lentamente le braccia che aveva attorno al collo di Elijah, come se stesse cercando di liberarsi da un'opprimente sensazione. Mentre faceva per ritrarsi, però, lui la immobilizzò, afferrandola per i fianchi.

«Ou! Sta buona!» le intimò, fraintendendo il suo gesto. Pensava erroneamente che Isabel stesse cercando di allontanarsi, quando in realtà voleva solo trovare una posizione più comoda.

Isabel corresse prontamente l'equivoco. «Rilassati, cercavo solo di sistemarmi meglio», replicò, sottolineando la sua irritazione.

«È vero, ho sbagliato», cominciò a dire lui, cercando con cura le prossime parole, «ma Rosalind non ti ha raccontato tutta la storia. In realtà, credo che l'abbia persino distorta.»

Con uno sguardo inviperito, Isabel lo incitò a continuare. «Parla! E sii sincero...»

Elijah sembrò non apprezzare il suo ammonito.
«Sono sempre sincero con te, fata» rispose secco.
«Ormai dovresti saperlo!» 

Isabel non proferì parola, evitò persino di rispondergli. Era vero certo, Elijah non le mentiva mai, ma in quel momento la consapevolezza sembrava non bastarle.
Era arrabbiata, molto arrabbiata.
Incrociò le braccia al petto, pur rimanendo dov'era.
In tutta franchezza, preferiva tornare a sedersi sulla panchina, ma lui non glielo avrebbe permesso.
La voleva lì, sulle sue ginocchia.

Elijah tentò di avvicinarla a sé, di scioglierla con baci dolci, affettuosi: prima sulle guance, poi lungo la linea sottile del viso, risalendo sulle tempie e giungendo alla carne morbida del collo.
Cristo, odiava sentirla distante!
Tuttavia, nonostante il suo impegno considerevole, Isabel sembrava una lastra di marmo, non si mosse di un millimetro. Elijah sospirò, abbandonando l'idea di un avvicinamento.
In fondo, non poteva aspettarsi altro!

«È vero, ho costretto lei e suo padre Roger a lavorare per me al Passion, è così che si chiama il locale» cominciò a dire lui, con tono grave.
«Ma non perché lo volessi; sono stato costretto ad arrivare a tanto.»

Isabel corrugò la fronte; nonostante il silenzio, Elijah capì che lo stava incitando a continuare.
E così fece.

«La nostra storia era cominciata bene, andavamo d'accordo. Rosalind è stata la prima donna che ho frequentato dopo Lily, e non nego che una volta mi piacesse. Ma è stato tanto tempo fa!» specificò.
Credeva non ci fosse bisogno, ma lo sguardo assassino di Isabel sembrava affermare il contrario.

«Comunque, una sera finimmo a... letto insieme, ma suo padre ci scoprì. Voleva uccidermi e uccidere anche Rosalind, a dire il vero. Ma lo convinsi a non fare stupidaggini. I Brown già governavano su Franciville, non avrebbe avuto speranza contro di noi. Rosalind mi aiutò a fargli cambiare idea. Ci salutammo addirittura, credevo avesse deposto l'ascia di guerra, ma quel folle psicopatico aveva appena cominciato...»

Elijah si grattò la fronte, visibilmente in difficoltà. «Perseguitava me e i miei fratelli, li tormentava. Una volta tentò di fare del male a Brooke, probabilmente seguendo la regola dell'occhio per occhio. Volevo ucciderlo! Ma Rosalind mi convinse a lasciarlo andare, a non usare la violenza. Le diedi ascolto. Nel frattempo, la nostra storia continuava, ma presto mi resi conto che non ricambiavo i suoi sentimenti. Rosalind provava qualcosa per me, ma io no. Glielo confessai, volevo essere sincero con lei, ma non la prese bene. Mi accusò di averla usata, di averla ferita. Volevo che capisse le mie ragioni: non avevo bisogno di spingermi a tanto, avrei potuto avere chiunque eppure avevo scelto lei. Ma non volle sentire ragioni...»

Isabel deglutì; sentiva tante emozioni contrastanti. Era incapace di stabilire quale parte del suo racconto la stesse ferendo di più.

«Per vendicarsi prese parte ai dispetti del padre: cominciò a mandarmi lettere moleste, a seguirmi a lavoro, al Passion, ovunque andassi c'era lei a dare fastidio. La ignorai più che potetti, sperando che prima o poi si sarebbe arresa, ma come suo padre non fece che peggiorare. Finirono per superare il limite: cercarono di dare fuoco alla galleria d'arte di mia madre! Lei adorava il disegno, dipingere intere pareti bianche. Feci costruire quell'edificio per rallegrarla: nell'ultimo periodo le sue condizioni si stavano aggravando, volevo che se ne andasse in pace...»

E lì si interruppe, come se fosse pervaso da un profondo male fisico. Parlare di sua madre era una sofferenza per lui.

«Non potevo sorvolare su una cosa del genere, Isabel, non potevo! Col cazzo che li avrei lasciati impuniti. In quel periodo al Passion mi servivano dipendenti, non trovavo nessuno. Perciò, per saldare il debito che avevano con me, li assunsi, o meglio, li costrinsi a lavorare per me, sì. Ma è importante sottolineare che non ho mai obbligato Rosalind a fare qualcosa che non volesse: lei serviva al bancone, mentre suo padre si occupa delle pulizie. Nessuno l'ha mai toccata, nessuno le ha fatto del male, c'è la security all'interno del locale, garantisce la sicurezza di tutte le ragazze che lavorano al Passion.»

Elijah la osservò attentamente, scrutando la sua reazione. Isabel sembrava triste, in qualche modo offesa, eppure la ragione precisa le sfuggiva: forse provava gelosia, non gradiva l'idea di immaginarlo con Rosalind, anzi le dava il voltastomaco!
Il night club, poi, non aiutava affatto.

In quel momento, si sforzò di mantenere un pensiero positivo: "È il passato, Isabel, solo il passato", si ripetè incessantemente.
Ancora e ancora.

Almeno ora sapeva che Rosalind, in parte, mentiva. Elijah non l'aveva imprigionata per cattiveria, ma per disperazione e necessità.
Era un'idea già più sopportabile.

«Fata...» Elijah la richiamò: con le dita le sollevò delicatamente il viso, in modo che potesse incontrare i suoi occhi.
Erano meravigliosi, di una dolcezza malinconica.
«Tu sai che io ti amo, ti amo troppo,» disse lui, in tono dimesso.
«Il mio passato non ha niente a che vedere con il mio presente, con te, con noi

Si protese come se volesse baciarla, ma si fermò a parlarle sulle labbra.
«E voglio dimostratelo...»
Isabel sentì il cuore balzare fuori dal petto: sorrise, sfregando il naso contro il suo.
«Come?» chiese, la voce appena udibile.

Elijah le sorrise, in un modo che Isabel non gli aveva mai visto fare: sembrava quasi...emozionato.
Dalla tasca lo vide estrarre un piccolo cofanetto blu, che poi si affrettò a passarle.
«Aprilo», le disse, con una gentilezza insolita nei toni.

Isabel scrutò l'oggetto misterioso, sentendo quasi un mancamento.
Conosceva il suo contenuto; un regalo di quelle dimensioni poteva che custodire solo una cosa...
Carezzò la scatolina in velluto, temporeggiando.
Ora il cuore le batteva più veloce, le mani sudavano.

E quando finalmente la aprì, le sfuggì quasi una lacrima, anzi tutte quelle che le erano rimaste.
Aveva ragione: era un anello di diamanti.

«Apparteneva a mia madre», Elijah gustava ogni emozione sul volto di Isabel. Non voleva perdersi nulla.
«Le avevo promesso che lo avrei dato alla persona giusta un giorno, quella che mi avrebbe guarito rubandomi il cuore. E tu ce l'hai, Isabel. Hai il mio cuore, la mia anima, ogni cosa che è mia ora è anche tua. Io sono tuo, completamente tuo...»

Elijah le pose un bacio sulla fronte, poi sulle labbra tremolanti.
«Sarai tu, al termine della storia, a dirmi cos'è questo anello per te. Può rappresentare una promessa, un impegno o semplicemente un regalo. Ma voglio che sia tu ad averlo, solo tu!»

«Elijah...» Isabel era paralizzata.
Riusciva solo a piangere sommessamente, con la gioia che le scoppiava nel petto.
«Ti amo...» sussurrò, «ti amo!»

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