Capitolo ventiquattro

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"Dolori in arrivo"


Non ti fidare sai
quando ti dico che va tutto bene così.
-ELISA


«Non dovevi aspettarmi in macchina?» Elijah aggrottò la fronte innervosito dalla brusca intromissione di Rosalind, ma non si allontanò da Isabel, al contrario: strinse la sua mano, tenendola ancora vicina. Voleva che si fidasse di lui, che vedesse con i suoi occhi l'indifferenza che nutriva per quella donna.

L'espressione di Rosalind si fece più insolente.
«Mi annoiavo!» Lei storse il naso, fingendosi corrucciata.
«Perché ci metti così tanto? Credevo dovessimo andare.»

«Infatti. Aspettami in macchina arriverò a breve!» ordinò lui, con un tono che tradiva tutta la sua irritazione.

Ma Rosalind non sembrava intenzionata a mollare, anzi; cogliendo di sorpresa entrambi si avvicinò alla coppia ancora avvinghiata, ancheggiando in maniera impertinente. Isabel non restò indifferente al suo charme, al suo viso dolce e delicato: Rosalind era una donna molto bella con lunghi capelli color rame e occhi verdi come i suoi. Sembrava piuttosto giovane, eppure così sicura, quasi caparbia, coraggiosa. Il fatto che sfidasse Elijah così apertamente lo dimostrava.

«Torno in macchina quando verrai anche tu» sbuffò la rossa.
«Sai, mi mancavi...» sotto gli occhi vigili di Isabel, fece scorrere un dito sul petto di Elijah, lentamente, in  maniera quasi seducente. Fu un gesto inaspettato, accompagnato da uno sguardo lascivo che a Elijah non fece alcun affetto, anzi lo disgustò: lui le afferrò la mano strattonandola via. Non sopportava che qualcuno lo sfiorasse senza il suo permesso, quel lusso era concesso ad un'unica e sola donna oramai.
La sua fata. Isabel aveva il potere di incendiarlo, nessun'altra poteva equiparare il suo tocco. Si sentiva sporco quando qualcuna che non fosse lei invadeva il suo spazio vitale.

«Non farmi incazzare, Rosalind! Torna in macchina e aspettami lì!» tuonò brusco.
Sapeva perfettamente qual era il suo intento: voleva creare litigi fra lui e Isabel, intaccare il loro rapporto, provocarla fino a farla infuriare magari. La sua limousine si trovava difronte al portone, con ogni probabilità doveva aver assistito al loro scambio di baci e voleva approfittarne.

In cuor suo sperò che Isabel non si facesse ingannare da una provocazione cosi sciocca e patetica, e di fatti, rimase di stucco quando andò proprio così. La sua fata era una donna scaltra, incredibile sotto ogni aspetto lo sapeva, ma ne ebbe la conferma quando la vide stringersi a lui, senza paura. Non sembrava intimidita, tanto meno gelosa o sulla difensiva.
Il suo viso era sereno, per nulla altezzoso.
Non aveva bisogno di dimostrare un bel niente a quella donna, rivendicare un uomo che non le apparteneva era fuori discussione per lei.
«Non c'è problema, qui abbiamo finito. Possiamo andare» sorrise e nel farlo si alzò sulle punte, lasciando un bacio dolce sulla guancia di Elijah.

In quel momento ignorò l'intrusa, concentrando lo sguardo sull'uomo che le stava accanto. Voleva fidarsi di Elijah, dargli una chance, una vera, sincera e quel bacio- per quanto piccolo ed effimero fosse- ne era la prova. Sperò che leggesse fra le righe del suo gesto, in modo da cogliere quell'importante significato. Certo, era pur vero che la presenza di Rosalind la confondeva, la portava interrogarsi, a mettere in dubbio la sincerità di Elijah: lui era stato chiaro nei suoi riguardi, quella donna era semplicemente una montatura, uno stupido escamotage per far funzionare il loro stupido piano. Non doveva preoccuparsi. Eppure c'era qualcosa di...vagamente intimo fra loro, che non riusciva a spiegarsi.

Confusa com'era si sforzò di non pensarci, non era il giorno giusto per dare alito ai dubbi che le affollavano la testa. Doveva concentrarsi, la sua sopravvivenza dipendeva da quell'uomo e da Matthias, il suo cavaliere per una notte, che ora l'attendeva paziente fuori dall'auto. Sentirsi al sicuro, non esternare il terrore che la divorava era l'unico modo per convincere i nemici-oltre che se stessa- a fidarsi della veridicità di quella dannata farsa. Probabilmente era questo il motivo che la spingeva a fidarsi di Elijah: il bisogno estremo di avere certezze, delle maledette rassicurazioni in mezzo alle bugie che la circondavano. Persino fra l'irrealisticità di quegli assurdi pensieri.

