Come la fenice

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Mi è capitato, nel corso della vita, di dover riscrivere daccapo ogni cosa. Più di una volta a dire il vero, ma c'è stata un'occasione in cui nel giro di un singolo giorno ho perso tutto quanto avessi costruito  fino a quel momento, a livello artistico, lavorativo, sentimentale, tutto quanto. I mesi successivi sono stati, per quanto ne ricordi, tra i più duri che abbia mai vissuto. Ho passato giornate interminabili a ragionare su come farla finita, altre ancora più interminabili a lasciarmi andare in un'apatia dalla quale l'unica domanda che riuscissi a pormi era per quale motivo il mio cuore non si fermasse una volta per tutte. 

La luce era appannata, questa sensazione me la portai dietro per mesi. Ma in qualche modo, ne venni fuori. 

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La sento nell'aria. La pioggia estiva. Il suo odore inconfondibile e primitivo riesce a farmi sorridere ogni volta. Per quanto strano possa sembrare. La pioggia estiva è un abbraccio, una carezza. Ed è una contraddizione di natura quanto sia violenta e insieme confortante. Surreale. Spesso mi ci sono persa, cercando a volte di goderla soltanto, altre di lasciarmi annegare e dimenticare. Spegnere sotto la sua frescura il mio rogo di fenice.

Mi ha sempre fatto ribrezzo l'idea di vivere come chi si aggrappa disperatamente alla routine rifuggendo i cambiamenti al punto da far incancrenire la propria vita e che, pure, da qualche parte avrà un motivo per agire in questo modo, per cercare di trattenere a sé le proprie ancore in questo modo.

Ma la vita, ho imparato, è un susseguirsi di stagioni, di cicli e cambiamenti. Anche la staticità immensa del cielo è in continua metamorfosi nonostante il suo apparire piatto e immobile. Così la vita fa inesorabilmente. Senza chiederlo trascina via con sé ciò che si trova a incontrare, in modo subdolo si appropria di ciò che crediamo nostro. A volte delicatamente, come annaffiasse una piantina che crescendo poco a poco si fa albero. Altre volte, invece, con un tonfo assordante capace di mandare in pezzi tutto quanto ci fosse prima. Sparpagliando ovunque cocci affilati come coltelli e facendo evaporare nell'urto quanto in essi fosse contenuto.

Una fenice, ci dicono per consolarci, trova il modo nonostante tutto di rinascere dalle proprie ceneri. Per farci forza, per farci migliori. A volte anche solo per spingerci a non lasciarci morire. Ma quanto sia bruciante il fuoco, quanto sia doloroso, sono in pochi a dircelo. Una fenice probabilmente sa cosa la aspetta e nella sua natura di animale, sente quando il momento si avvicina. Forse sa anche cosa ci sarà dopo. Forse.

Ma quando mancano certezza e premonizione, quando il rogo divampa sulle carni vive prima del tempo, inaspettato, allora tutto si scioglie in un grido che ha il sapore acre di mille lame. Ero in mezzo alle fiamme senza capire, cercando una ragione che mi desse la forza di sopportare l'incendio che aveva inghiottito me e tutta la mia vita. E la cosa peggiore era vedere come il mio cuore si ostinasse a battere ancora, come il sole continuasse a sorgere ancora quando tutto ciò che desideravo era veder scritta da qualche parte la parola fine.

E poi mi sono risvegliata. Sotto la pioggia estiva e avevo intorno le polveri di ciò che c'era, e avevo addosso le ferite ancora aperte che il fuoco mi aveva lasciato. E i ricordi di una vita precedente che sembravano lontani come mai lo erano stati. Ricominciare.

Ero come un bambino che senza infanzia e senza scuola si fosse ritrovato d'improvviso in un corpo adulto. Dovevo cominciare dall'inizio ma avevo già perso un lungo tempo che non mi era mai appartenuto. Avevo dimenticato la gioia e la commozione dei colori del cielo, del profumo della terra.

Ripartire da zero e la pelle mi bruciava ancora. Poi la pioggia estiva.

Un passo alla volta tornare a gioire come un tempo. Portarsi addosso cicatrici evidenti trovando il modo di vederle sanguinare e non gridare. Non soltanto cercare da qualche parte – persino nell'odio e nel rancore – quella ragione disperata per non lasciarsi morire. Tornare ad amare le cose semplici che un tempo si lasciavano riconoscere.

Inaspettatamente ritrovare il sorriso nell'alba e nella meraviglia di luce e foschia leggera che ogni volta mi ricorda quanto sia stupendo partire. E la presenza invisibile di un pensiero a parlarmi, invece, delle volte che per assurdo abbiamo bisogno di andare via soltanto per trovare una ragione per tornare.

O scoprire come altre volte sia dolce persino semplicemente restare.

Ed è stata la prima volta, giuro, la prima volta che mi sono sentita così.

(settembre 2009)

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