Ventiquattro

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Mi ero abituata a quella piccola e baluginante lucetta spoglia appesa al soffitto. Era da sola e illuminava a malapena lo spazio circostante, era troppo piccola e sproporzionata rispetto alla stanza.
Ed io ero troppo fragile per assimilare anche l'ultima consapevolezza.

Tirai le ginocchia al petto e comincia a dondolare, fissando quella lampadina smossa dagli spifferi.

Non sono una Wilson. Gerard non è mio padre. Gerard mi ha picchiata. Sono stata in Orfanotrofio. Sono di nuovo in orfanotrofio. Sono prigioniera. Chi sono in realtà? Chi ero prima dei 'Wilson'? Perché tutto questo?

Dondolavo seguendo la luce, mi muovevo in funzione di essa.

Quando improvvisamente sentii un leggero click. Mi aspettai nuovamente che lo strazio delle urla ricominciasse, e invece nulla.

Dopo qualche secondo però la stanza piombò nel buio più totale.

Ero stanca dei loro giochetti. Non ne potevo più. Avrei voluto gridargli che si sbagliavano! Che era inutile continuassero a tenermi prigioniera. Non ero la figlia di Gerard. Non ero chi volevano loro. Che Gerard non mi aveva mai amata. Che a lui non fregava nulla di me.

Ma non aprii bocca. Non spiccicai parola. Chiusi le palpebre stanche e cominciai a dondolare di nuovo. Ero alla deriva.

La mia mente era una bomba ad orologeria, sentivo il ticchettare inesorabile della pazzia che bussava come un forsennato. Le immagini si ripetevano senza sosta, le parole, gli avvenimenti. Tutto cominciava a distruggersi e ricomporsi nella mia mente. Un nuovo filo le univa. Non era un filo logico, era più che altro un insieme confuso di ricordi. Tutto si mescolava nella mia mente.

Portai le mani sulla testa come a coprirmi. Come a frenare quell'odioso ticchettare. Ma non un briciolo di forza scorreva più nel mio corpo, ricaddero come peso morto dinnanzi al viso. Insieme con essa ciocche scure di capelli.

Non potevo vederle ma le sentii scorrermi tra le dita. Riportai le mani tra i capelli e altre lunghe ciocche seguirono le mie mani allontanarsi.

Buttai la testa all'indietro. Mi appoggiai alla testata di ferro del letto. Puntai lo sguardo verso l'alto. Tutto era nero. Non distinguevo nulla nemmeno il mio corpo. Avevo la certezza di esistere ancora solo perché al tatto riuscivo ad avere la consapevolezza del mio corpo.

Io ero come quel buio. Ero Nero. Ero come la visione che avevo della luna. Ero un grosso buco nero. Non ero nulla. Non ero nessuno. Non avevo passato e non avevo futuro. E il presente cos'era? Nero anch'esso. Spalancai la bocca in un grido muto. Il buco nero anche la voce si era portato via.

Cocenti e silenziose lacrime cominciarono a venir giù a cascata.
Non avevo nemmeno più controllo sulle mie emozioni.

Ero un contenitore vuoto. Privata di tutto, anche della mia identità.

Cosa mi restava? A cosa potevo aggrapparmi? Dove avrei trovato la forza?

La mia mente ticchettava inesorabile. Il pianto diventò presto pesante opprimente. Non riuscivo nemmeno a respirare. Sentivo l'ossigeno mancare. Sentivo i polmoni bruciare.

Mi buttai giù dal letto e arrancai verso i piccoli spiragli di luce che arrivavano dalla finestra sbarrata.

Le mani strisciavano lente e il pavimento sporco lasciava che tra le dita i granuli si appiccicassero. Sentivo la pesantezza di ogni cosa. Sentivo anche il pavimento ruotare. Arrancavo nel buio verso la luce. Poggiavo a fatica le braccia. Le sentii poi cedere sotto di me.

Mi ritrovai presto con la guancia bagnata incollata al suolo. Ansimavo e respiravo polvere.

La porta di ferro emise numerosi lamenti. Poi dei passi veloci e pesanti si avvicinarono pericolosamente. Una presa salda e forte mi afferrò per le spalle. Non capivo come mi avesse trovata così in fretta nell'oscurità. Mi spostò di peso e mi butto violentemente sulla brandina.

Il rumore forte di una sberla riecheggiò nella stanza. Una vampata improvvisa di calore ricoprì la parte destra del mio volto, quella che fino a qualche istante prima poggiava sul freddo pavimento inospitale della stanza. Un formicolio e un bruciore improvviso ridestarono i miei sensi destabilizzati.

Dopo giorni e giorni di silenzi, dopo giorni di solitudine il primo contatto umano fu doloroso.

Le mani tornarono a posarsi sul mio viso. Afferrarono il mio mento brutalmente e lo smossero. Una luce accecante illuminò il mio occhio destro e poi quello sinistro. Tentai di divincolarmi, ma in realtà il mio misero movimento non poteva definirsi nemmeno un "tentativo"

«Uccidimi» sussurrai.

«Lo farei volentieri, ma ci sei più utile viva» mi rispose la voce sconosciuta. Un brivido di terrore mi fece vibrare ogni singolo capello che avevo in capo.

«E ricorda la scelta comunque non spetta a te. Nemmeno sulla vita o sulla morte. Sono io che deciso cosa farne di te»

«Non sei un dio» gli risposi sprezzante.

Un altro ceffone mi colpì in pieno volto.

«Dove sono?» mi domandò

«Dove sono cosa?» chiesi.

Un'altro schiaffo.

«Tornerò domani sera e ti chiederò di nuovo la stessa cosa. Spero tu abbia la risposta giusta»

«Io non ho le risposte che cerchi»

Con il palmo della mano m'inchiodò al muro. Mi sputò letteralmente le ultime parole in faccia «Tu hai le risposte che cerco» sentii il suo alito pesante sul mio viso. Cercai di divincolarmi dalla sua presa. «Non puoi fuggire, finirà solo quando e come lo dico io»

Mollò la presa ed io ricaddi in avanti come una molla.

La porta della mia prigione si richiuse dietro di lui.

Ansimai tra le lacrime, mi rannicchia su me stessa. Le mani tremavano. Il viso bruciava laddove le sue dita mi avevano toccata. Era sempre la stessa tortura. Le cose si ripetevano di nuovo. La ruota girava, e la stessa sorte beffarda si prendeva gioco di me.

Non ne sarei uscita viva.

Nota Autrice

Ragazzi davvero mi scuso immensamente per questo capitolo. Devastante per me. Noioso, lungo e doloroso per voi. Shana povera figliola mi dispiace tu abbia trovato me come scrittrice. Sono una sadica, masochista...
Figuratevi che anche da bambina le mie povere Barbi non avevano storie tanto normali.

Vi confesso anche una cosa... mi divertivo a fargli fare sport estremi. Avevo la mia amata Barby che si dava al bungee jumping... l'appendevo con un filo di plastica (tipo quelli degli scoopy-doo) e la lanciavo nella tromba delle scale... e... non vi dico i risultati disastrosi.

Ma lasciando perdere questo dettaglio vi annuncio che il rapimento è diviso in varie "fasi" siamo esattamente all'inizio di quella centrale. Ce ne saranno poi altre due... tra cui una dolorossissima (non so ancora come farò a scriverla). Poi ci sarà il finale.... Ci vuole ancora tempo, e tanta acqua deve scorrere sotto i ponti per cui.... volevo congratularmi con voi intrepidi lettori se siete giunti fino a qui. Siate sinceri con i pareri... perchè su questo capitolo ci ho perso il senno... Letteralmente!

la vostra pazza Angela

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