39. Ospedale

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Il gruppo di ragazzi si allontana come se non fosse successo nulla, chiacchierando allegramente tra loro, e aspetto che voltino l'angolo in fondo alla strada prima di precipitarmi da Enea con le gambe instabili e la vista annebbiata.

Mi accovaccio vicino al suo petto e inizio a scuoterlo leggermente. «Enea, apri gli occhi. Ti prego.»

Rimane immobile e il battito del mio cuore aumenta precipitosamente quando vedo del sangue scorrere tra i suoi capelli ricci.

Non è possibile. Non può essere accaduto davvero.

Effettuo dei respiri profondi per trovare un po' di lucidità, mentre il mondo sembra vorticare impazzito, ed estraggo il cellulare dal giubbotto per chiedere aiuto.

«Non chiamare l'ambulanza, né la polizia» sussurra la voce che pensavo di non sentire più.

Alzo lo sguardo verso di lui in tempo per vedere i suoi occhi socchiusi farsi vacui prima di perdere di nuovo i sensi, mentre la piccola scintilla di speranza che si era accessa nel mio petto sparisce, rigettandomi nel panico.

Perché non vuole che chiami i soccorsi? Cosa devo fare?

Con mani tremanti, cerco nella rubrica il numero dell'unica persona che può aiutarmi e spero con tutta me stessa che mi risponda subito.

Ci vogliono cinque squilli prima che il mio interlocutore accetti la chiamata. «Pronto» risponde Elia con una voce monocorde.

Un insieme di emozioni si impadroniscono di me e inizio a piangere con dei singhiozzi incontrollati.

«Carla, che succede? Perché piangi?» mi domando con tono preoccupato. Elia è così; si preoccupa per me anche quando avrebbe tutti i motivi per odiarmi.

«T-tuo fra-tello non si m-muove. Non apre più gli occhi» blatero, sfiorando con la mano libera il volto pallido di Enea.

«Che significa? Dove siete?» chiede, mentre sento in sottofondo lo strisciare di una sedia.

«Lui non vuole che io chiami l'autoambulanza, ma io d-devo chiamarla» replico, dicendo le prime parole che mi passano per la testa.

Non riesco a controllarmi e i miei gemiti sofferenti aumentano. Il dolore alla bocca dello stomaco è così intenso che ho difficoltà a respirare.

«Calmati. Dimmi dove siete» afferma lui, cercando di prendere in mano la situazione.

«Siamo vi-cino a casa sua» riesco a dire dopo un po' balbettando.

«Ok, sto arrivando.»

Chiude la conversione senza aspettare la mia risposta e quel breve conforto che mi ha dato la sua voce scompare.

Riposo il cellulare e riporto la mia attenzione su Enea. Scosto la ciocca dei suoi capelli per controllare la ferita dietro l'orecchio ed emetto un urlo smorzato quando vedo la quantità di sangue scarlatto che si sta espandendo sull'asfalto. Cerco freneticamente qualcosa che possa tamponargli la ferita, tuttavia non trovo niente e, nella disperazione, decido di utilizzare le mie mani che diventano rosse in un tempo troppo breve.

Sto per chiedere aiuto, ma la voce mi rimane incastrata in gola quando mi accorgo che diverse persone ci stanno scrutando dalle finestre delle palazzine.

Hanno visto tutti. Hanno guardato quello che è successo e nessuno ha battuto ciglio. Non hanno fatto niente prima e nessuno mi aiuterà adesso.

«Ti prego, Enea, non mi abbandonare. Ti prego» dico, avvicinando le mie labbra al suo orecchio in modo che il suono della mia voce possa insinuarsi nella sua mente. «Resisti, n-on mollare. Non puoi farlo. Non puoi lasciarmi.»

Guardo di nuovo il suo viso impassibile e rimango a fissarlo, vedendo il suo colorito lasciare il suo volto velatamente.

Dopo non so quanto tempo, il suono stridente di alcuni pneumatici mi riporta lentamente alla realtà e vedo l'auto bianca di Elia accostarsi vicino a noi. Lo osservo scendere come una furia e, quando vede il corpo di suo fratello steso a terra e privo di sensi, porta le mani tra i capelli e inizia a tremare con gli occhi sbarrati per lo shock. Sta entrando nel panico anche lui.

«Elia, dobbiamo portarlo all'ospedale» dico, cercando di controllare il tono della mia voce per non aumentare la sua angoscia. Tampono ancora la ferita aperta, anche se non so se sia corretto farlo.