Elijah, ancora in piedi accanto a lei, rimase piacevolmente sorpreso; non si aspettava una tale superiorità da parte di Isabel. Quella donna continuava a stupirlo. La sua maturità, il suo essere sempre così giusta e scaltra difronte alle ingiustizie, alle difficoltà che tentavano di offuscare il suo giudizio, lo spingevano sempre più verso una dolce consapevolezza: Isabel doveva essere sua.
Sarebbe impazzito pur di conquistarla!

Elijah si chinò a ricambiare il suo bacio con uno meno casto, più intimo di quanto si potesse pensare.
Poi le sollevò il viso, guardandola: i suoi occhi blu si immersero nei suoi, due profondi laghi verdi retroilluminati da una luce abbagliante che proveniva dall'interno. Era la purezza che irradiava il suo cuore a brillare in quel momento. Così, all'improvviso, si sentì toccato da una benedizione, quasi come se la sua oscurità arretrasse difronte allo splendore di quella donna.

«È ora di andare» esordì, «fai la brava, fata. Non svolazzare troppo in giro. D'accordo?»

Isabel ridacchiò, poi annuì lasciando che il calore di quel tocco la riscaldasse «e tu non azzardarti a perdermi di vista.»

«Mai!» Elijah scosse la testa, ancora perso a guardala.
Era ammaliato, sentiva la testa svuotata il petto più leggero. Non riusciva a pensare ad altro, a soffermarsi su niente, neppure sullo sguardo inacidito di Rosalind.
Isabel risucchiava totalmente la sua attenzione. Sentiva di non poterne fare a meno.

Su quei pensieri allentò di poco la stretta, permettendole di andare, finalmente. E fu in quell'esatto momento che sentì l'angoscia sopraffarlo, distruggere la forza che aveva mantenuto integro il suo autocontrollo. Si sentiva impotente, piccolo e inutile come una goccia nell'oceano. Quella sensazione andò a peggiorare quando la vide allontanarsi verso il portone, rimasto spalancato a causa del continuo via vai di domestici.

Cristo Santo, cos'era diventato?
Perché il pensiero di quella donna lo tormentava?

Prima che Isabel oltrepassasse l'uscio di casa si voltò, cosi all'improvviso, spinta da un impulso sconosciuto; forse voleva accertarsi che Elijah la guardasse ancora, o che Rosalind non si fosse già fiondata a prendere il suo posto. Ma in quel momento, accadde invece, qualcosa di molto più strano e vagamente preoccupante: per un motivo insolito lei e Rosalind si guardarono. La rossa la puntava con uno sguardo ambiguo, circospetto, quasi come come dentro tramasse qualcosa.

E poi le sorrise, elegante e fiera nel suo abito attillato color avorio. Un sorriso diabolico che non preannunciava nulla di buono.

«Ci vediamo dopo, Isabel» le disse.
«Non vedo l'ora di conoscerti meglio.»


***


9.30 pm
Gala dei Johnson.
Il disastro imminente.



«Siamo arrivati, accosti pure qui» Matthias indicò un parcheggio libero all'autista, proprio difronte al grande palazzo illuminato che si ergeva oltre un cancello in ferro ai lati della strada.
«Ora proseguiremo a piedi grazie.»
L'uomo al volante annuì, accostando la limousine
vicino al marciapiede. L'aria gelida investì i passeggeri non appena il giovane lord si premurò di aprire la portiera.

«D'accordo, sei pronta?» Matthias porse una mano a Isabel per invitarla a scendere. Il viaggio era durato poco – venti minuti circa – la villa dei Johnson si trovava piuttosto vicina a quella dei Brown e, come c'era da aspettarsi, era altrettanto imponente: il gala era ospitato all'interno di una magione lussuosa, in stile neoclassico parigino, già illuminata e gremita di invitati che si affrettavano a raggiungere l'evento.

Di fronte al cancello, un ampio vialetto in pietra si estendeva fino alla fontana davanti al palazzo, una costruzione piuttosto raffinata e maestosa, la cui eleganza veniva messa in risalto dal meraviglioso gioco d'acqua che si creava nel passaggio tra due vasche in marmo e la fuoriuscita a getto dalle bocche di due leoni scolpiti nella pietra.

Isabel rimase a bocca aperta, non aveva mai visto così tanto sfarzo nella sua vita, non in un giardino perlomeno.

«Sì, sono– sono pronta» lei accettò la mano di Matthias, smontando dall'auto. La pelliccia attorno alle sue spalle – rigorosamente sintetica – non era abbastanza calda per proteggerla dal freddo; infatti, iniziò a battere i denti e a tremare non appena mise piede sul gradino. Matthias si affrettò a scaldarla, avvicinandola di più a sé: le avvolse il braccio attorno alla vita, facendo attenzione a non sfiorare parti più basse e decisamente intime. Elijah lo avrebbe ucciso, ne era certo.

«Grazie.» Isabel gli sorrise, iniziando a muovere i primi passi, poi si voltò verso la strada.

«Dove sono Elijah e Rosalind?» domandò.

Per tutto il tragitto non aveva smesso di pensare a quella donna e al suo ghigno malefico. Non riusciva a capire perché quello strano incontro le avesse provocato un senso di profonda inquietudine. Oltre alla paura che invadeva il suo petto, all'ansia e al terrore di perire in mezzo a una sala piena zeppa di mafiosi, si era aggiunta anche l'angoscia e il fastidio di dover sopportare quella dannata sconosciuta.
C'era qualcosa in lei che non la convinceva.

«Arriveranno dopo, Isabel è meglio che non ci vedano insieme. Non preoccuparti, va tutto bene» Matthias le carezzò il punto che stava cingendo, continuando a camminare in direzione dell'entrata.
«Piuttosto uhm, vorrei esternarti il mio rammarico»
il giovane Brown si morse il labbro, pensieroso.
«Capisco che la nostra confidenza si riduce a qualche colloquio spiacevole, ma come ti dicevo prima, il piano prevede una certa... intimità fra noi. Sarò costretto ad abbracciarti, a ballare con te, a fingermi innamorato e propenso al contatto, ma...»
E lì si fermò, girandosi di poco per guardarla.
«Non muoverò un dito senza il tuo consenso, Isabel. Se c'è qualcosa che ti mette a disagio dimmelo, mi fermerò immediatamente.»

Isabel gli sorrise, addolcita e vagamente sorpresa: quell'uomo la stupiva.
Rispetto a Elijah era così gentile e galante, dai gesti ponderati e garbati. Persino il suo tocco era meno vigoroso e possessivo, anzi quello di Matthias era più dolce quasi educato.

Ma a Isabel, in maniera del tutto inaspettata, mancò l'irruenza di Elijah: voleva sentirsi reclamata, protetta, in qualche modo amata. Emozioni che bruciavano vive nel suo petto quando lui la stringeva, la sfiorava, la pretendeva, quando rivendicava il suo corpo. Avrebbe voluto averlo accanto in quel momento.

Ciononostante, apprezzò in maniera sincera l'impegno di Matthias nel volerla mettere a suo agio, era un gesto magnanimo, non da tutti in fondo.
«Grazie Matthias, lo apprezzo molto. Ecco vedi? Non sbagliavo a definirti un santo» sorrise, riprendendo il suo passo.

L'uomo rispose con un ghigno ironico, camminandole affianco «non più di tanto, fidati.»

«Oh non ne dubito, un vero bad boy» scherzò Isabel, barcollando di poco a causa dei tacchi vertiginosamente alti.

Matthias la sorresse, attento a non farla cadere «tu mi reputi un po' troppo innocente, Isabel. Posso diventare cattivo sai?» fece lui, sfoderando un sorrisetto.

«Uhm?» Isabel fece finta di pensarci.
«Ti immagino più come il nemico dei cartoni animati, sì decisamente! Chi mi ricordi? Vediamo?» Lei assunse un'espressione ironica sollevando gli occhi al cielo, come se in quella distesa oscura parzialmente illuminata dal chiarore lunare, ci trovasse la risposta.

Matthias rise scuotendo la testa «che donna impertinente siete, miss Turner. Il vostro umorismo sfacciato mi sbalordisce.»

«Allora siamo in due a sottovalutarci» rispose l'altra, sagace.
Matthias era pronto a replicare, ma dovette trattenere la risposta sulla punta della lingua: in quel momento arrivarono difronte al portone della villa, già gremito di aristocratici boriosi e in ghingheri. Uno dei cameriere addetti ai controlli, supervisionava gli inviti dei presenti, che piuttosto svogliatamente si affrettavano a mostrarlo prima di entrare. Nessuno di quei ricchi altezzosi aveva un aspetto pericoloso Isabel dovette ammetterlo: si aspettava uomini alti e forzuti, dallo sguardo affilato, l'aria losca e imprevedibile, con pistole nelle fibbie e completi neri come la pece. 

E invece si ritrovava davanti tizi sfarzosi ed eleganti, dall'aria tranquilla e pacata, quasi superba proprio come dei dannati snob.

Matthias estrasse il suo invito dal taschino della giacca, passandolo a Isabel «d'accordo, fallo vedere e sorridi. Cerca di mostrarti sciolta, più a tuo agio possibile. Come vedi non hai nulla da temere. Sforzati di apparire amichevole così non sospetteranno; questi stronzi amano torchiare le nuove arrivate se riuscirai a fare simpatia ti accetteranno subito.»

«E se non dovessi riuscirci?» chiese Isabel, seguendo il passo della fila.

«Hai fatto perdere la testa a mio fratello, Isabel. Questi qui li stendi, stanne certa» assicurò Matthias.

«Ha ragione...» una voce profonda e suadente si fece spazio nel discorso. Una che Isabel, conosceva bene e che la portò a trattenere un sorriso, uno carico di imbarazzato che minacciava di esploderle sul viso.
Elijah e Rosalind erano alle loro spalle, in fila anch'essi per entrare.
«Per questo non volevo che venissi, fata» sussurrò vicino al suo orecchio, ma non abbastanza da attirare l'attenzione.

Isabel si sforzò di tenere a bada il suo cuore: all'improvviso iniziò a battere veloce, così forte da sentirlo come un tamburo nelle orecchie.
Eccolo lì, il diavolo tentatore.
Non potè che sentirsi al sicuro quando avvertì la sua presenza, quasi sollevata, ma non si voltò.
Nessuno dei due lo fece, non potevano.
Era semplicemente felice di averlo lì.

«Non ti avevo detto di aspettare?» Matthias cercò di dissimulare il suo fastidio in un ghigno teso. Lo sguardo fisso, davanti a se.

«Io arrivo quando cazzo mi pare e leva quella mano altrimenti te la spezzo» sorrise Elijah, guardandosi attorno con aria placida. Rosalind, che teneva sotto braccio, riuscì a stento a reprimere una smorfia di diniego.
"Che vomito", Pensò.

«Non posso farlo, adesso, ci penserò dopo» rispose Matthias, in tono pacato. La voglia di prenderlo a pugni e urlargli contro era tanta, ma dovette trattenersi.
Accidenti a lui e alla sua stupida gelosia!

«Ti conviene. Non farmi incazzare» lo avvertì Elijah a voce più bassa.
Dio! Ecco il fastidio che cresceva, che violentemente si abbatteva in lui: non avevano ancora varcato quella soglia e già sentiva di star perdendo il controllo.
Non sopportava di vederla abbracciata a Matthias, tanto meno che Matthias la toccasse.
Da dov'era poteva ammirare con più facilità il corpo della sua fata: quel vestito non faceva che risaltare le curve morbide della sua silhouette, la schiena seminuda, il culo sodo, magnifico e...
Suo, tutto suo.
Solo suo.

La rabbia non fece che crescere quando si rese conto che Isabel, per una notte, avrebbe invaso le fantasie dei maiali in quella stanza. Poteva già immaginare i loro sguardi languidi e viscidi, la voglia di toccarla, di avvicinarsi a lei, di approcciarla in maniera meno diretta ma comunque sfacciata.
E con altrettanta facilità, poteva prevedere anche la sua reazione: avrebbe rischiato di uccidere qualcuno.
Lo sentiva.

Cristo! Aveva chiesto una sola cosa a quella dannata costumista: niente di attillato o appariscente.
L'avrebbe licenziata al suo ritorno.
Si era trattenuto alla villa, reprimere il fastidio legato a quell'abito era stato arduo ma la serenità della sua fata contava più di tutto il resto: l'ansia che penzolava sulle loro teste era più che sufficiente.

Sh, calma.
Rilassati.
Sta calmo.
Calmo!

«Hai visto Rick?» Chiese poi, osservando la fila diventare sempre più corta.
Doveva pensare ad altro o avrebbe rischiato di afferrarle la mano e portarla via!

