5. Divertirsi

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«Mamma, dove sei?» grida Mattia appena varchiamo la soglia d'ingresso.

«Sono giù in cantina! Vieni qui a darmi una mano con questi scatoloni!» gli urla di rimando, anche se la sua voce risulta un po' ovattata per via della distanza.

Mio fratello sbuffa, ma da bravo figlio diligente attraversa il soggiorno e svolta l'angolo per raggiungerla. Rimasta sola, ne approfitto per andare in camera e sostituire i jeans con una tuta per stare più comoda. Vado verso la scrivania e sfioro la copertina marrone del libro degli approfondimenti di Restauro con un magone alla gola.

Mi siedo sulla sedia e apro il volume con la speranza di riuscirmi a ritagliare cinque minuti di tempo in questa giornata che si preannuncia movimentata. Ho voltato una sola pagina quando sento Mattia chiamarmi. «Carla, vieni subito qui. Non mi lascerai da solo ad addobbare la casa in balia della mamma!»

Sospiro e chiudo il libro con un tonfo. Afferro una forcina dal comodino e mi appunto i capelli mentre scendo di sotto di controvoglia; se non lo avessi fatto mio fratello mi sarebbe venuto a stanare comunque. Vedo Mattia massaggiarsi il braccio sinistro mentre guarda accigliato la figura di nostra madre, intenta a posizionare un babbo natale grassottello sul davanzale della finestra. Sorrido, immaginando mia mamma, minuta in confronto a mio fratello, dargli uno scappellotto.

«Va bene, ragazzi, visto che è già l'ora di pranzo andiamo a mangiare qualcosa» dichiara la padrona di casa.

«Signor sì, signora!» ribattiamo contemporaneamente io e Mattia, facendo il saluto militare.

«Siete insopportabili» sbotta lei, dirigendosi verso la sala da pranzo con passo svelto.

Noi sogghigniamo e ci scambiamo il cinque prima di seguirla. Apparecchiamo il tavolo mentre mia madre riscalda il guanciale e scola la pasta per poi servire un piatto di spaghetti alla carbonara. Mentre mangiamo, parliamo del più e del meno senza che nessuno tiri fuori l'argomento università, forse per paura che io ritorni a chiudermi nella mia camera a fare piani strampalati.

Riordinata la cucina, ritorniamo in salotto. Mia madre decide d'iniziare con l'albero che è quasi ultimato e ci comunica che per quest'anno ha scelto di utilizzare le decorazioni in rosso e oro: le mie preferite. Impieghiamo venti minuti per trovare la giusta collocazione dei festoni che soddisfi tutti e tre.

«Bene, adesso manca solo il tocco finale» afferma mio fratello con voce euforica.

Prende il cotone idrofilo dentro la scatola, porgendone un po' anche a me; lo utilizziamo per richiamare la neve.

«Sei pronta?» mi chiede con uno sguardo vivace.

«Certo.» Mi posiziono dal lato opposto rispetto a quello in cui si è fermato lui.

Incominciamo a lanciare il cotone sull'albero e come ogni anno, dopo averlo imbiancato per bene, iniziamo una finta battaglia di neve tra di noi.

«Ragazzi, volete smetterla? Non avete più sei anni!» esclama nostra madre, ma noi non le prestiamo ascolto.

Ci spostiamo al centro del soggiorno e utilizziamo i due divani come trincee per ripararci. Lottiamo fin quando non abbiamo più niente da lanciare e guardo Mattia togliersi una ciabatta, puntandola nella mia direzione.

«Non ci provare» affermo, acquattata dietro il divano, «o dirò a mamma che ritorni a casa tardissimo quasi tutte le sere» mormoro per non farmi sentire da lei.

Lui mi osserva con uno sguardo minaccioso, però riabbassa l'arma lentamente.

Non so come, mi ritrovo del cotone nell'orecchio e vedo il maglione di mio fratello cosparso di macchioline bianche che mi fanno ridere di gusto.

Avevo davvero bisogno di questa spensieratezza.

Sento mia mamma avvicinarsi alle mie spalle e mi volto: ha l'aspirapolvere in una mano e la scopa nell'altra.

«Adesso ripulirete tutto» sentenzia con un sorriso assassino e gli occhi sottili.

Mi giro verso Mattia e lui alza le spalle: sapevamo già che sarebbe finita così.

«E una volta che avrete finito qui, pulirete anche la cucina e il bagno» dichiara nostra madre, prendendoci alla sprovvista.

«Ma, mamma!» diciamo all'unisono, voltandoci verso di lei.

«Niente ma, ragazzi, avevo pulito questa mattina» afferma con un tono che non ammette repliche.

Sospiro e lascio che Mattia prenda l'aspirapolvere; è davvero una schiappa con la scopa. Finiamo di pulire tutto circa un'ora dopo e non contenta nostra madre ci costringe anche a mettere le luci nel cornicione della veranda esterna e sulla palma in giardino.

Mentre rientriamo in casa, il cellulare di mio fratello inizia a squillare. Osserva lo schermo del telefono prima di allontanarsi da me e rispondere alla chiamata. Salgo i gradini della veranda e mi fermo a guardarlo. Si passa le mani tra i capelli con fare nervoso e lo vedo abbassare le spalle in segno di resa quando riaggancia.

«Tutto ok?»

«Sì, però non potrò venire con voi in discoteca stasera.»

«Oh, bene, allora non andrò neanche io.»

Supera la soglia di ingresso prima di voltarsi verso di me. «Tu ci andrai, invece. Ti accompagnerò io dai tuoi amici.»

«Ricordati che ho la patente.»

«E tu ricordati che ti conosco troppo bene.»

I nostri sguardi duellano per un po' prima che io getti la spugna.

«E va bene, andrò, ma chiederò a Noa di venirmi a prendere. Tu perché non verrai con noi?»

«I ragazzi della squadra reclamano la mia presenza. Sostengono che da quando sto con Sara non ho più tempo per loro.»

«Hanno ragione» borbotto mentre tolgo il giubbotto.

«Qualcosa mi dice che sei gelosa di lei.»

Sposto lo sguardo sul suo viso per poi portarlo verso l'albero imbandito. «Sì, è vero» sussurro con sincerità.

Lui si avvicina e poggia le sue dita sul mio mento per sollevarmi il capo. «Carla, tu sei la mia sorellina, e mai nessuno potrà mettersi in mezzo e rovinare il nostro rapporto.»

Osservo le sue iridi castane guardarmi in modo sincero e mi ritrovo ad annuire. Da anni mio fratello è la mia ancora di salvezza, il mio rifugio, e non voglio che questo cambi.

*

Sto mettendo il rossetto quando sento suonare il campanello. Afferro il giubbotto di pelle dall'armadio e percorro il corridoio con il suono secco delle mie décolleté blu elettrico che si posano sul parquet.

Dalla cima delle scale vedo Mattia parlare con il mio amico che, percependo la mia presenza, solleva lo sguardo e mi sorride. Indossa un cappotto grigio scuro che riesce a risaltare i suoi occhi e la sua carnagione chiara.

«Sei bellissima.»

«Grazie, anche tu non sei niente male» ribatto, leggermente imbarazzata.

«Ehi, amico, non esagerare con i complimenti» borbotta mio fratello accigliato, nonostante la gelosia ingiustificata.

Noa si volta verso di lui e un sorriso scaltro compare sulle sue labbra. «Peccato che tua sorella non sia un lui, sarebbe stata la mia anima gemella.»

Vedo l'espressione di Mattia rilassarsi e mi scocca un bacio sulla guancia quando mi fermo accanto a lui.

«Però, magari, potrei provarci con te» continua il mio amico, scoccando un occhiolino in direzione di mio fratello.

Il braccio di Mattia che mi circonda le spalle si irrigidisce e io quasi scoppio a ridere.

«Matti, Noa ti sta solo prendendo in giro, no?»

«Ovvio, ho decisamente gusti migliori.»

Sento la tensione scivolare dal corpo di mio fratello che riesce a ritrovare la voce. «Forse dovrei offendermi, ma preferisco non farlo.»

Sguscio via dalla sua presa e afferro le chiavi di casa sopra il mobile bianco dell'ingresso. «A che ora tornano mamma e papà?»

«Non lo so, avevano una cena con i soci dell'ufficio di papà.»

«Ok, allora noi andiamo.» Prendo Noa a braccetto e ci dirigiamo verso la sua macchina.

«Ti diverti a prenderlo in giro» sentenzio mentre ci allontaniamo dalla mia abitazione.

«Troppo» ammette lui con un sorriso sulle labbra.

«Dovresti fare così anche con il ragazzo che ti piace. Lo conquisteresti.»

«Vuoi davvero riprendere quest'argomento? Se intraprendiamo questa strada, anche tu sarai costretta a parlare.»

Guardo il paesaggio fuori dal finestrino mentre penso ai pro e ai contro della discussione. «Come non detto, lasciamo perdere.»

«Saggia decisione» decreta, alzando il volume dell'abitacolo.

Giungiamo nei pressi del locale dopo una mezz'oretta e, per chissà quale grazia divina, riusciamo a trovare subito parcheggio in una delle stradine secondarie. La discoteca non si trova in uno dei quartieri più belli, anzi, ma ha una delle viste più stimolanti di Catania.

Attraverso la piccola viuzza in cui ci troviamo si può vedere il castello Ursino, con la sua pianta quadrata e i quattro torrioni principali agli angoli. È strano pensare che in passato fosse collocato in uno dei punti più alti della città per avvistare i nemici provenienti dal mare e adesso, invece, l'ingresso si trova a livello della piazza antistante.

Ci accodiamo in fila per entrare ed estraggo il cellulare dalla borsa per chiamare Melissa.

«Scusate il ritardo, ragazzi» sento dire ansimante dalla voce della mia amica alle mie spalle.

«Mel, tu sei sempre in ritardo.»

«Non è vero. Sono gli altri ad essere sempre troppo puntuali» mi risponde, passandosi le mani tra i capelli lisci.

«Oggi c'è parecchia gente» afferma Noa, intento a osservare la fila che ci separa dalla porta di ingresso.

«Se non erro, dovrebbe suonare una band dal vivo. È da un po' che non proponevano musica live» spiega la mia amica mentre si sistema meglio l'orlo della gonna.

Impieghiamo ben quaranta minuti prima di giungere alla soglia. Melissa fornisce all'omone accanto al cancello il suo cognome con cui ha acquistato le prevendite ed entriamo nel locale. Ci fermiamo al botteghino, uno spazio un po' angusto nella penombra, per pagare il resto del biglietto prima di dirigerci nella "sala dei concerti", una stanza abbastanza capiente avente un piccolo palco e delle gradinate su cui sedersi.

Scegliamo di accomodarci in terza fila nel lato sinistro. Mi piace questo posto perché da qui posso vedere la porta dei camerini e scrutare i componenti del gruppo un attimo prima che salgano sul palco. La loro agitazione mi ricorda con malinconia quella che percepivo io prima di entrare in scena.

«Allora, Carla, come va?» mi chiede titubante la mia amica.

«Mel, non è il caso di parlarne adesso. Questa sera serve a divertirsi e a non pensare» tuona il mio amico accanto a me, facendo mortificare la nostra collega.

«Carla, io non volevo...»

«Tranquilla, pian piano me ne sto facendo una ragione.»

I suoi occhi castani mi guardano tristi mentre le luci si fanno diffuse e la porta dei camerini si apre. Il primo componente del gruppo che entra è vestito tutto di nero e ha lunghi capelli biondi legati in una coda bassa; presumo sia il cantante. Lo segue un ragazzo magrissimo con i capelli neri che tiene in mano le bacchette: lui è sicuramente il batterista. Subito dopo entra una ragazza con i capelli rosa e un trucco pesante sugli occhi che potrebbe suonare la chitarra. L'ultimo membro del gruppo è anche vestito di nero, ma sembra il più normale dei quattro.

La band si posiziona sul palco e il cantante esclama: «Buonasera, signori! Noi siamo i Luxer.»

Un sonoro applauso si propaga nell'aria e qualcuno alle mie spalle fischia come incitamento. Vedo la ragazza dai capelli rosa salutare alcune persone del pubblico e capisco che sono ragazzi della zona.

Un faretto si accende e punta verso il cantante al centro della scena. La luce bianca rende i suoi capelli biondi molto più simili al bianco, ricordandomi vagamente un personaggio di Harry Potter.

La musica si propaga nella stanza e devo ammettere che sono davvero bravi, nonostante non sia il mio genere.

Melissa continua a dimenarsi accanto a me, alzando le braccia e saltellando energicamente a ritmo con la musica rock, mentre Noa guarda assorto i ragazzi sul palco. Dopo due canzoni, il chitarrista si sposta al centro ed esegue un assolo.

«Ha un aspetto familiare» sento dire al mio collega.

Osservo la sua espressione concentrata prima di portare la mia attenzione sul musicista. Qualcosa nella sua fisionomia fa pensare anche a me di averlo visto già da qualche parte, ma il capo chino non mi permette di vederlo bene in viso. Le sue dita agili si muovono sullo strumento, producendo un suono che mi provoca dei brividi di freddo lungo le braccia: riesco a percepire la sua passione. Vorrei che alzasse il volto per vedere l'espressione che ha mentre esegue le note.

Come se avesse sentito la mia richiesta, solleva il capo e i suoi occhi si fermano nei miei. È lui, il ricciolino dell'università.

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