33. Buon compleanno

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Entriamo all'interno della sala ed Enea mi lascia al centro per andare a prendere la sua chitarra. Appoggio il giubbotto su una delle sedie, stando attenta a non pestare il caos di fili sul pavimento.

Lui si siede su uno sgabello e inizia ad accordare lo strumento senza guardarmi. «Non ho nessun regalo per te, posso solo farti ascoltare qualcosa.»

«In realtà tu mi hai già fatto un gran regalo che non ho ancora ricambiato. Sono io ad essere in difetto.» Estraggo la collanina con la ballerina da sotto la felpa che riflette la luce dei faretti sul soffitto. Forse non è il momento giusto, ma, in fin dei conti, quando lo è?

La fissa per diversi secondi, ma non dice niente. Chi tace acconsente, penso mentre sorrido.

Enea mi lancia un'ultima occhiata con le sue iridi nocciola illeggibili prima di distogliere lo sguardo. «Richieste?»

Sfiora in maniera delicata le corde, producendo un suono soave. Questo ragazzo in profondità, ma molto in profondità, credo sia... tenero. A modo suo.

«È il tuo regalo, scegli tu la canzone» ribatto con un po' di eccitazione nella voce.

Possibilmente suonerà qualcosa che non conosco, ma sarà incredibile comunque. Mi siedo sullo sgabello utilizzato prima dal cantante e aspetto con trepidazione che inizi.

Quando sento le prime note rimango sbalordita perché riconosco subito il testo e la melodia che produce è accompagnata anche dal suono della sua voce. Rimango senza parole e destabilizzata, sia per la sua performance che per la scelta del brano.

Canta la canzone con tono dolce, ma solo alla penultima strofa alza lo sguardo su di me.

"All my life
I thought it'd be hard to find
The one, 'til I found you
And I find it bittersweet
'Cause you gave me something to lose"

"Tutta la mia vita
Ho pensato che sarebbe stato difficile trovare
Quella giusta, fino a quando non ti ho trovata
E lo trovo agrodolce
Perché mi hai dato qualcosa da perdere"

Il mio cuore accelera e mi mordo l'interno della guancia perché una parte di me pensa che me la stia dedicando. Quando finisce rimango imbambolata a fissarlo.

Cosa dovrebbe significare tutto questo? Sta cercando di dirmi qualcosa o è tutto frutto della mia immaginazione?

Restiamo così, a guardarci per un tempo interminabile. La mia mente non riesce a elaborare un pensiero razionale. Come al solito, le sue emozioni sono celate da un muro invalicabile che vorrei abbattere con tutte le mie forze.

Si alza lentamente e si avvicina, mentre io stritolo nervosa i polsini della felpa. Appoggia la fronte sulla mia, facendo sfiorare la punta dei nostri nasi, e percepisco i nostri respiri accelerati fondersi tra loro.

Muove la punta del naso sul mio prima di spostarla sulla guancia destra, producendo dei brividi lungo il mio braccio. Si discosta da me e le sue iridi puntano sulla mia bocca, spezzandomi il fiato. Istinto e cervello si scontrano tra loro con l'unico risultato di farmi rimanere immobile, come se solo lui potesse darmi le risposte che tanto cerco.

Inclina il volto verso il mio e io rimango ferma a guardare i suoi movimenti. Sta per eliminare la distanza che ci separa quando il mio telefonino squilla, scoppiando la bolla in cui ci eravamo rinchiusi.

Lui chiude le palpebre e si scosta mentre io faccio un passo indietro. Vado verso il giubbotto per estrarre il cellulare dalla tasca. «Mamma?»

«Stellina! Scusami, ma sono tremendamente in ritardo e devo ancora rientrare a casa. Dobbiamo posticipare alle nove e mezza.»

«Va bene, tranquilla, anche io sono fuori. Rientrerò a casa per quell'ora.»

«Perfetto, a dopo!»

Chiudo la chiamata e poso il cellulare nella tasca dietro dei jeans. Mi volto verso Enea che sta riponendo la chitarra nella custodia.

«Grazie, è stato bellissimo. Non pensavo che cantassi così bene. Come mai non ti alterni con Andrea?» domando per spezzare il silenzio.

«Non mi esalta cantare in pubblico. Richiama troppo l'attenzione e non è quello che voglio.»

Vorrei dirgli che molti sguardi si posano su di lui anche mentre suona la chitarra, ma non dico nulla perché potrebbe essere solo il mio giudizio soggettivo. «Beh, allora sono lusingata di averla ascoltata.»

«Andiamo, ti accompagno a casa.»

Senza guardarmi negli occhi, mi supera per uscire dalla stanza, ma io lo blocco, afferrandolo per il maglione.

«In realtà ho ancora un po' di tempo e vorrei che andassimo in un posto.»

Guarda la mia caviglia fasciata e io scuoto la testa, anticipando le sue parole. «Non è lontano e non devo sforzarmi troppo. Facciamo una cosa normale.»

«Normale...» Usa un tono dubbioso e anche il suo sguardo si offusca.

«Sì. Qui vicino c'è un locale dove fanno la mia cheesecake preferita e, visto che non abbiamo fretta, vorrei mangiarla.»

Medita per qualche secondo, indeciso, ma alla fine sospira. «Va bene.»

I miei occhi si illuminano e gli rivolgo un sorriso smagliante tanto sono contenta. Batterie le mani come una bambina se solo non mi stesse squadrando come se fossi pazza. Probabilmente non capisce il perché della mia felicità, ma fare qualcosa con lui che rientra nella quotidianità è così che mi fa sentire.

Spegne tutte le luci e diversi interruttori prima di uscire e chiudere la porta. Gli chiedo di condurmi verso via San Giuliano e, come mi aspettavo, è proprio dietro l'angolo. Cammina accanto a me senza aiutarmi, ma modera il suo passo al mio per non farmi sforzare troppo.

Non impieghiamo molto a raggiungere il locale, ai pressi della facoltà di Giurisprudenza. «Ci sei mai stato?»

Scuote la testa mentre osserva l'insegna.

«Ti piacerà, è nel tuo stile.»

Solleva il sopracciglio e io alzo gli occhi al cielo prima di spingere la porta ed entrare. Non è molto grande, ma è proprio questa una delle motivazioni per cui lo trovo confortevole. La cameriera ci fa accomodare sul bancone e chiedo subito di ordinare.

«Per me una cheesecake alla birra, grazie.»

«Per te?» La ragazza si volta verso Enea e non mi sfugge il sorriso civettuolo che gli rivolge.

«Una birra rossa.»

«Arriva subito.» Si volta verso la cucina, facendo oscillare la sua chioma rossa, e sparisce con la nostra ordinazione.

«Non è così male.» Lo osservo mentre scruta il locale, soffermandosi sulle spillatrici delle diverse birre artigianali.

«Dovresti fidarti un po' di più di me. Ho degli ottimi gusti.»

«Lo terrò presente.»

Il ragazzo dietro al bancone gli chiede quale delle birre rosse vorrebbe provare e iniziano una conversazione su spezie e sapori di cui non capisco molto. Mi piace vederlo rilassato e a suo agio. Per un attimo all'ingresso ho temuto di aver fatto la scelta sbagliata a invitarlo.

«Ecco la tua torta.»

La cameriera appoggia il piatto di fronte a me e sospiro, preparando le papille gustative a ricevere questa bontà. Infilzo la forchetta e ne assaggio un pezzo.

È così buona che socchiudo le palpebre, lasciandomi sfuggire un gemito basso. Quando riapro gli occhi per mangiarne ancora, mi ritrovo le iridi di Enea su di me che mi guardano con una scintilla che mi mette in imbarazzo.

«È così buona?» Il tono basso che usa mi fa fremere sulla sedia.

Ne prendo un altro pezzo e glielo porgo. «Dimmi tu com'è.»

Osserva prima il mio volto e poi la forchetta e mi accorgo troppo tardi dell'intimità del gesto. Sto per ritrarre la mano quando lui poggia le sue dita sulle mie per bloccarmi. Avvicina le labbra e assaggia la torta senza smettere di guardarmi, rendendo tutto così dannatamente confidenziale da agitarmi. Sento le guance esplodere e vorrei sotterrarmi.

Sorride. «Credo che da oggi diventerà il mio dolce preferito. E io non amo molto gli zuccheri.» Mi lascia andare per bere dal suo boccale di birra e io ritorno a respirare.

Perché quando sto con lui mi devo sempre sentire così... spostata?

«Vado un attimo in bagno.» Non aspetto che mi risponda e mi precipito verso la porta con su scritti i piatti del giorno. Entro all'interno dell'antibagno e mi fermo di fronte al lavandino, afferrandone i bordi in marmo mentre scruto il mio volto paonazzo allo specchio.

La teoria di Noa sul lasciare scorrere il tempo per darmi delle risposte non mi è mai sembrata così sbagliata.

Osservo i miei occhi azzurri e prendo un profondo respiro: un passo alla volta. L'obiettivo è tornare a casa senza fare troppi danni.

Sciacquo le mani e ritorno in sala, tuttavia mi arresto quando vedo la cameriera ed Enea chiacchierare con disinvoltura come se si conoscessero da tempo. Non so spiegare la ragione, ma la scena intacca il mio umore. Avevo già notato questa cosa, però oggi ne ho la conferma. Lui riesce a parlare con serenità con tutte, eccetto che con me. Sono sempre io ad avviare le nostre conversazioni e, alle volte, sembra anche costargli un certo sforzo rispondermi.

Mi mordo il labbro e ritorno al mio posto senza degnarli di ulteriori attenzioni. Finisco il mio dolce in silenzio mentre loro continuano a parlare di un concerto che si svolgerà a breve. Forse è proprio questo il nostro problema: io e lui non abbiamo niente in comune.

Estraggo il cellulare dalla tasca e mi accorgo che sono già le otto e un quarto. Mi alzo dallo sgabello e vado a pagare, tuttavia il cassiere mi informa che il conto è già stato saldato.

Gli auguro una buona serata ed esco fuori dal locale, appoggiandomi sul muro laterale per aspettare Enea.

Non trascorre molto tempo prima che lo veda uscire. Si guarda intorno e quando poggia i suoi occhi infastiditi su di me, io sono pronta a rispondergli nella medesima maniera.

«Potevi dirmi che eri qui.»

«Eri troppo impegnato, non volevo disturbare.»

Sogghigna. «Stavamo solo parlando.»

«Devo tornare casa adesso.» Mi avvio verso la moto senza aggiungere altro. In fondo ha ragione, non ha fatto nulla di male; sono io che ho reagito in modo esagerato. «Comunque, grazie, non dovevi pagare tu.»

«Di nulla.»

Trascorro il viaggio di ritorno persa nei miei pensieri, tanto che non mi accorgo subito di trovarmi a poca distanza da casa ed Enea non mi mette fretta per farmi scendere.

Scivolo dalla sella e gli porgo il casco, mentre lui mantiene lo sguardo davanti a sé con la mascella contratta. A un certo punto spegne il motore e borbotta qualcosa che non riesco a capire.

«Cosa hai detto?» gli chiedo avvicinandomi.

«Non importa» ribatte e scende dalla moto. «Posso imbucarmi alla tua festa di compleanno?» mi domanda poi, guardando verso la mia abitazione.

Rimango completamente scioccata dalla sua richiesta e impiego un po' per riattivare il cervello. «Non credo sia una cosa fattibile. Mattia potrebbe reagire male. Anzi, è sicuro che reagisce male.»

«Mi presenterei nelle vesti di mio fratello, non mi scopriranno mai. Oggi ho anche un variopinto maglione blu, se non te ne fossi accorta.»

Solleva gli angoli della bocca e io distolgo lo sguardo per non farmi contagiare dal suo sorriso.

«Dovresti fare un'interpretazione da Oscar. Mattia non è stupido.»

«È tuo fratello il problema o sei tu a non volermi? Dovresti parlarmi chiaramente.»

«Io? Sei tu che quando parli con me sembra che stia scalando l'Everest, mentre con gli altri sei sempre disponibile e aperto al dialogo.»

«Non ti è mai passato per la testa che sono me stesso solo quando parlo con te? O che discuto con altri di cose superficiali a cui non do peso? Quando converso con una persona di cui mi importa, penso a ogni singola parola.»

Alzo gli occhi verso il cielo per farmi forza. «Potrebbe essere un modo per dirmi che ci tieni a me?»

«Potrebbe.»

La sincerità del suo tono mi rimbomba nelle orecchie e mi volto verso casa. Non sono per niente convinta del suo piano.

«Devi fidarti di me, andrà bene.»

Mi mordo il labbro inferiore mentre gli dico di seguirmi. Estraggo le chiavi dalla tasca del giubbotto e le inserisco nella fessura. «Non farmene pentire.»

«Farò il bravo, promesso» mi risponde con il suo cipiglio divertito.

Scuoto la testa, ma varchiamo la soglia insieme. Leviamo i giubbotti e li agganciamo agli appendiabiti.

«Carla, sei tu? Siamo in cucina!» grida mia madre.

«Sì, mamma, ho una sorpresa per te» le urlo mentre Enea sorride della situazione. «Guarda che mia madre adora tuo fratello. Cerca di soddisfare le aspettative.»

Lui mi guarda con uno sguardo stizzito e dice: «Perché? Non mi trovi amorevole come lui?»

Alzo gli occhi al cielo e ci dirigiamo verso la porta della cucina.

«Entro io prima di te» gli sussurro.

Apro la porta e all'unisono io e mia madre gridiamo: «Sorpresa!»

Vedo i sorrisi gioiosi delle persone presenti affievolirsi sempre più e, dopo attimi di smarrimento, tutti i loro volti si girano nella mia direzione in cerca di una spiegazione.

Tra tutti percepisco gli sguardi affilati di quattro occhi nocciola.

Al peggio non c'è mai fine.

Buon compleanno a me!

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