▴Quindici▴

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Mi dispiaceva che Sebastian si sentisse così responsabile dell'accaduto. Non era colpa sua, anzi, gli ero grata per tutto l'aiuto che mi stava dando. Senza di lui probabilmente a quell'ora sarei già stata catturata.

Intanto la mia testa ribolliva e sentivo il sangue pulsarmi nelle tempie. La frittata della colazione iniziava anche a farsi sentire nello stomaco. Mi sentivo veramente male, un malessere oltre che fisico soprattutto psicologico. Non riuscivo a decidermi sul da farsi, non riuscivo a concentrarmi e a ragionare lucidamente. Avvertivo solo un enorme caos, milioni di pensieri e voci che si accavallavano tra loro.

Davanti a me avevo questo ragazzo che si stava mettendo a mia completa disposizione e i cui occhi azzurrissimi, avevano smesso di brillare da chissà quanti anni. Solo allora notai le borse violacee che li contornavano. Rivoli di acqua giocavano sul suo volto, la t-shirt bagnata dalla pioggia. Era uscito di corsa per cercare Logan e non si era nemmeno coperto, scontrandosi così con la pioggia che continuava a cadere. In quel momento mi stava di fronte intento ad alleviare il mio dolore senza nemmeno pensare a se stesso.

Ero stata tremendamente egoista. Avevo messo lui in una situazione più grande di noi, mi aveva suggerito di coinvolgere la polizia e io non ero riuscita a fidarmi cecamente di lui. Gli avevo impedito di fare il suo lavoro, ma da soli avevamo le mani legate. Avevamo bisogno di ulteriore aiuto. Magari insieme con lui sarei riuscita a parlare a mio padre. Se lui si fosse presentato in divisa davanti al grande Mister Wilson, quest'ultimo si sarebbe controllato. Avrei potuto sapere realmente cosa succedeva, oppure si sarebbe inventato qualche scusa per non insospettire la polizia. L'alternativa a tutto ciò era quella di andare in centrale per redigere una denuncia ufficiale e quindi essere assolutamente certi di capire cosa realmente nascondeva il freddo Gerard Wilson.

Dovevo fare qualcosa. Non potevo rischiare che anche Sebastian ci rimettesse per colpa mia.

Mi stavo affezionando a quel ragazzo dal viso dolce e i lineamenti delicati.

Impensabilmente mi sporsi in avanti e lo abbracciai.

«Grazie per quello che fai per me» gli sussurrai.

Il gesto lo colse alla sprovvista e lo sentii irrigidirsi a quel contatto inaspettato. La stessa reazione che avrei potuto avere io in un'eventuale situazione invertita. Si ammorbidì, ma non ricambiò l'abbraccio. «Faccio solo il mio dovere».

«Questo va ben oltre il tuo dovere. Ti ho chiesto molto» dissi. Lui allora mi accarezzò delicatamente la schiena e sospirò smuovendomi i capelli. Poi delicatamente si scostò da me. «Non sono un poliziotto solo quando indosso la mia uniforme, amo il mio lavoro.»

Detto questo, si alzò e andò ad asciugarsi e mettersi l'uniforme.

«Io devo andare al lavoro, l'unica cosa che posso fare è portarti in centrale con me se non vuoi rimanere qui» disse di ritorno dalla sua stanza.

Improvvisamente il suo cercapersone iniziò a suonare.

Sebastian lesse il messaggio e corse ad accendere il televisore nel salotto.

Il telegiornale era già cominciato e vi era un servizio su mio padre. Riconobbi subito la sua faccia.

Il servizio parlava di lettere minatorie e del fatto che non si avevano notizie della figlia di Gerard Wilson da più di ventiquattr'ore.

Sebastian iniziò a preoccuparsi. «Adesso che è ufficiale non posso più coprirti, rischierei il mio posto in centrale. Se vuoi ancora il mio aiuto, dobbiamo andare dal Commissario e informarlo della situazione in via ufficiale» affermò, mentre con le dita si tormentava il mento guardando verso il basso. «In tutto questo quasi mi dimenticavo di dirti che anche i risultati del test sui capelli sono pronti».

Mi alzai. «Dammi il tempo di rendermi giusto un po' più presentabile e andremo a parlare con il Commissario».

«Dici sul serio?» chiese sorpreso. «Pensavo fosse più dura convincerti»

«Dato che mio padre si è rivolto alla televisione e ne sono tutti al corrente, non ho più nulla da perdere. La mia amica Joy dovrebbe essere al sicuro. Mi ha mandato un messaggio prima che la batteria del mio cellulare mi abbandonasse».

«Bene, sei molto sveglia, ragazza, te lo concedo. Vado a vedere se trovo qualcosa di più consono da farti indossare».

Tornò poco dopo con un jeans decisamente femminile e una camicia da uomo.

«Posso domandarti una cosa?» dissi senza peli sulla lingua.

«Certo dimmi pure».

«Com'è che magicamente torni con abiti o intimo femminile? Hai una vita notturna segreta?» domandai sarcastica.

«Cosa?!» esclamò, divenendo paonazzo.

«Stavo scherzando, tranquillo» gli risposi, trattenendo una risata di fronte alla sua espressione imbarazzata.

«Ho ancora qualcosa che apparteneva alla mia ragazza in casa. Abitavamo insieme e non ho avuto il coraggio di togliere tutto quel che riguardava lei».

«Non è mai facile lasciarsi alle spalle qualcuno a cui hai voluto bene» osservai davvero convinta di quella frase. Però qualcuno, in effetti, io lo avevo dimenticato. I primi anni della mia vita erano un grosso buco nero, erano un po' come la visione che io avevo della luna. Non ricordavo quasi nulla della mia prima infanzia.

Ma non avevo mai dato gran peso a questa cosa, credendo fosse normale. In fondo, chi è che ricorda perfettamente la sua infanzia? I ricordi poi non vanno a comando, alcune cose sbucano all'improvviso, come se si fosse aperto qualche cassetto nascosto nella mente. Un odore, un suono, un luogo e si sblocca qualche memoria che nemmeno immaginavamo di avere ancora.

Andai a darmi una sistemata nel bagno e indossai il jeans e la camicia di Sebastian. La camicia era notevolmente grande, ma me la infilai nei pantaloni cercando di renderla il più "normale" possibile.

Il suo odore mi pervase le narici. Profumava di fresco, di buono, di dopobarba alla menta. Quel odore, fresco e pungente allo stesso tempo, mi fece sentire protetta.

Sciolsi i capelli, cercando di nascondere la parte gonfia del viso. Evitai lo specchio e uscii dal bagno pronta a fare una denuncia ufficiale e cercare protezione.

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