// Prologo //

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C'era una canzone che canticchiavo sempre.

Sapevo solo un paio di versi, ma li avevo ascoltati solo una volta e mi piacevano veramente tanto.

Avevo sentito quella canzone da una radiolina portatile, appoggiata sul davanzale della finestra di una piccola pasticceria locale.

Riuscivo ad immedesimarmi, in quella manciata di parole che sapevo.

"When I was younger I saw my mama cry and curse at the wind".

Quando ero più piccolo vidi mia madre piangere e imprecare al vento.

"She broke her own heart and I watched as she tried to reassemble it".

Le si spezzò il cuore ed io la guardai cercare di riaggiustarselo.

"And my daddy swore that he would never let himself forget".

E mio padre giurò che non avrebbe mai dimenticato.

"And that was the day that I promised I'd never sing of love, if it does not exist".

E quello fu il giorno in cui promisi che non avrei mai cantato dell'amore, se non esiste.

Sono sempre stato solo, e questo per mia scelta.

E nessuno si avvicinava a me. Nessuno poteva.

Nessuno.

Ero solo un bambino, ma dentro di me non mi sentivo così.

Non sentivo nulla dentro di me, se non tristezza.

E non la tristezza causata dal non esser riusciti a convincere i propri genitori a comprarti quel nuovo giocattolo esposto in vetrina.

Una tristezza talmente tanto grande e complicata che, ancora ora, fatico a definire a parole.

Avevo appena iniziato le elementari quando passai di nuovo davanti a quella pasticceria.

Dalla stessa finestra fuoriuscivano nuvole e nuvole di farina, accompagnate dal dolce profumo della marmellata di stagione.

La radiolina non c'era, ma la canzone la cantavo io.

A bassa voce, ma proprio bassa bassa.

E qualcuno riuscì comunque a udirmi.

Quella.

Quella bambina, che conobbi anni fa e che vidi sbucare proprio tra le nubi di farina di quella pasticceria.

Forse fu la prima vera persona che, dopo quel che accadde, riuscì ad avvicinarmi.

"Waah la conosci anche tu?! Paramore è fantastica, vero?" fu la prima cosa che mi disse.

"Diventiamo amici! Mi piace la tua voce!" fu la seconda.

Prendevo sempre quella strada, che rendeva di dieci minuti più lungo il tragitto casa-scuola e viceversa.

Dieci minuti spesi più che bene, per poter parlare un po' con lei.

Non so il perché. Non so il come.

Lo facevo e basta.

Mi sedevo sulla panchina che stava inchiodata proprio davanti alla loro pasticceria e chiacchieravo con quella bambina, sempre imbrattata di zucchero a velo o crema.

Non durò a lungo la nostra amicizia comunque.

Papà mi trovò come sempre.

E mi portò via come sempre.

E non la rividi mai più.

Le uniche cose a cui riuscivo a pensare erano tre.

L'odio che covavo per mio padre.

I quattro versi di quella canzone.

E lei, che mi diceva come si chiamava la melodia che tanto amavo canticchiare.

"E' 'The only exception', ovvero l'unica eccezione!" mi spiegò, l'ultima volta che la cantammo insieme.

Ma io, che ero solo un bambino di sei anni che si era giurato di non parlare mai più d'amore, non potevo capire cosa fosse quest'unica eccezione.

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