// Capitolo 8 //

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 Nica se n'è andata. 

Si è trasferita in un altra città, da quanto ho sentito.

Anche Toya-nii se n'è andato.

Nessuno mi vuole dire dove.

/-/

 Quando conobbi per la prima volta Shomi non ero già più capace di riconoscere i volti.

Ci eravamo trasferiti di nuovo, tornando a Musutafu, e lei era stata la mia compagna di banco in sesta elementare.

La prima volta che le rivolsi parola le domandai "cosa stai facendo?".

La prima volta che lei mi rivolse parola mi rispose "disegno", smettendo di disegnare stelle sul risvolto dei suoi jeans e rimettendo il cappuccio alla sua penna gel viola, voltandosi poi interamente verso di me come se non aspettasse altro se non conversare con me.

Tobomomi Shoko, segno zodiacale pesci, gruppo sanguigno A+, ama i conbini.

Le cose che imparavo su di lei erano spesso cose a caso, ma andava bene così ad entrambe, apparentemente.

La prima volta che la feci ridere fu, quando durante l'ora di arte, mi passai un dito sporco di tinta proprio sotto il naso, riflettendo su cosa fare. Mi lasciò una traccia d'inchiostro in faccia che sembrava uno storto paio di baffi.

La prima volta che la feci piangere fu quando accidentalmente rovesciai del succo d'arancia sui suoi onigiri da supermercato. Dividei il mio bento con lei per chiedere scusa. Le piacciono molto gli onigiri economici, non ho mai capito il perché.

La prima volta che litigammo fu quando a natale le regalai un videogioco che i suoi genitori si erano rifiutati più volte di comprarle. Disse che non poteva prenderlo nonostante insistessi. Prima di tornare a casa glielo nascosi sotto gli altri regali che aveva ricevuto e accettato, così non avrebbe più potuto replicare.

Ma questa.

Questa era la prima volta che l'avevo ferita.

//

Vidi la sua ombra muoversi lungo il marciapiede che costeggiava il muretto che separava la strada dalla spiaggia.

"Ti piace il boba tea?" domandò.

Tirai su con il naso, sorridendo senza dargli una vera e propria risposta.

Moon non sembrava per niente il tipo di persona bravo a consolare, ma andava bene così.

Afferrai uno dei due bicchieri e iniziai a sorseggiare, invitando il ragazzo a sedersi sulla gradino con me.

Ogni tanto mi permettevo di osservarlo con la coda dell'occhio, e ogni volta lo trovavo ad osservarmi per poi voltarsi in fretta, sfregandosi la nuca con la mano.

Sorrisi di nuovo.

Presi a mordicchiare la punta in plastica della cannuccia, inspirando l'odore del mare e studiando silenziosamente il suono delle onde.

Chiusi gli occhi e mi persi in un ricordo dopo l'altro, memorie di sensazioni e sentimenti passati che forse non avrei più ritrovato.

Mi guardai le unghie un attimo, ripensando a come Shoko le aveva sempre curato le unghie quando si rendeva conto che me le mordicchiavo.

Spostai gli occhi sui mocassini, notando come sul davanti si erano tutti graffiati dopo le innumerevoli volte che ero caduta dalle scale e precipitata su Todoroki.

Sospirai.

Mi girai alla mia sinistra, volgendomi completamente in direzione di Moon.

Il movimento dei capelli bianchi mi indicò che si era reso conto del mio spostamento, e che si era voltato verso di me a sua volta.

"Sono stata rifiutata dal ragazzo che mi piace" espirai d'un tratto, cogliendolo di sorpresa.

"E ho ferito la mia migliore amica" aggiunsi, con la stessa falsa schiettezza con cui avevo affermato la prima parte.

Dalle labbra del probabilmente albino, non riuscivo ancora a dirlo con certezza, uscì soltanto un "oh".

Mordicchiai ancora la cannuccia, nascondendo un mezzo sorriso.

"Vuoi... parlarne?"

"Non tanto"

"Oh, okay".

Il sole sembrava ritirarsi dietro l'orizzonte più velocemente quel giorno.

Con gli occhi ripassai i contorni delle nuvole, immerse nel cielo dipinto di rosso.

Gli occhi avevano iniziato a prudermi, così come le guance, ma il leggero vento che preannunciava la sera alleviava un po' la sensazione di fastidio che mi ballava sul viso.

Mi leccai le labbra.

La cannuccia era ormai divenuta troppo schiacciata per trovare ancora soddisfacente morderla.

"Per quanto tempo ancora pensi di rimanere? Tra poco è ora di cena..." parlò di nuovo lui.

Lo guardai. "Potrei porti la stessa domanda" replicai con un sottile ghigno, osservando come anche lui indossasse ancora l'uniforme scolastica.

Un gakuran nero, molto simile a quello dell'Accademia Coruscan.

Un "hmpf" da parte sua precedette il "ti avevo già detto che certi posti sono più 'casa' di quanto lo sia la casa in cui vivo, no?" che mi parve lo fece sentire ancora più a disagio di prima.

Quella era forse la prima volta che lo vedevo a disagio a causa mia, probabilmente perché eravamo entrambi strani sullo stesso livello.

Scoppiai a ridere.

Lo vidi voltarsi di scatto verso di me, con le mani irrigidite sul posto e subito dopo strette in due pugni.

"Cosa hai da ridere ora?!" sbuffò.

Mi asciugai una lacrima, non preoccupandomi di capire se era un rimasuglio del pianto di prima o un regalo da parte delle mie risate.

"E' che mi spezzi quando borbotti imbarazzato! Che carino, sembri un bambino!" provai a coprire le risate con il dorso della mano, riconoscendo a malapena il tintinnio della cannuccia nel bicchiere sotto il mio ridere incontrollato.

Non colsi il movimento tremolante del Moon tremendamente imbarazzato al mio fianco.

Il "n-non è vero" che seguì fu la goccia che fece traboccare il vaso, quasi togliendomi il respiro per come stavo trovando la cosa divertente.

Il "dammi un secondo" ansimato per terra nel tentativo di riprendere fiato lo fece borbottare di nuovo con tono offeso, ma lo fece così piano che questa volta non lo sentii.

Rialzandomi piano, appoggiata sui palmi delle mani, lo guardai di nuovo in faccia (cioè, sperando di starlo facendo nel modo giusto) e sentendo qualcosa scaldarsi nel petto.

"Però sai, anche qui mi sento a casa" gli dissi, allargando un sorriso.

Casa.

Generalmente definita come un luogo dove 'vivi'. Un posto dove passi maggior parte delle tue notti, dove cerchi riposo dopo essere stato qui e lì.

Alle volte definita come una o più persone.

Mamma è una casa.

Papà è una casa.

I miei fratelli sono una casa.

Moon rise leggermente. Non una risata divertita, ma una di risposta.
Di quelle che vogliono dire "sì, hai proprio ragione".

Moon mi sfiorò l'avambraccio, facendo scivolare la sua mano sopra la mia.

Osservai come la sua mano destra si posava sopra la mia, distendendo le sue dita fra le mie e intrecciandole in una stretta gentile.

Moon è una casa.

"Ti porto in un bel posto".

//

Non ero mai stata al karaoke, e lui lo sapeva.

Era da un po' che volevo visitarne uno, e anche questo lui lo sapeva.

Scendemmo dal bus sulla settima strada, dove un locale con l'insegna illuminata aveva rimpiazzato il blocco dove avevo sempre pensato fosse rimasta quella vecchia libreria dal forte odore di carta e inchiostro.

Le porte di vetro si aprirono automaticamente quando ci passammo davanti, rivelando un uomo ed una donna dietro un bancone.

Moon andò a parlare con quella che immaginai essere la proprietaria, conversando come fossero amici di lunga data.

Probabilmente lo aveva chiamato per nome quando ci eravamo avvicinati, ma io ero troppo presa a guardarmi tutt'intorno per accorgermene.

Le pareti erano di un rosso scuro, contornate da luci led di un rosso più acceso ed intenso. Avevo passato forse cinque minuti buoni ad osservare le carpe koi dipinte sulle piastrelle nere del pavimento, belle com'erano.

L'uomo dietro il bancone stava lucidando un bicchiere, e soltanto allora realizzai che dietro c'erano un paio di macchine da caffè e pozzetti, oltre ad altri apparecchi per non sapevo bene cosa.

Sembrava quasi un pub, se non fosse stato per il fatto che non c'erano i tavoli e le sedie intorno.

"Bene allora, ecco a te" sorrise la donna bionda, chiudendo la conversazione amichevole con Moon.

Gli diede qualche pacca sulla spalla ridendo, lasciando cadere sul palmo della mano del ragazzo una chiave targata 'stanza 12'.

"Grazie mille Mei" sorrise di rimando l'albino (ormai ne ero quasi sicura, nonostante indossasse spesso un cappello), stringendomi la mano un po' di più e invitandomi a seguirlo.

Ah, evidentemente non mi ero resa conto di non avergli mai lasciato la mano. Cioè, non mi pareva di avergliela presa di nuovo in un secondo momento.

Ciò significava che ci eravamo stretti la mano tutto il tempo. Ah.

Feci scivolare fuori dalla sua presa le dita, cercando una scusa.

"Uh um... sai se c'è un bagno qui?" domandai, lanciando occhiate ovunque sulle porte nere che mi apparivano tutte uguali.

"Ah, sì, è subito alla destra dell'ingresso, non l'hai visto prima?" rispose, sorpreso dal mio movimento brusco.

Lo ringraziai con un qualcosa di confuso e molto affrettato prima di fiondarmi nella direzione da cui eravamo arrivati.

Mi chiusi la porta alle spalle, scivolando con la schiena su di essa mentre mi specchiavo nello specchio a muro.

Il mio viso aveva riassunto un colorito normale, anche se le mie guance erano ancora un po' arrossate e i capelli non stavano proprio tutti al loro posto.

Sembravo una ragazza normale, più o meno.

Eppure, questo sorriso incontrollabilmente entusiasta non smetteva di crescermi sulle labbra.

Un paio di minuti dopo uscii, pensando soltanto a tornare al più presto da Moon.

Quando invece lo trovai lì, con la sua borsa a tracolla su una spalla ed il mio zaino sull'altra ad aspettarmi con la schiena contro il muro, sì e no ad un metro da me.

"Tutto a posto?" fece, con una punta di preoccupazione.

Percepii il calore salirmi di nuovo sul viso, e su tutto il resto del corpo. Allo stesso modo in cui percepii gli sguardi della coppia al bancone puntati su di noi, con quello che sapevo definitivamente essere un sorriso divertito e curioso.

Gli piantai una mano in faccia.

"N-non si aspettano le persone fuori dalla porta del bagno!" esclamai, precedendolo sulla via per qualunque fosse la stanza 12.

"Hey! Aspettami!"

La stanza 12 si rivelò essere quella in fondo al corridoio, arredata in modo pressoché simile all'entrata del locale.

Al centro, collocato in mezzo ai sofà in pelle, si trovava un tavolino in vetro. Sopra vi erano i microfoni ed un tablet preparato appositamente per scegliere le canzoni ed eventualmente ordinare dolci o bevande.

Sullo schermo del televisore scorrevano varie scritte del tipo "ready to go? It's time to sing!" ed elenchi di canzoni molto popolari che tanti clienti sceglievano di far partire, ognuna con il proprio numero identificativo.

"Ti va di iniziare con un duetto?" propose Moon, che nel mentre che io osservavo spaesata il posto si era già messo comodo.

Feci spallucce con una smorfia da "uguale per me", sedendomi sul sofà dall'altro lato e prendendo uno dei microfoni dallo stand che li teneva in piedi sul tavolino.

"Oke" schioccò la lingua lui, scorrendo con il dito sulla barra di ricerca e digitando con la punta dell'indice su lettera dopo lettera.

Sapete, sempre come fanno i bambini.

Nascosi nuovamente un sorriso divertito.

Lo vidi cliccare ancora qui e là sullo schermo luminoso del tablet ancora un paio di volte prima di avvertire con la coda dell'occhio che stava per partire sul televisore una canzone.

Mi chiedevo che cosa avesse scelto, anche se probabilmente aveva scelto uno dei vecchi classici d'amore, considerando quanto gli piacciano le ballad.

Oppure semplicemente Frank Sinatra.

Perciò lo stupore che si dipinse sul mio volto quando il piano della intro fece apparire sullo schermo "Bring Me Back To Life" di Evanescence fu non poco.

Lo stupore crebbe maggiormente quando lo sentii partire con la prima parte.

"How can you see into my eyes? Like open doors" iniziò a cantare, tendendomi pure la mano per ricreare la drammaticità.

"Oooh Moon, così non vale! Voglio fare io la parte di Amy Lee!" sbuffai, ma lui non mi degnò di una risposta che non fosse il secondo verso.

"Leading you down into my core"

"Hey, a che gioco stai giocando-"

"Where I've become so numb,
without a soul...".

Il ragazzo ebbe il coraggio di sussurrarmi "fra devi venirmi dietro" quando non ripetei "soul" dopo di lui, non smettendo però di cantare.

Dovetti ammettere a me stessa, tuttavia, che la parte di Amy Lee gli veniva bene.

Diamine se gli veniva bene.

Ma se voleva sfidarmi, gli fatto sentire il miglior Paul McCoy che potesse mai sentire.

Feci scattare la leva sul microfono, mandandola su 'on'.

"Wake me up!"

Percepii nuovamente i suoi occhi su di me, con un sorriso smagliante ad accompagnare.

Non mi serviva vederlo per capirlo.

"Wake me up inside!"

"Can't wake up!"

"Wake me up inside!"

"Save me!"

"Call my name and save me from the nothing I've become!"

Sinceramente, non avevo la più minima idea di come questo ragazzo riuscisse sempre a farmi dimenticare tutto.

Un po' come, anzi, quasi come Todoroki faceva.

C'era qualcosa nelle sue battute squallide, negli aneddoti su quanto sia smemorato alle volte e nelle sue inaspettate doti canore.

Seriamente, c'era qualcosa in questo tipo che più non capivo e più mi attraeva.

"Bid my blood to run!"

"Can't wake me up!"

"Before I come undone!"

"Save me!"

"Save me from the nothing I've become!"

Ormai in piedi, sapevo che ci stavamo guardando con quella scintilla che arde di euforia.

Girando intorno al tavolo, rilanciandoci versi della canzone, il mondo si era come fermato.

La sua voce mi giungeva alle orecchie e mi sembrava di conoscerla da sempre.

Ed era una sensazione che mi metteva in subbuglio lo stomaco.

Ed era una sensazione che mi faceva sentire bene, per qualche motivo.

Lasciai andare tutto.

Lasciai andare il desiderio di vincere e lo afferrai per il polso, trascinandolo dove più c'era spazio e ballare come se non sapessi fare altro.

Lasciai stare il fatto che io avrei dovuto cantare esclusivamente la parte di McCoy e presi a fare insieme a Moon anche la parte di Amy, tirandolo qua e là e stringendolo come in un valzer.

In realtà non sapevo ballare il valzer, come non sapevo ballare per nulla, ma non importava.

Non parve essere una sgradevole sorpresa agli occhi di lui, in ogni caso.

"I've been livin' a lie, there's nothing inside" decise di unirsi anche lui al mio atto di ribellione pe l'assegno dei ruoli.

"Bring me to life!"

Gli accarezzai il viso con le dita, sempre seguendo la strana recita che avevamo costruito sulla musica.

"Frozen inside, without your touch, without your love, darling"  le sue mani scivolarono sui miei fianchi, andando poi a sostenermi sul finire della schiena.

"Only you are the life among the dead".

E poi il rap.

Oh, il rap.

Mi stava praticamente dicendo di fiondarmi sulle sue labbra.

Uh ehm, platonicamente, è naturale.

Just bros, ragazzi.

Just bros.

"All this time I can't believe I couldn't see,
kept in the dark, but you were there in front of me"

"I've been sleeping a thousand years it seems,
got to open my eyes to everything"

"Without a thought, without a voice, without a soul,
don't let me die here, there must be something more"

"Bring me to life!"

Non mi ero mai sentita più viva di quanto mi sentissi in quel momento.

//

Fu troppo tardi per parlarne quando lasciammo il karaoke.

Moon si era offerto di accompagnarmi a casa, nonostante gli avessi ripetuto più e più volte che non ce n'era bisogno.

Scendemmo al compromesso che mi avrebbe tenuto compagnia fino alla mia fermata del bus.

"Accidenti, hai pagato per il karaoke e mi hai anche offerto un boba ed un parfait! Smettila di essere così gentile! Seriamente com'è possibile che tu non abbia una ragazza?" alzai le braccia al cielo, salendo i gradini non appena le porte del bus si aprirono.

Il ragazzo si limitò a ridere dietro di me, seguendomi a ruota sul fondo del mezzo.

"Cioè dai, sei perfetto sotto ogni punto di vista!" continuai, senza freni.

"Immagino di essere troppo per questo mondo, allora" schioccò la lingua, prendendo posto.

Il bus era completamente vuoto e la nostra conversazione risuonava per tutto il veicolo.

Chissà quante persone più strambe di noi il conduttore aveva conosciuto.

"Non montarti la testa ora" sbuffai, dandogli un pugnetto sulla spalla.

Lungo la strada i lampioni illuminavano tratti di asfalto, il silenzio cacciato via dallo stridio occasionale delle gomme e dal tintinnio dei portachiavi attaccati al mio zaino.

"Però grazie, per oggi" gli dissi, questa volta con un tono più serio.

Lui parve non capire.

"Questo tipo" mi schiaffeggiai la fronte mentalmente.

"Mi hai davvero aiutato, oggi. Cioè ti avevo già detto cosa è successo con la mia migliore amica e con la mia cotta, ma mi hai tirato su di morale e te ne sono veramente grata" portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Non mi capitava mai di parlare a cuore aperto così, non ero il tipo.

Di lui però mi fidavo.

"Beh, vale lo stesso per me" espirò.

Smisi di giocherellare con il laccio al colletto della camicia.

"Mh? Eh? Che ho fatto?" gli regalai la mia espressione più confusa.

"Non l'ho mai specificato, effettivamente, ma la situazione a casa mia non è delle migliori. La nostra famiglia sta ancora insieme per miracolo, cioè in realtà per mia sorella, ma capisci cosa intendo. Ogni giorno mi sveglio sapendo che mia madre è ricoverata in qualche ospedale mentre mio padre non fa nulla per sistemare le cose, e quindi non è esattamente il massimo..." iniziò a raccontare.

Quasi mi sentii in colpa, ripensando a tutte quelle volte che gli avevo raccontato della mia famiglia.

Lui continuò a parlare delle sue cose, ma la sua voce iniziò a confondersi con i suoi circostanti, spingendo me a perdermi in un mucchio di pensieri.

Cosa potevo fare? Si era messo a parlare a vanvera con questa espressione che sapevo essere frustrata e ferita, e nonostante gli stringessi la mano e lui me la stringesse di rimando, la cosa non sembrava migliorare.

E poi silenzio.

E la stretta intorno alla mia mano si fece un po' più forte, come a implorarmi di non andarmene.

Mi passai la mano libera sulla nuca, riflettendo in silenzio.

Poi lo presi per la spalla più vicina, invitandolo ad avvicinarsi e lasciando un bacio sulla sua guancia.

Lo schiocco delle mie labbra sulla sua pelle fece un suono nitido e ben distinto nel silenzio che improvvisamente si era creato.

Dannazione signor autista, perché non accende la radio o qualcosa così?

"Uuh" mi guardò l'albino, confuso. Non capivo se in modo positivo o negativo, questa volta.

"N-non farti strane idee! Te l'ho detto che ho quattro fratellini, no?! E' un nostro vizio darci un bacio sulle guance quando siamo giù di corda, perché nostra madre ci diceva che quando ricevi un bacio non puoi rimanere di cattivo umore! Ho solo agito d'istinto, ti ha dato fastidio?" agitai una mano davanti al viso.

Mi sentivo strana.

"N-no!" rispose con troppo entusiasmo, schiaffeggiandosi poi la faccia dopo essersene reso conto.

Risi.

Di lui mi fidavo.

"Sai, in realtà sei più o meno coinvolto nel mio litigio con Shomi... diciamo che lei pensa che tu sia un individuo sospetto e che dovrei vedere bene le mie conoscenze perché dice che sono fin troppo sconsiderata... ma tu sei diverso!" ammisi, puntellando le dita sulle calze con fare un po' nervoso.

Aprì la bocca per dire qualcosa, realizzando però di non aver pensato a nulla da dire. "Beh, cioè voglio dire, ha ragione, devi stare attenta con certe persone, anche se un po' mi ferisce il fatto che mi abbia chiamato 'individio sospetto'... però pensandoci ha tutto il diritto di pensarlo, considerando che ci incontriamo sempre di notte-"

Scossi la testa.

"No è, cioè sì, anche quello, diamine ora che ci penso dovrei stare sul serio più attenta, però il vero motivo per cui non vuole che io giri con altre persone è perché non riesco a riconoscere i volti"

Ah, glielo avevo detto.

Ora la realtà di poter avere un'amicizia genuina con una persona incredibile come lui andava completamente in frantumi. Mi avrebbe vista strana e avrebbe iniziato a farmi compagnia per pietà più che per volontà fino al punto di non volermi vedere più. Ottimo lavoro, [T/n]. Come sempre.

"In... in che senso?"

"Um, ho un deficit percettivo chiamato prosopagnosia da quando ho sette anni, credo. In pratica le facce di tutti mi sembrano delle chiazze sfocate, salvo la mia. Quindi sì, non ho idea di come sia il tuo volto, e dato che non riesco a riconoscere i volti Shomi voleva che smettessi di incontrarti."

Silenzio.

Oh, sopprimetemi ora, per favore.

Il silenzio là dentro mi stava uccidendo, perciò magari ricominciare a parlare non poteva peggiorare le cose, no?

Cioè se vogliamo parlare di cose tristi eccomi.

Ripensai al tema che avevo scritto settimane prima, per compito a casa.

"Spesso ho sentito dire che l'amore incontra tutti, perché s'insinua del cuore e non negli occhi, e me lo sono ripetuta più e più volte, sai?" presi a dire, non sapevo neanche perché. Sarà per il discorso della ragazza inesistente di Moon.

"Eppure ora che mi sento finalmente pronta di capire cosa sia questo amore, inizio a dubitare di quello che mi hanno sempre insegnato i miei genitori, o le mie maestre, o le infermiere..."

Strinsi la sua mano. Era calda, visibilmente più grande della mia e callosa. Forse suonava qualche strumento? Magari scriveva, o disegnava? Artigianato?

"Darò il mio cuore a qualcuno di cui il viso mi appare confuso, e per me va anche più che bene" presi a disegnare cerchi con il dito sull'orlo della gonna.

"Tuttavia mi chiedo se c'è qualcuno disposto a darmi il suo cuore, sapendo che non posso riconoscere un sorriso da un volto in lacrime".

Moon era un'eccezione.

E devi essere davvero ma davvero egoista per voler avere soltanto per te un'eccezione.

"[T/n]..." Moon chiamò il mio nome, nel tentativo di distrarmi da tali pensieri.

"E poi i miei amici dicono che lui è troppo bello, decisamente fuori dalle mie possibilità. Ahah, zero chances, dovrei soltanto rinunciarci" risi poi, forse spaventando il modo con cui mi ero uscita con una risata completamente a caso e completamente finta.

"Che ingenua che sono stata, ad innamorarmi del primo tipo gentile nei miei confronti, eh?" aggiunsi con un sorriso tirato.

Fuori era buio. Mancava poco alla mia fermata.

Moon mi chiamò di nuovo per nome, toccandomi con la punta del dito la spalla per richiamare la mia attenzione.

Mi voltai in sua direzione.

Caspita se avevo appesantito la situazione. Temevo di aver peggiorato le cose.

"Ah diamine! Questi operai che non riempono mai le buche sulla strada!" imprecò l'autista quando prese in pieno una buca e l'autobus si scosse un po'.

Accadde nello stesso istante in cui il ragazzo seduto accanto a me si prese il mio primo bacio.

>CEE'S CORNER<

Giuro che non sono morta. E giuro che forse sono uscita dal mio hiatus. Non prometto, tuttavia, nulla. 

Vi amo, le mie note d'autore peggiorano di capitolo in capitolo.

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