6. Il destino

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

I suoi occhi scuri rimangono su di me per qualche istante prima che ritorni ad abbassare il capo verso lo strumento, muovendo le dita con precisione.

Lui è l'ultima persona che pensavo di incontrare stasera.

«Non ci credo. Carla, è il ragazzo dell'università!» mi grida entusiasta Mel all'orecchio per farsi sentire nonostante il caos, «Questo è un segno del destino.»

La osservo stralunata prima di riportare lo sguardo verso il palco. Non le ho raccontato lo scambio di battute che ho avuto con lui, ma sono sicura che lei avrebbe trovato anche quella situazione opera del fato.

Guardo il ragazzo con più attenzione, notando il fisico tonico e asciutto risaltato dalla maglietta attillata. Ha un tatuaggio sull'avambraccio sinistro, però non riesco a vedere il disegno a causa della distanza che ci separa. La luce dei faretti riflette la catenina color argento agganciata ai passanti dei pantaloni neri, unico dettaglio particolare nel suo abbigliamento scuro.

Non posso negare: è oggettivamente bello.

Mentre suona mantiene un'espressione del viso seria e concentrata e per la maggior parte del tempo rimane con gli occhi chiusi, perso in chissà quale mondo.

Una sensazione di malinconia si propaga nel mio stomaco; anche io un tempo riuscivo a estraniarmi come lui.

«Se lo guardi così, rischi di farlo scappare di nuovo» dichiara Noa, portando il suo volto vicino al mio.

«Lo sto osservando normalmente.»

Un sogghigno compare sulle labbra del mio amico. «Certo, ovvio.»

Il chitarrista conclude con un ultimo giro di note prima che tutta la band si scateni in nuovi pezzi, con il cantante che dimena la chioma platino mentre la sua voce graffiante si armonizza con gli strumenti. Senza volerlo, i miei occhi continuano a cercare il ragazzo dell'università e le sue mani che si muovono veloci sulle corde.

Appena lo spettacolo finisce e si accendono le luci, tutti ci alziamo per un sonoro applauso. Vedo qualche ragazza ai piedi del palco in legno allungare le mani per salutare i musicisti. Il cantante e la ragazza accolgono il gesto positivamente, avvicinandosi e toccando le dita protese, mentre il batterista si tieni in disparte e il chitarrista si dirige verso i camerini senza prestare attenzione a nessuno.

Mi accodo a Mel e seguiamo il flusso di persone per uscire dalla sala. Qualcuno mi strattona a causa del mio corpo minuto e afferro la mano della mia collega per non perderla di vista mentre Noa, grazie alla sua altezza, cammina dietro di noi senza problemi.

Giungiamo nella stanza adiacente dove la musica house è assordante, tanto che impiego un po' ad abituare il mio orecchio al nuovo ritmo. Il mio amico mi afferra le spalle e mi indica un angolo appartato alla nostra sinistra, lontano dal bancone degli alcolici che richiama le persone come il canto di una sirena.

Mel inizia a ondeggiare i fianchi a ritmo con la musica appena sgusciamo dalla folla, facendo fluttuare i suoi capelli ramati. Noa batte il tempo con il piede sinistro e oscilla le spalle mentre osserva la gente attorno a noi. Forse questa è la terza volta in cinque anni che veniamo a ballare tutte e tre insieme, e si vede nitidamente che è Melissa quella che si sente più a suo agio in questo contesto.

«Carla, non stare impalata come un manico di scopa!» afferma la mia collega, avvicinandosi a me e posando le sue mani sulla mia vita per farla muovere.

Guardo Noa in cerca di aiuto, ma lui mi schiaccia un occhiolino e mi sorride, incitandomi a lasciarmi andare almeno un po'. Sposto lo sguardo su Mel e intercetto le sue irridi marroni che mi osservano luminose. Ricambio l'espressione felice della mia amica e cerco di non pensare a quello che è capitato in questi giorni... a quello che mi è successo sei anni fa. Chiudo tutto in un angolo buio della mia mente e abbasso le palpebre, facendomi avvolgere dalla musica. Inizio a muovermi lentamente fino a dimenare le anche a tempo: mi mancava questo senso di libertà.

La mia collega mi afferra le mani e le alziamo verso l'alto. «Oh, sì, hai un talento nascosto!»

Il mio sorriso si incrina, ma cerco di liquidare l'affermazione senza risponderle.

Non è il momento adatto per sentire il peso dei miei segreti.

Coinvolgiamo anche Noa nelle nostre movenze scatenate e inizia a ridere di gusto quando la nostra amica imita una mossa della sua cantante preferita.

Guardo il luccichio nelle iridi dei miei amici che so essere lo stesso che ho io. È in questi momenti che capisco che vale la pena vivere, nonostante tutte le cose terribili che possono capitare.

Mel si porte una ciocca dietro l'orecchio e cerca qualcosa nella borsetta a tracolla. «Volete qualcosa da bere? Oggi lavora il mio amico Fabio, dovrebbe servirci a un'ora decente.»

Io facciamo un segno di assenso e sposto lo sguardo verso il bancone in legno sommerso da uomini e donne di diverse età.

«Le faccio compagnia, tu rimani qui a tenere il posto.»

Gli occhi chiari del mio collega osservano la baraonda alle mie spalle e leggo nella sua espressione un accenno di turbamento.

«Tranquillo, Noa, sappiamo badare a noi stesse. E poi tu potrai osservarci da lontano.»

«Se qualcuno vi dà fastidio fatemi un cenno e io mi precipiterò da voi.»

«Sì, papà.» Lo prende in giro Mel, alzando le sopracciglia arcuate verso il soffitto prima di afferrarmi il polso sinistro per trascinarmi in mezzo alla massa di corpi in movimento.

Vengo strattonata più volte e ricevo anche una gomitata all'altezza dello sterno da una ragazza che continua a saltellare a ritmo di musica senza accorgersi di nulla. La mia collega saluta il buttafuori appostato con le braccia incrociate nell'angolo sinistro del bar dove ci stiamo dirigendo. Ci accodiamo dietro un ragazzo rasato che sbraccia per richiamare l'attenzione dei barman.

Impieghiamo quindici minuti per arrivare davanti al bancone e Mel si sporge sul legno un po' appiccicoso per chiamare il suo amico. «Fabio, da questa parte!»

Il ragazzo con i capelli a spazzola solleva lo sguardo e gli compare un grande sorriso appena riesce a intercettare il viso della mia amica. Afferra uno straccio dal bancone per asciugarsi le mani e si avvicina a noi, incurante della moltitudine di gente che lo chiama.

«Alessandro, sostituiscimi un attimo!» afferma il ragazzo in direzione della porta sul retro dove, pochi minuti dopo, esce un ragazzo biondo con le braccia tatuate fino al dorso della mano.

Il barman lancia un'occhiata a Melissa e poi a me, prima di riportare lo sguardo su Fabio. «Dieci minuti, non un secondo di più.»

«Oh, ma non volevo disturbarti. Mi serviva solo ordinare da bere» chiarisce la mia amica, scostandosi una ciocca dietro le spalle.

«Solo questo?» domanda il barista con un tono allusivo.

«Ma smettila. Comunque, ti presento la mia collega Carla. Carla, come ti ho già detto, lui è Fabio.»

Mi saluta con un cenno del capo prima di concentrarsi esclusivamente sulla mia amica. Dal tono rilassato che hanno deduco che impiegheremo più del necessario a farci servire. Si libera uno sgabello alla mia destra e poso la borsa sul bancone prima di poggiare la suola della scarpa sulla base della seduta per salire. Prendo lo slancio nello stesso attimo in cui un ragazzo di spalle si siede e non riesco a fermarmi prima che la mia tempia destra collida con la sua nuca.

«Porca miseria» borbotto, portandomi la mano sulla pelle pulsante.

«Ma che ti salta in mente?» sento sbottare in modo burbero.

«Volevo solo sedermi.»

«E non ti sei accorta che c'ero io...» Le parole gli si incastrano in gola nell'attimo in cui si gira e mi vede.

Il mio corpo si irrigidisce leggermente appena capisco chi ho davanti. Rimaniamo a soppesarci come è capitato nel corridoio dell'università, mentre la musica scorre imperterrita senza sosta. I suoi occhi nocciola sembrano neri a causa delle luci scure dei faretti e la sua mascella squadrata mi pare più rigida rispetto a qualche ora fa mentre era sul palco.

Sto per socchiudere le labbra per stemperare la situazione, ma poi ci ripenso: tra noi due è lui quello che dovrebbe rompere il silenzio dopo la discussione che abbiamo avuto.

Inclina leggermente il capo prima che un sorrisino di scherno compaia sulle sue labbra carnose, facendomi innervosire ulteriormente. Stavolta non gli avrei permesso di offendermi senza rispondergli per le rime; la mia loquacità è pronta a scatenarsi.

Sorprendendomi, scende dallo sgabello e mi invita a sedermi con un gesto della mano sinistra mentre mi squadra. Gli lancio un'occhiata interrogativa prima di accettare l'invito e issarmi sulla seduta.

«Sei a corto di parole stasera?» gli chiedo con tono sarcastico.

«Magari non voglio semplicemente parlare con te.»

«Touché» borbotto, abbassando lo sguardo verso una scritta intagliata nel legno. Ha ripetuto la stessa frase che gli ho rivolto pochi giorni fa.

Mi mordo il labbro inferiore e con la coda dell'occhio osservo Mel nella speranza che possa aiutarmi a uscire da questo momento imbarazzante, ma lei è ancora concentrata sul barista che continua a guardarla con occhi adoranti.

Riporto l'attenzione sul ragazzo accanto a me, sperando che si sia dimenticato della mia presenza, ma lo trovo a malincuore ancora a scrutarmi con un'intensità che mi mette a disagio.

«Come ti chiami?» gli chiedo per spezzare la tensione.

«Elia» risponde con un timbro chiaro e deciso.

Aggrotto la fronte a causa del nome inusuale, però più lo ripeto nella mia mente e più devo ammettere che non mi dispiace. Aspetto che aggiunga qualcosa, però non lo fa.

«Io mi chiamo Carla se può interessarti» dico con voce pungente.

«So perfettamente chi sei tu» ribatte mentre incrocia le braccia al petto, risaltando la muscolatura definita.

Lo osservo confusa e con più concentrazione per capire se ci fossimo già conosciuti, ma i suoi lineamenti definiti non sono familiari. Per quanto mi costi ammetterlo, sarebbe difficile dimenticare il suo volto.

«Credo che tu ti stia sbagliando.»

Fa un passo in avanti e mi ritrovo il suo viso a pochi centimetri dal mio.

«Io non sbaglio mai» afferma con un tono neutro che non risulta neanche presuntuoso; sembra più una costatazione.

Protende il suo capo verso di me, cogliendomi di sorpresa tanto che rimango ferma. Le mie narici ispirano il suo odore e tutto il mio corpo mi lancia segnali d'allarme a causa della sua vicinanza. Socchiude le labbra carnose che mi ritrovo a fissare intontita.

«Ti avevo detto che i tuoi occhi dicevano altro.»

Vorrei dirgli che non è a causa sua se i miei arti sono immobili e la mia gola è secca come il deserto. Vorrei dirgli che non è a causa del suo aspetto se adesso sono una bambola di pezza senza volontà propria. Vorrei dirgli tutto questo mentre i suoi occhi scuri vengono sostituiti nella mia mente da un azzurro cristallino molto familiare.

Le orecchie iniziano a fischiarmi e un senso di nausea si propaga dal mio stomaco.

«Carla, tutto bene?» La voce di Noa mi riporta alla realtà e mi accorgo che Elia si è allontanato da me e mi guarda con una luce strana nelle iridi scure.

«Sì... andiamo.» Scendo dallo sgabello con le gambe un po' tremanti e mi affretto a dargli le spalle. Mi ritrovo davanti il mio collega che scruta con uno sguardo sottile il ragazzo dietro di me e Mel che mi guarda con un sorriso enorme, non percependo il mio turbamento.

«Noa, andiamo» ribadisco, strattonando il mio amico dalla maglietta per fargli capire la mia necessità di andare via da lì.

Sento la tensione dei suoi muscoli allentarsi leggermente e riesco a farlo voltare per ritornare nell'angolo appartato di poco prima. La mia amica mi porge il mio classico cocktail alla frutta rosato e ne bevo un bel sorso; voglio distrarmi e dimenticare l'espressione di Elia.

Non ci conosciamo neanche e ha già capito che ho qualcosa che non va.

Deglutisco il liquido freddo con una velocità eccessiva sotto lo sguardo attento del mio amico che rimane in silenzio.

Mel ci osserva con un'espressione perplessa. «Qualcosa non va?» ci domanda incerta.

Il mio collega socchiude le labbra, ma io lo anticipo. «No! Siamo venuti qui per divertirci e lo faremo» dichiaro, guardando i miei amici prima di buttare il bicchiere di plastica ormai vuoto nel cestino vicino al muro.

Merito di essere felice.

Afferro le loro mani e li invito a ballare con me. Entrambi rimangono rigidi per pochi minuti, però alla fine riesco a far rilassare anche Noa. So che la discussione con lui non è conclusa, ma, almeno per il momento, sta rispettando la mia volontà.

Le nostre risate si mescolano alle voci di tutti i presenti nella stanza e la pressione che sento costantemente al petto si allenta. Inalo un profondo respiro e ringrazio me stessa di non aver mollato.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro