Capitolo 5

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NON si era mai avvicinato tanto a quella abitazione, non dopo aver saputo chi vi dimorasse. Si era incamminato a piedi, anche se aveva dovuto attraversare quasi l'intera città. Se chi non avrebbe dovuto fosse venuto a conoscenza di quanto stava per esporsi, avrebbe tentato con ogni mezzo di interrompere sul nascere qualsiasi relazione, qualsiasi legame tra loro e gli altri. Non poteva permettersi di essere anche lontanamente collegato a questa possibilità, non poteva fidarsi di nessuno, meno ancora di chi gli era vicino. Nel profondo di quel che rimaneva della sua anima, non poteva restare cieco e sordo al suo fortissimo richiamo, era più forte di lui.

Attraversò frettolosamente lo spazio antistante la Lander University, calandosi il cappello sugli occhi e chiudendo fino in fondo la zip del suo Moncler. Camminò a passo svelto, tenne lo sguardo rivolto a terra: sarebbe stato inutile preoccuparsi di essere seguito, sarebbe già stato catturato, doveva solamente sperare che lui fosse abbastanza lontano da non avvertirlo. Non mancava molto, riconobbe la zona. La casa era quella, le luci all'interno erano accese. Si avvicinò e bussò al portone, attendendo imbarazzato una risposta. L'uscio si aprì dopo pochi istanti.

«Adam? Che ci fai qui?» Chiese una esterrefatta ragazza, sorpresa dalla visita.

«Ciao, Mary. Sono passato solamente per chiederti come sta Leah, se si è ripresa.»

L'espressione della giovane si addolcì: «Sta bene. Per fortuna non ha avuto gravi conseguenze. Sei arrivato giusto in tempo.»

«Te lo ha detto?»

«Non c'è niente che non mi racconti, certo che mi ha detto che sei stato tu a trovarla.» Mary socchiuse la porta dietro le spalle. «Ma ancora non capisce come e soprattutto perché sei arrivato, dal momento che sei scomparso nel nulla dalla sera della festa.»

«È complicato, da spiegare.»

«Sono tutta orecchi.»

«Non qui e non adesso. Forse mai.»

«Enigmatico.» Gli appoggiò una mano sulla spalla, notando una vena di apprensione illuminare gli occhi chiari. «Senti, conosco Leah da tutta la vita, è confusa, sta cercando risposte, non puoi continuare a fuggire.»

«No, Mary, non posso. Conta solo che lei stia bene. Adesso devo andare.» Si voltò.

«Posso dirle che hai chiesto di lei?»

«Fai come credi sia meglio.» E immediatamente avvertì la sensazione che quelle parole appena pronunciate, né un assenso né un diniego, avrebbero avuto un peso enorme in ciò che lo aspettava. Doveva trovare il coraggio di affrontarlo, se mai lo avrebbe fatto. Non era mai stato un codardo ma questa rappresentava la sfida più grande che gli fosse mai capitata in tutta la sua esistenza, permeata da sempre dalla convinzione che non sarebbe mai potuto accadere, o comunque che non avrebbe dovuto riguardare entrambi.

«Ha deciso di non partire. Lo ha fatto per te, Adam!» Sentì Mary affermare quando era già lontano diversi metri, e il cuore si strinse ancora di più.

Mary rientrò in casa, serrò la porta dietro di sé, dischiuse la mano sinistra e ne rivelò una piuma. L'aveva notata spuntare da una cucitura sulla spalla del piumino di Adam e senza lasciarlo intuire, l'aveva raccolta. Non era molto ma sperò che potesse bastare ai suoi tarocchi per fornire una lettura di quel ragazzo e del segreto che custodiva così gelosamente.

Adam rientrò a casa a notte inoltrata. L'abitazione era completamente deserta: Malek non era ancora rientrato dal suo viaggio a Washington. Attraversò l'ampio salone, premendo il tasto per l'accensione del termo camino. Aveva bisogno di una doccia calda che lavasse via tutta quella tensione. La sala da bagno aveva linee moderne che giocavano tra i colori del marmo bianco e del Marquina, nero e venato: trovava rilassante questa combinazione. Tolse i vestiti ripiegandoli con cura e osservò il suo riflesso nell'ampia specchiera. Scoprì il fianco sinistro e guardò nella superficie riflettente il tatuaggio incompleto che adornava il costato: il bastone e le aste trasversali erano ben definite, lo stesso non si poteva dire del semicerchio a lato ornato di rune, del quale mancava ancora una buona metà. Era ancora in tempo. Restava da decidere solamente se volerlo completare o percorrere la strada per abbandonarlo, con tutte le conseguenze che potevano derivarne. Stava per giungere il momento di prendere la sua decisione, sarebbe stata inevitabile. Doveva farlo prima che lui prendesse la sua. L'acqua fumante rilassava i muscoli donandogli piacere e placando con i rivoli bollenti i sussurri insistenti che accompagnavano il suo essere, era l'unico modo che aveva mai trovato per non pensarci, per sopire il rimorso; il vapore derivato dal diffusore lo avvolse e l'aroma dell'oppio obnubilò la sua mente.

Come spesso era accaduto, rivisse nuovamente il giorno in cui aveva saputo la verità su suo padre. Non lo aveva mai cercato, piuttosto era stato il genitore a trovare lui, tramite i suoi accoliti. Lo aveva fatto portare in un luogo ombroso e sconosciuto e gli aveva parlato mantenendo quella propria orrida sembianza, mentre sorseggiava un bicchiere di scotch.

«Sei veramente incomprensibile.» Lo aveva redarguito.

«Nessuno dei tuoi fratelli si è mai opposto a me, non trovo il motivo per cui ancora tu ti ostini a farlo. Non ci sarà mai una via d'uscita, conviene che ti rassegni e abbandoni questa carità che ancora coltivi.»

«Stai mentendo!» Si era opposto con fervore.

«Dubiti di me?» L'ira iniziava a pervadere il suo sguardo.

«Non potrai mai cambiare chi sono.»

«Tu sei mio figlio!»

«Per fortuna, ho anche una madre.»

«Taci!» Aveva urlato, infuriato.

«Oppure? Chiamerai uno dei tuoi? Non credo che lo farai, non puoi.» Aveva visto i pugni del padre serrarsi in preda allo sdegno dovuto alla certezza che le parole che stava sentendo corrispondevano a verità.

«Prima o poi verrai da me. È il tuo destino, ragazzo!»

«Vedremo.»

Ricordare quel giorno gli provocava, ogni volta, un malessere incontenibile, una rabbia assurda, un risentimento mai sopito verso colei che l'aveva generato in quelle condizioni, condannandolo a una sola possibilità di scelta. Ciò che aveva scoperto anni fa aveva tuttavia squarciato il velo dell'obbligo, lasciando intravedere una flebile possibilità di invertire la direzione della sua vita. A quale prezzo, però.

Non avrei mai potuto partire a cuor leggero dopo ciò che era accaduto la notte scorsa. A malincuore, annullai tutti gli impegni che avevo preso rinunciando a una grandissima occasione ma non mi era stato possibile fare altrimenti, sia fisicamente che mentalmente. Andava da sé che mia madre da un lato ne fosse stata molto felice, anche se la sua apprensione si era moltiplicata a dismisura dopo l'aggressione e quasi non mi consentiva di uscire di casa se non accompagnata da qualcuno, come poterla biasimare. La mia casa, la mia famiglia mi era divenuta d'un tratto troppo stretta, una prigione senza barriere, dove muoversi liberamente si era trasformato in qualcosa di quasi impossibile. Osservai il cielo plumbeo dalla finestra della mia camera. Dovevo provare a rintracciarlo. Inutile starci a rimuginare: non c'era motivo per cui avesse dovuto venire a salvarmi e non era stato un caso che lui fosse lì in quel preciso momento. Pensai che sarebbe stato quasi inutile tentare di non coinvolgere Mary, mi vestii silenziosamente, lasciai acceso il mio stereo programmato per leggere in loop tutti i brani contenuti sulla memoria portatile. Scesi le scale con attenzione per non produrre rumori, mia madre era in salone a lavorare al suo nuovo progetto. Non si accorse di me. Perfetto.

