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Capitolo 13

Da gentiluomo qual era, Sebastian mi aveva ceduto la sua camera da letto, mentre per lui si era sistemato il divano letto.

Quella sera non facevo che rigirarmi tra le lenzuola.

Era la prima volta che dormivo fuori casa, in un letto che non era il mio e ad ogni minimo rumore sobbalzavo, immaginando un Gerard Wilson furibondo e ubriaco che in qualche modo era riuscito a trovarmi.

Inoltre, i pensieri su questo Logan Wood non volevano smettere di tormentarmi.

Ragazzo dal passato difficile, piccoli furti, taccheggi, aveva perso il padre a soli diciotto anni. Si era ritrovato in mezzo alla strada poiché insieme alla morte del padre il fisco si era portato via tutto ciò che era vendibile, dato che l'uomo era sommerso da debiti.

Non riuscivo a capire, però, cosa quel ragazzo avesse nei miei confronti. Sembrava un problema personale e, se ripensavo al suo sguardo, i brividi ripercorrevano la mia schiena. Quel senso di bruciore alle spalle si faceva sentire nuovamente.

E mentre nella mia testa vi era la bufera, anche il tempo fuori sembrava rispecchiare appieno il mio stato d'animo. Il vento impazzava sempre più potente, facendo fischiare le finestre. I tuoni rimbombavano in lontananza, segno che anche la pioggia era in arrivo.

Oggetti rotolavano e stridevano in mezzo alle strade, lasciati in balia del vento come se la loro esistenza non importasse a nessuno. Erano oggetti dimenticati dal mondo, abbandonati a se stessi, esattamente come me. Tuttavia, almeno a loro, il vento indomabile, per quanto li colpisse violentemente, aveva concesso di volare per qualche secondo. Erano liberi da vincoli e costrizioni.

Io invece, nonostante lontana dall'uomo che più odiavo al mondo, mi sentivo ancora in suo potere. Anche quello che mi stava capitando era opera sua, questi folli mi cercavano per causa sua! Sentivo il macigno ingombrante della sua presenza che non mi lasciava respirare, non mi permetteva di volare.

Tra i vari pensieri la ritrovai lì: la luna. Immobile e impassibile continuava a fissarmi dall'alto verso il basso, a prendersi gioco di me. L'avevo lasciata la notte scorsa lì, e sempre lì l'avevo ritrovata. Nonostante i nuvoloni da temporale cercassero di coprirla, la sua luce si spandeva prepotente e un lieve accenno di rosso la coronava come un'aureola.

Mi girai sul lato opposto, non volevo vederla.

Le scorticature sotto le bende non mi permettevano di muovermi fluidamente ed ogni movimento era lento e calcolato. Alla fine, fu più per la pesantezza delle palpebre che per l'esigenza di dormire che riuscii a sprofondare in un mondo nero e privo di sogni

Nonostante avessi faticato più del solito a prendere sonno, alle sette precise, come sempre, avevo riaperto gli occhi. Abituandomi piano piano alla luce e a alla stanza sconosciuta in cui mi trovavo.

Dopo aver ricomposto i pensieri ed essere tornata pienamente lucida, mi avviai verso il bagno.

Notai le grosse occhiaie che circondavano i miei occhi e i lividi violacei sulle braccia e vicino il lato sinistro del mio viso.

Andai poi verso la cucina e preparai qualcosa di facile, dato che non ero abituata a preparare da mangiare, ero stata sempre e costantemente servita e riverita.

Joy mi aveva insegnato a fare le uova sbattute, per cui mi concentrai su quel ricordo, cercando di essere il più pulita possibile nella rottura del guscio.

Inevitabilmente qualche pezzo finì tra il tuorlo e l'albume. Con una forchetta cercai di ripulire il composto dai minuscoli frammenti che vi avevo lasciato cadere. Ma l'impresa non era da poco, dato che questi continuavano a ritornare verso il basso come legati ad una molla.

Dopo aver messo un filo di olio e cotto il composto, mi ero concentrata sulla spremuta d'arancia. Avevo lavato tutto per bene e avevo cominciato ad usare lo spremiagrumi.

Quei piccoli gesti mi stavano riscaldando il cuore e, in un certo senso, mi legavano allo stile di vita che più desideravo al mondo. Mi sentivo più leggera, utile. Non più di peso per chi mi stava intorno, non più la persona da servire. Adesso ero io per una volta a preparare da sola qualcosa per me e qualcun'altro.

Una volta che tutto fu pronto e la tavola sistemata, mi spostai in salotto, accostandomi al divano su cui Sebastian riposava ancora.
Rannicchiato sotto le coperte e con i capelli leggermente scombinati sembrava più piccolo, più fragile. Non aveva la stazza dalla sua parte e sembrava quasi un angelo.

Notai il suo cerca persone illuminarsi di continuo e mi avvicinai. Era la centrale.

Poggiai la mano sulla sua spalla e lo scossi gentilmente.
«Sebastian» lo chiamai con la voce ancora un po' rauca. «Sebastian» ripetei di nuovo un po' più forte.

Lo sentì smuoversi e aprire gradualmente gli occhi, sbatterli un po' per abituarsi alla luce e poi guardarmi un attimo confuso.

«Buongiorno» accennai.

Lui rispose al saluto con la voce ancora impastata.

Mi avviai verso la cucina e aspettai che lui si sistemasse e mi raggiungesse.

***********
Capitolo di passaggio. Ci sarà presto un nuovo evento inaspettato. Ma diamo la possibilità a Shana di riprendersi un attimo. Non sono così sadica (o forse si)

Vi svelo una piccola curiosità. Il nome Shana non è un nome casuale. Lo sapete cosa significa?
È un nome di origine indiana e significa "raggio di luna"....

Non sono una pazza, so che lei odia la luna... ma tutto a suo tempo!

Un abbraccio!

Al prossimo aggiornamento!!




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