Matthias, ancora una volta, ignorò qualsiasi impulso bellico lo incitasse a colpirlo. Era ancora arrabbiato, non lo aveva perdonato per aver offeso Brooke. Le sue parole avevano toccato corde troppo delicate, lo avevano ferito: se Elijah credeva di passarla liscia grazie alla sua gelida indifferenza si sbagliava.
Di grosso.
«Non ancora. In ogni caso sapremo quando arriverà, verrà a cercarci, ne sono certo.»

A quelle parole Isabel s'irrigidì: per un attimo aveva quasi dimenticato qual era lo scopo del piano, il motivo per cui si trovava lì.
Dovevano convincere Rick a risparmiare la sua vita, tentare di imbrogliarlo, fargli credere che il cuore tremante nel suo petto appartenesse a Matthias e non al diavolo bello e tenebroso alle sue spalle.

Ma come potevano riuscirci?
Isabel era un libro aperto, temeva che lui potesse leggerle la verità in faccia.

«Benjamin?» Chiese poi Matthias, muovendosi con la fila. «Dov'è?»

«Alla villa» rispose Elijah, seguendo il passo.
«Si accerta che non entri nessuno in nostra assenza. Mi fa comodo averlo a casa, sarà lui a caricare le auto se ci sarà bisogno di partire.»

«Bene» Matthias annuì, poi diede un'occhiata in giro nella sala. Non gli era difficile vedere sopra le teste della maggior parte degli invitati: di Rick nessuna traccia, né di tanti altri mafiosi invitati all'evento.
Si stranì ma non ci diede peso, il loro turno era arrivato, dovevano entrare.
Isabel seguì le istruzioni di Matthias e passò l'invito al cameriere; l'uomo ispezionò il biglietto poi le gettò un'occhiata più attenta.
«Sei nuova da queste parti? Non ti ho mai vista.»

«Qualche problema?» Matthias aggrottò la fronte; la sua mano le cinse la vita avvicinandola di più a se. Stavolta fu meno delicato, un po' più brusco, quasi come a voler sottolineare che era lui il suo accompagnatore.

Elijah nei meandri nella sua testa, in maniera silenziosa, imprecò violentemente.
Era incazzato nero.

Il ragazzo guardò lui, poi tornò a guardare Isabel e poi ancora Matthias.
«Scusi signore, nessun problema» rispose, facendosi da parte.
Matthias rispose con un cenno, prima di sorpassarlo.
Doveva aspettarselo, Isabel era l'attrazione principale in quella sala, tutti gli invitati sapevano del suo arrivo, ne era certo. Una faida come quella fra Rick ed Elijah possedeva una risonanza importante, creava un certo scalpore, soprattutto se di mezzo ci andava una donna. 

Una volta raggiunta la sala d'ingresso il panorama cambiava totalmente: l'atmosfera calda delle luci sembrava catapultare indietro nel tempo, a quando le feste principesche dell'ottocento erano all'ordine del giorno, quando cavalieri e dame si corteggiavano nei lussuosi salottini delle ville, come quello che ora si parava davanti ai loro occhi. Isabel avrebbe voluto soffermarsi maggiormente sull'eleganza che dominava il corridoio, ma la sua attenzione era rivolta a tutt'altra parte.

Isabel si voltò a guardare Elijah e si accorse che anche lui stava guardando lei.
Non l'avrebbe persa di vista, mai, neppure per un attimo lo sapeva.

In quel momento però si rese conto di aver commesso un errore: quello scambio per quanto spicciolo e insignificante, avrebbe potuto causare non pochi  problemi a entrambi, smascherarli addirittura.
Eppure non era riuscita a controllarsi: si sentiva così vuota, spaesata, confusa, come ubriaca ma di terrore e frustrazione. Voleva averlo vicino, come quella mattina, quando con straordinaria imprevedibilità l'aveva stupita. L'aveva baciata, le aveva sussurrato che era il centro del suo mondo e che mai, mai l'avrebbe lasciata. Voleva rivivere quell'attimo cosi sciocco e sconsiderato, assaporare il gusto delle sue labbra avide, lasciarsi stringere fino a scomparire nel suo petto forte e robusto. Ne sentiva il bisogno.
Si erano salutati neanche un manciata d'ore prima e già pativa la sua mancanza, il suo calore travolgente.

E anche se sapeva che era tutto uno sbaglio, che lui era sbagliato per lei, non riusciva più a reprimere ciò che provava.
Isabel lo desiderava e se ne rese conto in quel momento, difronte all'ennesima sfida della vita.
Avrebbe voluto raggiungerlo e confessargli tutto, ma...
Il suo cuore urlò quando si accorse che lui non la stava più guardando. Ora i suoi occhi erano rivolti a Rosalind, quella donna così misteriosa e imprevedibile.
Gli stava vicino, gli sussurrava parole all'orecchio, lo guardava con brama e desiderio, quasi come se volesse mangiarlo, spogliarlo lì, davanti a tutti.

Ma i suoi occhi si spalancarono quando vide ciò che fece dopo: non appena superarono i controlli, lei si sporse a baciarlo. Sulle labbra.
Le sue labbra.

Isabel sentì una morsa allo stomaco, le lacrime le pizzicarono l'angolo degli occhi, il suo sguardo si appannò. Lui ricambiò il suo bacio, non seppe dire se con reale passione o con finto trasporto. Matthias la incitò a proseguire.
«Sai che è tutto finto? Vero?» sussurrò, lanciando cenni amichevoli gli ospiti che li avevano notati.

«Credo di saperlo sì...» rispose vaga, alzando la testa.
Perché l'aveva fatto?
Per provocarla magari? Scatenare una sua reazione?
Che colpo basso provare a complicare quella situazione già difficile.
Schiarendosi la voce si ricompose.
Non poteva esternare la rabbia, la frustrazione,  sforzarsi di apparire serena e cordiale era tutto ciò che doveva fare.
Ma dentro...
Dentro urlava, non riusciva più a pensare, a concentrarsi!

«Ci stanno guardando sorridi e saluta, Isabel. Ti prego, non perderti, mi servi lucida!» le mormorò Matthias a denti stretti, prima di raggiungere e sorridere calorosamente a una coppia che li stava osservando.

«Matthias!» Esclamò uno dei due, «vecchio lupo è da tanto che non ci becchiamo.»

«Parker! Che piacere, sono felice di incontrarti!» Matthias le lasciò la mano per abbracciare il nuovo arrivato.

«Mi devi ancora una partita a golf» l'uomo ricambiò la stretta con qualche pacca sulla spalla.
«Non ho dimenticato come mi hai battuto la volta scorsa, pretendo la mia rivincita!» scherzò, puntandogli un dito in modo amichevole.

«Una rivincita? Vuoi che ti stracci ancora? D'accordo lo farò volentieri» Matthias ridacchiò, cingendo il fianco della sua dama.

«Quindi sei tu la donna della discordia» Parker allungò una mano a stringere quella di Isabel.
«È un piacere conoscerti.»

«Questo testone è Parker Johnson, ha organizzato lui l'evento» spiegò Matthias, mentre i due si conoscevano.

Isabel gli sorrise, anzi si sforzò di farlo.
«Anche per me è un piacere» rispose, vagamente in imbarazzo.

Parker ricambiò con un'occhiata più benevola.
Era un uomo bello, piuttosto affascinante, probabilmente sui trent'anni: capelli brizzolati, sguardo sicuro e vispo, alto e ben vestito. Quelli che gli stavano intorno lo salutavano con rispetto e incredibile riguardo, doveva trattarsi di un personaggio piuttosto importante in quell'ambiente. Come tutti quelli che aveva conosciuto del resto.
«Mi dispiace per quello che ti è successo. Matthias mi ha raccontato tutto. Rick è un coglione non cambierà mai.»

«Lo hai visto? Sai se è già qui?» Matthias assunse un espressione più seria, circospetta.

Parker annuì «vi sta cercando in realtà, vuole parlare con voi» gli disse, con aria risentita.

Isabel trattenne il fiato.
Quell'ammissione non fece che aggravare la sua sofferenza. Ma le cose sembrarono peggiorare da lì a poco, in maniera imprevedibile.
Era così assorta nella parte di brava mogliettina, che non si accorse della donna che sostava alle sue spalle.
Questa la guardava a bocca aperta, quasi fosse un miraggio nel deserto.
Non riusciva a crederci.
Anzi, non voleva crederci.

«Isabel? Cristo non posso crederci!» esclamò lei.

Matthias si voltò, anche Isabel lo fece ma avrebbe preferito non farlo.
La riconobbe all'istante, come non avrebbe potuto?

Era Melissa.
La megera che la disprezzava, la strega odiosa che aveva continuato a darle il tormento a scuola.
Che diavolo ci faceva lì?

Isabel impallidì.
Ora avevano un problema, un grosso problema.

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