Scivolai fuori di casa con una leggerezza che mai mi sarei aspettata di avere. Come previsto, la mia amica si accorse della fuga furtiva e mi raggiunse da casa sua altrettanto cauta. Non mi fermai e continuai a camminare.

«Vuoi andarci a piedi? Non è vicino, conviene prendere la mia auto.»

«Lascia perdere, Mary, non sai nemmeno dove voglio andare.» Risposi acidamente.

«Certo che lo so. Sei prevedibile.» Sapeva benissimo che le sue parole mi pungevano come spine.

«Ok. D'accordo.»

Voltammo l'angolo della strada, salimmo sulla vettura e ci dirigemmo verso Willson Street. Era quasi il tramonto, il rossore della sera rendeva infuocate le facciate delle case, si preannunciava una notte stellata.

Arrestammo la vettura a un centinaio di metri da villa Grady. Scesi con decisione e mi affrettai in direzione della cancellata senza attendere Mary che, con mia sorpresa, rimase in auto ad aspettarmi. Pensavo mi avrebbe accompagnato, meglio così. Premetti impaziente il citofono. Nessuna risposta. Spinsi la vista oltre la vegetazione: l'auto di Adam era parcheggiata nel solito posto. Avevo le mani gelate dalla tensione benché avessi indossato i guanti, le strofinai tra loro per scaldarle o forse per trovare sollievo all'inquietudine. Stavolta non me ne andrò a mani vuote, non senza le risposte che mi deve! Feci un altro tentativo e scorsi la sagoma di una figura maschile avvicinarsi alla vetrata opaca. Mi sta osservando, spero mi riconosca. La figura si allontanò ma non mi consentì di entrare. In quel momento mi sentii veramente confusa e altrettanto decisa ad avere risposte.

Tornai da Mary che aveva assistito a tutta la scena dalla sua posizione.

«Vuoi tornare a casa?»

«No. Aspetteremo. Prima o poi dovrà uscire. Sono giorni che se ne sta rinchiuso in quella casa, adesso inizio veramente a innervosirmi. Tu hai avuto altre letture?»

«Sì. Ieri sera, Adam è venuto a casa mia.» Mi voltai esterrefatta verso di lei. «Ha chiesto di te, come stavi, se ti fossi rimessa. Gli ho suggerito di darti spiegazioni, forse inutilmente. Gli ho detto che sei rimasta, per lui.» Sentii le lacrime affiorarmi agli occhi, dopotutto non ero così forte come pensavo di essere, non avevo superato niente di tutto quello che mi era capitato.

«Ti ha detto lui di dirmelo?»

«No. Mi ha lasciata libera di scegliere. Comunque, poco prima che se ne andasse, sono riuscita a raccogliere una piuma dalla sua giacca per creare un collegamento.»

«Cosa hai visto?»

«Oh, una gran confusione. Mi è uscita una combinazione del tutto innaturale. Quel ragazzo ha un segreto, Leah, e non è niente che si possa considerare normale. C'è moltissima forza, in lui, e molta paura, ho visto un passato tormentato e una figura che lo sovrasta. Qualunque cosa sia non sarà facile venirne a capo.»

«So essere molto paziente. Basta che mi permetta di parlargli, che ascolti le mie parole.»

«Temo che la parte più difficile sarà ascoltare le sue.»

Restammo una buona mezz'ora chiuse in auto, la sera era calata, il freddo iniziava a farsi sentire, non me la sentii più, per oggi, di costringerla a seguirmi nel mio tentativo. Stavo per dirle di rientrare, quando la pesante cancellata finalmente si aprì e ne uscì il fuoristrada.

«Seguilo.» Ordinai senza indugio. Con la coda dell'occhio vidi un sorriso complice spuntare sul volto della mia anima.

Attraversato il centro cittadino, la vettura si arrestò di fronte al "The Pope", un pub non lontano dalla strada principale. Svelta, Mary accostò, io scesi decisa e mi avvicinai rapidamente all'entrata per intercettare Adam. Calai il cappuccio sul volto e nascosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Non si era accorto di me, non appena passò abbastanza vicino a me afferrai il suo braccio, lasciandolo perplesso.

«Ciao Adam.» Sollevai il volto e rivelai la mia identità. L'espressione del ragazzo cambiò improvvisamente e dai suoi lineamenti trasparì un misto tra preoccupazione e piacere. Si guardò attorno rapidamente, poi mi afferrò per il polso e mi trascinò lontano dalla luce.

«Cosa diavolo ci fai qui, Leah! Sei impazzita?»

«Sono giorni che provo a parlarti ma non mi riesce affatto facile. Mi devi delle spiegazioni, Adam.»

«Non è il momento per parlarne, né il luogo adatto.»

«Di questo passo, non sarà mai il momento giusto.» Lo implorai. «Insomma, devo sapere per quale motivo sei venuto a salvarmi. E non mi raccontare che passavi di lì per caso perché non me la bevo.»

«Leah è complicato, seriamente. Non capiresti.»

«Smettila di ripetere che non capirei! Non sono una stupida!» Sbottai in preda alla rabbia. Stavolta stava decisamente esagerando, ma non avevo alcuna intenzione di andarmene senza una risposta.

«Torna a casa, stammi lontana!»

«Ancora? Ma di cosa hai paura?»

«Non sono affari che ti riguardano.»

«Oh, altroché se lo sono! Non me ne andrò senza delle risposte, me le devi.» Sembrò che quest'ultima frase avesse riscontrato un certo successo, la tenacia di Adam vacillò per un secondo. Mi avvicinai. «Cosa c'è tra noi? Cosa ci sta legando in questa maniera?» Le labbra del ragazzo tremarono, i suoi occhi azzurri erano fissi nei miei.

«Devi capire che rivelarti determinate cose ti potrebbe mettere in grave pericolo. È vero anche che non posso più nascondermi.» Che sia finalmente la volta buona? «Ma non qui e non ora, Leah.» La delusione mi colpì allo stomaco.

«Quando, allora?»

«Non lo so.» Sollevò lo sguardo dietro di me. «La tua amica ti sta aspettando.»

«Sì, beh...» mi voltai nella stessa direzione ma quando tornai a concentrarmi su di lui, davanti a me avevo solo il buio. Adam era scomparso, con una rapidità mai vista si era dileguato nel nulla, sotto i miei occhi. Tornai da Mary, sconfitta.

«Quindi?» Mi chiese.

«Se n'è andato. Senza neppure ascoltarmi, mi sono fatta raggirare come una stupida. Io non so più cosa fare, Mary, veramente.»

«Sei certa di voler continuare?»

«Non lo so.»

Non volli che Mary rimanesse con me questa sera. Mia madre non si era accorta praticamente di niente ed ero rientrata a casa con la stessa attenzione con la quale me ne ero uscita. Rientrai in camera spaesata. Mi sentii sopraffatta, serrai le tende della finestra e mi lasciai andare sul letto. Era come se fosse inutile continuare a sperare. Non riuscivo a stare ferma, fissavo il soffitto, avevo voglia di piangere. Voglio dimenticare tutto, voglio dimenticare lui, non importa quanto ci vorrà. Adesso basta. Era qualcosa che non potevo più sopportare e se non c'era maniera in cui io potessi comprendere cosa stesse accadendo, meglio che nemmeno continuassi a chiedermelo più. Ma cosa sto dicendo? Mi arrendo così, proprio io? Avevo da sempre l'abitudine, non sempre proficua, di voler arrivare in fondo alle cose, non potevo gettare la spugna a quel modo. Presi la mia penna preferita e un foglio di carta filigranata.

