38. Paura

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Enea si ferma davanti a una palazzina di sette piani e armeggia con le chiavi per aprire la porta d'ingresso senza mettermi giù. Fortunatamente per lui, non deve salire molti gradini per arrivare davanti al suo appartamento e, sempre con una magistrale disinvoltura, riesce a entrare in casa.

«Ti metto giù, ma fai la brava» mi dice come se stesse parlando con una bambina.

Quando i miei piedi si posano al suolo, carico un dritto, colpendolo sulla spalla destra.

«Ahi!» diciamo entrambi, io stringendo il mio pugno tra le mani e lui strofinandosi la spalla dolorante.

«Non credevo fosse possibile, ma tu sei peggio dei chiwawa» afferma, dirigendosi verso la cucina.

«Che problema hai con quei cani?» gli chiedo piccata.

«Sono piccoli e isterici. Proprio come te.»

Decido di sorvolare e osservo il suo appartamento, nonostante il mio sguardo sia sempre più appannato. È un semplice monolocale di modeste dimensioni con un'isola che fa da barriera tra la cucina e il salotto, nel quale si trova il divano letto ancora disfatto.

«Tieni, metti il ghiaccio nella mano altrimenti gonfierà.» Me lo porge, soppesandomi con uno sguardo beffardo.

Lo afferro sbuffando, lanciandogli un'occhiata minacciosa a cui lui non presta molta attenzione. Si avvicina al comò alle mie spalle ed estrae delle lenzuola pulite con cui riordina il letto.

«Bravo, elimina i fluidi corporei non graditi» borbotto per stuzzicarlo, però lui non ribatte.

Appoggio il ghiaccio sul lavello e inizio a togliermi gli strati di vestiti in eccesso; fa un caldo infernale qui dentro.

«Dovremo condividere il letto, ma non c'è altra soluzione. Non ho un altro divano e non ho intenzione di dormire per terra.» Si gira verso di me e si arresta di colpo. «Che diamine stai facendo?» domanda con tono accusatorio, anche se noto un pizzico di desiderio nei suoi occhi ambrati.

«Ho caldo. Comunque, non dovrebbe essere un problema per te controllare i tuoi bollenti spiriti perché ho appurato, e mi hanno confermato, che non sono il tuo tipo.» Mi avvicino a una delle sedie in cucina per appoggiare i vestiti, scostandomi i capelli dalla fronte. «Hai visto mille ragazze in mutande e canottiera, quindi non fare quella faccia e chiudi la bocca. Potresti sbavare» lo prendo in giro, mettendo la mano destra sul fianco per enfatizzarne la curva. In realtà le sue labbra sono sigillate in una linea sottile.

Non so perché mi sto comportando così. Forse è la combinazione tra alcool e orgoglio ferito.

«Stai stuzzicando il gemello sbagliato.» Mi scruta con uno sguardo da predatore, però non si muove di un millimetro.

«Io so perfettamente chi sto stuzzicando. Il ragazzo che mi aveva promesso divertimento senza impegno.»

Le sue pupille si dilatano leggermente e si avvicina verso di me con passo lento. Sussultiamo quanto sentiamo la suoneria del mio cellulare, ma io non mi scomodo neanche a vedere chi è. Lo lascio squillare sul ripiano dell'isola e mi concentro sulla musica. È una delle mie canzoni preferite e inizio a ballare a ritmo delle note.

«Sei assurda» mormora con un tono che non so se sia più eccitato o arrabbiato. Forse entrambe le cose.

Mi avvicino a lui con una camminata provocante, o almeno spero che lo sia, e gli giro attorno, sfiorandogli con l'indice sinistro il petto e le spalle. «Allora, ragazzo senza legami, vuoi divertirti un po' con me?»

In situazioni normali il mio atteggiamento mi provocherebbe solo imbarazzo, ma adesso non mi importa di niente. È da giorni che non voglio più pensare e finalmente ci sono riuscita. Sono solo una semplice ragazza che si gode una serata senza i limiti imposti dalla ragione.

Completo il mio giretto e le mie iridi si soffermano sul suo sguardo ardente. Non dice niente quando gli sfilo lentamente la maglietta e la getto per terra. Mi avvicino al suo addome scolpito e mi riempio i polmoni del suo odore, mentre noto comparire dei brividi di freddo sulla sua pelle. Sollevo la mano e sfioro con i polpastrelli il suo petto, soffermandomi sui suoi capezzoli che si irrigidiscono al contatto. Lo sento sospirare, ma rimane inflessibile nella sua postura rigida.

Un sorriso sfrontato compare sulle mie labbra e traccio una linea lungo lo sterno, sfiorando l'ombelico, fino ad arrivare alla leggera peluria del suo ventre. Accarezzo la pelle sopra il bordo del jeans scuro prima di armeggiare con la cintura che, con una mossa decisa, sfilo via. Non oso alzare lo sguardo per paura di vedere la sua espressione e mi concentro sulla lampo che faccio scendere giù, con le mani tremanti che svelano il leggero imbarazzo che mi colora le guance. Infilo le dita nei passanti e tiro la stoffa verso il basso, rivelando i suoi boxer tesi e rigonfi.

Trattengo il fiato mentre il cuore inizia a battere in maniera forsennata, ma, nonostante ciò, le mie mani continuano a perlustrare il suo corpo, come se non avessero desiderato fare altro da diverso tempo. Mi fermo sulla sua clavicola sinistra e mi convinco a sollevare i miei occhi nei suoi.

Le sue iridi sono roventi e si morde il labbro inferiore con così tanta forza che è diventato di una tonalità rosso ciliegia. Lo fisso intensamente, desiderosa di sostituire i suoi denti con i miei, ma mi trattengo per paura che possa respingermi.

Avvicino il volto al suo collo e sfioro la pelle con la punta del naso, fino a raggiungere la sua spalla. Sospiro prima di posare le labbra su di lui, tracciando una scia di baci che supera il tatuaggio sull'avambraccio per culminare sulla punta delle dita.

Mi avvicino al suo viso, facendo leva sulle mezze punte, e sento il suo respiro accelerare, ma riesce comunque a trattenersi e a non muoversi. Sorrido prima di afferrare delicatamente tra i denti il suo lobo destro, provocandogli un gemito basso e profondo.

«Al diavolo.» Enea mi afferra per i fianchi e mi lancia sul letto, fiondandosi subito dopo sopra di me e appoggiando con foga la sua bocca sulla mia.

Impiego qualche secondo ad adattare le mie labbra alle sue, ma quando riesco a sincronizzarmi con il suo ritmo vorace, gli afferro il volto per avvicinarlo e approfondire il contatto. Gli mordo il labbro inferiore per assaporarlo, mentre dalla sua gola esce un sospiro basso che mi fa vibrare di piacere, prima di allontanarci e riprendere fiato.

Le sue iridi sembrano cioccolato fondente fuso, annebbiate un po' dall'eccitazione e dall'alcool. Appoggia la fronte sulla mia e socchiude le palpebre. «Che cosa mi hai fatto.»

«Ricordi? Sei tu che hai scelto me» mormoro, rimembrando le sue parole, anche se la sua non era una domanda.

Si scosta dal mio corpo e passa una mano nella chioma riccia, nervoso, mentre diverse emozioni indistinguibili si alternano nel suo sguardo.

Gli blocco il polso. «Sei tu che sei venuto a bussare alla mia porta.»

Mi sollevo e mi metto a cavalcioni su di lui, avvicinando i nostri volti in modo da rispecchiare le mie iridi nelle sue. «Hai detto tu che sono quella giusta, nel testo della canzone che mi hai dedicato.»

Spalanca le palpebre, riversandomi addosso tutte le emozioni che da mesi ha barricato dietro il muro invalicabile, ma una è preponderante rispetto alle altre: paura.

Socchiude le labbra, ma gli poggio un dito sopra per non ascoltare le sue parole. Non sono nelle condizioni per affrontare un discorso serio. E, soprattutto, dopo aver letto il suo sguardo, non ho intenzione di sentire quello che presumo sia essere un rifiuto. Non lo sopporterei.

Gli bacio il collo prima di avventurarmi sul suo petto, scendendo poi verso l'ombelico. Una forte fitta alla testa mi fa chiudere gli occhi, ma proseguo sempre più in basso.

«Carla...» sussurra, quando sono ormai arrivata all'altezza dei suoi boxer.

Con la lingua, traccio una scia sul bordo superiore e l'ultimo suono che percepisco nitidamente è un gemito animalesco prima di accasciarmi sul letto.

