▴Quattro▴

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Finalmente, il pullman fece sosta davanti la mia destinazione. Il ragazzo di fianco a me scese e si andò a sedere su di una panchina poco distante.

Era terribilmente strano. Se era lui che mi stava seguendo, perché mai avrebbe dovuto esporsi così tanto? Perché farsi vedere in viso da me? Non aveva assolutamente senso. Forse era solo la mia mente che continuava a prendersi gioco di me.

Entrai nello stabile in cui vi erano gli uffici di mio padre. Non andavo lì molto spesso, ma volevo capire cosa stava succedendo. Mio padre era a casa, per cui avevo libero accesso al suo computer. Mi infiltrai senza problemi nel suo ufficio; d'altronde ero la figlia del dirigente e difficilmente qualcuno avrebbe potuto sospettare qualcosa di insolito. Bastava semplicemente mostrare il badge alle guardie per passare.

Una volta dentro, mi richiusi la porta alle spalle girando la chiave nella serratura per evitare che qualcuno entrasse. Dopodiché, mi misi alla scrivania ed aprii il suo portatile.

Cacchio! Mi ero scordata di un piccolo ma fondamentale particolare: la password!

Iniziai a guardarmi intorno. Sembrava lo studio di un qualsiasi business man, come amava definirsi lui. Addirittura aveva una vecchia foto alla scrivania con me e mia madre. Falsissimo. Mi ricordavo perfettamente quando quella foto fu scattata: era di qualche anno prima, eravamo rigidi e in posa. Nessun contatto fisico e un sorriso tirato, come a dare l'immagine di una famiglia perfetta. Tutto per la bella intervista di un giornale di economia che aveva voluto intervistare il grande signor Wilson. Che poi non era chissà chi, ma solo un lurido pezzente che si arricchiva a spese e scapito altrui. Acquisiva piccole imprese o aziende sull'orlo del fallimento o in perdita , faceva piccoli investimenti e le accorpava, creando grandi colossi nel settore commerciale o, semplicemente, li vendeva al miglior offerente e tutto ciò con costosi passaggi e ingenti quantità di denaro che finivano nelle sue tasche.

A parte quella foto, incorniciata da una costosa cornice d'oro bianco, nulla di personale arredava quell'ufficio.

Provai dapprima con formule banali: il suo compleanno, quello di mia madre, la data del matrimonio, la mia data di nascita. Nulla.

Aprii qualche cassetto in cerca di documenti o appunti vari e trovai un'agenda nera in pelle consumata. Era completamente in contrasto con il resto dei fascicoli presenti in quell'ufficio, tutti regolari e ordinati. Quell'agenda, tutta rovinata e con vari fogli strappati, era come un pugno in un occhio. La aprii con cautela. Vi erano tutta una serie di nomi con codici vicino.

Non avevo idea a cosa potessero riferirsi. Feci una foto con il cellulare. Quei codici dovevano riguardare qualcosa di grosso, altrimenti sarebbe stato scritto tutto nero su bianco come negli altri file e documenti. Oltre l'agenda, l'unica cosa vecchia che trovai nei cassetti della scrivania fu una cartellina. La aprii e, riposti accuratamente all'interno, c'erano tutti i documenti relativi al primo accordo fatto da mio padre.

Questa cosa mi fece fare un sorriso triste. Il buon vecchio Gerard Wilson era un sentimentale?

Provai con il nome dell'azienda e la password risultò corretta. Neanche per le password di un computer traspariva amore e passione per qualcosa che fosse diverso dal suo lavoro.

Iniziai una breve ricerca, ma nulla sembrava essere così preoccupante o importante da mandare mio padre su tutte le furie, finché nella cartella di posta elettronica, tra le e-mail eliminate, ne lessi alcune che mi diedero i brividi. L'una riportava:

"L'ora è giunta. Devi pagare per il prezzo dei tuoi peccati. I conti sono più salati della tua busta paga..."

Mentre una seconda diceva:

"Non mi prendi sul serio?

Il peggio sarà il tuo... tieni più alla tua azienda o alla tua famiglia? Ma perché scegliere? Ti priveremo di entrambe"

L'ultima era di quella mattina:

"Shana è il nome di tua figlia giusto? Scoprirai presto di cosa siamo capaci..."

Chiusi il computer d' istinto e rimasi immobile alla scrivania, mentre sentivo il sangue raggelarmi le vene.

Qualcuno mi stava seguendo e, a giudicare da quelle e-mail, non ero al sicuro.

Una busta di carta bianca scivolò da sotto la porta. Mi avvicinai cauta e vidi che non era sigillata. La aprii per vederne il contenuto e il mio cuore perse un battito. All'interno vi era una ciocca di capelli: di miei capelli.

Quando me li avevano presi? Sul pullman? Durante la notte? In università?

Erano davvero arrivati cosi vicini a me?

Mi presi la testa fra le mani e mi accasciai al pavimento, iniziando a respirare sonoramente. Sentivo una morsa alla gola, come se stessi soffocando. Il cuore batteva freneticamente, come un dannato in cerca di una via di fuga.


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Ciao lettrici/lettori... volevo solo avvisarvi che ho cominciato a lavorare e non ho il tempo in cui speravo... cercherò di aggiornare ogni sabato o al massimo di domenica!

Iniziate a tremare il meglio sta per arrivareeee! 

Buona lettura e buona serata!




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