35. Fortuna

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Sollevo le mie palpebre intorpidite con fatica senza sapere che ora del giorno sia. Ho passato tutta la notte in bianco e solo alle prime luci dell'alba la stanchezza ha prevalso sulle mie emozioni.

Mi rannicchio tra le coperte, mentre la mia mente ripercorre la serata di ieri con tutte le sensazioni negative che ancora provo come se fossero accadute adesso.

Ho combinato un disastro e non so come rimediare. La parte più fragile di me mi urla di lasciare perdere tutto e di non chiarire con nessuno, riponendo tutti gli avvenimenti in un cassetto della mia psiche, ma sarebbe un comportamento da vera codarda.

Non voglio che mi perdonino, voglio solo che sappiano le mie ragioni. Non ho mai desiderato che qualcuno soffrisse per le mie decisioni e i miei comportamenti ambigui.

Mi rigiro dall'altro lato del letto, sperando che il mio cervello si spenga, però so già essere una battaglia persa in partenza.

Sospiro e scosto il plaid per alzarmi. Quando i miei piedi toccano terra, un forte capogiro mi fa perdere l'equilibrio e sono costretta a sorreggermi alla tastiera del letto per non cadere.

Sono messa proprio male.

Esco dalla stanza e mi accorgo che la porta della camera di mio fratello è aperta. Sbircio dentro e vedo il suo letto disfatto, ma lui non c'è.

Mi avvio verso le scale con passo cadenzato e spero di non trovare nessuno nel piano inferiore. Non ho bisogno anche dello sguardo accusatorio dei miei parenti. Mi sento già il morale a pezzi così.

«Carla.»

Il suono della voce di Mattia mi fa sussultare. È seduto su uno dei divani e sta guardando la televisione, un avvenimento raro visto che lui detesta stare davanti a uno schermo se non per vedere qualche film in mia compagnia.

«Ciao» lo saluto con una voce gracchiante e cerco di schiarirla senza nessun risultato. Lo raggiungo e mi siedo nell'estremità opposta rispetto a lui.

«Non hai un bel colorito.»

Scruta con attenzione il mio volto, mentre io mi massaggio con le dita le tempie per attenuare il dolore alla testa.

«E non devo spiegarti neanche il perché. Eri presente ieri sera» borbotto, stringendomi le braccia attorno al corpo come uno scudo per difendermi da qualsiasi parola cattiva uscirà dalla sua bocca.

«Non chiuderti a riccio. Non sono rimasto a casa per farti la paternale. Conoscendoti, ti stai già arrovellando il cervello da sola.»

«Già» sussurro, rivivendo alcune immagini di ieri, specie del confronto con Elia. «Matti, dammi il numero di Enea.» Ho bisogno di parlare anche con lui e questa è l'unica soluzione che mi è venuta in mente.

«Cosa? Non se ne parla proprio» sbotta, incrociando le braccia al petto.

«Non era una richiesta. Devo parlargli o altrimenti il mio cervello esploderà da un momento all'altro.»

I suoi occhi osservano attentamente i miei prima di emettere un sospiro profondo. Estrae il cellulare e mi invia un messaggio con il contatto. «Stai attenta» dichiara con voce dura, «Se proprio devi scegliere uno dei due, di sicuro lui è il gemello sbagliato.»

«Ne prendo nota, anche se conoscevo già il tuo punto di vista.» Salvo il numero di Enea in rubrica e lancio il cellulare sui cuscini centrali. «Comunque, cosa vuoi da me?»

«Perché pensi che io voglia qualcosa da te?»

«Hai aspettato che mi alzassi, hai ceduto abbastanza facilmente a darmi il numero di cellulare di un ragazzo che non approvi... quindi, che ti serve?»

Volta il busto e poggia i gomiti sulle ginocchia, iniziandosi a spettinare i capelli con fare nervoso. «Mi devi coprire stasera» borbotta senza guardarmi negli occhi.

«In che senso? Dove devi andare?» Cerco di non mostrargli troppo il mio turbamento, ma la tensione del mio tono è  percepibile.

Lui si gira verso di me con un'espressione seria sul viso. «Non ha importanza. Se non dovessi tornare a casa di alla mamma che sono rimasto a dormire da un amico.»

Si alza dal divano e io faccio altrettanto, con il battito del cuore che mi rimbomba nelle orecchie.

Appoggio le mani sul suo petto e lo blocco. «Perché non puoi dirlo tu alla mamma? E dov'è che stai andando sul serio? Devi dirmelo.»

Tutta la preoccupazione che ho accumulato e ho cercato di trattenere da giorni esplode, mentre le mie dita iniziano a tremare per via della tensione.

«Ascoltami» dice afferrandomi le braccia, «Tu non devi preoccuparti per me. So badare a me stesso.»

Mi lascia andare e si avvia verso l'ingresso. Afferra il suo giubbotto e si chiude la porta alle spalle.

«Merda!» Salgo i gradini per andare nella mia stanza a cambiarmi, tentando di trattenere le lacrime che spingono per uscire.

Apro l'armadio e prendo i primi vestiti che ho sottomano. Poggio il piede ancora non del tutto guarito con troppa pressione, ma il pizzicore pungente che percepisco è nulla in confronto al panico che sento dentro.

Prendo le chiavi della mia auto e corro fuori, sbattendo la porta di ingresso. Mi volto e mi ritrovo davanti l'ultima persona che mi sarei immaginata.
«Ciao, Sara. Scusami ma non è un buon momento, devo raggiungere Mattia.»

Lei dà un ultimo tiro alla sigaretta prima di spegnerla al suolo. Non ricordavo fumasse.

«Credo di sapere dove sia andato. Ero venuta per parlargli, ma quando mi sono fermata sul vialetto ho visto la sua auto allontanarsi.»

«Andiamo allora.» Avrei mille domande da farle, ma adesso l'unica cosa di cui mi importa è trovare Mattia.

Invio un messaggio a mia madre, scrivendole che sto uscendo con Melissa e che probabilmente dormirò a casa sua. Saliamo sulla mia vettura e stringo il volante con più forza del necessario per scaricare i nervi tesi.

Sara mi indica la strada e una rabbia cocente mi scuote il petto. «Da quanto tempo sai che mio fratello è nei guai?»

Non vorrei avercela con lei, ma non riesco a controllare le mie emozioni.

«Sospettavo che qualcosa non andasse da parecchi mesi, ma ho avuto la conferma solo alcune settimane fa. Ho provato ad avere un dialogo con lui, ma ho ottenuto solo una porta in faccia e la fine della nostra relazione.»

La sua voce è apatica e non c'è più traccia della ragazza sorridente che veniva a trovarci a casa. Anche lei sembra stia affrontando un periodo difficile, forse proprio a causa di mio fratello.

Continua a darmi indicazioni e più passa il tempo più l'ansia mi divora. «Come fai a sapere dov'è adesso?»

«Mi ha portato in questo posto una volta sola. Non mi ha fatto entrare, ma ho capito subito che è uno di quei luoghi dove la gente dovrebbe stare alla larga. Così ho iniziato alcune ricerche, chiesto ad amici, ma ho scoperto solo che è una sala da gioco.»

Spalanco le palpebre e il mio respiro accelera, mentre assimilo le sue parole. «Perché non sei venuta a parlarne con me?»

«E cosa avrei dovuto dirti? Non so nulla di quello che sta succedendo, so solo il posto in cui credo stia andando perché stamattina mi ha mandato un messaggio.»

«Un messaggio?»

«Sì, non lo sentivo da un po'. Spesso quando stavamo insieme mi chiedeva di augurargli buona fortuna e io lo facevo, anche se quando gli chiedevo la motivazione lui mi rispondeva che ero il suo talismano portafortuna.» Scuote la testa e, con la coda dell'occhio, le vedo comparire un sorriso amaro. «Solo questo pomeriggio il mio cervello ha fatto un collegamento. A breve scopriremo se la mia intuizione è giusta.»

Mi fa accostare la macchina in un quartiere di Catania in cui non ho mai messo piede. Scende dall'auto e io la seguo fino all'ingresso di un locale con l'insegna Fortuna in evidenza, ubicato al piano terra di un edificio popolare degli anni settanta. Non riesco a scorgere l'interno perché l'unica finestra sulla strada è oscurata da una tenda interna.

«Come facciamo a entrare?»

«Hai dei soldi con te?» mi chiede mentre apre la sua borsa ed estrae il suo portafoglio.

Controllo nella tasca interna del giubbotto dove sono solita mettere dei contanti di emergenza. «Cento euro.»

«Li faremo bastare.»

Si posiziona davanti alla porta e batte su di essa con tre colpi decisi, scostandosi una ciocca scura dal viso. Aspettiamo qualche secondo prima che un omone calvo e robusto ci venga ad aprire. Ci scruta con attenzione e mantengo uno sguardo impassibile per non dare sospetti.

«Parola d'ordine?» domanda l'uomo con voce possente.

«Buona fortuna» risponde Sara con tono deciso, anche se noto il pugno destro chiuso in una morsa ferrea.

Il buttafuori ci osserva ancora una volta con sguardo indagatore, prima di scostarsi per lasciarci entrare. Seguo Sara all'interno e la puzza di fumo mi investe le narici. La sala è molto ampia, ma priva di qualsiasi aerazione. Scruto le persone nella stanza in cerca di mio fratello e lo trovo seduto a un tavolo con in volto un'espressione concentrata. Non si è accorto del nostro arrivo.

«È lì» dico a Sara, arrestandola per il braccio.

«Scegliete un tavolo» tuona l'uomo che ci ha seguiti.

Sara mi afferra il polso e mi conduce in un tavolo poco distante a quello di mio fratello che adesso ci dà le spalle.

«Carla, non possiamo andare da lui e farlo alzare. Inoltre, dobbiamo giocare per non lasciare sospetti. Hai capito anche tu che qui dentro non c'è nulla di legale.»

Osservo le persone attorno a noi, uomini e donne di mezza età per essere più precisi. Hanno tutti quelle espressioni impassibili da gente che nella vita non ha più nulla da perdere.

Come ci è finito mio fratello in questo posto?

Sara si siede e io mi accomodo nella sedia più vicina al tavolo di Mattia per ascoltare le sue conversazioni con gli altri giocatori.

«Allora, ragazze» afferma un uomo barbuto seduto al nostro tavolo, «La puntata minima per iniziare è di venti euro, per il resto penso sappiate le regole.»

Guardo gli altri due uomini seduti al tavolo che non ricambiano il mio sguardo, sono già concentrati sulle due carte che quello barbuto ha distribuito. Quando volta le carte sul tavolo capisco che stiamo giocando a Poker.

Passo quasi tutte le mani, tranne quelle in cui sono la prima a giocare. Sara mantiene l'apparenza più di me e gioca le sue carte con precisione e astuzia. Guardo l'orologio di continuo mentre le ore scorrono: sono già le dieci di sera.

«Cazzo!» esclama mio fratello alle mie spalle, sbattendo un pugno sul tavolo.

Mi volto leggermente e lo vedo mentre è costretto a consegnare diverse banconote a un signore con i capelli brizzolati che sorride sornione.

Si avvicina al loro tavolo un uomo tarchiato che sussurra qualcosa all'orecchio di Mattia che si alza dalla sedia e, con passo esitante, lo segue.

Guardo le carte che mi sono state distribuite e passo ancora una volta. «Scusate, ho bisogno di andare al bagno.»

Vedo Sara lanciarmi delle occhiate di fuoco, ma non mi importa. Lo so che non è un bene girare qui da sola, però l'incolumità di mio fratello è più importante al momento.

Lo vedo parlare animatamente con il tizio che lo ha raggiunto al tavolo vicino al distributore dell'acqua. Mi incammino verso la loro direzione e faccio finta di prendere un bicchiere per dissetarmi, mentre loro continuano a discutere come se non ci fossi.

«Dai, Mario, lo sai che posso recuperare tutto. Starò qui tutta la notte se è necessario» sento dire a Mattia.

«No, la scadenza era segnata due giorni fa. Sono stato già abbastanza clemente. Devo informare Giuseppe.»

«Ti prego, posso farcela!» esclama mio fratello con tono disperato.

Passano alcuni minuti di silenzio prima che l'uomo dica: «Hai solo un'ora. Se non hai i cinquemila euro entro le undici, ti porterò da lui.»

Il respiro mi si mozza in gola, mentre guardo mio fratello che con la schiena curva ritorna al suo tavolo.

Estraggo il cellulare e clicco il numero di Elia per chiedergli aiuto.

«Tim, servizio di segreteria telefonica...»

«Maledizione» sbotto con i nervi a fior di pelle.

Sto per ritornare al mio tavolo quando penso a un'altra persona da chiamare. Il telefono squilla cinque volte prima che risponda.

«Pronto? Chi parla?»

«Prima di riattaccare, voglio che tu sappia che sono in guai seri» dico con un tono tremante.

«Cosa vuoi, Carla?» La sua voce è impassibile.

«Mi trovo in un locale che si chiama Fortuna e mio fratello finirà in guai seri se non consegna cinquemila euro entro le undici a un tizio.»

«Sto arrivando. Non fare niente di stupido» mi risponde Enea prima di chiudere la chiamata.

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