Capitolo - 12 - Vita di coppia

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Gabriele girò il petto verso di lui, da seduto sul divano, si appoggiò allo schienale con le braccia, le incrociò e vi posò il mento sopra. «Ti ricordi quando hai detto che vorresti praticare quello che ti piace? Con me, voglio dire.»

S. si avvicinò allo schienale del divano e infilò uno dei guanti di pelle nera. «Certo.»

«Ok», Gabriele gli puntò lo sguardo sulle mani e tornò al viso, con la fronte aggrottata, «ecco, vorrei la stessa cosa.»

«Mi pare giusto.» S. infilò anche il secondo guanto e si fermò. «Cosa ti piace?»

«A che ti servono quelli?» Gabriele allungò una mano e gli sfiorò un guanto con la punta dell'indice.

«Non te ne deve interessare», S. accennò un vago sorriso, appoggiò i palmi al bordo dello schienale e si sporse verso di lui. «Quindi?»

«Beh, quello che mi piace forse l'hai un po' capito...» Gabriele salì con le ginocchia sul cuscino della seduta e gli sfiorò la camicia bianca con le nocche, «a volte mi piace disobbedire.» Un lampo furbetto gli illuminò gli occhi, seguito da un sorriso malizioso.

«Brat», mormorò S., avvicinando il viso, «fucking brat.» Fu avvolto dal profumo di cannella, cardamomo e geranio, e più sotto c'era il suo odore, inconfondibile e più inebriante di qualunque fragranza in circolazione.

«Colpevole.» Gabriele gli posò un bacio leggero a fior di labbra. «Ti sta bene?»

«Mi sta molto bene.» S. gli prese il viso tra le mani, gli occhi scuri di Gabriele erano frementi, avrebbe potuto affondare nella loro profondità. Che cosa pensava? Che cosa c'era dietro quello sguardo acuto e penetrante? «Dio, quanto sei bello.»

Gabriele abbassò lo sguardo, per un attimo. «Lo credi davvero?»

S. arricciò il naso e gli lasciò il viso. «Come se tu non lo sapessi.» Si morse il labbro inferiore ed estrasse dal taschino della camicia una collana a catena in oro bianco di Morellato, gliela fece penzolare davanti agli occhi. «Guarda cosa ho qui.»

Lo sguardo di Gabriele luccicò, gli tremava la voce. «Per me?»

«Esatto. Leggi cosa c'è scritto sulla targhetta» S. la indicò.

«C'è scritto: proprietà di S.» Le gote di Gabriele si fecero di fuoco. «Davvero?»

«Davvero. Accetti di indossare questo collare e di non toglierlo mai, finché staremo insieme?»

Gabriele socchiuse la perfetta bocca a cuore e sussurrò la più dolce delle parole. «Sì.»

S. gli sfiorò la pelle del viso, bollente, e gli allacciò il nuovo collare. «Sei meraviglioso.» Si scostò da lui, arretrando di un passo. «Cominciamo?»

Un'ombra scura attraversò lo sguardo del compagno. «Oh. Sì, va bene.»

«Tutto chiaro? La scena, quello che faremo...»

Gabriele annuì e si accomodò sul divano. «Tutto chiaro.» Stropicciò un paio di cuscini e si aggiustò il colletto e i polsini della camicia bianca a righine blu.

S. alzò le spalle e le portò all'indietro con un movimento circolare, una, due, tre volte. Ripeté portandole in avanti. Si sistemò la cintura dei pantaloni verde petrolio del completo e i guanti. Bisognava cominciare. Fece il giro del divano, sollevò gli angoli della bocca, lo sguardo impassibile. «Allora, dove sei stato ieri sera?»

Gabriele si levò un peletto invisibile dai jeans neri. «Non sono uscito, non avevo voglia.»

«Ah», S. estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo sbloccò, «quindi questo non eri tu?» Gli mostrò lo schermo, il viso sorridente di Gabriele al bar insieme ad alcuni sconosciuti.

I battiti iniziarono ad accelerare, pulsavano già contro i timpani.

Il sub si morse il labbro inferiore. «S-sì... sono io.»

«E con chi eri?» S. fece scorrere le immagini, si fermò su quella in cui Gabriele baciava il tipo. «Qui, ad esempio.»

«Un mio amico», la voce di Gabriele si fece acuta, il suo Pomo d'Adamo si mosse in alto e in basso.

S. gli colpì il volto con il dorso della mano e la testa di Gabriele scattò verso il bordo del divano. Il tono era calmo, ma la voce gli fremeva. «Perché mi devi mentire? Perché? Me le togli dalle mani.»

Gabriele si coprì la bocca. «Mi dispiace, io non...»

La voce di S. si abbassò, le parole uscivano dai denti stretti. «Con chi eri? Dimmi la verità, se non vuoi un altro ceffone.»

«Il mio ex, ma», Gabriele sollevò le braccia davanti al volto, per coprirsi, «non è successo niente, eravamo... scherzavamo...»

S. strinse una mano a pugno e la portò alla bocca, strinse una nocca tra i denti. «Scherzavate? Te lo sei limonato per tutta la sera, ma scherzavate?»

«Non... non è come pensi», il sub si sporse verso di lui, «avevamo bevuto e...»

La collera gli diede una vertigine, S. lo colpì di nuovo al volto, con più forza, e la faccia di Gabriele cozzò contro l'imbottitura dello schienale. «Smettila di prendermi per il culo» sibilò. Lo afferrò per la camicia e lo buttò a terra. «Te lo sei scopato?» L'adrenalina gli pompava il sangue nelle vene, gli avviluppava la testa e i muscoli, il mondo era ridotto alla figura accartocciata per terra. «Anzi», sbottò, «ti sei fatto scopare?»

«No», pigolò Gabriele, si fece forza con il palmo per terra e si mise seduto, lo sguardo sul pavimento, «non abbiamo fatto niente.»

«Niente, quindi avete scopato? Perché a quanto pare», S. piegò le ginocchia e gli prese il mento tra indice e pollice, «quando non fai niente significa che vai con qualcuno.»

«Te lo giuro», gli occhi di Gabriele erano gonfi di lacrime trattenute, «non... non è successo niente.»

S. gli mollò il mento e si rialzò in piedi. Lanciò il cellulare sul divano. «Ora ti insegno io a non mentirmi.» Slacciò la fibbia della cintura con una mano e la fece scivolare lungo i passanti.

«Ti prego, ti prego», il sub si inginocchiò e gli abbracciò le gambe, «devi credermi.»

«Devo crederti?» S. gli afferrò un ciuffo di capelli della nuca e lo trascinò verso l'alto. «È colpa tua se ora ti devo punire. Lo capisci? È solo colpa tua e della tua stupidità.»

«Non volevo...» Gabriele si aggrappò alla mano sui capelli. «Non volevo...»

«Magari così impari.» S. lo buttò sul divano e gli spinse la faccia contro la stoffa del cuscino. Si strinse il labbro inferiore tra i denti e gettò la cintura per terra. Aveva bisogno di vederlo nudo. Gli sbottonò i jeans e gli tirò giù la cerniera. Gabriele piagnucolava, la schiena era scossa da singhiozzi silenziosi. Non vedeva l'ora di sentirlo gemere di piacere. Gli abbassò i jeans, non indossava altro sotto. Le natiche tonde di Gabriele si strinsero, il corpo di S. fu travolto da un'ondata di calore e di brividi che gli tolse il respiro. Piegò un ginocchio a terra, e soffocò un mugolio. Gli posò le mani sulle chiappe e le accarezzò, erano muscolose, morbide e piacevoli da stringere. Sussurrò piano. «Da quanti ti sei fatto sbattere, ieri sera?»

«Due.» Gabriele soffocò un lamento contro il cuscino.

«Ti piace quando ti maltratto? Dimmi che godi come una troia.» Una mano si posò sul divano, l'altra glielo massaggiò.

«No, ti prego, non farmi male.»

«Sei un falso e un traditore», S. aumentò il ritmo, «e ti meriti di essere trattato come tale.»

Gabriele inarcò la schiena e si aggrappò alla stoffa del copridivano come se fosse una roccia in mezzo al mare in tempesta.

S. rallentò e si fermò sulla punta, gliela strinse. «Dillo, dì che ti meriti di essere trattato come una troia, perché lo sei.»

«Sono», la voce di Gabriele tremava, si spezzava a metà parola, «sono una troia e...»

S. fece scivolare la mano lungo la lunghezza e gli afferrò i testicoli.

Gabriele gemette e strinse le natiche e le gambe. «E me lo merito. Me lo merito!»

S. prese la cintura e scattò in piedi. «Bene.» La brandì con entrambe le mani e la fece schioccare. «La senti?»

Gabriele si strinse nelle spalle e incurvò la schiena, offrendogli il culo. Da bravo. S. si leccò le labbra e morse quello inferiore. Non avrebbe resistito ancora a lungo. Sferzò la cintura nell'aria e la abbatté su entrambe le chiappe, nella parte più morbida. Gabriele sussultò e strinse la stoffa. Le colpì di nuovo e di nuovo. I lamenti soffocati seguivano ogni botta, la pelle olivastra si riempì di strisciate rosse.

S. aveva il fiato pesante, scagliò la cintura per terra e sbottonò i pantaloni. «Ora ti faccio vedere io», li sfilò, insieme ai calzini, «chi comanda...»

Iniziò a massaggiarsi e allungò una mano su un preservativo sopra al tavolino da caffè accanto al divano. «E te lo farai piacere... mi hai sentito?»

Il corpo di Gabriele tremò, aveva una mano nascosta, si stava toccando?

«Smettila immediatamente!» S. gli premette la pianta del piede contro il fianco e lo spinse un paio di volte. «Guai a te se ti tocchi, ti stacco le braccia e te le faccio mangiare.» Strappò l'involucro e si appoggiò il profilattico sulla punta del membro, era freddo, gli sfuggì un sibilo. Era scivoloso per via dei guanti, che razza di idea scema che aveva avuto. Lo posizionò bene e prese il flacone del lubrificante, lo scosse e spremette il gel sulla punta dell'indice e del medio. «Non te lo meriti, ma sono troppo buono.»

Si inginocchiò dietro di lui e gli spalmò il gel sulla fessura, era strano con i guanti, aveva meno sensibilità. Infilò un dito, Gabriele era pronto. Con un ghigno, S. ritrasse la mano.

L'immagine di Gabriele avvinghiato al tipo gli ballò davanti agli occhi. Gabriele che gemeva sotto un altro uomo.
Assaporò ogni istante, ogni brivido che scuoteva il corpo del sub, ogni lamento e ogni sospiro, gli accarezzò la schiena, scoprendola dalla camicia. Spuntò la parte finale di un tatuaggio, S. glielo sfiorò con la punta del guanto. Chissà cos'era...

Gabriele inarcò la schiena e si lamentò. «Mi fai male... fermati...»

«Taci.» S. spinse fino in fondo. Era bollente, lo risucchiava dentro di sé, come se volesse fondersi con lui. Aumentò il ritmo, Gabriele ansimava sotto di lui e si muoveva seguendo i suoi colpi. Gemeva e lo implorava di smettere, eppure non si perdeva un movimento.

Voleva guardarlo in faccia, vedere nascere e morire l'orgasmo sul suo viso, nei suoi occhi, grazie a lui. Voleva che anche Gabriele lo guardasse, lo adorasse.

S. si alzò in piedi e si sedette sul divano. «Vieni qui, sopra di me. Fatti guardare, voglio sentirti urlare il mio nome.»

Gabriele sollevò il viso, aveva lo sguardo vacuo, i capelli spettinati e i segni della fodera sulla guancia. Si tirò su in piedi, ma rimase lì, incapace di comprendere cosa dovesse fare. S. gli tirò giù i jeans, Gabriele si appoggiò a una spalla e si liberò le gambe e i piedi.

Aveva altri tatuaggi, li avrebbe guardati più tardi. S. gli prese la camicia e lo fece avvicinare. «Siediti qui, amore mio.»

Gli era scappato. Accidenti ai giochi di ruolo di coppia.

Gabriele fece dondolare la testa come se pesasse troppo per il suo collo, allargò le gambe e si accomodò sopra alle sue. «Dom», mormorò.

S. lo attirò verso di sé e gli lambì le labbra, le sigillò insieme, voleva assaggiarlo, assaporare ogni parte di lui. Aprì la bocca e insinuò la lingua in quella di lui, obbligandolo a fare lo stesso, Gabriele seguì il movimento, tentennò, come se non fosse sicuro di poterlo fare.

Le lingue si intrecciarono, un'esplosione di piacere gli riscaldò il petto e deflagrò in tutto il corpo, l'aria si fece pesante attorno a loro, bollente. La mente gli vacillò e per un attimo tutto si oscurò, divenne lontano, esistevano solo la lingua e la bocca di Gabriele, il suo fiato caldo e umido.

Il sub si aggrappò alle cinghie dell'harness di S. e si appiccicò a lui, ruotò i fianchi e si strusciò contro di lui. «Ti voglio», gemette nella bocca di S. «ti voglio, Dom.»

Lo stomaco gli diede una fitta e si serrò, una vertigine gli risalì la schiena, ogni muscolo si irrigidì. Samuel spalancò le palpebre.

Gabriele continuava a dimenarsi sopra di lui, Samuel interruppe il bacio e il sub scese lungo la linea della mandibola, lasciando dei minuscoli morsetti, fino al collo.

Perché stava male? Che cazzo gli stava succedendo?

No, non poteva finire così!

«Ti ho detto di stare zitto!» S. gli afferrò i fianchi e lo fece girare, lo buttò con la schiena sulla seduta del divano, crollandogli addosso, in mezzo alle gambe. «Quando imparerai», si afferrò l'uccello, «a obbedire», il cazzo gli si stava ammosciando in mano, «ai miei ordini?»

S. scattò in piedi e tirò un calcio al tavolino basso da caffè, che cadde, la lampada si fracassò sul pavimento. «Porca di quella puttana bastarda!» Marciò verso la camera da letto. «Non ti muovere da lì! Non ti muovere di un millimetro, ti ammazzo, stavolta.»

Spalancò la porta e raggiunse un baule di legno scuro, girò la chiave e lo aprì. Afferrò e gettò a terra un paio di plug anali neri, spostò un tentacolo spaziale fluorescente e si impadronì di un dildo color carne, la forma imitava quella umana, era un po' più piccolo e corto rispetto al suo pene.

Lo avrebbe fatto venire e poi... e poi in qualche modo sarebbe venuto anche lui. A costo di chiedere aiuto a una pillola blu.

Tornò in salotto, Gabriele era rimasto sdraiato sul divano e lo fissava corrucciato.

«Girati, troia. Non voglio che mi guardi, la tua faccia mi ha stancato», S. diede un calcio al divano con la pianta del piede, Gabriele si rigirò su sé stesso con uno scatto e finì a pancia sotto.

S. si sfilò il preservativo e lo gettò per terra, posò un ginocchio sul divano e gli diede una pacca su una natica, ancora segnata dalle cinghiate. «Tira su il culo.»

Gabriele sollevò il bacino e si mise in ginocchio, mantenendo il petto e il viso a contatto con la stoffa del copridivano.

«Allora non sei del tutto scemo, a volte riesci a fare quello che ti dico.» S. gli massaggiò la pelle sensibile, fece pressione con due dita, scivolavano ancora bene. «Stavolta non ti meriti il lubrificante, perché altrimenti non imparerai mai a comportarti come si deve.»

Il sub strinse i muscoli attorno alle sue dita, tremava, spinse all'indietro. Si stava fottendo da solo.

S. si morse il labbro inferiore e le fece scivolare via. Si portò la mano al membro, pendeva da una parte, non ancora floscio del tutto. Merda, merda, merda.

Angolo autrice.
Piccolo annuncio, per Natale abbiamo pensato di farvi un regalo con uno speciale natalizio, tanto per farvi passare le feste in compagnia dello staff del Confessionale.
Una storia a parte che si colloca dopo la fine della statua principale, ma non vi faremo spoiler, non preoccupatevi.
Tanti auguri di buon Natale da Dom S. e da tutti i suoi collaboratori.
Baci a caso.
Noy

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