Capitolo trentatre

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"La verità sta nel principio,
e il principio è la fine"


Perdonami se puoi, dolce fiore dell'anima mia,
perché io senza te non so stare.
-DARK FLOWER


«E se non dovessi piacerle?»
Isabel rimase immobile accanto alla porta mentre Elijah le chiudeva il cappotto bianco che aveva scelto per lei. Quel colore, così puro e immacolato, si adattava perfettamente al viso innocente della sua fata. Doveva mantenere il controllo, altrimenti avrebbe rischiato di cedere di nuovo alla voglia intensa che aveva di lei.

Ora soprattutto, mentre la vedeva agitata e nervosa in modo quasi adorabile.
Era cosi dolce e splendida.
Splendida come nessun'altra al mondo. 

Alla fine, dopo aver terminato il loro infinito amplesso, erano riusciti ad abbandonare la vasca e a consumare la colazione preparata da Elijah.
Era stato complicato staccarsi da Isabel, ma ignorando le difficoltà del caso, ce l'aveva fatta. Non tollerava nemmeno la più frivola delle distanze, nulla che potesse separarli, neanche se a compiere tale assurdità fossero lo spazio, l'aria o la terra circostante.

Era un uomo folle, non c'era dubbio.
O forse, solo un uomo innamorato.
Dannatamente innamorato.

«Ti adorerà, ne sono certo» rispose, finendo di abbottonarle il soprabito.

Isabel prese a tormentarsi le dita, abbassando lo sguardo sugli stivali che continuava a battere inquietamente.
«Non lo so, Elijah. E se fosse troppo presto? Cosa dovrei dirle? Salve signora, sono l'amante di suo figlio?» farfugliò, agitando le mani e rivolgendo le parole a un'interlocutrice immaginaria.

L'espressione di Elijah si fece più dura «amante
ripetè.
«Ma quale amante, di che diavolo parli!»
Con un tonfo chiuse la porta della baita e bloccò la serratura con un lucchetto.
Poi si girò di nuovo a guardarla, le mani sui fianchi, gli occhi duri e penetranti.
«Non dire mai più cazzate del genere, Isabel. Credi che porterei chiunque a conoscere mia madre? Per chi mi hai preso?»

Isabel rimase inebetita; non si aspettava una reazione così fervida, anche se non poteva che esserne felice.
La sua rabbia significava amore, lo stesso che lei provava per lui.
«Ehi, stavo scherzando», lo rassicurò con voce più tenue. Si avvicinò, sfiorandogli il viso con dolcezza.
«Sono solo nervosa, è una situazione nuova per me. Non ho mai conosciuto la madre di qualcuno, a parte quelle dei miei alunni, chiaramente. Con loro era più facile intavolare una conversazione» ridacchiò.

Lo sguardo inviperito di Elijah sembrò trovare pace non appena il tocco di Isabel si posò sulla sua guancia.
Bastava lei, solo lei a dissipare ogni male.
L'afferrò per i fianchi, imprigionandola in uno dei suoi abbracci appassionati, tanto vigoroso da sottrarle persino la voce.
Come se una stretta bastasse a rivendicarla.
«Quindi, mi stai dicendo che sei sempre stata mia?» le sussurrò all'orecchio.
«Ancor prima di conoscerti?»

Isabel sorrise, senza staccare gli occhi dai suoi.
Si fece ancora più vicina, posando la risposta sulle sue labbra.
«Sì» rispose, prima di unirle in un bacio fugace.
«Solo tua!»

Elijah implorò sé stesso di resistere, di non fare ciò che stava per fare, consapevole che non era il momento; aveva questioni più urgenti da affrontare con Isabel.
Ma i suoi occhi strabilianti lo costrinsero a commettere l'ennesima follia, a rinchiudere il senno e ad agire da vigliacco.
Come poteva resistere a un richiamo così ipnotico e succulento?

Resistere a lei?
Semplice, non poteva.

In un impeto irrefrenabile, la baciò con una forza ancora più intensa, quasi primordiale. Come se il loro desiderio fosse un richiamo ancestrale, destinato a persistere tra le sue labbra. Un tormento sublime imputato dal destino che scelse di unirli. Il suo peso la travolse, portandola a sbattere contro il muro: Isabel emise un gemito, dolore e passione si intrecciarono, ancora. Ricambiò il bacio, cominciando a muoversi dolce e sinuosa, incollata al suo corpo.

Come faceva quell'uomo a renderla così arrendevole, malleabile come il pongo?

Elijah ansimò, esasperato; avrebbe voluto prolungare il loro bacio all'infinito, ma sapeva che, cedendo a quel desiderio, avrebbe trascorso la giornata tra le braccia di Isabel invece di risolvere i drammi in sospeso.
Si sentì intrappolato nella tentazione!
Aveva deciso di presentarle sua madre per dimostrarle quanto la amasse, quanto il suo cuore fosse sincero nei suoi confronti.

Solo nei suoi, a dire il vero.

E ora, mentre si avvicinava a concretizzare le sue azioni e le sue parole, cominciava a essere pervaso da una leggera apprensione: si sentiva pronto a raccontarle la verità, del suo passato, di Lily.

Conosceva ogni pericolo, ogni possibile controversia e pur sapendolo, stava comunque rischiando di perderla. A cosa servirebbe avere una marionetta vuota accanto?
Una donna che ama per inerzia, spinta da un sentimento ingannevole, generato da un mucchio menzogne?

Sarebbe stato come trovarsi accanto al nulla, e lui era stufo di sentirti vincolato a una presenza onnisciente.
Voleva che la sua fata lo adorasse con sincerità, senza alcuna incertezza.
Ma non era solo lui che doveva accettare.
Il passato, il presente e il futuro facevano parte del pacchetto.
E questa prospettiva lo terrorizzava in modo devastante.

Con uno sforzo quasi innaturale, si staccò da lei avvolgendole un braccio attorno al collo. Isabel lo guardò dal basso verso l'altro, appoggiandovisi.
«Non sai cosa vorrei farti adesso» sospirò, accentuando il suo sorriso malizioso.

«Uhm...» lei fece finta di pensarci, «perché non me lo mostri?» sussurrò, fingendo che istigarlo fosse una buona idea.

Elijah sogghignò, emettendo una specie di mormorio prolungato al suo orecchio, come un elegante felino che tentava di sedurla, di nuovo.
Quel verso la fece rabbrividire.
«Non stuzzicarmi fatina, o mi scoperò il tuo bel culetto sul portico» tuttavia, non si limitò ad avvertirla: senza preavviso le schiaffò entrambe le mani sul sedere, provocandole un lieve sussulto.

Era così rude e perverso a volte!

«Au! Elijah!» Isabel si massaggiò la zona colpita, cercando di allontanarsi da lui, ma Elijah la teneva ancora stretta.
Imprigionata nel suo abbraccio di ferro.

«L'hai voluto tu, ti avevo detto di non giocare con me!» Elijah le mordicchiò la guancia delicata, risalendo fino alla fronte; lì le posò un bacio più casto, accarezzandole la nuca.
«Non ci posso fare niente, fata, mi fai impazzire. Lo sai

Il tono quasi ovvio con cui pronunciò la frase fece sorridere Isabel; non voleva concedergli la vittoria.
Non voleva proprio.
Eppure, è esattamente ciò che fece; i suoi scatti imprevedibili la eccitavano. Quell'uomo era un turbine di violenta passione, capace di risvegliare la donna sensuale che si celava in lei.

Si alzò sulle punte cercando di nuovo la sua bocca, sentendo il fuoco divampare in lei.
Elijah l'avvolse con più intensità, gustando il modo in cui le loro lingue si invadevano, insaziabili.

Mentalmente, cercò di placare la sua brama, ricordando i buoni propositi che si era prefissato.
Doveva farlo o avrebbe rischiato di spogliarla nella jeep: aveva voglia di lei, aveva sempre voglia di lei, ma quando Isabel si mostrava cosi amabile e dedita a lui, non ragionava più.
«Isabel...» la richiamò.
Usava il suo nome quando doveva esprimersi in avvertimenti poco romantici.
Anche se, bastava persino quello a incendiarlo!
«Dobbiamo andare, ricordi?»

Lei emise un gemito frustrato, annuendo.
Aprì gli occhi, che teneva chiusi per gustare appieno il sapore del loro bacio, e lo guardò come faceva sempre.
Incantata, innamorata.
«Va bene. Portami ovunque, ovunque tu voglia...» bisbigliò.

L'espressione di Elijah si ammorbidì, quasi sorrise, senza sapere il perché. O forse lo sapeva, ma preferì non pensarci per evitare di precipitare dalla felicità su cui Isabel lo aveva adagiato, temendo di farsi male.
Isabel era davvero sua.
Sua e basta, eppure faticava ancora a crederci.

«Oh, fata...» Elijah le prese una mano, portandosela al petto.
«Il mio cuore brucia, brucia per te!» indurì lo sguardo, supplichevole per un attimo, ora intenso.
«Cosa farei io, se...» s'interruppe, soffocato dalla paura che tormentava la sua coscienza.

«Cosa?» Isabel catturò il suo viso tra le mani, gli occhi imploranti.
«Dimmi...»

Elijah si abbandonò alla sua presa, baciandole i palmi. Prima uno poi l'altro. Sembrava così fragile, una montagna robusta e maestosa ridotta in frantumi.
«Devo raccontarti tutto, fata. Ricordi?»

«Elijah, io non me ne andrò!» Isabel sembrò cogliere il punto.
«Ti prego, fidati di me...»

Elijah mandò giù un groppo di saliva: sentiva di soffocare pur continuando a respirare.
«Mi fido già di te» le disse con voce amara, l'espressione opaca e sconfitta.
«Abbastanza da sapere che non andrà così.»

Isabel aggrottò la fronte «bel modo di darmi fiducia, Elijah!» fece per allontanarsi ma lui l'afferrò per un braccio, bloccandola.

«Isabel, non dipende da te» all'improvviso Elijah assunse un'aria più seria, determinata.
Si protese con uno sguardo più intenso, quasi tagliente; quella conversazione cominciava a fargli male.
«Non metto in dubbio i tuoi sentimenti, ma ho imparato a conoscerti: sei una donna buona e giusta, tu non...»

«Io cosa? Uhm?» Isabel lo fulminò con lo sguardo.
«Dici che hai imparato a conoscermi e poi mi sottovaluti, come se fossi fatta di carta pesta!»

«Il mio intento non è quello di sottovalutarti, Isabel, ma di proteggerti da un futuro che potrebbe farti del male!» Elijah l'abbracciò, incapace di sopportare la distanza nonostante fossero quasi attaccati. Affondò il naso tra i suoi capelli, ispirandone appieno l'odore.
Si sentiva morire al pensiero di non poter più compiere gesti come quello.

«Ti ho voluta fin dal primo giorno che ti ho vista, Isabel, in quel maledetto corridoio, quando mi hai sfidato con arguzia e incredibile innocenza. In quel momento ho compreso il tuo valore, e il desiderio di averti è cresciuto ancora più fervente. Durante quei giorni, mentre tu soffrivi a causa mia, la tua immagine ha pervaso incessantemente i miei pensieri. Quando sei scomparsa da scuola, volevo persino rintracciarti, a ogni costo: io e Benjamin abbiamo messo a soqquadro la città. Non mi importava delle complicazioni burocratiche; ho minacciato e cercato in ogni angolo pur di rivederti. E quando...quando ti ho trovato, mi sono comportato da villano, da vigliacco! Non ricordavo più cosa significasse amare; avevo cancellato quel termine insulso, sostituendolo con l'unica cosa che mi faceva stare meglio, che acquietava i miei demoni: la rabbia. La potevo sfogare, potevo scaraventarla sugli oggetti, sulle persone, ma poi, parlandoti, vivendoti appieno, il mio petto ha fatto tabula rasa e improvvisamente c'eri solo tu. I tuoi occhi, le tue labbra, la tua incolumità...tu, soltanto tu!»

Elijah si allontanò da lei, lo sguardo ricolmo d'amore, una sensazione che Isabel percepì chiaramente.
Sulla pelle!
«Hai detto di amarmi, di amare me, capisci? Tu credi che io ti sottovaluti, ma sbagli: sei la persona più coraggiosa che io abbia mai conosciuto, Isabel. La più audace e intrepida di tutte. Perché ci vuole coraggio, ci vuole coraggio ad amare un uomo come me!»

Isabel sapeva sempre cosa dire; era una donna loquace, caparbia, senza peli sulla lingua. Eppure, Elijah aveva la capacità di lasciarla senza parole, oltre che senza fiato. Non aveva mai considerato la storia dalla sua prospettiva, né si era mai premurata di farlo; in fondo, perché avrebbe dovuto?
Quell'uomo era un mostro, giusto?
L'aveva imprigionata e poi le aveva sottratto tutto per renderla più sua, come una proprietà da rivendicare. Lo aveva odiato con tutta sé stessa, ma poi, all'improvviso, qualcosa era cambiato. Le nubi sopra il suo cielo avevano cominciato a sparire, le luci della sua anima a rivelarsi, a lasciare tenui e sparsi bagliori, come a voler svelare un'umanità assopita.

Giorno dopo giorno, cominciò ad accorgersi del modo in cui cercava di parlarle, di scusarsi, di rimediare, pur facendolo con baci di fuoco e frasi tutt'altro che caste. Le aveva fatto rivedere sua zia, si era preso cura di lei, l'aveva protetta con la vita, amata, desiderata.
E per tutto quel tempo, vide qualcosa di cui non credeva possibile l'esistenza: l'amore nei suoi occhi. Quello vero, che si rifiutava di ammettere, di vivere. Sarebbe stato assurdo ricambiarlo, o ancor più accettarlo; ma, da quando aveva deciso di concedersi a lui, si era resa conto di non avere alcun controllo sul suo cuore.
Quell'organo oscuro e misterioso che aveva scelto per entrambi.

Che aveva scelto lui.

Fu allora che si rese conto di quanto quel processo fosse stato lento, sotterraneo, per niente fulmineo. C'era voluto tempo, pazienza e la voglia di perdonare. Ma alla fine, in modo del tutto inaspettato, prese una decisione. Quando capì che il presunto mostro sotto il letto non era altro che un uomo spaventato, implorante d'amore, il suo amore!

In quel momento ripensò alla conversazione avuta con Felicity una settimana prima. Se solo l'avesse ascoltata, forse, avrebbe aperto il suo cuore con più facilità...

Tuttavia, adesso non c'era spazio per riflettere sulle opportunità mancate. Isabel voleva conoscere la verità, scoprire cosa avesse trasformato quel giovane uomo nell'ombra di sé stesso!
A tutti i costi.

«Elijah...» la sua bocca era prossima alla sua, Elijah percepì il suo respiro, anche se le labbra non lo toccavano. Gli rivolse la parola senza distogliere gli occhi dai suoi, quelle gemme azzurre capaci di profanarle l'anima.
«Io ti ho perdonato, non mi importa più di tutto...questo! Ho scelto di amarti perché ho scoperto che ne eri meritevole; il fatto che tu abbia così tanta paura di perdermi ne è la conferma. Non parlare di te come se fossi un orco.»

Isabel gli pose un bacio delicato sulla punta del naso.
Elijah sorrise, affascinato.
«Cos'è che vuoi?» gli chiese dopo, «ho come l'impressione che tu voglia il mio castigo oltre che il mio affetto.»

Lui la scrutò avidamente, ma senza dire una parola; non riusciva a far altro che ammirarla.
«Perché in fondo è ciò che merito» mormorò, la voce improvvisamente roca, allettante.
«Sono un uomo egoista, Isabel. Dico di essere indegno del tuo amore, ma poi lo pretendo. Sono pronto a confessarti i miei peccati, ma non a rinunciare a te. Voglio che tu sia libera, libera di vivere e volare, ma sopra il mio cielo. Il pentimento che tanto millanto è frutto della vigliaccheria, perché nel mio egoismo continuo a pretenderti...»

Elijah la baciò, ancora, cingendo delicatamente la sua testa e lasciando scivolare le dita tra i suoi capelli di seta. Ali morbide e dorate che gli sfioravano la pelle.
Isabel accolse le sue labbra, lasciando che la passione incontrollata li saziasse. Era diventata così dipendente da lui, dalle emozioni spasmodiche che le faceva vivere nel cuore, fino alle ossa e all'anima!

«Un vigliacco che mi ama, insomma» riuscì a dire, quando entrambi ripresero fiato.

Elijah sorrise, gli occhi brucianti d'amore.
Per lei, solo per lei.
«Più della sua vita!» sussurrò debolmente.

«Giura!»

«Giuro, fata!» disse lui.
Con infinita lentezza cominciò a baciarle la linea del mento, fino a scendere sempre più giù, verso il suo collo sottile. Isabel comprese che quello che provava sulla pelle era il sapore della felicità.

Lei ed Elijah, insieme a ogni costo.
Certo, rimanere uniti nonostante le avversità del mondo sarebbe stata un'impresa, ma era sicura che ce l'avrebbero fatta.
Dovevano farcela.

Assaporando ogni brivido, rimase immobile, nel luogo a cui sembrava destinata fin dalla nascita: tra le sue braccia e il suo cuore. Cominciava a sentirsi di nuovo irrequieta, vittima di una lussuria sfacciata.
Non voleva respingerla ma viverla appieno!

«E se...andassimo nella jeep?» ansimò.

«Nella jeep?» ripetè, divertito.

Lei annuì, sollevando lo sguardo: provocante, supplichevole, audace come Elijah non lo aveva mai visto. Il suo invito era chiaro, voleva che la facesse sua.
Di nuovo.

Lui inclinò il capo, stringendo la vista. Un predatore indeciso, in lotta contro il suo più recondito, estremo desiderio: consumare o meno il suo pasto preferito?
"Ricorda la tua promessa!" Pensò.
Ma dovette ripeterselo almeno un centinaio di volte prima di accettare la resa. Prima di aver il coraggio di rifiutare quella stella cadente.

Cedere non era contemplato.
Emise uno ringhio frustrato, poggiando la fronte sulla sua.
«Ci andremo, infatti, ma non per fare quello che stai pensando. Sai bene che poi non riuscirei a fermarmi. A malapena ce l'ho fatta stamattina ed è stato snervante!»

Isabel accentuò il suo sguardo corrucciato.
«Ti prego», il tono quasi erotico con cui pronunciò quell'ammasso di vocali, lo fece arrabbiare.
Era una maledetta agonia!
«Solo un po'...»

Elijah si sfregò le mani sul viso, trascinando indietro i capelli. Poi se le portò sui fianchi, assumendo una posa di finto rimprovero.
Nervoso, sull'orlo di afferrarla e sbatterla sui gradini.
«Un po' diventerebbe l'intera giornata, Isabel. Non abbiamo questo tempo, adesso

Isabel incrociò le braccia, assumendo l'espressione di una bambina petulante. Un angolo del suo cervello, all'improvviso, ricordò a cosa si riferisse Elijah: erano usciti per conoscere sua madre e quasi rischiavano di mandare tutto a monte facendo sesso nella jeep.
Quant'erano malati e perversi quei due?
Quant'era folle questa loro dipendenza reciproca?

Sospirò, allacciando le braccia attorno alla sua vita.
«D'accordo, hai ragione. Tua madre ci starà aspettando, stiamo facendo tardi.»

«Ha tutto il tempo del mondo, in realtà» riluttante le cinse un fianco, affondando l'altra mano nella tasca.
Troppo contatto avrebbe rischiato di renderlo ancora impaziente.
«Voglio solo levarmi questo peso dal petto, il più presto possibile...»

«Non capisco» lei lo guardò, perplessa.
«Mi parlerai del tuo passato con tua madre?»

«Più o meno, ma sì. Ci sarà anche lei ad ascoltare», sorrise, ora più tranquillo e meno ardito. In realtà, lo era comunque, ma l'ansia teneva a bada il suo fuoco, evitando che divampasse. Sembrava quasi che fino a quel momento avessero vissuto la loro intimità chiusi in una bolla, una palla di vetro ora scoppiata in mille pezzi, portandoli alla realtà.
Una realtà che entrambi esitavano ad affrontare.

Le baciò la fronte, indicandole l'auto parcheggiata. «Pronta?»

A Isabel avevano già rivolto quella domanda e stranamente la risposta continuava a mantenersi la stessa. Era un sì camuffato da no.
Perciò, anche stavolta, mentì.
«Sì!»

***

Il viaggio in auto fu breve.
Rimasero in silenzio, concentrati sui loro pensieri.
Elijah guidava: teneva una mano sul volante e l'altra stretta a quella di Isabel. Entrambi con il cuore in gola, agitati e nervosi, pronti a fungere da scudo per l'ennesima tempesta da affrontare. Non c'era spazio per ulteriori parole, né per ennesime rassicurazioni poco credibili.
Solo il passato, ora, aveva il compito di esprimersi.

Il cielo si presentava sereno, con nuvole chiare che fluttuavano leggere come pezzi di pan di spagna.
Una quiete ansiosa li accompagnava lungo il tragitto, verso la strada incontro al destino, un fato misterioso che li attendeva paziente sulla cima di una montagna: Elijah parcheggiò ai lati di una strada sterrata che si inerpicava su una collina poco distante da loro.

Spense il motore, scese dalla macchina e fece il giro per aprire lo sportello a Isabel,
«Continuo a non capire...» disse lei, confusa, uscendo dall'auto.
«Tua madre abita qui? Strano, non vedo nessuna casa.»

Ed era vero: attorno a loro c'era soltanto la pace e vallate candidamente innevate, senza alcuna traccia di abitazioni.

Elijah le offrì la mano, sorridendo incoraggiante.
«Andiamo.»
Rimase fermo, gli scarponi affondati nella neve, paziente e in attesa che lei accettasse di seguirlo.
Isabel avrebbe voluto fare domande, ma a cosa sarebbero servite?
Erano ormai a un passo da tutte le risposte che cercava.

Così, senza indugio, gli prese la mano, cominciando a muovere i primi passi.

Il percorso verso la cima iniziò su una pittoresca stradina pianeggiante, avvolta da bianchi abeti che creavano un corridoio quasi magico. Il sentiero, seppur leggermente impervio, offriva una salita graduale, dove uno spesso e bianco tappeto di neve, si stendeva sotto i loro piedi. Le impronte leggere di piccoli animaletti selvatici solcavano il percorso, mentre un lontano sciabordio suggeriva la presenza di una cascata.

«Questo posto è...magnifico!» Isabel rimase a bocca aperta, incantata: sembrava di stare tra le pagine di una fiaba.

Gli occhi di Elijah traboccarono di malinconia.
«Io e i miei fratelli trascorrevamo alcuni Natali in Svizzera. Mia madre ci portava qui da piccoli, adorava la natura. Il campo su cui ti trovi ha assistito alle battaglie di neve più violente della storia» ridacchiò.

«Posso solo immaginarlo» Isabel scosse la testa, divertita. «Povero Matthias, chissà quante palle di neve avrà dovuto subire...»

Elijah fece finta di pensarci «tante. Una volta gli ho persino rotto un dente» sghignazzò, fiero addirittura.

«Elijah!» lo ammonì Isabel, «non è divertente!»

«Oh sì che lo è!» rise. «All'epoca eravamo piuttosto competitivi: molari e pugni volavano con facilità. Mia madre era costretta a metterci in castigo pur di farci stare buoni.»

«Le avrete reso la vita un inferno» sospirò Isabel, con il cuore stretto da una morsa.
Chissà com'era avere una madre premurosa.
Lei non poteva saperlo.

Elijah si sforzò di restare impassibile.
All'improvviso, il suo sguardo si adombrò.
«Sai, vorrei che fossero stati solo i nostri capricci a causarle dolore...»

Isabel corrugò la fronte, guardandolo.
«Che intendi dire?» chiese.

Ma Elijah non rispose. Rimase muto, gli occhi impenetrabili, freddi e aguzzi come una scheggia.

«Ehi?» Isabel lo richiamò, «va tutto bene?»
Cominciava preoccuparsi.

Silenzio.

Elijah l'invitò con un cenno a seguirlo, e lei gli andò dietro, ma quando raggiunsero i gradini davanti a un piccolo recinto dalle sottili sbarre di ferro, si fermarono: c'erano delle lapidi al suo interno.
Due per l'esattezza, in pietra:


Lily Rose Walker                       Virginia
Noah Brown                            Moore
              1960-1975.                           1942-1998.


Isabel sentì la sua mano andare a fuoco: Elijah la stringeva con un'intensità tale da provocarle dolore. «Ti presento mia madre» mormorò, indicando la seconda lapide.
«Mamma, ti presento Isabel» aggiunse, la voce intinta dall'emozione.

Il sorriso a cui Isabel cercava di aggrapparsi, svanì.
I suoi occhi si inumidirono, la gola si seccò.
«Elijah...»

«Va tutto bene...» Elijah serrò la mascella, i muscoli del volto si irrigidirono; Isabel capì che lottava per trattenere le lacrime.
«Ora è in pace. Ma posso sentirla sorridere, qui dentro...» si portò una mano sul petto, all'altezza del cuore, artigliandolo.
Quasi come se volesse strapparselo via!
«Ti avevo detto che le saresti piaciuta.»

Isabel non perse tempo: lo abbracciò, stringendolo forte, tanto forte.
Con la stessa intensità con cui avvertiva il suo incommensurabile dolore.
«Mi dispiace, mi dispiace da morire...»

Elijah si abbandonò alle sue premure, ricambiandole seppur debolmente. Si sentiva così male, angosciato, addolorato; era come se tutta la sofferenza che aveva cercato di trattenere stesse esplodendo in un colpo solo, un muro sgretolato che cominciava a perdere pezzi sempre più grandi fino a scalfirsi totalmente.
Erano anni che non veniva a trovarla, a trovare lei e Lily. Tornarci con Isabel era devastante.

«Va tutto bene» ripetè, come se farlo scacciasse via la sofferenza.
Ma quella restava ancora lì, ostinata, aggrappata a lui.

Isabel sollevò la testa, guardandolo; gli accarezzò la guancia con struggente dolcezza, con incredibile tristezza.
E fu allora, incrociando i suoi occhi distrutti, quasi annebbiati, svuotati, che Isabel comprese; Elijah non le stava solo mostrando i cocci del suo passato.
No, lui le stava consegnando il cuore tra le mani!
E lo amò, se possibile, ancora di più per questo.

«Posso avvicinarmi?» sussurrò, riferendosi alle lapidi.

Elijah deglutì; trovò appena la forza di annuire prima di indietreggiare, anche se di poco: non voleva perdere il contatto con Isabel.
La sua mano era l'unico tepore che lo riscaldava.
Persino lì, tra le luci del bosco, lei era l'unico bagliore da cui desiderava essere illuminato.

Isabel lo sfiorò ancora una volta, poi, avvicinandosi al cancellino, lo aprì entrando all'interno del piccolo recinto. Attenta a non calpestare le erbacce, si inginocchiò di fronte alla prima lapide, scrollando i granelli della neve attecchita alla pietra. Con le dita percorse le vocali del nome inciso al di sopra, in lacrime.

«È un piacere conoscerla» sussurrò, come al suo spirito immaginario.
«Sarà stata una donna meravigliosa...»

E lo pensava veramente: sebbene non la conoscesse, sapeva quanto una madre fosse imprescindibile per un figlio. Una guida insostituibile che lei, sfortunatamente, non ebbe la fortuna di avere.
Tuttavia, la felicità pervadeva il suo cuore al pensiero che Elijah avesse goduto di un amore materno così bello e puro, ancora presente come quello che li legava.
Un legame che persisteva anche oltre la sua morte.

Si guardò attorno cercando dei fiori, qualsiasi fogliame che potesse regalare un po' di brio alla tomba. Ma sfortunatamente, il suolo era già rinsecchito.
«Che ne dici se torniamo con un mazzo di fiori?» chiese a Elijah, con voce più alta.
«Vorrei portarle un pensiero...»

Stava per alzarsi, quando la curiosità per un altro nome, la spinse a chinarsi nuovamente.
Quello della donna misteriosa che giaceva accanto alla madre di Elijah. C'era qualcosa dentro di lei, una voce quasi sconosciuta eppure più vivida che mai, che le imponeva di restare lì.

Di toccarla.
Di chiedere.

Così, mossa da un impulso quasi misterioso, viscerale, si sporse a ripulire l'altra lapide.
«Lily Rose e... Noah Brown» scandì.
«Chi sono? Altri parenti?»

E, al solo chiederlo, una folata di vento, leggera e delicata come un soffio, le accarezzò la pelle con gentilezza. Era gelida, eppure vagamente calorosa.
Isabel non era mai stata una donna superstiziosa, ma dal nulla, cominciò a sentirsi così...strana, senza capire il perché.
Rabbrividì.

«Elijah?» Isabel si pulì le mani, strofinandole, poi si girò a guardarlo.
Rimase interdetta, con il cuore che minacciava di spezzarsi: Elijah stava piangendo.

Elijah, stava, piangendo.
Non poteva crederci.

Tremava come una foglia ancorato nel manto nevoso, le braccia lungo i fianchi, i pugni serrati, debole e vulnerabile come non lo era mai stato.
Il suo sguardo era incollato alla lapide dietro di lei, a quel nome maledetto che aveva appena pronunciato.

«Elijah!»
Isabel gli corse incontro, attenta nell'oltrepassare il cancello. Gli afferrò il viso, tastandolo, cercando la sua lucidità tra la disperazione che lo permeava.

«Elijah, ti prego parlami!»
Isabel lo chiamava, lo implorava, ma era come scuotere un dannato fantoccio.

Ciò che le si parava davanti non era l'uomo che aveva odiato e poi amato. Non poteva risponderle perché non era lui a guardarla in quel momento.
Ma il ragazzino triste e spaventato che aveva sepolto con la sua piccola, dolce, Lily Rose.
Con ciò che restava di suo figlio, quel bambino mai nato.

«Elijah, dimmi che succede!» Isabel seguì la traiettoria del suo sguardo, soffermandosi anch'essa a guardare la lapide. Non riusciva a capire, a motivare la sua reazione così disperata.

Chi era quella donna?

«Era la madre di mio figlio...» Elijah lesse la domanda nei suoi occhi, riprendendo fiato, un po' alla volta.
«Noah, era così che doveva chiamarsi.»

Isabel si paralizzò; gli occhi sgranati, increduli, incapace di articolare alcunché. Le ci volle più di un minuto per realizzare ciò che lui le aveva detto.
Era vero?
Quello che stava vivendo era un sogno o la dannata realtà?
Sentì la testa venir meno, caldo e freddo attraversarle il corpo.

Era sconvolta.

«Tempo fa mi chiedesti per chi fossero i fiori, ricordi?» Elijah deglutì, ancora, tremando, ancora.
In un impeto di furioso coraggio, si sforzò di ignorare il suo turbamento, la tristezza che dipingeva i suoi prati color smeraldo. Doveva farlo o non sarebbe stato in grado di raccontare come la sua vita fosse stata promessa e poi condannata alla sofferenza...

«Erano per una dannata morta!»
La sua voce esplose con un misto di rabbia e dolore, mentre il peso delle parole risuonava nell'aria gelida.

Fu così che cominciò a rivivere quella giornata maledetta.

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