Capitolo 5 - Il carabiniere

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S. afferrò il sacchetto con il ghiaccio dal freezer sopra al mini-frigo nel suo ufficio e lo appoggiò sul rigonfiamento dei pantaloni, il violento cambio di temperatura lo fece soffiare come un gatto. Si appoggiò con una mano al muro e allontanò il sacchetto dal pube. L'ultima volta che aveva giocato con il ghiaccio si era divertito molto di più. Accennò un sorrisetto e si appoggiò di nuovo il sacchetto sul pacco, il freddo gli stava intorpidendo l'area, l'erezione era solo un ricordo. Perfetto.

Avrebbe dovuto dire agli ufficiali che quando parlava di orgasmo rovinato, non intendeva fatto in quel modo.

Due colpi alla porta, la voce di Michi: «Dom, ci sono-» fu interrotta dalla porta che si aprì, S. lanciò il sacchetto con il ghiaccio in un angolo.

Comparve un carabiniere in uniforme che entrò senza attendere l'invito. «Signor Samuel Ferrari?»

Aveva il tono perentorio quanto lui. Alle sue spalle spuntò una carabiniera e in fondo Michi, dispiaciuto.

S. annuì e si sistemò i pantaloni e la felpa, sperando di essere quantomeno presentabile. «In persona. E voi siete?»

«Interessati a controllare che sia tutto in ordine.»

Sul viso di S. si congelò l'espressione di un sorriso vuoto, non poteva mandarli in culo, giusto?

«Certo, prego.»

L'ufficiale gli dava le spalle, fece un cenno della testa alla collega. «Controlla il resto del locale» e verso Michi, «la accompagni.»

I due sparirono, lo scatto del meccanismo della serratura che si chiudeva fece risalire un brivido gelido lungo la schiena di S.

Perché il carabiniere aveva chiuso la porta a chiave?

«C'è qualche problema?»

«Nessun problema. In questo modo nessuno ci disturberà.»

Ed era importante non essere disturbati? S. serrò la mascella e sospirò. Il... aveva due stelline sulla mostrina, doveva essere un ufficiale di qualche tipo. Come si chiamavano i gradi? «La devo chiamare Maresciallo?»

«Tenente. Abbiamo ricevuto una segnalazione di disturbo della quiete pubblica e atti osceni.»

«Addirittura...» commentò S. a mezza voce.

«Non c'è da scherzare, signor Ferrari. Anche se è un club privato, è tenuto a rispettare le regole.» Il Tenente Ramanzina aveva una bella voce forte, autoritaria. Avrebbe fatto faville là dentro. Era anche attraente, mascella squadrata, alto quasi quanto lui, e da come il giubbotto della divisa lo fasciava, doveva essere anche muscoloso.

S. allungò un braccio verso un faldone sullo scaffale sopra alla scrivania. «Da cosa vuole iniziare?»

Il tenente annullò la distanza tra loro, il giubbotto arrivò a sfiorargli la felpa. Samuel si ritrovò a fissargli gli occhi chiari, bloccato tra lui e la scrivania.

L'ansia gli serrò lo stomaco in una morsa.

«Non preoccuparti», mormorò il tenente, «non voglio farti del male.»

«Allora allontanati e apri la porta.»

Il tono autoritario fece vacillare la sicurezza negli occhi dell'uomo, che arretrò appena con il corpo. «Sei bravo», il tenente si slacciò il giubbotto e lo sfilò dalle braccia, lasciandolo cadere a terra. Tornò ad accostarsi a lui, i respiri si mischiarono, puzzava di sigarette. «Perché ora non mi pieghi a novanta» le ginocchia dell'uomo batterono contro le sue «e non mi scopi su questa scrivania?»

Samuel arretrò e fini con il culo contro il bordo del mobile. Merda. Il cuore aumentò i battiti, ma non per i motivi giusti. «Non mi sembra il caso.»

«Ah, no?» Il tenente gli posò una mano sull'addome e insinuò una gamba tra le sue. «Non vuoi punirmi? Sono stato cattivo.»

Avrebbe dovuto avvertirlo della presenza di telecamere? C'erano i cartelli e aveva i permessi in regola.

«No», mormorò Samuel, indurendo i muscoli della pancia, «allontanati. Se vuoi giocare con me, ti preparo il modulo d'ammissione e-»

Il tenente fece scivolare la mano sotto la felpa, a contatto con la pelle. Una vertigine fece vacillare la stanza. «Senti qua che muscoli... e non hai niente sotto», con entrambe le mani, fredde, gli sollevò la tuta fino al torace, gli palpeggiò ogni centimetro di pelle, brividi gelidi gli risalirono la schiena. «Scommetto che ti piace, altrimenti non ci staresti...» Il tenente gli strizzò i capezzoli e una fitta di piacere gli mozzò il fiato in gola e gli fece inarcare la schiena. Cazzo!

Con un ghigno, il tenente gli massaggiò il membro da sopra i pantaloni e appoggiò l'altra mano sulla scrivania dietro di lui. «Cosa ti avevo detto? Ti piace», ebbe un attimo di esitazione, «è gelido...»

La stimolazione gli fece salire la nausea lungo l'esofago, aveva lo stomaco ridotto a una noce. «Allontanati, per favore...» un sussurro sfiatato.

«Non finché non mi avrai sbattuto bene sulla scrivania, signore...», il tenente infilò la mano nei pantaloni e gli afferrò il pene, «ti devo chiamare signore? Oppure Dom?»

Samuel deglutì e riprese fiato, il membro giaceva flaccido, nonostante gli sforzi dell'uomo. «Ho detto...»

Aveva senso spiegargli cos'era il consenso?

Samuel gli strinse il polso della mano sul pacco e tirò verso l'esterno, il carabiniere serrò la presa sul suo uccello, una fitta di dolore gli annebbiò la vista. Suo malgrado, gli sfuggì un lamento.

«Non ci provare», mormorò l'uomo, con un ghigno.

Un'ondata di calore adrenalinico gli fluì negli arti, lungo la schiena, fino alla punta dei capelli. La voce gli uscì roca dall'ira trattenuta. «Sai che non ti sto pestando in questo momento solo perché non voglio finire dentro, vero?»

«Forse dovresti», il tenente aumentò il ritmo con cui lo masturbava, «finire dentro di me. Ti voglio, dom.»

Samuel chiuse gli occhi, un'ondata di nausea gli contrasse lo stomaco.

L'ufficiale gli sfiorò le labbra con le sue. «Cosa aspetti? Lo so che vuoi riprendere il controllo, bloccarmi le braccia dietro la schiena e farmi capire chi comanda. Perché non lo fai?»

Samuel continuò a tenere gli occhi chiusi, spostò la testa di lato, allontanando la bocca da quella dell'uomo. «Cosa vuoi da me? Perché...»

Il tenente gli appoggiò le mani sui fianchi, le insinuò sotto l'elastico dei pantaloni e glieli tirò giù. «Il grande Dom S che si fa sottomettere nel suo ufficio?»

«Non mi stai sottomettendo, mi stai molestando», brutta testa di cazzo. Riaprì gli occhi e li puntò su di lui.

L'uomo si slacciò la cintura e il bottone dei pantaloni dell'uniforme, neri, da cavallerizzo, infilati negli stivali. «Voglio vedere quanto autocontrollo hai davvero, mh?» Si tirò giù la cerniera, rivelando un paio di boxer scuri tesi dalla sua erezione. «Su, su... una minima reazione e posso arrestarti.»

«Te lo chiedo di nuovo, allontanati e potrei non denunciarti.»

«Non vedo l'ora di vederti nella mia stazione che cerchi di convincere l'appuntato.» Il tenente aveva un gelido ghigno spalmato sulla faccia, trionfale, di chi è inattaccabile. Si massaggiava l'uccello da sopra la stoffa dell'intimo.

Samuel si afferrò i pantaloni e scivolò di lato, lungo il bordo della scrivania. «Andrò in questura, magari con la registrazione della telecamera di sorveglianza», aveva il cuore in gola e i sensi ovattati, l'adrenalina gli stava spaccando la testa, «sarà divertente.»

Il tenente si bloccò e lo trapassò con lo sguardo, era impallidito. «Cosa hai detto?»

Un ghigno malevolo incurvò le labbra di Samuel. «Hai sentito bene.» Raggiunse la porta dell'ufficio e fece scattare la serratura. «Non voglio ripeterlo ancora, vattene a fanculo fuori da qui.»

Il cuore gli pompava nei timpani, le mani gli formicolavano dalla smania di prendergli la testa e sbattergliela da qualche parte. Appoggiò una mano allo stipite e con l'altra si tirò su i pantaloni.

L'ufficiale sgranò le palpebre, l'incarnato si era fatto verdognolo e gli tremavano le mani. «Non oseresti...» con un filo di voce.

«Hai cinque secondi di tempo, prima che sia io a uscire e a chiamare il mio staff. Cinque...»

L'uomo si richiuse i pantaloni, affannato.

«Quattro...»

Non riusciva ad allacciare la cintura.

«Tre...»

La lasciò aperta e afferrò il giubbotto.

«Due...»

Si precipitò fuori dalla porta.

«Uno.» Samuel la chiuse alle sue spalle. Girò la chiave, il clic della serratura gli sollevò il macigno che aveva sul petto. Inspirò una grande boccata d'aria e appoggiò la fronte contro il legno. Non riusciva a crederci.

Picchiò un cazzotto contro la porta, il dolore esplose dalle nocche lungo il dorso e per tutto il braccio. Picchiò un altro colpo e poi un altro. Scivolò a terra, sulle ginocchia, reggendosi la mano sanguinante contro il petto.

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