***

Augusta distava da Greenwood poco meno di due ore, in auto, se si percorreva la statale 19. Non aveva detto a nessuno dove stesse andando né per quale motivo, soprattutto non l'aveva detto a sua madre, la quale sapeva bene chi sarebbe potuta andare a cercare in quel luogo. Non era stato difficile ottenere informazioni circa la posizione del suo nuovo studio tramite quella solita segretaria dalla voce stridula e l'attenzione perennemente attratta più dallo smalto che dalla propria mansione. Non aveva riconosciuto la sua voce al telefono, eppure l'aveva sentita in parecchie occasioni qualche anno prima, in circostanze del tutto differenti.

Lo studio era situato in una zona appena fuori dal centro nevralgico della città, in un edificio a cinque piani, corredato da un ampio spazio verde attorno. I vetri delle ampie finestre riflettevano la sagoma frondosa dei palmizi che incorniciavano il viale antistante. Mary scese dalla sua vettura chiudendo lo sportello con disinvoltura. Sapendo bene con chi avrebbe avuto occasione di parlare, aveva abbandonato il suo solito abbigliamento optando per un corto tubino blu dalla scollatura profonda. Non era abituata a indossare tacchi alti ma per quell'occasione avrebbe fatto un'eccezione. Aveva raccolto i capelli in un composto chignon che lasciava intravedere a malapena le sfumature stravaganti. Si meravigliava sempre della sua capacità di dissimulare. Entrò nell'edificio, il portinaio la scortò fino al vicino ascensore e le chiese a che piano andasse.

«Quarto, per favore.» Rispose sfoggiando il suo più bel sorriso. L'uomo sembrò aver intuito quale fosse la sua meta e un lampo malizioso attraversò il suo sguardo prima di riaffiorare in un sorriso provocatorio. Era nel posto giusto, la segretaria non le aveva mentito. Terza porta a sinistra, aveva detto. Raggiunse l'ingresso dello studio, la targa non lasciava dubbi: DR. CRISTINEL DROULA, DENTAL SURGEON. Premette il tasto del citofono e la porta le venne aperta immediatamente.

«La signorina Smith?»

«Sì, Lara Smith.» Rispose confermando la falsa identità che aveva fornito tentando di limitare la possibilità che Cristinel negasse di riceverla.

«Si accomodi, il dottore la sta aspettando.» Con un cenno del capo si incamminò verso la stanza adiacente.

«Guarda chi porta il vento. Buongiorno signorina Thompson. A cosa devo il piacere?» La accolse Cristinel con un ghigno amaro che gli deformava i tratti tipici dell'est Europa.

«Sai che non sono molto portata per i giri di parole. Ho bisogno di un'informazione.»

«E cosa ti fa pensare che io ce l'abbia?»

«Sono certa che tu non abbia perso i contatti con la famiglia.

Gli devi troppo. Non è vero?»

L'uomo distolse lo sguardo e si lasciò cadere sullo schienale della poltrona: «Certo che gli sono debitore. Grazie a te, oppure te ne sei dimenticata?»

«Come posso scordarmi di essere quasi stata incastrata per qualcosa che non avevo commesso?»

«Eppure, in quel periodo non ti credevo così furba.»

«Non è questione di essere furbi o meno se sono riuscita a dimostrare che eri stato tu a raggirare tutta quella gente, si tratta di sopravvivenza. Inoltre, incolpare una ragazza appena maggiorenne, è stato veramente un colpo basso, Cristinel.»

«Non credo di avere intenzione di aiutarti. Tre anni di prigione e una vita al servizio della famiglia per poterne uscire su cauzione penso che siano un ottimo deterrente.»

«Io credo invece che lo farai.»

«Dammi un ottimo motivo oppure sparisci.»

Mary sollevò gli occhi, incontrando una particolare struttura che pendeva dal soffitto della stanza. Attaccata a una catena con carrucola motorizzata si trovava una spessa trave in acciaio, alle estremità della quale diversi anelli a differenti di stanze offrivano appiglio a una qualche particolare imbracatura. Sapeva di cosa si trattasse, aveva impiegato tre settimane ma alla fine era riuscita a farne documentare, in immagini, l'utilizzo. La ragazza si sedette, accavallò le gambe. Che peccato che i suoi indumenti non fossero bastati a stuzzicare il temperamento del medico, forse i loro trascorsi ancora bruciavano. Aprì la valigetta che teneva in mano e ne trasse un plico racchiuso in una cartellina color ocra. La porse a Cristinel, lasciandola cadere sulla scrivania davanti a lui. Lui la raccolse e la aprì, aggrottando le sopracciglia.

«Cosa significa?»

«Preferisci darmi l'informazione che cerco oppure gradisci che queste fotografie arrivino alle famiglie delle tue pazienti? Cosa stai praticando in quelle immagini? Otturazioni? Mhmm...stravagante modo di lavorare, non credi?»

Cristinel serrò la mandibola innervosito. Dopo un arresto, un'uscita su cauzione e una scalata sociale dubbia, uno scandalo di quelle proporzioni non sarebbe stato sicuramente auspicabile.

«Dimmi che cosa vuoi sapere.» Grugnì.

«Come rintraccio Zendaya?»

L'uomo la fissò per qualche istante negli occhi, in seguito prese carta e penna.

***

Il bicchiere di whisky era pieno nemmeno per metà, lo girò tra le mani, rapito dagli archi etilici che l'alcool disegnava sulle pareti del cristallo. Il termo camino irradiava un avvolgente calore e la sua silhouette oscura contrastava con i colori chiari del salone. Le luci soffuse delle applique in ferro battuto e pergamena gettavano ombre indistinte sugli oggetti vicini. Il cicalino dell'allarme perimetrale avvertì dell'avvicinamento di qualcuno alla cancellata. Si spostò alla vetrata principale in tempo per scorgere una figura incappucciata lasciar cadere una busta nella fenditura per la raccolta della posta. Attese con pazienza che lo sconosciuto se ne fosse andato, poi si recò a recuperare l'oggetto.

La busta era in carta anonima, bianca. Non riportava indirizzi, era stata consegnata a mano. Sul retro, vi era scritto solo: ADAM GRADY. Era indirizzata a lui. Rientrò frettolosamente in casa, era incuriosito da questa novità, nessuno si era mai preso la premura di scrivergli e le ambasciate dei suoi venivano solitamente trasmesse da un messo. Sedette sul divano di pelle e strappò ordinatamente un lembo della busta. La lettera era scritta in un'elegante grafia lievemente inclinata a destra, accurata e arricchita da tratti morbidi e sottili.

"Ciao Adam

so che mi hai chiesto di starti lontana ma non riesco. C'è qualcosa che mi attira verso di te, non posso fingere di non provare quello che sento. Mi sembra di affogare, ti prego salvami anche questa volta. Ti chiedo solo di ascoltarmi. È come se ti appartenessi dal giorno in cui ci siamo incontrati ma rispetterò la tua scelta. Sarò qui, quando vorrai parlarne. Sono rimasta perché lontano da te non posso stare a meno che tu non voglia veramente.

Sinceramente tua, Leah."

Onestamente, era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di poter ricevere. Strinse la carta tra le mani tremanti. Era confuso, più di quanto lo fosse mai stato e sapeva benissimo che le sue decisioni avrebbero condizionato irrimediabilmente il futuro. Seguire il proprio cuore avrebbe significato abbandonarsi a un egoismo a cui non aveva mai voluto cedere per natura, seguire la ragione lo avrebbe portato a perdere molto più di un'occasione per sanare la sua anima ma Leah non avrebbe corso alcun pericolo. E se a lei arrivasse qualcun altro? Non si fermerà, conoscendolo. Doveva proteggerla, a tutti i costi. Nessuno aveva ancora intuito che cosa rappresentasse per lui Leah ma Adam era fin troppo sicuro che lui già sospettasse qualcosa. Non doveva accadere, non doveva arrivare a lei, per nessun motivo, o tutta questa sua sofferenza sarebbe risultata completamente vana. Rimase interdetto qualche secondo, infine con decisione ripiegò la lettera nascondendola nella tasca interna della giacca e afferrò le chiavi del fuoristrada.

In pochi minuti si ritrovò in Laurel Avenue. Riconobbe l'abitazione, sperò che fosse già rincasata: la luce nella sua camera da letto era accesa mentre al piano di sotto tutto era spento, forse si trovava sola in casa. Accostò, scese e corse verso il portone d'ingresso, bussando senza esitazione.

«Non mi aspetto che tu comprenda, così su due piedi.» Si rivolse a una Leah completamente spaesata trovandosi dinanzi il ragazzo inaspettatamente. «Devo capire come poter affrontare questa situazione e lo capirò, te lo prometto. È complicato, Leah. Ma voglio che tu sappia una cosa.»

«Dimmi pure.» Rispose la ragazza con gli occhi lucidi, rimanendo appoggiata allo stipite della porta.

Adam non trovava le parole: era la prima volta che gli capitava di provare emozioni simili, nemmeno era a conoscenza di poterlo fare, data la sua natura. Impietrito, il silenzio fra loro si fece assordante, si lasciò finalmente libero di farsi guidare dal proprio istinto, si avvicinò, prese il viso della donna tra le mani, sentendo il suo calore attraverso i guanti di pelle e posò delicatamente le labbra sulle sue, assaporando finalmente un turbinio di sentimenti a lui sconosciuti. Passati i primi istanti di sorpresa, Leah intrecciò le sue dita tra i capelli mori di lui, premendo il viso e ricambiando quel meraviglioso momento di estasi. Il bacio li lasciò entrambi senza fiato. Adesso che si erano trovati, avrebbero voluto non doversi allontanare. Rimasero così, vicini, le fronti appoggiate e gli occhi abbassati in un imbarazzo delizioso.

«Non chiedermi di più per adesso. Fidati, non posso.»

«Sinceramente è più di quanto mi aspettassi.»

«Aspettami, d'accordo?»

«Lo farò.»

Leah osservò il ragazzo allontanarsi mentre una strana inquietudine si stava impossessando di lei.

***

«Dove sei stato?» Una voce profonda giunse dal salone. Adam esitò, aggrottò le sopracciglia, la preoccupazione salì dallo stomaco.

«Malek, sei rientrato.»

«In tempo per non trovarti dove avresti dovuto essere.»

«Ero uscito solo per fare due passi.»

«Questo profumo...è angoscia, vero?» Rispose l'uomo, volgendo a Adam uno sguardo nero come la notte.

Il ragazzo riprese il controllo di sé. Doveva essere più cauto, non poteva abbassare la guardia, soprattutto non doveva perdere di vista chi fosse Malek. Non si sarebbe fatto cogliere nuovamente impreparato.

«Ho detto che ero fuori, tutto qua. Non provarci, anche se sei più anziano, non dimenticarti quale ruolo ho, non ho limiti nell'applicarlo.»

Malek si ritirò con circospezione, riacquistando un poco di affabilità. «Non spogliarti, usciamo. Ho fame.»

Adam conosceva fin troppo bene Malek. Questo era solo l'inizio di qualcosa che non doveva evolversi in altro.

«Certo. Dammi un momento.» Il giovane si diresse verso la sala da bagno del piano terra, chiuse la porta dietro di sé e prese il suo smartphone. "L'ho trovata. Domani sarò da voi." Inviò il messaggio e raggiunse il cugino.

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