Capitolo venti

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"Promettimelo, ti prego!"

Gli occhi giusti, sapranno curare le tue ferite
-DARK FLOWER


Isabel si rigirò.
Poi ancora, e ancora.
Portò le coperte sulla testa, le riabbassò e poi le rialzò, frustrata. Alla fine si arrese, mettendosi a sedere.

Era passata da poco la mezzanotte, l'alone flebile di alcune candele rischiarava la camera, donando calore allo spazio. La luce dei ceri era viva, una sorta di guida che le infondeva coraggio, che irradiava il suo cuore tormentato. Il profumo della lavanda sprigionato dalla fiammella era così inebriante, riusciva a calmarla in parte, a rendere più dolce l'aria che respirava.

Eppure, dormire era diventato impossibile.
L'ansia la stava divorando!

Se la sarebbe data a gambe se avesse avuto un posto in cui andare. Non riusciva a immaginare come fosse possibile per lei restare in quella casa dopo tutto il dolore che le aveva causato. Sarebbe stata una sciocca ad accettare quella dannata prigione solo perché le sbarre erano fatte d'oro.

Non si sentiva a suo agio, non riusciva a creare della familiarità con quel posto e questo non faceva che peggiorare le cose. Pensare ai suoi drammi non era certo la soluzione migliore, avrebbe dovuto sforzarsi di chiudere gli occhi e obbligare se stessa ad abbandonarsi fra le braccia di Morfeo.

Ma era inutile, ci aveva già provato, una decina di volte a dire il vero e tutte erano state un completo fallimento.

Quando il buio le inghiottiva la vista, si ritrovava a tremare. La sua testa non smetteva di pensare, era incapace di calmarsi, di acquietare le sue paure. L'indomani avrebbe dovuto affrontare un nemico ben peggiore della sua insonnia: Rick De la Cruà.

Un uomo terribile e pericoloso come pochi.

Non ricordava che aspetto avesse; non era riuscita a vedere la sua faccia nel caos della fuga, ma sapeva che lui aveva visto lei. Lo "conosceva" - per così dire - e ora la stava cercando, Matthias era stato chiaro.

Quei pensieri non facevano che spaventarla, terrorizzarla in maniera irreparabile. Non c'era niente che potesse fare, niente che potesse dire per aggiustare le cose.

L'unico modo per uscire da quell'incubo sembrava fingere di amare un uomo che non aveva mai visto.
Che cosa assurda. Come avrebbe potuto?
Matthias, per quanto bello e affascinante fosse, era lontano, molto lontano dall'avere un posto nel suo cuore.
Insomma, a malapena conosceva il suo nome!

Era stato gentile con lei, incredibilmente cordiale e galante, ma non per questo nutriva dell'affetto per lui.
«Come si ama qualcuno che non si ama?» si chiese, scostando le lenzuola per rimettersi in piedi.
Non ne aveva idea.

Inquieta com'era, si alzò per andare alla finestra.
Stava piovendo. Avrebbe voluto uscire e godersi il tocco leggero della pioggia, ma lui non glielo avrebbe mai permesso. Elijah. Quel nome le dava tormento, persino lì, in mezzo alla penombra della stanza. L'aveva pensato tutto il dannato giorno. Era l'uomo più cattivo che avesse mai incontrato, un'anima spietata e senza scrupoli, eppure possedeva il più avvenente degli aspetti.

Non toccarlo. Non baciarlo. Non abbracciarlo.
Si era ripetuta e invece aveva fatto l'esatto opposto!

In mezzo al desiderio di stringersi, di sfiorarsi, lui le aveva confessato un segreto incancellabile. Le aveva affidato parole importanti alle quali era difficile non pensare.
Era stato chiaro, fin troppo: lui voleva lei. Sinceramente, così intensamente da toglierle il fiato.

