Capitolo 4

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«ALLORA? Dove vi va di andare, oggi?» La voce allegra stonò platealmente con le nostre espressioni pentite. Io e Tony ci scambiammo un'occhiata imbarazzata. «Avanti, cosa c'è che non va? È una bellissima giornata, c'è il sole, non ha ancora nevicato e gli uccellini cantano, cosa volete di più?»

«Mary, ti ricordo che non siamo abituati a saltare le lezioni, soprattutto non siamo i tipi che andrebbero in giro per le strade di una contea a elencare i pregi di una giornata a squarciagola!» Il moralismo di Tony a volte era veramente irritante. Non fosse stato per il test di metà corso di letteratura inglese, non avrei avuto niente in contrario ma il comportamento poco usuale della mia amica durante i giorni scorsi mi aveva portato ad accettare comunque il suo invito. Mentre lei si lanciava in saltelli piroettanti a mezz'aria, lui si barricò dietro un mistico silenzio. Dovetti intervenire.

«Perché non andiamo a Emerald Farm? Mi hanno raccontato che è un posto veramente delizioso ed è poco fuori città, potrebbe essere quasi rilassante, per una volta.»

«Io ci sto!»

Tony sbuffò sonoramente in segno di assenso e io mi rincuorai di aver trovato una valida alternativa per la mattinata. La contea aveva messo a disposizione una navetta per raggiungere la fattoria che distava appena poche miglia, la fermata non era lontana.

Erano passati tredici giorni dall'ultima volta che vidi Adam e dal mio primo, sfortunato incontro con Malek. Non avevo più avuto nessuna notizia su di loro, nonostante i miei ripetuti approcci con diversi compagni di università, frequentanti i nostri stessi corsi. Alcuni di loro non sapevano nemmeno di chi stessi parlando. Mary si ostinava a non volermi confidare cosa le aveva procurato un timore così profondo; la nostra amicizia non avrebbe prescisso da questo ma sicuramente questa sua opposizione ne avrebbe modificato le sembianze. Spinsi lo sguardo fuori dal finestrino della corriera, tenendo il mento appoggiato sul palmo della mano, cercai di seguire con gli occhi le sagome della natura che si avvicendavano durante il tragitto. Chissà se avrò preso la decisione giusta. I miei amici erano seduti uno accanto all'altra, sul divanetto di fronte al mio, Tony ne era veramente preso, impossibile che lei ancora non se ne fosse resa conto, ridevano e scherzavano insieme, lei lo osservava, masticando la sua solita gomma e sorrideva mostrando i denti bianchissimi in contrasto con il rossetto nero. Spero che capiscano e mi perdonino.

Emerald Farm era una realtà nata diversi anni fa, un'ottima meta per chi stesse cercando di riacquistare il legame con gli elementi primari della natura, ero venuta spesso qui da piccola con i miei genitori ed ero capace di restare ore ad aspettare che i maschi di pavone mostrassero la loro famigerata ruota, non di rado però me ne tornavo a casa delusa. Ammiravo i proprietari della fattoria: avevo sempre pensato che avessero avuto coraggio a sperimentare una realtà così lontana dalla tecnologia dei nostri giorni e nondimeno erano stati eccellenti nell'aver saputo coinvolgere le giovani generazioni nei loro progetti, collaborando con le scuole e gli istituti vicini. Soprattutto, Emerald Farm aveva per me una fortissima attrattiva: la quiete, l'armonia, il ritorno a una semplicità pura. Arrivammo giusto in tempo per un piccolo brunch che i proprietari avevano organizzato in un ampio spazio a fianco all'edificio principale. Non facemmo complimenti e ci avvicinammo al resto dei visitatori che già avevano creato un capannello attorno al tavolo imbandito, sedendoci in seguito per gustare gli ottimi prodotti appena sfornati.

«Vorrei farvi una domanda, ragazzi.» Ruppi il silenzio. I miei amici mi squadrarono con aria interrogativa. «Non vorrei che vi faceste strane idee ma in questi ultimi giorni ci ho pensato molto e vorrei un vostro parere: cosa ne pensate di Adam?»

«Di nuovo?» esclamò Tony stupito «Credevo che ormai fosse acqua passata ma, a quanto pare, non lo è.»

«No, cioè, sì ma...»

«Pochi giri di parole, saremo sinceri.» Tagliò corto Mary.

«Il fatto è che non ho avuto più notizie di loro, Adam è come scomparso, non si è più presentato a lezione anche se le loro auto sono ancora parcheggiate nel giardino della villa.»

«Aspetta, ci sei tornata?»

Sollevai le spalle: «Non avrei dovuto, vero?»

«Ti avevo chiesto di andarci piano e speravo sinceramente che l'atteggiamento di Adam ti avesse almeno lasciato intuire cosa fosse meglio per te.»

«Insomma, Mary, sono settimane che mi parli attraverso enigmi. Adesso penso sia ora di smetterla. Siamo amiche dall'infanzia, non vedo il motivo di mantenere con me un qualsiasi segreto, ti prego.»

Con tutta probabilità Tony captò la crescente nota di agitazione nella mia voce e nel tentativo di smorzare una probabile collisione pronunciò una frase che ebbe lo stesso effetto su di me di una fiamma con una miccia: «Secondo me gli piaci.» Rimasi a bocca aperta mentre Mary riprese le redini della discussione.

«Ma se tu nemmeno c'eri!»

«No ma me lo hanno raccontato, con dovizia di particolari.»

«E su quali basi deduci le tue conclusioni, Freud?»

«Insomma, vi scontrate, rimanete affascinati l'uno dall'altra e lui si oppone fermamente al cugino che adotta con te comportamenti un po' ambigui, fino a portarlo ad andarsene. Beh, non mi sembra proprio disinteressato, non credi?»

Le sue parole riaccesero in me sentimenti sopiti. Mi soffermai ad ascoltare lo scambio tra i miei amici senza nemmeno più comprendere cosa si stessero dicendo: nella mia testa echeggiava solamente l'ultima frase. Mi feci coraggio, adesso o mai più, dovevo dirglielo, non potevo farlo di nascosto, mi sarebbe sembrato di tradire loro e l'amicizia che c'era tra noi:

«Io...me ne vado.» Trasalirono.

«Vuoi tornare a casa?»

«Scusami, Leah, non volevo essere così sfrontato.»

«Non avete capito, lascio la città.»

«Quando?» Mary aveva già le lacrime agli occhi, incredibile quanto a volte avevo la sensazione che lei già sapesse ogni mia mossa.

«Domani. O al massimo la prossima settimana. Giusto il tempo per trovare un alloggio a Seattle.»

«Seattle? Ma è a due giorni da qui, dall'altra parte del paese!»

«Ho vinto una borsa di studio con il mio ultimo saggio e ho deciso di partecipare a un corso esterno di giornalismo.»

«Per quanto tempo?»

«Più o meno sei mesi.»

«E con gli esami come farai?»

«Sto aspettando che mi attivino una piattaforma online per la didattica a distanza, riuscirò a seguire corsi e sostenere gli esami da là.»

«Ma tua madre lo sa già?»

«Ne abbiamo parlato ma le ho chiesto di non dirvi niente, volevo farlo io. La sorellastra di mio padre abita a pochi chilometri, mi ospiterà lei.»

Mary si alzò improvvisamente e mi volse le spalle, in direzione del recinto degli alpaca. Mi aspettavo questa reazione da lei e altrettanto prevedibile era stata la serenità con cui Tony aveva accolto la mia notizia. Raggiunsi la ragazza appoggiata allo steccato, lievi sussulti delle spalle mi rivelarono la sua infinita tristezza.

«Mary, senti...»

«Non dire niente, anima mia. Ti capisco più di quanto tu creda. Solo che, insomma, da quando ci conosciamo non siamo mai state a più di mezzo chilometro l'una dall'altra e adesso mi chiedi di lasciarti andare a centinaia di chilometri di distanza per un tempo lunghissimo.»

«So come ti senti. Ti giuro che non è stata una decisione semplice ma sento di doverlo fare, per me stessa.»

«Voglio solamente che tu sappia che la tua anima è parte della mia, se soffri tu, soffro anche io. Ti proteggerò sempre, tesoro, in ogni caso.»

«Proteggermi? Da cosa?»

«Prima che tu parta, credo sia arrivato il momento in cui anche io ti riveli uno dei miei segreti. Quando rincaseremo, fermati a casa mia: devo mostrarti una cosa.» Mi abbracciò come mai aveva fatto prima di allora e spense sul mio petto le lacrime amare.

Decidemmo di comune accordo di cenare tutti assieme da Papa Johns' quella sera: un arrivederci o un addio, non seppi bene cosa avrei dovuto aspettarmi da questa esperienza.

***

Nello stesso momento in cui varcammo la soglia dell'abitazione di Mary ci scontrammo con Jacob.

«Stasera ceniamo tutti da Papa Johns'» mi riuscì naturale chiedergli «vieni anche tu?»

«Papa Johns' eh? Dicono faccia una pizza stratosferica. Ehm, no, vi ringrazio. Ho già un appuntamento.» Rispose chiudendosi la porta alle spalle frettolosamente.

«Troppo evasivo.» Constatò Mary. «Lui e quegli sciacalli dei suoi amici stanno organizzando qualcosa, mi ci giocherei la testa.»

Seguii i capelli cobalto ondeggiare attraverso le stanze, arrestandosi davanti a un antico mobile di mogano. Una leva nascosta a lato di un cassetto ne rivelò un segreto. La ragazza ne trasse fuori un piccolo pacchetto e mi chiese di seguirla nella sua camera. Non era passato molto tempo dall'ultima volta in cui vi ero entrata ma restai comunque interdetta, attraversata dalla strana sensazione che qualcosa, lì dentro, fosse recentemente mutato. Mi fece cenno di sedermi sul letto ancora disfatto e lei fece altrettanto, mettendosi a dispiegare i lembi del tessuto che accoglieva oggetti che sulle prime non identificai. Allungai una mano per saggiarne la superficie finemente decorata ma con un rapido gesto, le sottrasse dal mio tocco.

«Mi dispiace ma non puoi toccarle: inficerebbe il legame tra me e loro.»

«Che carte sono?»

«Tarocchi di Marsiglia. Sono collegate alla Cabala ebraica e ne tramanda l'utilizzo la scuola inglese dell'Ordine Ermetico dell'Alba Dorata.»

«Da chi le hai avute?»

«Da un'adepta dell'Ordine, una gitana tra le più abili a farne la lettura.» Mary mi sembrò troppo seria per avere l'intenzione di prendersi gioco di me e da anni non mi nascondeva la sua passione per l'occulto.

«Dai, proviamo, sono curiosa! Cosa diranno su di me?»

«Proprio di questo vorrei parlarti. So che non avrei dovuto, ma pochi giorni dopo il tuo incontro con Adam, ho fatto una lettura dei tuoi Decani e non si è rivelata molto favorevole.» Sollevò lo sguardo e incrociò i miei occhi inquisitori. «Stai andando incontro a un enorme pericolo, Leah. Puoi prenderne spunto per un nuovo inizio, ma è chiaro che hai delle forze negative che ti ruotano attorno e guidano i tuoi passi. Io sarò sempre con te, lo sarei anche se non fossero stati loro a dirmelo, ma ti prego di prestare molta attenzione a tutto ciò che ti accade, ti scongiuro. Puoi anche non credermi, se vuoi; non mi aspetto che tu lo faccia.»

«Perché mai non dovrei farlo?»

«Beh non è cosa da tutti i giorni scoprire che la tua migliore amica è una cartomante.»

«Da quanto tempo lo sei?»

«Diversi anni.»

«Oltre la lettura dei tarocchi fai anche...»

«Sortilegi? Non ancora. Per adesso sono solamente in grado di effettuare semplici fatture di magia bianca: sai, i soliti filtri d'amore, di guarigione e cose del genere. Mi incuriosii nei confronti dell'occulto quando mi sono imbattuta in una copia del Malleus Maleficarum in una biblioteca esoterica di Torino, in Italia, durante la gita scolastica.»

«Il martello delle streghe

«Del caro, vecchio Heinrich Kramer.»

«Ma non dovrebbe essere scritto in latino?»

«L'originale del 1487 sì, ma a Torino ne trovai una copia con la relativa traduzione e mi appassionai a questo mondo.»

«Se non me lo avessi detto, non me lo sarei mai immaginato.»

«E io te l'avrei confessato molto tempo prima, se avessi saputo che la tua reazione sarebbe stata questa.»

«Quale pensavi che sarebbe stata, scusa?»

«Potevi più semplicemente prendermi per pazza.»

La presi per le spalle e diressi il mio sguardo dritto nel suo:

«Non penserei mai una cosa del genere della mia anima. Credi che in questi eventi negativi che sto per affrontare c'entri in qualche maniera Adam?»

«In realtà, le figure che mi sono apparse sono più di una e, facendo il confronto con quanto sta accadendo ultimamente, potrei pensare che ne faccia parte. Per saperlo con certezza, però, devo prima trovare e consultarmi con Zendaya: lei sola può fugare ogni mio dubbio. Purtroppo, però, non ho la benché minima idea di dove si trovi in questo momento. Ho provato a raggiungerla all'ultimo contatto telefonico che avevo in possesso ma non ho avuto risposta. L'unica persona che potrebbe aiutarmi a trovarla è Cristinel Droula.»

Inorridii nel sentir pronunciare quel nome: «Non se ne parla, non dopo quello che ti ha fatto passare!»

«Non preoccuparti, tesoro, ho sempre un asso nella manica in queste situazioni.»

La valigia era adagiata, aperta, sul letto e alcuni abiti e parte della biancheria era già stata sistemata al suo interno. Non avevo intenzione di portarmi dietro molte cose, preferivo viaggiare leggera e acquistare ciò che mi sarebbe servito durante la mia permanenza a Seattle. Non ero mai stata in una metropoli del genere e, dovetti ammettere, ero molto eccitata all'idea di imbarcarmi in un'avventura simile. La mia camera era in ordine: i libri si trovavano ben riposti sugli scaffali, l'armadio mezzo vuoto manteneva comunque un aspetto organizzato, la scrivania sembrava come mai utilizzata, le tende erano state inamidate e accuratamente scostate ai lati dell'ampia finestra trattenute da fiocchi di raso perlato. Più che per una partenza, sembrava che avessi sistemato l'ambiente per renderlo di nuovo accogliente al mio ritorno. Mi guardai attorno, tenendo le mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans. Accatastai le ultime poche cose sulla scrivania: le avrei messe in valigia per ultime, assieme all'occorrente per l'igiene personale. Ripassai mentalmente la lista di ciò che mi serviva per il viaggio e mi sincerai di aver preso tutto quanto, infine infilai la giacca e uscii dalla stanza, dirigendomi in cucina al piano di sotto.

Mia madre stava affettando delle cipolle per preparare la sua famigerata quiche, si asciugò una lacrima con il dorso della mano.

«Stai uscendo?» mi chiese senza voltarsi.

«Sono rimasta d'accordo con Tony e Mary: ceneremo insieme stasera. Ma tu stai piangendo?»

«È questa stupida cipolla.» Mentì. «Al diavolo, sì, sto piangendo. Un po' perché te ne andrai per molto tempo da questa casa, un po' perché sono tremendamente orgogliosa che tu ti senta pronta ad affrontare un nuovo cammino. Diamine, sei cresciuta in fretta.» Aggiunse singhiozzando.

Quanto mi dispiace abbandonarti, mamma. Vorrei tanto rivelarti il vero motivo della mia partenza ma temo che non capiresti. Mi avvicinai a lei e le gettai le braccia al collo, inspirando il suo profumo. Chissà quanto mi mancherà. Non si può mai sapere fino in fondo quanto potrà mancarti una persona, finché non si è abbastanza distanti da creare un vuoto quasi incolmabile. Come avrebbe potuto mancarmi qualcuno che conoscevo appena? Come avrebbe potuto diventare il motivo di una fuga e la speranza più viva di un ritorno? Eppure, ebbi la terribile sensazione che lo fosse. Avrei voluto rivederlo, avrei voluto sentire la sua voce, avrei voluto che mi chiedesse di restare. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Se per lui non ero niente, perché si sarebbe preso il disturbo di fermarmi? Per quale motivo il pensiero di essere niente per lui mi annientava in questo modo...perché provavo tutto questo?

Mary mi attendeva nella sua auto, intravidi la luce del suo smartphone emergere dall'oscurità mentre ricercava la sua musica preferita in attesa del mio arrivo. Salii in auto, ci scambiammo un breve saluto e partimmo alla volta della pizzeria. Quella sera mi sarei lasciata il passato alle spalle, non volevo più essere schiava di un sentimento che non potevo coltivare, non volevo più raggiungere un sogno che non potevo inseguire; l'indomani sarebbe iniziato un nuovo capitolo della mia vita, a questo avrei messo una fine.

Il locale era pieno solamente per metà a causa del rumoreggiare di un temporale non troppo lontano. Sporadicamente, saette squarciavano il buio, aumentando la frequenza a mano a mano che la tempesta si avvicinava. Finalmente stavo trascorrendo una serata spensierata assieme alle persone a me più care e per un po' ero tornata a quei momenti felici che mi mancavano oramai da qualche mese, quasi mi facevano rimpiangere la recente decisione presa. Mancavano poche ore alla mia partenza, iniziò a essere difficile trovare le parole per dirsi addio. Proposi un brindisi, tutti e tre sollevammo i nostri bicchieri spumanti di birra nello stesso istante in cui la porta del locale si aprì e fecero il loro ingresso un gruppo di giovani visibilmente alterati, che si diresse verso il bancone vociando sgradevolmente; uno di loro allontanò una sedia incontrata lungo il tragitto lanciandola senza riguardo. Li sentii distintamente chiedere alcolici al banconiere, il quale rispose loro con un secco rifiuto notando lo stato di agitazione nel quale già versavano. Uno di loro mostrò una mazza da baseball, urtandola rumorosamente contro la superficie del ripiano; al frastuono provocato, qualche cliente si voltò sospettoso, una giovane coppia si allontanò ma il banconiere, mantenendo una certa freddezza, fece cenno al lavapiatti sul retro di scortare i ragazzi fuori dal locale: la stazza imponente del giovane fece metà del lavoro e la comitiva iniziò a diradarsi. Alcuni di loro si voltarono in direzione del nostro tavolo. Tra di loro intravidi una visiera rossa dalla quale spuntavano ciuffi castani selvaggi stranamente familiari. Ero lontana, non lo riconobbi e non ebbi la benché minima intenzione di avvicinarmi alla mischia. Deve essere un compagno di corso, mi pare di averlo già visto da qualche parte. Finalmente, il gruppo si arrese alle ripetute richieste dei due colleghi e restituì al locale la precedente serenità.

Era quasi l'una di notte quando decidemmo di rincasare. Al di fuori del locale, imperversava il principio di una tempesta che si preannunciava intensa. Mary mi consigliò di attenderla nei pressi dell'ingresso mentre, coprendosi alla meglio con la borsa, correva in direzione dell'auto distante alcune decine di metri. Tony se ne era andato da qualche minuto: l'indomani mattina avrebbe dovuto discutere il progetto di geografia umana, al quale lavorava da diverse settimane. Folate di vento mi sferzavano il viso mentre cercavo di trovare riparo sollevando il colletto scamosciato della giacca.

«Hai freddo, tesoro?» Mi voltai sorpresa alla mia sinistra, notando la sagoma di un uomo in piedi a pochi metri da me.

«Se vuoi, posso scaldarti io.» Proseguì sghignazzando. Senza rispondere alcunché, mi diressi dalla parte opposta per allontanarmi da lui ma una seconda figura si parò dinanzi a me, affiorando dall'angolo dell'edificio non illuminato dall'insegna al neon. «Vuoi già andare via? Dai, resta a divertirti un po' con noi!». Il suo modo di pronunciare le parole mi raggelò il sangue. Dove diavolo è Mary? Spinsi lo sguardo nel parcheggio per riuscire a scorgere la sua vettura.

«Credo proprio che dovrai aspettare un bel po', prima che la tua amica riesca a mettere in moto.» Accennò un terzo individuo palesatosi improvvisamente come spuntato dal nulla, tenendo in mano un paio di tronchesi da elettrauto. Mi accorsi solo in quel momento di altre due persone che si avvicinavano a noi lentamente. Ero circondata. La paura mi attanagliò lo stomaco, le mani mi tremavano e così la voce: «Se volete dei soldi, eccovi la borsa. Prendete tutto quello che ho!»

«Oh, tesoro. Noi non vogliamo soldi. Vogliamo qualcos'altro da te

Brividi mi risalirono la schiena e sentii affiorarmi le lacrime agli occhi, i singulti mi tolsero il respiro. Cercai una via di fuga ma non la trovai. Il locale aveva già abbassato la saracinesca, impossibile rientrarvi. Vidi un varco, alla mia sinistra, lasciai cadere la borsa e mi gettai in quella direzione nel disperato tentativo di sfuggire al branco ma mi sentii afferrare per un braccio e in un secondo mi ritrovai immobilizzata in una morsa. Scalciai nel tentativo di divincolarmi ma l'uomo che mi tratteneva sembrava essere più alto di me e non mi permise nemmeno di arrivare con i piedi al suolo. Percepii distintamente l'odore di alcool provenire dal mio aggressore. Merda, adesso che faccio? «Lasciami!» Urlai a squarciagola ma il rombo della pioggia scrosciante coprì la mia voce. Ero in preda al panico, non riuscivo a muovermi, venni trascinata in un angolo cieco, scoppiai a piangere terrorizzata. Scorsi quattro, cinque... erano almeno in sei attorno a me e altri ne arrivavano dietro di loro. Non riuscivo quasi più a lottare contro quella stretta. Avvertii forse due o forse più mani aprirmi i lembi della giacca, una si insinuò, ghiacciata, sotto il maglione e raggiunse un seno. Mi viene da vomitare. Piangevo, imploravo che mi lasciassero andare ma per risposta ricevetti sataniche risate. Non capivo più niente. Uno di quei mostri mi insinuò la lingua viscida tra le labbra, il sapore acre della birra mi provocò un conato. Un altro appoggiò i suoi fianchi contro di me e la repulsione che provai mi portò a dare un calcio alla cieca. Colpii con il collo del piede qualcosa di indefinito, nello schiamazzo generale intuii distintamente un gemito soffocato di dolore. Immediatamente, una fitta bruciante si irradiò sul mio volto, percosso con violenza da un pugno serrato. «Non ci riprovare, puttanella, o non finirà bene per te!» Sollevai lo sguardo spossato. Alle spalle dell'uomo, il lampione all'angolo dell'edificio illuminò un cappellino rosso e, quando colpì il volto del ragazzo, sgranai gli occhi e invocai il suo nome:

«Jacob! Ti prego, aiutami! Jacob!»

Il ragazzo si fermò immobile per lo stupore e mi fissò per pochi secondi. Ero certa che fosse lui e anch'esso mi aveva riconosciuta. Gli tesi l'unica mano libera, gemendo: «Jacob, ti scongiuro!», nello stesso momento in cui gli altri riuscivano ad abbassare la lampo dei jeans. Gridai con quanto fiato avevo nei polmoni. Jacob non si avvicinò, rimase impietrito sotto la luce del lampione, infine si voltò e fuggì via. No, ti prego. Mi sentii sfinita, non riuscivo più a opporre alcuna resistenza, le gambe cedettero, nessuno poteva aiutarmi, non mi restava che abbandonarmi alla loro furia e sperare che tutto finisse in fretta.

***

Le sagome degli edifici della contea sfrecciavano indistinte. La pioggia battente aveva impregnato i vestiti. Tentò di fare in fretta, più che poteva, dal momento in cui aveva iniziato a rendersi conto di cosa stesse accadendo dall'altra parte della città.

Ancora una volta, il richiamo era stato potente e irresistibile, venato di un sentore di terrore che non l'aveva fatto esitare. I suoi occhi ora la vedevano, là, nel buio. La raggiunse in pochi istanti. Uno a uno, scagliò lontano con violenza chiunque si parasse dinanzi a lui. Giunse rapidamente al cuore della mischia. La sua natura, la sua missione gli stava imponendo la cernita ma in quel momento il suo scopo era altrove. Lottò con tenacia contro il suo innaturale istinto di epurazione, contro il bruciante desiderio di possesso. Distolse volutamente i profondi occhi tenebrosi dallo sguardo di chiunque. Qualcuno gli sferrò un fendente, la lama affondò nel fianco. Senza vacillare, estrasse lentamente il pugnale e lo lanciò lontano da sé. L'espressione sul volto dell'aggressore trasudò terrore e sbigottimento mentre osservava lo sconosciuto inspiegabilmente illeso e avendolo guardato in volto, ne restò completamente irretito. Il buio infernale del suo sguardo lo travolse, il ragazzo abbandonò ogni intenzione, doveva seguirlo, non poteva farne a meno, sentì strapparsi in lui la coscienza, avvertì i sensi abbandonarlo, non volle trattenerli, non ne era padrone. Non qui, non adesso. L'uomo distolse lo sguardo cercando di nuovo di individuare il suo scopo, lasciando cadere il corpo del giovane ubriaco, venuto meno. A fianco a lui, una sagoma spettrale si fece largo attraverso il branco.

La intravide, in tre le erano attorno. Si scagliò contro uno di loro, lo afferrò per il polso, torse l'arto che si frantumò tra le urla di strazio del giovane. Finalmente riuscì a raggiungerla, appena in tempo prima che accadesse l'irreparabile. Scambiò un cenno d'intesa con il complice, afferrò la ragazza priva di sensi e si dileguarono, lasciando la calca attonita. Averla tra le braccia era un privilegio indescrivibile. Le accarezzò lieve i tratti del volto, quante volte aveva sognato di poterlo fare, sfiorò le labbra rosee tanto bramate, la sua bellezza lo sconvolgeva, rimase ad assaporare quell'istante in preda alla commozione di un sentimento mai provato prima. La stinse a sé, adesso che poteva, che la sua natura non glielo impediva. «Andrà tutto bene: sei in salvo, amore mio.»

***

Sentii la testa esplodermi, mi doleva lo zigomo sinistro ed ero completamente indolenzita. Aprii lentamente gli occhi, la luce delle applique, sebbene soffusa, mi ferì e fui costretta a spostare lo sguardo altrove. Non riconobbi il luogo in cui mi trovavo, la stanza mi era completamente sconosciuta, giacevo su un divano di pelle nera, di fronte a un camino acceso, dalle linee moderne. C'era qualcuno vicino a me, d'istinto mi allontanai quanto bastava per mettere a fuoco i meravigliosi occhi del colore del cielo.

«Adam...»

«Non ti affaticare, sta' giù.» Mi adagiò con gentilezza sul divano, le mie membra si rilassarono all'istante.

«Io non...che ci faccio qui? Come sono arrivata?» Il ragazzo mi guardò con aria gentile «Mi hai portato tu? Non ricordo niente.»

«Ti ho sentita gridare e ti ho soccorsa appena in tempo.»

«Ma come...erano tantissimi!»

«Beh, ci sono riuscito no? Il modo è solo un dettaglio. Come ti senti, adesso?»

Avrei voluto rispondergli, dirgli quanto fossi felice di essere lì, in quel momento, ringraziarlo per quanto aveva fatto per me, ma riuscii solamente a sprofondare in un pianto sommesso, nascondendo il viso tra le mani.

«Tranquilla,» sussurrò cingendomi nel suo abbraccio «sei con me, non ti accadrà nulla di male. Riposati un po', se vorrai ti riporterò a casa.» Mi riassopii.

Erano quasi le tre del mattino. Mia madre starà impazzendo, devo chiamarla. La borsa era rimasta a terra, fuori dal locale, dove l'avevo lasciata cadere quando...mi vennero i brividi nel momento in cui cupe immagini riaffiorarono alla memoria. Mi alzai dal divano, barcollando lievemente per ritrovare l'equilibrio. Il tintinnio di un bicchiere mi rivelò la presenza di qualcuno nella stanza adiacente.

Adam era in piedi, di fronte alla propria libreria. Stava voltato di spalle, la camicia nera gli ricadeva sui fianchi delineandone il corpo scultoreo. Aveva in mano un bicchiere lavorato, dal fondo spesso, di quelli che si usavano per bere whisky e stava sorseggiando un liquore.

«Se ti senti meglio, ti riporto a casa.» Cavolo non pensavo mi avesse sentita arrivare. Quanto era diverso il suo tono di voce da quello utilizzato al momento del mio risveglio, quanto era freddo e distaccato in quel momento.

Imbarazzata, non seppi a dire altro che: «Sì, grazie.»

Il fuoristrada raggiunse casa mia in pochi minuti. Durante il tragitto restammo in silenzio. Avrei voluto sapere come aveva fatto a trovarmi, se fosse già stato lì, avrei voluto sapere cosa ne era stato di Mary, come mi aveva portata a casa sua. La freddezza dei suoi modi mi aveva completamente destabilizzato e non fui capace di proferire parola. Si arrestò di fronte alla mia abitazione, le luci all'interno erano ancora accese.

«Come minimo mia madre avrà già chiamato la polizia.» Sostenni a mezza voce, in seguito mi rivolsi a Adam: «Grazie, per tutto quanto.»

«Era il minimo che potessi fare.» La sua voce era di nuovo distaccata ma gli occhi dicevano altro, per un istante, prima che li abbassasse.

Scesi dal veicolo, mia madre aveva aperto la porta di casa con un'espressione di estremo sollievo sul volto e mi accolse a braccia aperte.

«Amore, dove eri finita? Cosa ti è successo? Chi ti ha portato a casa?»

«È stato...» iniziai ma, voltandomi, le parole si strozzarono in gola: Adam non c'era più.

Entrai in casa, sicura, questa volta, che dietro quello sguardo ci fosse molto di più, e volevo scoprirlo.

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