Lo vedo annuire ed estrarre il cellulare, ma invece che chiamare l'autoambulanza chiama qualcun altro. «Mamma.» Mi lancia un'occhiata fugace e si allontana per non farmi ascoltare la conversazione.

I minuti passano e vedo il corpo di Enea perdere sempre più energia, mentre Elia è ancora impegnato in un dialogo animato con la madre.

Come fa a non capire quanto sia grave la situazione?

«Elia! Dobbiamo portare tuo fratello all'ospedale con la tua macchina, adesso!» sbotto con voce isterica.

Scruto i suoi occhi preoccupati fermarsi sui miei e noto una scintilla di vitalità passare nelle sue iridi, come se la mia voce lo avesse riportato alla realtà. Chiude la chiamata e, senza dire una parola, si avvicina al corpo del fratello e lo solleva, mentre io continuo a tamponargli come posso l'emorragia.

Lo distendiamo sul sedile posteriore e io mi siedo accanto a lui, senza sfiorare il suo corpo per non aggravare la situazione. La macchina parte e capisco subito dove siamo diretti: al pronto soccorso del Policlinico, l'ospedale più vicino.

Elia inizia a suonare a tutte le autovetture che ci ostacolano e rallentano il passaggio, infrangendo tutte le norme del codice stradale.

Arriviamo cinque minuti dopo la nostra partenza, però siamo costretti a fermarci davanti alla sbarra chiusa. Elia scende dall'auto per parlare animatamente con la sentinella all'ingresso. Quest'ultima, quando si avvicina alla macchina e scorge il corpo privo di sensi di Enea e il sangue sulle mie mani, alza prontamente l'asta e con la ricetrasmittente comunica l'informazione a qualcuno all'interno della struttura.

Subito vediamo uscire degli infermieri con una barella che aprono lo sportello e issano Enea sopra di essa. Riesco a malapena a dirgli della lesione alla testa nel frattempo che scendo dall'auto.

Mi si accosta una delle infermiere che mi chiede se sono ferita anche io, mentre osserva il sangue che ho sulle mani e sulla maglietta. Riesco a farle solo un cenno con la testa per dissentire. Guardo imbambolata i medici che stanno trasportando Enea in sala operatoria ed Elia che si tiene la testa tra le mani dopo che due paramedici gli hanno impedito di seguire il fratello.

Non mi capacito che tutto ciò stia succedendo davvero. È un incubo.

Sento qualcuno parlarmi e due braccia mi afferrano, tuttavia non presto attenzione alle parole. La mia mente sta rimembrando il viso sorridente di Enea di questa mattina...

Come è potuto capitare tutto questo?

Non so come, mi ritrovo seduta su una delle sedie grigie e scomode della sala d'attesa. Una ragazza del servizio paramedico mi sta porgendo un bicchiere di plastica trasparente che mi invita a bere, dicendomi che è semplice acqua con lo zucchero e io la accontento perché non ho neanche le forze per controbattere.

Tenta di portarmi in bagno, ma io non mi muovo. Si allontana alcuni minuti per poi tornare con una bacinella d'acqua e una spugna che usa per ripulirmi le mani e le braccia dal sangue, mentre io guardo ovunque, fuorché l'acqua che diventa rossa. Mi stringe la spalla come gesto di conforto prima di allontanarsi.

Elia è seduto a terra sulla parete di fronte a me con la testa appoggiata alle ginocchia. Vorrei tanto dirgli qualcosa perché posso solo immaginare che cosa stia passando in questo momento. Il mio dolore è completamente diverso rispetto a quello che prova lui. Enea è suo fratello; il suo gemello.

Restiamo in quelle posizioni per diverso tempo, smorzando tutti i rumori che si affollano attorno a noi. Cerco di estraniarmi dal mondo e di non pensare a niente. Non voglio vedere più il suo corpo a terra immobile e il sangue sulle mie mani. Vorrei che il buio più totale coprisse queste immagini nitide della mia testa.

«Elia.»

Una voce femminile lo chiama ed entrambi ci giriamo verso la donna che si è fermata a pochi passi da lui. Indossa un tailleur rosa cipria che mette in evidenza il suo corpo slanciato e formoso e porta con sé una piccola valigetta da lavoro in pelle marrone. Non ho bisogno di chiedere chi sia; il colore nocciola dei suoi occhi è identico a quello dei suoi figli.

«Mamma» mormora Elia, alzandosi in piedi e barcollando un po' prima di gettarsi tra le sue braccia.

«Andrà tutto bene. Tuo fratello è forte» dice lei, cullando il figlio.

Osservo la sua espressione impassibile, come se indossasse una maschera di porcellana che mantiene inalterati i lineamenti perfetti del suo viso. Mi ricorda incredibilmente Enea.

Quando Elia si stacca dal suo corpo si gira verso di me e si siede nella seduta vuota accanto alla mia, afferrandomi la mano per darci conforto a vicenda.

La donna mi fa un cenno del capo che ricambio impercettibilmente prima che si diriga verso la sala degli infermieri. Appoggio la fronte sulla spalla di Elia per sentire un po' di calore. Ho bisogno di sentire l'energia vitale che scorre in un corpo umano.

*

Trascorrono ben quattro ore prima che un medico esca per darci qualche novità. Quando ci informa che è vivo, tutti emettiamo un sospiro di sollievo e stringo la mano di Elia in una morsa ancora più ferrea.

Ci spiega che per avere una prognosi definitiva dobbiamo aspettare il suo risveglio, ma lui è ottimista.

«Lo stanno sistemando in una delle camere. Potete entrare» sentenzia, allontanandosi per dirigersi verso un nuovo paziente.

Ci dirigiamo verso le stanze del reparto, ma veniamo fermati dall'infermiera dietro il bancone blu.

«Possono entrare solo i parenti più stretti al momento» dice osservandoci, scrutando me in modo particolare.

Mi avvicino ancor di più al corpo di Elia, nascondendomi dietro di lui per farmi scudo con la sua schiena.

«Deve rimanere qui, almeno finché le sue condizioni non saranno certe» mi spiega lei e io inizio a scuotere in maniera frenetica la testa.

Nessuno mi può impedire di vederlo con i miei occhi. Ho bisogno di costatare che sia davvero vivo per tornare a respirare normalmente.

Due dita mi afferrano il mento per bloccare il mio movimento convulsivo. «Tranquilla, appena si sveglierà ti verrò a chiamare. Te lo prometto» mi sussurra Elia, abbozzando un sorriso di conforto che però non raggiunge i suoi occhi.

Lascio la presa su di lui riluttante e li guardo mentre si avviano verso le porte battenti, senza sapere cosa fare o cosa dire.

Sono solo un'estranea.

Vado verso una delle sedie e mi rannicchio con le braccia avvolte intorno alle gambe, mentre un via vai di gente esce o entra nelle sale del pronto soccorso, urlando o piangendo. Il suono assordante delle sirene delle autoambulanze mi è entrato nella testa, tanto che penso di impazzire.

Una mano mi scuote e vedo il sorriso di Elia. Il nodo nello stomaco si allenta un po'; la sua espressione può indicare solo buone notizie.

«Si è svegliato e il dottore ha detto che i parametri vitali sono buoni. Ha anche iniziato a parlare» dice, mentre mi conduce con le mani sulle mie spalle verso la stanza di suo fratello.

Il mio cuore inizia a battere più veloce e ringrazio che ci sia lui a tenermi, altrimenti avrei corso per tutto il corridoio per raggiungerlo il prima possibile, facendo alterare lo staff medico.

Ci fermiamo davanti alla stanza numero cinque e lui abbassa la maniglia per aprire la porta.

Il primo suono che giunge alle mie orecchie è il bip-bip della macchina di monitoraggio che mi provoca un sorriso sghembo. Significa vita. È vivo.

Non lo vedo subito perché il corpo di Elia mi occlude la vista, ma poi lui si scosta e mi fa avvicinare al letto, mettendomi un braccio attorno alle spalle, come se sapesse che ho bisogno di un supporto.

Vedo gli occhi stanchi di Enea ma vitali e inevitabilmente delle lacrime silenziose mi percorrono il viso. Sentimenti controversi mi si accumulano sulla bocca dello stomaco e non riesco a emettere nessun suono. Vorrei manifestargli la mia gioia, il mio turbamento, ma l'unica cosa che riesco a fare è guardarlo con un nodo alla gola.

Lui sposta lo sguardo da suo fratello per soffermarsi sulla mia figura. Mi scruta con i suoi occhi intensi e penetranti. «Chi sei?»




Note 🌻

Ciao a tutti!

Ditemi la verità, vi aspettavate un risvolto del genere?

Vi ricordo che una ⭐ a fine capitolo mi farebbe sentire meno sola ad affrontare questo viaggio 🥰.

Alla prossima settimana e grazie per essere qui ❤️!

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro