36. Segreti

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Tamburello in modo impaziente le dita sulla tovaglia verde del tavolino, mentre osservo la porta di ingresso con insistenza. Solo le undici meno dieci e di Enea non si è vista neanche l'ombra.

Che stupida a porre le mie speranze su di lui. Dopo quello che ho combinato non verrà mai qui ad aiutarmi.

«Non dovrei dirlo, ma, ragazzina, dovresti metterci più impegno» mi dice l'uomo barbuto che gioca contro di me.

Guardo i miei soldi sul tavolo e mi accorgo di avere solo gli ultimi dieci euro. Nelle ultime mani ho provato a inserirmi nella partita, ma solo una volta sono riuscita a ricavare abbastanza soldi per fronteggiare la puntata minima.

Sollevo le carte e, nel frattempo, cerco un piano alternativo per aiutare mio fratello. Potrei chiedere il denaro a nostro padre, ma questo vuol dire scagliare la sua collera su di noi. Mattia si farebbe ammazzare piuttosto che farsi aiutare da lui. Un'alternativa è utilizzare il denaro che ho messo da parte per il viaggio a Copenaghen, anche se non sono così tanti da coprire tutta la somma.

«Dannazione» sibilo a denti stretti.

«Passi o giochi?» mi domanda l'uomo taciturno seduto accanto a me. Mi ha posto solo questa domanda per tutta la serata.

Osservo il mio full con la coppia d'assi e cerco nelle tasche del giubbotto qualche altra banconota che, fortunatamente, trovo. Li punto al centro e mantengo uno sguardo impassibile mentre il croupier svela le carte sul tavolo. Non posso vincere tutti i soldi con una sola mano, ma forse si accontenteranno di un piccolo anticipo.

Ma chi voglio prendere in giro?

«Stupido ragazzo. Mettersi in affari con Mario è da veri coglioni» borbotta il barbuto, mentre guarda qualcosa alle mie spalle.

Mi volto in tempo per vedere il pugno di Mario finire sulla mascella di mio fratello, che cade a terra come una marionetta priva dei suoi fili.

Apro la bocca per urlare, ma non esce nessun suono. Scosto la sedia e mi avvicino traballante a loro, anche se il cuore mi martella nel petto e una forza invisibile tenta di trascinarmi all'indietro per non farmi vedere la scena davanti a me.

Mio fratello è immobile, con un rivolo di sangue che gli gronda dall'angolo della bocca. Con la vista offuscata cerco di osservare il suo petto e quando lo vedo sollevarsi leggermente, riprendo a respirare anche io.

L'uomo tarchiato si piega e lo afferra, facendomi uscire dal mio stato di trance. Mi sposto e mi piazzo di fronte a lui, aprendo le braccia per non farlo passare.

«Dove lo sta portando? La prego, lui è...»

«Mario, è un piacere rivederti» mi interrompe una voce familiare alle mie spalle.

Mi volto e mi ritrovo davanti il viso di Enea. Mantiene la sua solita espressione serena, ma da vicino posso vedere la vena in rilievo del suo collo.

«Enea, da quanto tempo non ci vediamo» risponde l'uomo con un tono quasi divertito.

«Abbastanza.» Il suo ghigno spavaldo gli solca il viso, mentre porta le mani all'interno dei suoi jeans scuri.

«Adesso devo sistemare una faccenda, magari torna dopo. Ci facciamo qualche giro.»

Enea scruta il volto di mio fratello. «Lascialo andare. Pagherò io quello che ti deve.»

«Conosci questo tipo?»

Annuisce, mentre si passa una mano tra la chioma. È nervoso.

«Ragazzo, lo sai che non sono io a fare le regole qui dentro. Dovresti parlarne direttamente con Giuseppe.»

«Dai, Mario, non vorrai fargli perdere del tempo con queste sciocchezze. A lui interessano solo i soldi che gli ha prestato e che sia io a darteli non fa alcuna differenza.»

Guardo il volto pensieroso dell'uomo e spero con tutta me stessa che accetti il denaro senza fare storie. Mi sento gli occhi di tutti i giocatori della sala puntati addosso e, con la coda dell'occhio, vedo che anche Sara si trova alle mie spalle.

Non so quanti minuti passano prima che Mario emetta un profondo sospiro e lasci scivolare mio fratello a terra. Lo raggiungo subito e appoggio la mia mano sul suo polso per controllare il battito. È vivo.

«Non farlo più venire qui dentro, o non ne uscirà vivo.» Afferra la busta che Enea gli sta porgendo prima di allontanarsi e uscire da una porta nel retro del locale.

«Matti, svegliati.» Sara gli passa una mano sul viso e lui strizza gli occhi, mantenendo chiuse le palpebre.

«È solo stordito, si riprenderà.» Enea si abbassa e lo issa sulla spalla con un po' di difficoltà, mentre Mattia emette dei rantoli privi di senso logico.

Io e Sara prendiamo quel che resta dei nostri averi al tavolo e, stranamente, nessuno dei giocatori si oppone. Anzi, l'uomo barbuto fa un cenno di assenso prima che mi diriga verso l'uscita.

Il buttafuori ci segue e sbatte la porta alle nostre spalle quando tutti siamo usciti. Sento l'aria pulita entrare nei miei polmoni e delle lacrime silenziose scivolano incontrollate sul mio viso. Ho avuto davvero paura.

Il rumore di uno sportello che si apre richiama la mia attenzione e vedo scendere Elia dalla sua auto per aiutare il suo gemello a distendere mio fratello nei sedili posteriori della vettura.

«Grazie, ragazzi» sento sussurrare dalla voce gracchiante di Mattia.

Sono così arrabbiata che la collera elimina del tutto la ragione. Cammino verso la macchina come una furia ed Enea si volta verso di me.

«Non è il caso che tu...» inizia a dire, ma lo interrompo subito.

«È mio fratello. Decido io cosa è meglio fare.»

Lo supero e mi accosto allo sportello aperto dove è seduto Mattia, sorretto dall'aiuto di Elia.

«Che cazzo ti prende, si può sapere? Che diavolo volevi ottenere andando a giocare in un posto come quello? Facendoti prestare i soldi da uomini della malavita!» gli urlo con le mani che mi tremano per la tensione.

«Tu non puoi capire» ribatte lui, mentre mi osserva con i suoi occhi grigi. Uno è quasi totalmente chiuso per via del livido violaceo che gli si sta formando sul lato sinistro della faccia.

«Non posso capire?! Provati a spiegare perché se stai ancora respirando è grazie alle persone che sono qui e tutti noi meritiamo una risposta soddisfacente» sibilo, puntandogli un dito contro.

Lui guarda prima me, poi Sara e infine i gemelli prima di emettere un profondo respiro che gli provoca dolore. «Non diventerò mai un nuotatore professionista. Lo sanno tutti e lo so pure io. Per non parlare di diventare un commercialista. Potrei anche riuscirci, ma non sono brillante abbastanza da poter ricevere uno stipendio con cui poter vivere» afferma con un tono di voce spento.

«Non dire assurdità. Puoi fare qualunque cosa e io sono sempre al tuo fianco.»

Perché se ha tutti questi pensieri negativi non ha parlato con me?

«Io non voglio il tuo aiuto! Hai una vita incasinata e di merda anche tu, come mi potresti aiutare se non sai farlo neanche con te stessa?!»

Un vuoto glaciale si insinua in ogni angolo del mio corpo. Una parte di me cerca di ragionare con razionalità; mi dice che mio fratello sta parlando così solo perché è provato, peccato che io non la ascolti.

«E guarda dove siamo finiti. Alla fine per la tua stupidità sono dovuta intervenire e ora abbiamo un debito di cinquemila euro con i gemelli, che sai chi dovrà pagare? Io, perché tu hai ragione. Sei una nullità.»

«Ok, basta.» Enea mi afferra per le spalle e mi scosta per farmi allontanare. «Sara, accompagna Carla a casa. È meglio che Mattia resti con mio fratello per questa sera.» Lancia un'occhiata al suo gemello e si scambiano un tacito assenso.

Elia mi lancia uno sguardo fugace mentre sale in auto e non ho il tempo di avvicinarmi per ringraziarlo che ha già messo in moto per andare via.

Cerco Enea con lo sguardo e lo vedo camminare verso il marciapiede dove è parcheggiata la sua moto.

Lo rincorro e gli afferro il giubbotto per farlo fermare. «Grazie per essere venuto» gli dico, sperando che lui mi creda.

Mi guarda, ma non aggiunge niente. Si limita a osservarmi senza sentimenti, come se fossi una sconosciuta con cui non ha legami. Lo so che è arrabbiato con me, ma chiedergli ora scusa per tutto quello che è successo ieri sera mi sembra stupido. Potrebbe pensare che siano solo parole dovute dal momento, mentre io voglio che lui le ascolti attentamente senza remore.

«Ti darò i soldi appena posso.» Sospiro e lasciando la presa su di lui.

Una luce strana compare un secondo nel suo sguardo, ma sono troppo scossa per tentare di capire il significato.

«Non è a me che devi darli. È Elia che ha sborsato i soldi.»

«Ok. Allora grazie ancora per essere intervenuto lì dentro.»

Passano alcuni secondi in cui rimaniamo immobili; io a guardare il suo maglione nero, visibile dalla cerniera aperta del suo giubbotto, e lui a guardare un punto lontano alle mie spalle per non posare gli occhi su di me. Sento una tensione palpabile scorrere tra i nostri corpi e, nonostante avrei voglia di spezzarla, non riesco ad articolare nessuna frase. Mi mordo il labbro inferiore per non mettermi a piangere e mostrargli così la mia vulnerabilità.

È lui il primo a girarsi, voltandomi le spalle per salire sulla sua moto per poi sfrecciare sull'asfalto.

«Carla, è meglio andare.»

Seguo Sara verso la macchina e apro la portiera del passeggero. Non riesco a guidare e non ricordo minimamente la strada che abbiamo fatto per arrivare qui. Lei sale e si posiziona sul sedile del guidatore, senza opporsi.

Trascorrono alcuni minuti prima che mi rivolga la parola. «Hai ragione, avrei dovuto confidarti i miei sospetti» mormora con esitazione.

«È troppo tardi adesso per i sensi di colpa. Magari oggi non saremmo neanche qui se tu avessi deciso di parlarne con me» affermo con un tono più sprezzante di quanto vorrei.

La osservo mentre si morde il labbro carnoso e gli occhi le si riempiono di lacrime.

«Scusami, Sara, non volevo essere insensibile. Sono arrabbiata, molto, specie con me stessa che ha permesso che ciò accadesse. Ho temporeggiato troppo senza capire la gravità della situazione.»

Lei annuisce, ma mantiene il silenzio per tutto il tragitto. Quando giungiamo di fronte casa mia, si precipita subito fuori dall'abitacolo per dirigersi verso la sua macchina.

Slaccio la cintura e le corro dietro. «Aspetta, Sara, sei sicura di saper affrontare la strada da sola?»

«Sì, non preoccuparti.»

Le lacrime che le ricadono sul viso mi fanno pensare al contrario; tuttavia, conosco quello sguardo: ha bisogno di rimanere da sola. «Stai attenta, ci vediamo.»

Osservo la sua vettura girare l'angolo e prendo un profondo respiro prima di andare verso casa. Le emozioni degli ultimi giorni mi stanno mandando in confusione il cervello. Non credo che la mia mente possa resistere ancora per molto.

Alzo lo sguardo lungo il viale e intercetto la macchina di mio padre.

È rientrato a casa. Fantastico.

Apro la porta e vedo i miei genitori seduti uno accanto all'altro sul divano, intenti a guardare qualcosa alla televisione.

«Stellina, sei tornata a casa» afferma mia madre con un sorriso sulle labbra.

Annuisco verso di lei prima di spostare lo sguardo su mio padre. «Bentornato» mi costringo a dire.

«Grazie. La tua tesi è pronta?»

«Certo» affermo, anche se in realtà la tesi è stata l'ultima cosa a cui ho pensato in questi giorni.

«Hai notizie di tuo fratello?» mi chiede mia madre.

«Rimane a dormire da un amico stasera.»

Magari se vivessi in una famiglia diversa avrei spiegato la situazione ai miei genitori che ci avrebbero aiutato in qualche modo. Si sarebbero infuriati, certo, ma non ci avrebbero voltato le spalle come farebbero i miei. Mia madre con molta probabilità tenterebbe di dire la propria, però mio padre la ammutolirebbe come è solito fare. Non è lei a portare a casa i soldi; lei non ha potere decisionale su nulla che rientri dentro la sfera economica della famiglia.

«Vado a letto. Buonanotte.» Salgo al piano superiore ed entro in camera, pensando a un possibile modo per ripagare Elia della somma che ci ha prestato. Non voglio essere in debito con nessuno. Utilizzerò i soldi che ho da parte per andare a Copenaghen e farò qualche lavoro part-time, sperando che il denaro della borsa di studio dell'università basterà per pagarmi le spese essenziali.

Apro il cassetto del mio comodino e cerco il mio libretto postale per verificare se ho anche lì ancora qualche soldo. Come sospettavo, il conto è a secco. L'ultimo prelievo è stato fatto cinque anni fa, quando mio padre decise che i soldi che avevo guadagnato con la danza erano la sua ricompensa.

Afferro il cuscino e grido su di esso in modo tale che nessuno mi possa sentire. Urlo per liberarmi dall'ombra costante di mio padre; urlo perché Mattia ha deciso di tagliarmi fuori dalla sua vita; urlo perché sono stata una totale illusa che credeva di poter continuare a vivere.

Sto soltanto sopravvivendo.

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