Non sapeva ancora se credergli o meno, se avvalorare i suoi sentimenti o ignorarli con fermezza. Si sentiva confusa, avvolta da una coltre di nebbia quando gli stava accanto; Elijah poteva trasformarsi nell'uomo migliore che avesse mai sognato, ma al tempo stesso, nel peggiore.

Ne era attratta quanto intimorita, insomma.

Sarebbe stato un rischio piuttosto alto abbandonarsi fra le sue braccia, chiudere gli occhi e lasciare che il suo fuoco la divampasse, che incenerisse ogni dubbio legato ai suoi sentimenti ora che finalmente abbracciava un cambiamento.

E avrebbe potuto, anzi, lo avrebbe voluto. In mezzo a quel bisogno così insolito c'era qualcosa di bianco e sincero che tentava di corromperla. Doveva riflettere attentamente, capire fino a che punto poteva spingersi accanto a quell'uomo. Ma non ora. No, sarebbe stato uno sbaglio, uno stupido errore. L'odio era ancora troppo forte, la rabbia l'assaliva ogni volta che pensava a come ci fosse arrivata in quella casa maledetta. Per quanto dentro desiderasse anch'essa un cambiamento, questo era ancora lontano dal concretizzarsi.

Se lui la voleva, per davvero, avrebbe dovuto pazientare. Ancora un po. Anzi, un bel po'!

Sospirò, accarezzando la stoffa pregiata delle tende. Il sonno cominciava a reclamarla, tutti quei pensieri l'avevano stancata più del previsto. A piccoli passi raggiunse nuovamente il letto, quel giaciglio vuoto che le non sapeva di niente.

"È comodo, se non altro" pensò, pronta a sdraiarsi di nuovo, ma un bussare leggero la portò a indietreggiare. Isabel, colta alla sprovvista, corrugò la fronte: non si aspettava delle visite. Per un attimo si chiese chi diavolo potesse essere a quell'ora, ma poi...
Poi il suo cuore fece una capriola.

Chi altro poteva essere? Non ne era certa, ma in qualche modo sentiva di non sbagliarsi. Sentiva che fosse lui. Elijah.

Stupidamente, prima di aprire, corse a controllare la sua figura nello specchio. Voleva che il suo aspetto fosse in ordine, pudico come pochi. Insomma, non voleva certo rischiare di provocarlo. Elijah diventava una bestia famelica quando i suoi impulsi prendevano il sopravvento. Era impossibile resistergli, fingere di dover "patire" i suoi baci di fuoco, le sue braccia forti e calorose, il modo in cui la stringeva, le mani ruvide con cui l'accarezzava...

Sì, insomma, il decoro prima di tutto.

Con un gesto veloce riordinò i capelli, portando una ciocca dietro l'orecchio. La camicia da notte che indossava, nera come la pece, lasciava poco spazio all'immaginazione.
Era graziosa, tutto sommato; una piccola rifinitura in pizzo era l'unico dettaglio che la decorava, ma a Isabel sembrò non importare.

Non era quello il problema, ma la sua lunghezza: l'orlo della gonna si fermava appena sopra il ginocchio. In cuor suo sperò che fosse sufficiente a placarlo, anche perché non sapeva dove diavolo fosse andata a finire la sua vestaglia! Felicity continuava a ribaltarle l'armadio nonostante i suoi chiari inviti a non farlo. Quella donna era cocciuta come poche.

Sospirò. Una volta certa che niente - o quasi - potesse stuzzicare il suo appetito, si avvicinò alla porta.
Santo cielo, il cuore minacciava di esploderle!

Con uno scatto lasciò che la porta si aprisse di poco, sospinta dal suo tocco leggero. La luce flebile delle candele si proiettò all'esterno illuminando parzialmente il corridoio: in un primo momento non vide nessuno - per un attimo, infatti, pensò di aver immaginato il rumore -, ma un corpo nient'affatto spettrale fece la sua comparsa un minuto dopo, cogliendola alla sprovvista: la figura ammaliante di Elijah scorse dal buio rivendicando la sua presenza.

Sapeva di non sbagliarsi!

Era notte fonda, eppure non si era ancora cambiato. Indossava gli stessi abiti di quella mattina: una camicia scura con le maniche risvoltate, all'interno di un pantalone sartoriale un po' slavato, ma dal taglio regolare. La barba ispida, leggermente smussata, esaltava la sua virilità, i suoi occhi azzurri e magnetici che reggevano con impudenza il suo sguardo. Quel demonio tetro e diabolico, ora avvolto da un'aureola di profonda oscurità, era bellissimo, non c'era dubbio.

Isabel rimase a fissarlo inebetita, mentre un sorriso dolce gli spuntava sulle labbra.
«Oh, sei, tu

«Aspettavi qualcun altro?» scherzò lui, raddrizzando la postura.

Isabel si morse la lingua; stava per dire di no ma alla fine ci ripensò.
«Forse...»

Elijah ridacchiò, affondando le mani nelle tasche.
«Allora ti toccherà dargli buca. Posso entrare?»

«Sul serio?» Isabel lo guardò sorpresa, «tu, mi stai chiedendo...il permesso

Elijah schioccò la lingua al palato «sto cercando di essere gentile, per ora.»

«Per ora

«Sì, quando sarai mia non avrò bisogno del tuo permesso» Elijah la guardò, ardito. «Entrerò e basta
Il modo in cui marcò quell'ammonito, le provocò scintille in tutto il corpo. Le sue guance si tinsero di un rosso fuoco, l'imbarazzo l'assalì. Sapevano entrambi a cosa alludesse.

«Sei un dannato pervertito!»

«Forse, ma ti piace. Riesco a sentirlo» la provocò Elijah, sfoderando un ghigno insolente.
«Quindi posso entrare o mi lascerai qui tutta la notte?»

«Uhm è una bella idea, sai?» Isabel fece finta di pensarci, «ma sappiamo come andrebbe a finire...»

«E come finirebbe?» chiese l'altro, curioso.

Isabel lo guardò e senza dire niente si fece da parte, permettendo alla sua stazza di attraversare la porta.
«Lo sai» disse, senza aggiungere altro.

Elijah ricambiò il suo sguardo con uno più intenso, poi senza indugi, accolse il suo tacito invito a entrare.

Quant'era bella la sua fata, persino così, avvolta nel nero di quella veste, pensò.
Eppure non glielo disse.

Una volta dentro, Isabel si chiuse la porta alle spalle ma non accennò a muoversi da lì; la rincuorava sapere che fosse aperta e soprattutto che fosse vicina.
Se la situazione lo avesse richiesto, sarebbe fuggita.
Di nuovo.

Elijah sembrò notarlo, tanto che subito dopo si affrettò a rassicurarla.
«Non preoccuparti, non sono qui per...quello. A meno che tu non lo voglia...» precisò, ma la sua espressione si fece più seria dopo che lei lo fulminò con lo sguardo.

Non ne poteva fare a meno, desiderarla non era un reato. Non si sarebbe scusato per questo.
«Io volevo, anzi dovevo vederti», proseguì, schiarendo la voce.

Isabel lo guardò «dovevi?», ripetè.

Lui annuì «sì.»

«Perché?»

«Non lo so, sentivo di doverlo fare. Guardarti mi fa stare meglio», ammise con voce arrochita.

Isabel si morse il labbro inferiore «potevi passare domattina è notte fonda...»

«Avevi di meglio da fare?»

«Dormire ad esempio?» lo rimbeccò l'altra in tono ovvio.

«E tu dormivi?» Elijah fece per avvicinarsi a lei, ma lasciò le mani in tasca, quasi volesse "chiarire" le sue intenzione.
Purtroppo.

Isabel parve presa in contropiede «no, in effetti» rispose, dopo un attimo di incertezza.

Elijah la esaminò con più attenzione «ne vuoi parlare?»
Incredibile ma vero, era disposto ad ascoltarla senza saltarle alla labbra. Facevano progressi!

«Perché adesso...parliamo?» Isabel incrociò le braccia.
Le era difficile non mostrarsi diffidente.

Elijah la guardò dritto negli occhi: i suoi sembrarono vibrare in quel momento, splendere di sincerità.
«Sì se lo vuoi. Farei qualunque cosa per te, Isabel, qualsiasi cosa. Lo sai.»

«No, non lo so. E dirlo non mi basta» Isabel dovette faticare in quel momento: all'improvviso ebbe la sensazione che la fiamma sprigionata dai ceri, le stesse attraversando il corpo. Tenere a bada le emozioni era complicato. Elijah era capace di ammaliarla, di offuscare ogni ragione che tentava di allontanarla.
Doveva fare attenzione.

«Cosa posso fare per dimostrartelo?» Elijah non si arrese. Non poteva.
La sua fata era troppo importante. Il suo affetto, il suo rispetto erano doni che aveva tutta l'intenzione di meritarsi questa volta.

«Lasciarmi libera», lo incalzò l'altra.

«Chiedimi qualcos'altro.»

«Ma io voglio questo!» insistette lei.

«Quello che vuoi non corrisponde a ciò che è giusto, a quello che garantisce la tua sicurezza. Lo sai che non posso farti uscire.»

«Non puoi o non vuoi?» Isabel lo guardò, socchiudendo gli occhi.

«Non posso...e non voglio» ammise, dopo una breve riflessione.

«Ma il piano di domani...»

«Il piano non è detto che funzioni e lo sai» tagliò corto Elijah. La sua espressione si fece più dura, quasi tagliente.
«Avrei voluto risparmiartelo ma Matthias non mi ha dato scelta. Il piano è stata una sua idea, puoi avercela con lui, se vuoi.»

«Non è Matthias il problema» Isabel scosse la testa. «Lui sta cercando di aiutarmi, a differenza tua...»

Elijah aggrottò la fronte: quell'ammissione lo infastidì. «Pensi che io non tenga alla sua sicurezza?!»

«Io non penso niente è quello che vedo, il problema.»

«E cosa vedi?» Elijah si avvicinò di un altro passo, fino a poter sentire il suo respiro sulla pelle. Isabel indietreggiò, ma la sua ritirata finì per farle sbattere la schiena contro la porta.

L'idea di scappare via- ora!- si faceva sempre più attraente.

«H-hai promesso...» balbettò, quando lo vide inclinarsi verso di lei. I suoi occhi magnetici la tennero incollata ai suoi, fino a quando un sorriso flebile la calamitò alle labbra.
«Infatti. Ti starò vicino e basta, molto vicino» la dolcezza quasi erotica con cui pronunciò quella frase le causò brividi in tutto il corpo.
Maldetto adulatore!

«Sono perfettamente in grado di averti accanto e non toccarti, sai? Sottovaluti un po' troppo il mio autocontrollo», ridacchiò, osservando le sue guance tingersi di rosso. Era nervosa, riusciva a percepirlo, a scorgerlo nella rigidità del suo corpo. A malapena riusciva a guardarlo.

Quanto era adorabile la sua fata?
Tanto. Fin troppo!

Isabel prese un lungo respiro, poi si schiarì la gola, tentando di fare un disperato appello al suo pudore oltre che alla sua "attenzione". Averlo così vicino scatenava desideri pericolosi in lei, tentazioni fin troppo audaci: il suo profumo, dai toni caldi, quasi morbidi e legnosi, era così inebriante, così sensuale e invitante che era difficile non immaginarselo addosso. Il petto solido che riusciva a intravedere da sotto la camicia sbottonata era attraversato da uno strato di leggera peluria che Isabel avrebbe voluto sfiorare con le mani. Maledizione!
Quel dettaglio lo rendeva ancora più appetibile e virile.

«Vorrei che ti allontanarsi, per favore...» e glielo chiese guardandolo negli occhi, sperando che quell'inutile implorazione bastasse a convincerlo.

Elijah si mordicchiò il labbro inferiore, valutando la sua richiesta. Poi con uno sbuffo insolente indietreggiò di qualche passo. Non voleva metterla a disagio, ma neanche starle lontano. Aveva bisogno di sentirla vicina, il suo calore era l'unica cosa- fra le poche cose che ancora possedeva- capace di ravvivarlo. Voleva scaldarsi, abbracciarla se poteva, ora che la sua anima gli appariva così fredda e buia.

Perciò ebbe un'idea.

Senza preavviso si girò di spalle, camminando verso il bordo del letto. Isabel lo guardò, confusa e in qualche modo stordita; la sensazione avvolgente che cullava il suo corpo sembrava essere scoppiata come una bolla. Ne sentì persino la mancanza.

«Puoi sederti accanto a me? Vorrei continuare a parlare qui» lui fece tap tap nello spazio vuoto al suo fianco, sperando che lei accettasse la sua proposta.

Isabel aggrottò la fronte «stiamo già parlando.»

«Sì, ma vorrei che lo facessi vicino a me.»

«Perché?»

«Perché ne ho bisogno.»
All'improvviso qualcosa in Elijah cambiò. Non riuscì a capire cosa di preciso, ma riuscì percepirlo: nei suoi modi, nella voce, nello sforzo che faceva per starle vicino. Persino l'espressione sul suo volto era cambiata: sembrava così grigia e...ombrosa.

Isabel -in maniera del tutto inaspettata- sentì il bisogno di scoprire cosa lo avesse reso così malinconico. Una parte di se cominciò persino a preoccuparsi: Elijah era un uomo forte, burbero e senza paura, se qualcosa era capace di preoccuparlo, quel qualcosa, allora, avrebbe sconvolto anche lei.
Ne era certa.

Così, senza pensarci, iniziò a muovere i primi passi, lentamente, uno alla volta, infischiandosene delle conseguenze. Era un evento incredibile, tant'è che Elijah s'illuminò quando la vide avanzare verso il letto, ma voleva stargli vicino, voleva sapere, doveva sapere!

Quando giunse in prossimità del bordo, si sedette al suo fianco. Lo fece veramente.

Elijah la guardò, quasi incantato.
La guardò e basta.
«Sei bellissima» mormorò, trattenendo il fiato.
«Così bella che spesso temo sia solo un sogno, che tu sia solo un sogno, creato dal mio inconscio per distruggermi. Ma poi ti guardo, ti ascolto e...capisco che sei davvero qui, con me.» 

Isabel avvampò: improvvisamente il suo cuore iniziò a pulsare così violento da provocarle un tremito incontrollabile.
«Elijah...»

«Shh! Ti prego, non parlare. Ascolta e basta» lui le prese la mano, delicatamente, portandola alle labbra.
La barba ispida le solleticò la pelle quando lui iniziò a baciarla.
A Isabel mancò il respiro.
Ma non si ritrasse, non si mosse.
«Voglio che ascolti quello che ho da dirti, perché non so se sarò in grado di ripetermi, di confessarti quello che provo e non spogliarti un minuto dopo. Capisci?»

Elijah si voltò, lasciando che Isabel vedesse qualcosa di cui non aveva mai sospettato l'esistenza: la sua vulnerabilità, la sua incertezza, la paura che sembrava avvolgere i suoi occhi blu.

Quella scoperta la destabilizzò.

«So che non riuscivi a dormire, sentivo i tuoi passi dall'ufficio e non ho potuto trattenermi. Volevo accertarmi che stessi bene...»

«Davvero?» balbettò lei, incapace di muoversi.

Elijah annuì, lasciandole lunghi baci sul palmo della mano.
«Hai paura. Riesco a sentirlo, a percepirlo su di me, a leggerlo nei tuoi occhi, Isabel, perché condividiamo lo stesso incubo. Domani non potrò starti accanto e questo mi turba, profondamente, mi rende inquieto, non mi fa ragionare. Il pensiero di vederti accanto a Matthias, seppur per gioco, mi disturba. Vorrei essere io a condurre la tua mano nelle danze, a stringerti, a tenerti vicina, tanto vicina, così tanto da lasciarti senza fiato, ma so che...questo, ci metterebbe nei guai, comprometterebbe entrambi» le disse, continuando a guardarla con intensità.
«È solo questa ragione per cui lascio che sia Matthias a portarti al ballo» quell'ammissione gli costò un certo sforzo, ma il benessere di Isabel contava più di tutto il resto.
Non voleva che avesse paura!

«Ma ora voglio dirti un'altra cosa, Isabel, qualcosa che spero possa bastare a rassicurarti», Elijah le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Quel tocco così dolce, quasi erotico, la fece rabbrividire.

«Io ti proteggerò. Ti difenderò col mio corpo se sarà necessario, non mi importa di chi ci sarà in quella stanza di merda. Io ucciderei per te, Isabel, mi hai capito?»

Elijah le prese il viso fra le mani, ammirando i suoi occhi verde muschio: Isabel non emetteva alcun fiato, in realtà si chiese se fosse ancora in grado di farlo. Era paralizzata, frastornata dal calore che emanava la sua presa, ma per la prima non aveva paura. Rimase  dov'era, ferma a guardarlo, schiudendo appena le labbra. Elijah dovette appellarsi a ogni sorta dì autocontrollo per non divorarle.

Aveva promesso, e intendeva mantenere quel giuramento, ma...Dio quant'era estenuante!
Cos'altro ancora avrebbe dovuto sopportare prima di impazzire?

«Promettimi una cosa, fata» sussurrò, accarezzandole la guancia con entrambi i pollici.
«Promettimela e poi me ne andrò.Va bene?»

Isabel aprì la bocca per parlare, ma ne uscì solo un flebile «sì.»

Elijah le sorrise, pronto a chiedere quindi, ma poi parve esitare; avrebbe voluto rendere eterno quell'istante di magia, di perfezione assoluta, imbottigliarlo in qualche modo per portarlo sempre con sé. Avrebbe potuto raccontarle di Brooke, della zuffa con Matthias, di tutta la sua vita miserevole che sembrava sgretolarsi come una fragile pergamena esposta al vento impietoso del tempo.

E di certo lo avrebbe fatto, Isabel meritava di sapere.
Ma non lo fece, non in quel momento almeno.
Ora desiderava solo starle accanto, sentire il suo profumo dolce, ammirarla senza muovere un muscolo.

«Promettimi che domani rimarrai vicino a Matthias...» le disse poi, «che qualsiasi cosa accada tu non ti allontanerai da lui. Promettimelo Isabel, ti prego. Ho bisogno di sentirtelo dire.»

Isabel annuì, lentamente. «I-io...»
Le era difficile parlare con lui che la fissava così intensamente, ma si sforzò di farlo, di acconsentire alla sua richiesta. «Te lo prometto» sussurrò.

Poi sembrò pensare a qualcosa, qualcosa di terribilmente stupido, che la portò a commettere un errore altrettanto stupido. Ma in quel momento se ne infischiò. La sua vita era in grave pericolo, l'indomani avrebbe potuto lasciare quel mondo per sempre. Niente aveva importanza difronte a un pensiero come quello. Niente, né l'orgoglio, né la rabbia, né il dolore che la consumava. Contava solo il presente, l'attimo del quale faceva parte.

Perciò sentiva di doverlo fare.
Di volerlo fare.

Era come una necessità, un bisogno implacabile, un desiderio insistente.
Uno dolce come il miele. 

Così senza pensarci, lo fece.
Isabel premette le labbra sulle sue.
Lo baciò.

A Elijah sembrò di sognare.

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