Capitolo 2 - House of the rising sun

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Ciao bellissime persone che leggete,

sono l'altra Serina, ma chiamatemi così lo stesso. Volevo dirvi due parole su questa storia.

Quando si pensa alle pratiche BDSM, vengono in mente immagini di fruste, vestiti di pelle attillati, corde e dolore. Ciò che dovrebbe venire in mente, oltre a questo, è il consenso. Da esso discende tutto il resto. Nelle pratiche di dominazione e sottomissione, nelle pratiche bondage, gli attori in gioco sono sempre consapevoli dei ruoli che stanno interpretando. E delle regole.

Tutto ciò che succede durante una sessione, durante un party, non è mai abuso, c'è sempre un limite invalicabile dal quale non si può prescindere: la possibilità di dire di no.

Questa storia non parla di abusi, seppure le scene che leggete siano forti. Questa storia vuole puntare l'attenzione su un tipo di relazione che, a un occhio esterno potrebbe apparire come tossica, invece è assolutamente sana, consenziente e paritaria. A differenza di molte altre storie in cui vengono descritti abusi e sottomissione senza consenso, quello non è amore, è violenza.

Quando c'è dominazione e sottomissione, ci deve sempre essere consenso. È teatro, è una rappresentazione di fantasie condivise. È gioco. Tutti gli attori sono sullo stesso piano, hanno tutti lo stesso potere. C'è piena fiducia.

Anche se è teatro, non significa che le emozioni che vengono fuori siano finte, ciò che provano è reale.

E dopo ogni rappresentazione, c'è il prendersi cura l'uno dell'altro. Si medicano le ferite, si riaffermano emozioni e sentimenti positivi. Il fine è dare e prendere piacere.

Senza di questo, è solo cattiveria. Senza il consenso, è solo abuso.

In una relazione sana non si dovrebbe prescindere mai da questo limite invalicabile.

Buona lettura, baci sparsi.

Noy

S. Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni grigio antracite e si diresse verso le persone all'ingresso, dando le spalle all'uomo in ginocchio. «Resta fermo dove sei.»

Una donna dai lisci capelli platino lunghi oltre le spalle si sfiorò la catenina d'oro della collana e trascinò la punta delle dita lungo la profonda scollatura dell'abito verde zaffiro. Quello era un ottimo modo per richiamare la sua attenzione.

S. le si fermò davanti e piegò la testa di lato. «Con chi ho il piacere di parlare?»

«C...», la donna arrossì e si morse le labbra «Claudia, Signore.»

«Non essere nervosa, bambolina. Dimmi, hai visto cosa è appena successo?»

Claudia annuì e si attorcigliò una ciocca di capelli attorno alle dita. Dietro a un paio di occhiali con la montatura nera, aveva gli occhi scuri spalancati dalla tensione e le pupille erano grandi come bottoni. Il vestito le fasciava il corpo abbondante, mettendo in evidenza il seno prosperoso e i fianchi larghi. Sarebbe stato perfetto sul pavimento della sua camera da letto. Chissà se anche il culo prometteva bene come il resto?

«Mi ha mancato di rispetto, non credi?» S. voltò il capo verso l'uomo a terra e tornò su di lei. «Mi trovi attraente, bambolina?»

«Tantissimo» squittì la donna.

«Sei uno splendore. Posso rubarti un bacio?»

«Puoi rubarmi anche l'anima.»

«Attenta che qui i desideri vengono esauditi.» S. le posò una mano dietro la testa e la fece avvicinare, avrebbe rovinato il rossetto di entrambi. Le posò le labbra sulle sue e le mosse, le lambì quello inferiore e premette contro di lei. Socchiuse la bocca e infilò la lingua, catturò quella di Claudia e ci giocò. Lei stette al gioco, seguiva i suoi movimenti e ne creava altri, aveva una bocca piccola, ma esperta. Sarebbe stato interessante sapere se fosse brava a baciare anche altre parti del corpo.

S. si staccò dalla donna e ritrasse la mano, Claudia aveva lo sguardo appannato e un sorriso sporco dal miscuglio dei loro rossetti.

«Hai fatto un ottimo lavoro» le sussurrò, le passò il pollice sulla bocca e glielo spinse tra le labbra. Si stava lasciando andare, avrebbe dovuto rimanere concentrato sulla punizione. Claudia gli succhiò il pollice, a occhi chiusi, come un bebè al biberon. Il membro di S. si contrasse e pulsò contro la stoffa dei boxer. Almeno non indossava più la minigonna.

E, comunque, non si era sbagliato.

Le sfilò il dito dalla bocca e mosse la mano verso Michi, che si affrettò a tirare fuori un fazzoletto di stoffa da una tasca e a porgerglielo. S. lo afferrò e si pulì la faccia impiastricciata, tornando verso Gabriele. «Mettetelo sulla Sedia e lasciatelo legato lì finché qualche dom generoso non deciderà di porre fine alle sue lamentele.»

S. lasciò cadere il fazzoletto a terra e superò Gabriele, sfiorandogli il mignolo di una mano con la scarpa. Strinse la mascella, calpestarlo sarebbe stato molto soddisfacente, ma... non era il suo sub. Non era il sub di nessuno. A quello si poteva rimediare, però.

«No, la Sedia no, ti prego» mugolò Gabriele, «ti chiedo perdono! Per favore, non la Sedia!»

Dom P. gli afferrò un ciuffo di capelli della nuca e lo tirò su in piedi, tra gli strilli. «Certo, continua a implorare, di solito funziona» sghignazzando, lo trascinò verso la porta rossa.

Michi raccolse il fazzoletto e seguì i due, solerte nel ricordare alcune regole, poco più che sussurrate. «Riavrai i tuoi vestiti alla fine. Puoi pronunciare in ogni momento la parola di sicurezza che hai concordato. È vietato fare foto o riprese video. Tutto chiaro?»

Gabriele si teneva avvinghiato alla mano di Dom P. sui capelli, strascicava i piedi per terra e i jeans neri attillati mostravano una protuberanza importante sull'inguine. «Sì, sì, ho capito. Ora muovetevi, vi scongiu-» la porta si chiuse alle loro spalle.

S. batté le mani una volta e il bisbiglio dei presenti cessò, tutti si voltarono verso di lui. «Bene, adesso che abbiamo sistemato questa breve interruzione, venite, venite. Da questa parte per coloro che sono alla prima esperienza e vogliono informazioni» allargò un braccio verso due poltroncine foderate di pelle rosso fuoco, una occupata dalla DM Lù, accanto all'entrata protetta da lunghi tendoni di velluto blu notte, «o se volete passare a salutarci.»

Lù sollevò una mano e mosse la punta delle dita, gli occhi chiari gelidi e le labbra vermiglie imbronciate.

«Per tutto il resto», S. allargò l'altro braccio verso le tende blu, che si aprirono nello stesso istante, «buona serata e mi raccomando, usate le protezioni» con un ghigno malizioso, sganciò il bottone della giacca, mostrò l'harness e infilò i pollici sotto alle cinghie sul petto.

***

Due uomini, fasciati dalla giacca agli stivali da splendidi completi di cuoio nero, avanzarono verso le poltroncine su cui erano seduti S. e Lù. Passi cadenzati, spalle larghe e petto in fuori, sguardo serio e scazzato: erano arrivati due wannabe. Si fermarono a un paio di metri di distanza e fecero un cenno di saluto con il capo verso di loro.

S. posò i palmi sui braccioli della poltroncina rossa e si issò in piedi. «Benvenuti, io sono il Padrone di Casa, Dom S, e lei» mosse la mano verso la DM «è la Dungeon Monitor, Domme Lù.»

Uno dei due, quello con i capelli a spazzola neri, gongolò: «Non sapevo che bisognava truccarsi, ho lasciato il mascara in macchina.» Soltanto il suo compare, con i capelli tirati all'indietro dal gel, si mise a sghignazzare, il bisbiglio calò d'intensità e rimase solo il riff in sottofondo della cover dei Trybe di House of the Rising Sun.

Eccone altri due che ci erano cascati, l'ombretto si stava rivelando un ottimo vaso di miele attira-imbecilli.

La Monitor gli lanciò un'occhiata complice, S. accorciò la distanza con Capelli a spazzola e iniziò a osservarlo. Era più basso di lui, ma ben piazzato, barbetta corta, naso a patata. Cosa gli piaceva? Qual era la sua fantasia?

«Ehi, ho qualcosa di strano sulla faccia?»

Emanava un odore di pelle trattata e di sudore, ma sotto, cosa c'era sotto? Aveva una macchia scura vicina all'occhio, un vecchio nerone? Bramava la violenza?

S. incontrò gli occhi castani dell'uomo e sollevò un braccio e fece scattare la mano stretta a pugno verso la sua faccia, Capelli a spazzola sussultò e socchiuse gli occhi. Una scarica di piacere infiammò il ventre e risalì la schiena di S. «Zitto.»

L'uomo riaprì gli occhi e tirò su le spalle, ma era troppo tardi. S. lo aveva beccato. «È questo che vuoi?» Mosse il pugno nell'aria verso il naso dell'imbecille, che fremette e incavò la testa nelle spalle. I pantaloni di pelle non gli nascondevano l'erezione, la sua carriera come Dom era finita ancora prima di cominciare.

S. piegò le labbra all'insù, in un ghigno crudele che non includeva gli occhi, abbassò il pugno e si rivolse verso Capelli ingellati. «Prima di venire a casa mia, cercate almeno di non avere il culo sporco. Quando vengo di là, sarà meglio che vi trovi a quattro zampe in adorazione di qualcuno, vedete voi che genere preferite.» Indicò la porta rossa e sollevò di nuovo il pugno, entrambi sobbalzarono e si misero a correre nella direzione indicata. I completi erano davvero splendidi, però. Che spreco.

Lù ridacchiò e fece dondolare la gamba accavallata, fasciata da uno stivale cuissard stringato di pelle, verso di lui. «Sei cattivo, stasera. Non ti trucco più, se minacci tutti quelli che vogliono entrare.»

«Non minaccio, metto le persone al loro posto.» S. si lasciò cadere sulla poltroncina, sospirando.

«Lo fai per loro, quindi, non per te. Capisco... mh mh...»

S. la ignorò, una donna con i capelli a bob blu e neri era emersa dalla fila e si stava dirigendo verso di loro, la pelle scura esaltava il bianco dell'abito a balze, fluente, stretto in vita da una cintura a corsetto in pelle nera. Da come ondeggiava, quasi a ritmo di musica, doveva indossare dei tacchi altissimi. S. tirò su la schiena e attese.

La donna era indecifrabile, aveva una quieta sicurezza di sé, avrebbe potuto giocare entrambi i ruoli. E la poteva vedere, senza dubbi, sotto di lui a implorarlo di non fermarsi. Si fermò a pochi passi dalle poltroncine e chinò appena il capo. «Adoro il trucco agli occhi, Dom S.», un accenno di sorriso, poi si rivolse verso Lù, «incantata dalla tua bellezza, Signora Lù.» Aveva una voce delicata, ma ferma, come la brezza che preannuncia un temporale.

Lù chinò il capo a sua volta e le sorrise, sorniona. «Benvenuta.»

S. si tirò su in piedi e le si avvicinò. «Vedi, Lù, è esattamente questo, quello che intendevo.» Le girò attorno, l'abito bianco le lasciava scoperta la schiena. «Non si deve fare tanta scena, per far capire come stanno le cose», tornò a fermarsi davanti alla donna, «benvenuta, cara. Immagino che tu sia qui per salutarci, non certo per farci domande. Il tuo nome?»

Dalle spalle della donna, la voce tonante di un uomo rispose al suo posto: «Tu la conosci come Domina Armida.»

Se lei era Armida, l'uomo avrebbe dovuto essere...