Tento di sollevare le palpebre, però i muscoli non reagiscono ai miei stimoli. Trascorre qualche istante prima che senta due braccia avvolgermi la vita e sorrido, con il cuore quieto, per poi sprofondare nel buio.

***

Il rumore della sveglia mi riscuote dal sonno profondo. Non dormivo così bene da giorni. Quando la mente diventa lucida, sento una pressione intensa alle tempie. Strano, raramente soffro di mal di testa.

«Vuoi spegnere quel dannato aggeggio?» mi chiede una voce roca e un po' irritata alle mie spalle.

Spalanco immediatamente gli occhi e mi giro con un movimento così brusco che mi fa precipitare sopra un corpo maschile, muscoloso e... nudo.

Oh, merda, che ho combinato?

Sollevo il mio sguardo dai pettorali e mi ritrovo davanti due occhi nocciola che mi guardano assonnati, ma con una sfumatura divertita.

Lo guardo atterrita, mentre cerco di ricordare quello che è successo ieri sera, tuttavia ho una grande lacuna. Rimembro di essere andata al bar con Lux per l'esibizione e per parlare con lui, ma non so come io sia finita qui a casa sua.

«Lascia stare in pace il tuo cervello. Ci siamo solo divertiti.»

Sogghigna e si scosta i capelli dalla fronte, mentre io mi sento risucchiata da un vortice nero, come se fossi finita in un universo parallelo.

Provo ad alzarmi, però lui mi avvolge e mi stringe in un abbraccio che mi fa arrossire per l'imbarazzo e battere il cuore. Una parte di me vorrebbe chiudere gli occhi e rimanere avvolta dal calore del suo corpo, ma l'altra ha bisogno di mettere le distanze per riorganizzare i pensieri. «Enea, fammi spegnere la sveglia. Mi sta facendo scoppiare la testa.»

Lui mi lascia andare e quando lo sento allontanarsi, nonostante sia stata io a chiederlo, sento un nodo stringere la bocca dello stomaco, come si mi sentissi abbandonata.

Scaccio quella sensazione e sposto le coperte per prendere il cellulare e spegnere la suoneria. «Cazzo» sussurro, vedendo una serie di chiamate da parte di mia mamma. Sicuramente non le ho detto che non sarei tornata a casa e adesso avrà chiamato la NATO per ritrovarmi, conoscendola.

«Se è per tua madre che ti stai preoccupando, rilassati, ci ho pensato io.»

Enea si alza dal letto con soltanto i boxer neri addosso e la saliva mi rimane incastrata in gola, mentre i miei occhi scrutano il suo corpo nudo con avidità.

Se proprio dovevo fare una cazzata, potevo ricordarmi qualche dettaglio in più, no?

Mi volto verso la cucina per non sembrare una depravata. «Che significa che ci hai pensato tu?»

«Che è tutto sotto controllo. Vuoi fare colazione?» Lo sento aprire il frigo e armeggiare con qualcosa.

Mi volto riluttante, mentre lui estrae una confezione di uova e di funghi. «Tu fai colazione con questa roba?»

Annuisce e noto i suoi occhi posarsi sul mio petto, dove la mia canottiera striminzita nasconde ben poco alla vista. Le guance si infiammano e infilo velocemente la magliettina ripiegata sulla sedia.

Ride. «Non eri così pudica stanotte.»

«Invece che prendermi in giro, perché non mi dici come io sia finita qui con te?»

Inarca un sopracciglio. «Non ti ricordi davvero nulla?»

«Non ricordo niente da quando ho bevuto il terzo giro di fuoco dell'Etna.»

Si volta, ma riesco comunque a notare un pizzico di delusione nella sua espressione. «Tra meno di un'ora devo andare in palestra ad allenarmi. Mangiamo e ti accompagno a prendere l'auto.» Estrae dallo sportello della cucina una padella per poi rompere i gusci. «Allora, ne vuoi un po'?»

«Proviamo» acconsento con voce titubante.

Lo osservo darsi da fare ai fornelli e la sua abilità mi lascia sgomenta, anche se ricordo che Elia mi ha detto che non vive più con loro da quando è diventato maggiorenne.

Pensare a suo fratello mi fa venire la nausea, tanto mi sento in colpa. Ho bisogno di ritagliarmi il mio spazio per metabolizzare tutto, così prendo i miei vestiti e mi avvio verso l'unica altra porta dell'ambiente dove deduco si trovi il bagno.

Chiudo l'anta alle mie spalle, appoggio i vestiti sopra una mensola e apro l'acqua del rubinetto per lavarmi il viso. Osservo il mio sguardo riflesso nello specchio e mi odio perché la situazione mi è sfuggita di mano. Non è così che volevo andassero le cose. Mi vesto alla velocità della luce, lavo alla ben meglio i denti, utilizzando il dentifricio e l'indice destro, ed esco. «Enea, io devo...»

«Mangia le uova, altri dieci minuti non cambieranno nulla» afferma, mentre sta già divorando il suo piatto.

Mi siedo su uno sgabello dell'isola e anche io butto giù un po' di intruglio fumante che, devo ammettere, non è male. Lo seguo con lo sguardo mentre si alza, posa il piatto nel lavandino e si dirige verso il bagno.

Completo di mangiare e sciacquo i nostri due piatti, le forchette, la padella e li lascio ad asciugare.

«Non avresti dovuto» sussurra, comparendo silenziosamente dietro di me.

«Chi cucina non lava. È la regola» dichiaro, mentre mi asciugo le mani con una pezza.

«Mi piace sapere che abbiamo già delle regole. Posso esporti una delle mie? Il sesso la mattina è obbligatorio e la stiamo già trasgredendo.»

Lo colpisco con lo straccio. «Non fare lo stupido. Accompagnami.»

Lo spintono verso l'ingresso, dove prendiamo i nostri giubbotti e lo seguo fuori dalla porta. È silenzioso, ma sembra stranamente di buono umore.

Non era lui quello che mi ha gridato di andare via dal locale ieri sera? Mi ricordo male? O forse abbiamo fatto il sesso migliore della storia e io neanche lo ricordo?

«Enea, forse dovremmo parlare di quello che è successo ieri sera» dico con voce un po' tesa, torturandomi le mani.

Sorride. «Ci siamo giurati amore eterno.»

«Ma che stai blaterando? Potresti essere serio, per favore?» Sembra lui quello ubriaco stamattina. Accelero il passo e mi posiziono davanti per farlo fermare. «Davvero, Enea, che cosa è successo?» Lo imploro con gli occhi per darmi una spiegazione. Non sapere nulla mi sta gettando nel caos più totale.

Lui rimane in silenzio e mi scosta una ciocca di capelli dal viso per porla dietro l'orecchio. «Sarebbe così strano se tu ed io...»

I suoi occhi saettano alle mie spalle, senza ultimare la frase. Vedo il suo volto contrarsi prima di oltrepassarmi per posizionarsi di fronte con le mani strette a pugno. Si volta e nella sua espressione vi leggo tutta la sua preoccupazione.

Sto per chiedergli quale sia il problema, ma lui mi afferra il braccio e mi trascina in un vicolo laterale. «Stai qui e non ti muovere per nessuna ragione.»

Il suo tono è duro, tuttavia riesco a percepire il panico dietro alle parole.
«Ti prego, promettimelo» aggiunge con la voce che gli trema leggermente.

Nonostante percepisca una brutta sensazione, annuisco con titubanza, mentre lui mi sfiora la guancia con il dorso della mano prima di andare via, lasciandomi sola.

Passano pochi secondi prima che senta delle voci. «Ehi, Enea, amico mio, cosa fai? Ti nascondi? È da tanto che non ci vediamo.»

Mi muovo lentamente nel vicolo lurido e, cercando di non farmi vedere, sporgo un po' la testa per guardare. Cinque ragazzi accerchiano Enea e capisco dal loro atteggiamento che non sono semplici amici di vecchia data.

Un ragazzo pelato sta parlando con un tono di voce così basso che non mi permette di udire una sola parola. Vedo Enea rispondere e, un secondo dopo, il ragazzo tarchiato lo colpisce con un pugno sul volto.

Lui tenta di rispondere al colpo, però viene bloccato da due ragazzi che gli tengono le braccia, mentre gli altri lo prendono a pugni. Dopo attimi interminabili, lo lasciano andare ed Enea cade a terra, proteggendosi la testa con le braccia, mentre dei calci sempre più violenti lo fanno ansimare.

Il mio corpo trema convulsamente e mi fischiano le orecchie. Sto per uscire per andare ad aiutarlo, ma mi arresto quando vedo i suoi occhi incrociare i miei.

Mi dicono di non muovermi, di rimanere nascosta come gli ho promesso, prima di chiudersi e non aprirsi più.

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