Un mondo (forse) perfetto

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Prima di imparare a conoscermi, prima di capire che quelle manifestazioni di debolezza e sconforto che mi accompagnavano più spesso di quanto avrei voluto non erano semplici segnali di immaturità o insofferenza alle responsabilità da parte mia, mi ritrovavo spesso ad avercela con me stessa a causa delle sensazioni che provavo. Non conoscevo la realtà, ma in qualche modo la percepivo. 

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È passato un anno da quando ho pubblicato il mio primo post sul mio primo blog. Da quando ho permesso alle parole di prendere forma nella mia mente come un tempo usavo spesso fare. Tante sensazioni ho descritto, contrastanti, martellanti, travolgenti. Conosco bene il mio animo, un luogo di estremi dove le emozioni vengono amplificate, siano esse in bene o in male, i picchi di felicità pura e incontenibile e i violenti terremoti di tristezza e paura, dei quali soltanto a pochissime persone ho concesso di sapere, che si alternano sulla mia strada da una vita ormai e che, forse, sono quello che fa di me un essere creativo, magari... un'artista? Non saprei.

Negli ultimi giorni mi sento vagare come senza meta, inseguita da un'ombra di inquietudine che non si mostra, così da lasciarsi affrontare e vincere una volta per tutte. O a cui soccombere quantomeno, una volta per tutte. Vago così, alla ricerca assetata di qualunque spiraglio di sole che possa colorare il grigio che mi scolora. Qualunque spiraglio che porti in sé un senso di pace. Restare, magari per ore, su un terrazzo a lasciarsi coccolare dalle luci della città e assaporare da lì il sospetto di una serenità lontana nascosta da qualche parte, in una speranza sottile o forse in un ricordo pungente. Magari entrambi. E riuscire a sfuggire al più pericoloso. Sfuggire alla paura che striscia sotto il tappeto e meschina si lascia intravedere. Forse è così, forse è solo la luce che in questo periodo viene a mancare, solo l'inverno che arriva e spegne ogni cosa.

Eppure continuo a percepire l'ombra che da qualche parte si nasconde, senza ragione né spiegazione. Si è fatta strada, si è fatta presente. È come sentirmi scivolare dalle dita un tesoro per cui ho rischiato, per cui ho pianto e tenuto il respiro. Vederlo allontanarsi con la consapevolezza che tutti i miei sforzi potrebbero non bastare a trattenerlo mentre vado alla deriva in un brodo di inquietudini che pure, in qualche modo, potrei riuscire a schiacciare se solo capissi come. Il sentore, forse, di una fine.

Non un terremoto, questa volta no, che, per quanto devastante, mi lascerebbe trovare una ragione ad andare avanti proprio nelle macerie da ricostruire. Proprio nel suo essere distruttivo e violento un motivo per combattere ancora. Invece, piuttosto, un dolore cupo di quelli che spengono poco alla volta. E smantellano il pilastro che quei terremoti era solito sostenerli. Ma in silenzio, senza lasciarsi vedere pur facendosi indovinare.

E a me resta, fino a che non mi si farà davanti, solo l'accettare. Accettare la paura di quel buio che mi sovrasta e che prima o poi, in qualche modo, attaccherà. E che io non so se sarò in grado di affrontare, accettare la realtà che si prenderà la luce che come un regalo mi era stata donata e che non ho potuto assaporare fino in fondo. Null'altro da fare se non goderne finché c'è, come fanno i cani quando nelle tiepide giornate invernali si distendono al sole. Restare anch'io in un cerchio di luce, un angolo di mondo perfetto dove nulla di male mai potrà accadere fintanto che il sole starà lì a carezzarlo. Tutto qui. Godere di un cerchio di mondo perfetto con la certezza che tutto andrà bene, e sforzarsi di ignorare, dall'altro lato della strada, la consapevolezza che pure quel sole prima o poi tramonterà. E io già avverto in lontananza il rossore del crepuscolo.

Starò qui fino all'ultimo istante – che altro fare del resto? – nel faro che mi illumina fino all'ultimo applauso per poi svanire. Farmi da parte e accettare, cercarmi altrove un altro fascio di luce, un cerchio di mondo dove di nuovo tutto è perfetto. Un altro fuoco davanti a cui liberare le mie magie. Chissà, forse è solo l'orgoglio di non vedermi, non sentirmi più speciale. Dovermi accontentare di vedermi riflessa, ridotta, flebile. In seconda fila. Che sapere di poter fare io comunque una differenza, questo basterebbe.

Una candela da far durare fino alla prossima alba. Ché di notte una candela pur sempre illumina.

(ottobre 2008) 

 

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