«Master Kay» Lù lo precedette. La Monitor si alzò in piedi e si diresse verso la voce che apparteneva a un uomo alto oltre il metro e novanta, capelli scuri lunghi fino alle spalle. Entrambi si fermarono, l'uno di fronte all'altra. L'aria era elettrica attorno a Kay, chiunque si sarebbe sentito piccolo ed estasiato in sua presenza. Lù allungò una mano, Kay si piegò sul ginocchio, gliela prese e la baciò con lentezza calcolata, senza toglierle lo sguardo dal volto. «Onorato di conoscerti finalmente di persona, Domme Lù» Kay le tenne la mano stretta nella sua, gli occhi grigi e penetranti non la lasciavano.

Lù chinò appena la testa di lato, un sorrisino da Gioconda disegnato sul viso pallido. «Il piacere è interamente mio» miagolò la Domme, gli strinse la mano e sollevò un piede, posò il plateau dello stivale contro la sua spalla, gli lasciò la mano e lo spinse all'indietro. Master Kay era cento kili di muscoli, Lù non superava di molto i cinquanta e gli stivali avevano tacchi vertiginosi, eppure fu l'uomo a crollare all'indietro sul pavimento, usando i palmi delle mani per parare la caduta.

Con una risata profonda, Kay si tirò su a sedere. «Le mie scuse, Domme, avrei dovuto essere più cauto.»

S. si morse il labbro inferiore, che scenetta deliziosa, una fortuna che fossero proprio sotto alla telecamera di videosorveglianza. Gli avrebbe fatto avere la registrazione in un bel pacchetto regalo. «Ci hai provato, ma con Lù non la spunta nessuno.»

Lù mimò un bacio verso Kay. «Ho anch'io le mie debolezze...» spostò lo sguardo su Armida, rimasta in disparte, e le lanciò una lunga occhiata languida.

Master Kay si issò in piedi e scosse il lungo cappotto di pelle. «E tu, S, hai debolezze?»

«Fin troppe», S. si alzò a sua volta, «mi fa piacere la vostra visita, dovrò ricambiare quando passo da Bologna.»

«Ti aspettiamo, allora» la voce profonda di Kay risuonava nelle viscere di S. e gliele rimescolò.

S. si schiarì la gola. «Per quanto tempo rimarrete?»

«Qualche giorno, il tempo di divertirci un po'.» Un sorrisetto malizioso incurvò le labbra di Kay, senza che raggiungesse gli occhi, impenetrabili, freddi come il ghiaccio. Un brivido di piacere e di paura contrasse l'inguine di S.

«Rinnovo il mio benvenuto e-»

«Ci raggiungerai presto?» Kay avanzò di un passo e annullò la distanza tra loro.

S. serrò la mascella e mostrò i denti, in quello che doveva sembrare un sorriso e un avvertimento, Kay era troppo vicino. Troppo vicino e troppo pericoloso. «Prima devo trovare qualcuno con cui divertirmi.» I capezzoli di S. gli pizzicarono dalla tensione, strusciavano contro il cotone morbido della camicia, ritti.

Master Kay abbassò il viso fino al suo orecchio. «Oh, non credo che manchi la materia prima...», fece una breve pausa, «ti aspetto.»

S. chiuse gli occhi, serrò i pugni, doveva resistere alla tentazione di afferrarlo per il bavero del cappotto e farlo prostrare a terra, in ginocchio, davanti a lui. «A dopo» mormorò, con voce spezzata.

Con un'altra risata profonda, Kay si allontanò e fece un gesto con la mano verso Armida. Armida che aveva la faccia incollata a quella di Lù e le mani dentro al suo corpetto. Che si era perso?

Kay aveva la bocca socchiusa e diede voce ai suoi stessi pensieri. «Non mi posso distrarre un attimo.»

Lù fece riemergere una mano dalla coscia di Armida e gli mostrò il medio, senza staccarsi dal baciare la donna.

«Ok, ho capito», Kay scrollò la testa e si rivolse verso S, «a dopo.»

«Porta rossa se vuoi il dungeon, tende blu se vuoi ballare.»

«E quale porta per una sessione privata?»

S. si leccò le labbra, se Kay non avesse smesso di provocarlo, si sarebbe ritrovato legato mani e piedi da qualche parte. «Le trovi nel dungeon

Più professionale di così!



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