3. Delusione

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

«Molto bene, signorina Amato. Prima ho avuto modo con i colleghi del suo gruppo di visionare il vostro progetto, ne sono soddisfatta» commenta la docente, appuntando qualcosa nel foglio che ha davanti.

Sposta la penna accanto alla casella del voto e io mi entusiasmo, felice che l'esame sia giunto al termine, tuttavia all'ultimo ci ripensa e porta lo sguardo su uno dei libri che ha sul tavolo.

Il mio battito accelera mentre vedo le sue mani curate posarsi sulla copertina marrone.

Mi mordo l'interno della guancia con una pressione eccessiva, tanto che sento il sapore del sangue. Un fischio sordo si propaga nelle mie orecchie e capisco subito il perché: sto entrando nel panico. L'ho letto una sola volta per non sentirmi in colpa, ma non ho approfondito lo studio visto che non aveva mai fatto domande tratte da questo testo.

Quando socchiude le labbra tinte di un rosa cipria, quasi non riesco a udire le sue parole. Rimango in silenzio a fissarla con il cuore che galoppa: non conosco la risposta.

Vedo i suoi occhi assottigliarsi e sfoglia il libro per pormi un altro quesito a cui non riesco a rispondere. Il mio cervello ha smesso di funzionare. Non elabora neanche una risposta logica, improvvisata: è totalmente vuoto.

Quando la docente sbarra la casella del voto, mi alzo come un automa mentre il suono della sua voce mi giunge ovattato. Esco fuori dall'aula senza neanche recuperare i miei libri.

Non ci credo... sono stata rimandata.

«Carla» mi chiama Noa preoccupato.

Volto il capo verso di lui e apro la bocca per dire qualcosa, ma non esce nessun suono. Mi siedo su una delle sedie lontana dall'aula e afferro la testa tra le mani. Questo è un incubo.

«Carla... hai un altro appello a tua disposizione» mormora Mel mentre si siede accanto a me, «Comunque, è stata stronza. Non ha mai chiesto il libro degli approfondimenti.»

Due dita mi afferrano il mento e mi sollevano il viso. I miei occhi azzurri incontrano quelli del mio amico. «Puoi ancora laurearti in tempo per partire. La tesi è pronta, devi solo concentrarti unicamente sulla materia. Ci riuscirai.»

Mi perdo nelle sue iridi risolute e annuisco, anche se non del tutto consapevole.

«Puoi lasciare la tua macchina qui, ti accompagno io a casa.»

Strofino nervosa le mani sul tessuto dei jeans, ma alla fine riesco a ritrovare la voce. «Non preoccuparti. E poi... vorrei rimanere un po' da sola.»

Rimane a guardarmi circospetto, ma alla fine annuisce. Mi scocca un bacio sulla guancia e poggia il mio zaino sul pavimento prima di trascinarsi dietro Mel che mi guarda con aria triste. In altre circostanze mi sarei entusiasmata per il suo gesto affettivo, però al momento non riesco a provare nulla. Mi sento svuotata.

Rimango lì seduta per non so quanto tempo, ma dalla luce mite che entra dalle finestre capisco che è pomeriggio inoltrato. Sento la suoneria del mio telefono, tuttavia non riesco a muovermi pensando che il mittente è probabilmente un componente della mia famiglia.

Una piccola lacrima di frustrazione mi scende sulla guancia: mi sono impegnata davvero tanto. Eppure, lo dovrei sapere che il destino è sempre pronto in agguato a mescolare le carte a tua insaputa, che ciò ti piaccia o meno.

«Stai bene?»

Giro il capo e mi trovo davanti il ragazzo di questa mattina, quello che Melissa mi ha pregato di guardare. Lo fisso impassibile senza rispondere.

«Sei sorda?» mi chiede, facendo comparire sul suo viso un'espressione divertita.

«No» affermo, distogliendo lo sguardo da lui e puntandolo sui rami dell'albero del giardino interno che ondeggiano per via del vento.

Aspetto che vada via, ma scorgo la sua ombra proiettata sul pavimento.

«Se la tua capacità comunicativa è questa, non mi sorprende che ti abbia bocciata.»

Mi volto sbigottita nella sua direzione, infastidita per il suo commento tagliente.

«E tu come fai a sapere che sono stata rimandata?»

«Oh, allora sai comporre una frase di senso compiuto.»

Lo osservo sgomenta, con le sopracciglia aggrottante in segno di disappunto. «La mia capacità comunicativa funziona egregiamente, se proprio desideri saperlo. Magari non voglio semplicemente parlare con uno sconosciuto.»

«Il tuo sguardo di stamattina mi diceva tutt'altro.»

Il ghigno sulle sue labbra si intensifica e la mia frustrazione aumenta.

«Pensa quello che vuoi.»

Lui avanza e si ferma davanti a me, facendomi sollevare ancor di più il capo per guardarlo in viso. Da vicino noto che ha dei piccoli puntini verdi adiacenti alla pupilla che rendono il suo sguardo vivo.

«Anche in questo momento i tuoi occhi mi comunicano altro.»

«Tu hai qualche problema, e non solo alla vista.»

Incrocia le braccia al petto e inarca il sopracciglio scuro, mantenendo però gli angoli della bocca sollevati, e capisco che si sta divertendo a prendermi in giro.

Mi alzo e le mie narici catturano la scia di profumo che emana, cogliendone la fragranza poiché identica a quella di mio fratello. Afferro lo zaino e lo posiziono sulle spalle, sentendo le sue iridi castane seguire ogni mio movimento. Procedo verso l'uscita senza degnarlo di un ulteriore sguardo, tuttavia a metà corridoio la sua voce mi fa fermare.

«Non piangere per avvenimenti futili come una bocciatura, nella vita c'è di peggio.»

Sono tentata di girarmi, ma alla fine proseguo. Non c'è bisogno che sia lui a dirmi che accadono cose peggiori; le ho già provate sulla mia pelle.

Esco dalla struttura e raggiungo il parcheggio ancora pieno nonostante l'ora tarda. Impiego circa trentacinque minuti per arrivare a casa, dieci in più rispetto al consueto. Arresto l'auto nel viale laterale e mi accorgo che mio fratello non c'è. Non che lui possa cambiare la situazione, ma mi sarebbe piaciuto averlo con me quando parlerò con i miei genitori.

Spengo la macchina, prendo lo zaino appoggiato sul sedile del passeggero e mi avvio verso la porta d'ingresso con una morsa alla bocca dello stomaco. Quando entro sento mia madre e mio padre conversare in cucina e faccio un passo in avanti per raggiungerli, ma all'ultimo secondo devio la traiettoria e salgo le scale per rifugiarmi in camera. Chiudo la porta alle mie spalle e appoggio la schiena alla parete nel tentativo di rallentare il respiro.

«Carla, sei tu?» domanda mia madre dal piano di sotto.

«Sì, arrivo!»

Poggio lo zaino ai piedi della scrivania e appendo il giubbotto nell'armadio. Cerco di farmi forza e mi preparo al peggio. Scendo i gradini con passo esitante e quando entro in cucina vedo mio padre intento a leggere una rivista e mia madre apparecchiare meticolosamente la tavola.

È lui a percepire per primo la mia presenza e senza staccare gli occhi dalla pagina mi dice con voce apparentemente calma: «Tua madre ha provato a contattarti al telefono diverse volte.»

Butto giù il groppo che ho in gola e rimango sulla soglia, indecisa se sedermi a tavola con lui o rimanere qui; preferisco la seconda opzione.

«Scusate, avevo il telefono silenzioso» mento.

«Tranquilla, tesoro, basta che tu stia bene» decreta mia madre mentre posiziona l'ultimo bicchiere, «Ma non è questo l'importante adesso. Allora, com'è andata l'esame?» chiede euforica.

Rimaniamo in silenzioso per un tempo apparentemente interminabile. Nessuno dice niente, o perlomeno sono io a non pronunciare nulla. Vedo il sorriso di mia madre spegnersi pian piano quando capisce di aver posto la domanda sbagliata e lo sguardo di mio padre farsi sottile mentre chiude con cura meticolosa la rivista.

«Allora?» insiste lui con occhi duri.

Mi sento come un sub a cui mancano solo poche tacche di ossigeno che guarda la superficie, consapevole che sia troppo lontana per raggiungerla incolume.

«Non è andata bene. La docente mi ha rimandata.»

Un altro silenzio scende tra noi, ma stavolta non sono io a doverlo interrompere. Vedo mia madre avvicinare la sua mano sinistra alla bocca e spostare lo sguardo su mio padre per osservare la sua reazione.

Stiamo entrambe aspettando la sua reazione.

I suoi occhi chiari simili ai miei sono ancora fissi su di me, al cui interno leggo un unico sentimento: ostilità. Si alza e si avvicina nella mia direzione, facendomi indietreggiare di riflesso.

«Non accetterò un altro fallimento» afferma con tono autoritario.

«La prossima volta andrà bene, ne sono sicura.»

Lui mi guarda ancora per altri interminabili secondi mentre il mio cuore pompa sempre più veloce. Sospiro quando mi oltrepassa ed esce dalla stanza, sbattendo la porta con forza. Alzo lo sguardo su mia madre che cerca di sorridere per rassicurarmi, ma in realtà anche lei è molto delusa.

«Beh, credo che oggi saremo solo io e te a cenare» mi dice prima di afferrare un mestolo da uno dei cassetti bianchi della cucina. Mi avvicino verso di lei e la aiuto a versare l'arrosto nei piatti per sentirmi meno in colpa.

«Dov'è Mattia?» le chiedo mentre ci sediamo a tavola.

«Credo sia uscito con Sara, o forse con i suoi compagni di squadra.»

«Ci sarà a breve un'altra gara di nuoto?»

«Sì, anche se non ricordo quando. Dovresti venire.»

Annuisco, anche se so già di non andare. Mio fratello pratica nuoto a livello agonistico ed è molto bravo. A differenza di nostra madre, non mi chiede di assistere a ogni manifestazione; gli basta che io sia presente quelle due volte all'anno quando si svolgono i campionati regionali.

Finita la cena, la aiuto a sparecchiare la tavola e a lavare le stoviglie prima di augurarle la buonanotte. Salgo le scale e scorgo una luce provenire dalla fessura dello studio di mio padre, il che non è mai un buon segno a quest'ora. Mi dirigo con passo leggero verso la mia stanza e mi sdraio sul materasso, rimanendo a fissare il soffitto bianco.

Vorrei rivivere questa giornata dall'inizio, ma so che non posso cancellare ciò che è successo.

Forse una corsetta mi aiuterebbe a non pensare, tuttavia desisto: il mio corpo stanco non riuscirebbe a reggere uno sforzo fisico. Con le ultime forze che mi rimangono, afferro il pigiama e un cambio ed esco, superando la stanza di mio fratello per andare in bagno a fare una doccia. Mi spoglio e poggio in vestiti sul lavabo bianco prima di immergermi sotto il getto d'acqua bollente nel tentativo di rilassarmi. Chiudo gli occhi e rivivo il momento dell'esame, riportando a galla il groviglio nello stomaco che ho provato in quegli interminabili minuti.

Sollevo le palpebre stremata e mi insapono velocemente prima di uscire e vestirmi. Ritorno in camera e afferro il cellulare sul comodino. Scorro i messaggi, trovandone diversi da parte di Mel e di Noa. Rispondo per rassicurali con un breve testo e mi immergo tra le coperte per trovare un po' di conforto.

Non devo mollare proprio adesso che sto per raggiungere il mio obiettivo.

Il mio cellulare inizia a squillare e sullo schermo compare il volto del mio collega. Allungo esitante il braccio e ci rifletto qualche istante prima di premere il pulsante verde.

«Pensavo che non rispondessi.»

«Ho pensato di non farlo.»

La sua risata leggera risuona nel mio orecchio destro.

«Stai meglio?»

«Non proprio.»

«Ok, allora parliamo d'altro.»

Rimango in attesa che lui trovi un argomento interessante con cui farmi distrarre.

«Non credevo che il tuo sguardo avesse questo effetto sugli uomini» afferma di punto in bianco.

«Noa, vuoi davvero parlare di ragazzi con me?»

«Se ti può distrarre, sì. Solo perché sei tu.»

Scosto le lenzuola e mi giro sul fianco sinistro.

«Sei ancora lì?»

«Sì. Se proprio lo vuoi sapere, l'ho incontrato dopo l'esame. E lo sai che cosa ho scoperto? Che è un troglodita, proprio come tutti i bellimbusti che ci sono in giro.»

«E sentiamo, che cosa ti ha detto?»

«Che ho problemi di comunicazione. Riesci a crederci?»

«A sua difesa posso dire che dopo l'esame non eri molto loquace.»

«Noa.»

«Oh, sì, hai ragione, è proprio un deficiente.»

Mi scappa un risolino spontaneo che non riesco a trattenere.

«Finalmente hai riso. Non potevo andare a letto sapendoti tutta sola e triste dentro le tue coperte beige.»

«Noa... vuoi essere il mio fidanzato? Farei un'eccezione alle mie rigide regole per te.»

«Sì, lo so, sono uno dei pochi bellocci in giro ad avere i neuroni.»

«Anche per te deve essere difficile incontrarne qualcuno di intelligente» mi azzardo ad affermare, cogliendo l'occasione.

«Magari, come te, sono concentrato su altri obiettivi.»

Afferro uno dei cuscini per portarmelo a petto e aspetto in silenzio che continui.

«O, forse, ho già incontrato qualcuno di speciale a cui non posso rivelare i miei sentimenti.»

«Perché no?» chiedo in un sussurro.

«Perché alle volte combattere è inutile se sai già l'esito che avrà la battaglia.»

Mi giro e fisso il soffitto sopra di me, cercando le parole giuste.

«Vuol dire che non è la persona giusta per te se non riesce a capire che fantastica persona sei.»

«Probabile... È meglio andare a dormire adesso. Buonanotte, Carla.»

«Notte, Noa. E grazie per avermi parlato dei tuoi problemi solo per distrarmi. So che significa tanto per te.»

«Farei questo e molto altro per vederti felice. Ricordalo.»

«Sempre.»





🌻Note

Ciao a tutti!

Scusate, volevo pubblicare un po' di tempo fa, ma sono stata sommersa da diversi impegni.

Vi è mai capitato di essere bocciati a un esame? Io non sono mai stata rimandata a un orale, però sono stata bocciata tre volte in uno scritto. Ho sviscerato così tanto quella materia che adesso nel mio lavoro mi occupo di quello.

Quindi il mio consiglio è di non arrendersi mai, nonostante le difficoltà che incontriamo.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

A presto!❤

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro