Capitolo 6 e 7 - Dopo

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Ciao.
400 letture in meno di un mese? Due capitoli oggi! Siete stat* brav* e ve lo meritate.
Baci.
Noy

Capitolo 6

Samuel infilò il lembo finale della fasciatura alla mano sotto uno degli strati. Il cuore gli pompava ancora forte nel petto, le gambe gli tremavano. Che cazzo era appena successo...
E cosa avrebbe fatto una volta uscito da lì? Cosa avrebbe detto? Si accarezzò il petto, all'altezza del cuore, con la mano sana. La rabbia, la paura, la frustrazione gli serravano lo stomaco e la gola. L'umiliazione. E non avrebbe potuto fare niente. Avrebbe cancellato la videoregistrazione e sarebbe finita lì. Strinse a pugno la mano fasciata e la fitta di dolore gli schiarì le idee.
Non poteva rimanere lì dentro, nascosto, ancora a lungo. Sarebbe dovuto uscire e affrontare Michi, Edoardo, Lù. Cosa avrebbe raccontato?
Bussarono alla porta. 

«Chi è?» Abbaiò. 

«Lù. Posso entrare?» 

Aveva chiuso a chiave! Le viscere si contrassero. Raggiunse la porta, girò la chiave e aprì la porta. «Sono andati via?»

«Sì, il tipo, il capo credo, era incazzato nero. Che gli hai detto?» Lù abbassò lo sguardo sulla fasciatura. «Che gli hai fatto, Samuel?» 

«Niente, questo è per prima, con Edoardo. Andiamo, dai.» Si infilò tra lo stipite e la Domme e sgusciò fuori. 

«Sei pallido come un cencio.» 

«Sono vestito troppo leggero, ho freddo.» Si incamminò lungo il corridoio. 

«Vabbeh, quando sarai in comodo me lo dirai.» 

Samuel sbottò, la voce si acutizzò. «Non c'è niente da dire!» Digrignò i denti e spinse il maniglione antipanico. «Ok? Niente. Non è successo niente, era un imbecille e ha rotto le palle con i permessi. Sarà stato incazzato perché non ha potuto toccar-» la voce gli morì in gola. Si schiarì la gola. «Non ha potuto, non aveva appigli...» 

«E tu sei incazzato perché?» Lù, tranquilla come sempre, lo seguì lungo l'ultimo tratto di corridoio, sui polsi, attorno alla gola e sulla pancia scoperta aveva i segni delle corde. 

«Perché mi hanno fatto perdere tempo. E pure interrotto sul più bello», Samuel svoltò nel corridoio dell'ingresso, non c'era quasi più nessuno fuori al freddo, al di là del vetro. «Vado a casa.» 

«Meglio.» 

«Ci vediamo domani sera.» Samuel si tastò le tasche. Niente cellulare. Pestò un piede per terra e tornò indietro, verso il corridoio. Dove diavolo era finito Michi? Dov'erano finiti tutti? Venti membri dello staff e nessuno che avesse bussato alla porta per assicurarsi che andasse tutto bene. 

Sarebbe potuto accadere di tutto!
Sarebbe. 

Aprì la porta del suo ufficio, il telefono era sulla scrivania, era tutto al suo posto. Come se non fosse successo niente. Un'ondata di rabbia gli chiuse la gola. Afferrò il cellulare e lo sbloccò, aprì Instagram. La prima immagine era lo screenshot di una recensione, stroncatura, per un libro trash. Terribile. Si sedette. Comparve il video di una ricetta veloce di pasta con la zucca. Meglio salvarla, magari l'avrebbe fatta. Prima o poi.

***

L'orologio segnava quasi le due. Posò il telefono, era stato risucchiato da un reel dopo l'altro. Si alzò, indossò il giubbotto imbottito e infilò il cellulare in tasca. Non era entrato nessuno, eppure la porta era aperta, sapevano che era lì. 

Che Lù avesse detto loro di non disturbarlo? O forse, cosa più probabile, avevano dimenticato della sua esistenza. Stavano meglio senza di lui.
Ficcò le mani in tasca e uscì dall'ufficio, lasciò la porta aperta, tanto a quanto pare era come se non ci fosse.
Arrivò nell'ingresso, gruppetti di persone sciamavano verso l'uscita, sia dalle tende blu che dalla porta rossa. Erano accaldati e sorridevano, Samuel sollevò il cappuccio della felpa per coprire i capelli rosa, anche se nessuno badava a lui. Passò accanto a Capelli a spazzola, niente, nessuna reazione, era invisibile. 

Aveva trovato i reel della serata pubblicati sulla loro pagina, gente che ballava, tag e menzioni su di lui e sugli altri Dom e Sub che avevano fatto delle comparsate, acclamati dalla folla. Le foto spettacolari di Lù legata, in aria, meravigliosa. Una serata fantastica, come le altre. Michi era il miglior manager che avrebbero potuto trovare. Capiva il business ed era un esperto di BDSM.
Lui non serviva a niente, se non a fare un po' di show nell'ingresso. 

Spinse la porta e si ritrovò all'esterno, l'aria gelida gli investì la faccia con una folata di vento inaspettata. Rabbrividì e si strinse nel cappotto. Si avviò verso l'auto, passò accanto a una figura avvolta da un lungo cappotto scuro e una voce lo apostrofò: «Ehi, Dom.» 

Chi l'aveva riconosciuto? Voltò la testa e incontrò il viso di Gabriele, un sorriso dolce e malizioso gli incurvava le belle labbra a cuore. «Ehi», Samuel rispose al sorriso, anche se solo accennato.

«Wow», Gabriele scosse la testa, «è la prima volta che ti vedo sorridere.» 

«Ah, beh... sai com'è», Samuel riprese a camminare, «devo mantenere le apparenze. Ma questo è il mio vero io.» Sperando che non fosse troppo deludente. «Che ci fai ancora qui?» 

«A dire il vero ti aspettavo», Gabriele si strinse nelle spalle e si affiancò a lui. 

«Mi aspettavi? Perché?» 

«Per salutarti e per ringraziarti della bella serata.» Di nuovo quel sorriso affascinante. Lo aveva notato sin dalla prima volta, una sorta di guizzo intelligente e ironico nello sguardo che lo rendevano del tutto adorabile. E sexy. 

«Grazie a te per essere stato dei nostri. Spero che tornerai anche alle prossime serate che organizzeremo», Samuel sciorinò la frase come mille altre volte, falsa, frettolosa. «Scusami, sono un po' stanco, non sto cercando di liberarmi di te. Anzi, mi fa piacere, davvero, che tu ti sia divertito.» 

«Ti ho cercato, quando finalmente sono stato liberato, ma mi hanno detto che eri impegnato. Ti dirò, la serata non è stata altrettanto divertente senza di te, sai?» 

Samuel si strinse nelle spalle. «Oh, sono certo che siano stati bravissimi. Senti», si fermò e incrociò il suo sguardo, «vuoi accompagnarmi a casa? Niente sesso, però, voglio che sia chiaro. Solo per fare due chiacchiere.» 

«Se la metti così, come posso rifiutare?» un lampo dei denti di Gabriele. «Scherzo, mi farebbe molto piacere.» 

«Ok, ho la macchina parcheggiata là, mi segui con la tua?»
Un cenno di assenso e Gabriele si incamminò verso una traversa della strada. Non era dell'umore giusto per avere ospiti, perché diavolo lo aveva invitato?


Capitolo 7

Samuel indicò la scarpiera accanto all'ingresso, brusco. «Niente scarpe, per favore», sfilò le sneakers e le appoggiò su un ripiano, accanto a un paio di scarpe da corsa e uno da ginnastica. Prese due paia di pantofole e ne porse uno all'ospite. «Puoi indossare queste.» 

«Non sono ancora entrato e già mi chiedi di spogliarmi?» Gabriele le posò a terra e si chinò per slacciare le fibbie degli stivali. 

Samuel accennò un sorrisetto. «Pensa che ora dovrai persino toglierti il cappotto. E appenderlo lì, se non ti dispiace», si sfilò il giubbotto e lo posò su un gancio accanto alla porta. Strascicò i piedi dentro alle pantofole, sul lucido parquet scuro, e si avviò verso il divano. «Posso offrirti qualcosa da bere?» 

Alle sue spalle, Gabriele armeggiava tra stivali e cappotto, chinato verso terra, le parole gli uscirono soffocate. «Tipo cosa?» 

Samuel si buttò sul divano e affondò tra i cuscini, la stoffa aveva una fantasia a strisce e rombi gialli, bianchi e neri, in contrasto al grigio chiaro della fodera del sofà. «Non so. Vieni qua», accarezzò la seduta imbottita. 

Gabriele lo raggiunse, un maglioncino grigio a collo alto gli metteva in risalto il fisico atletico e finiva dentro un paio di jeans neri, attillati. Gli toccò una gamba, Samuel la postò, e Gabriele si accomodò accanto a lui, ma senza che i due corpi si toccassero. La voce gli uscì più bassa, più calda. «Come padrone di casa lasci un po' a desiderare.» 

«Oh, davvero?» Samuel fece forza sui gomiti e si tirò su a sedere, con la schiena dritta, arricciò il naso e la bocca in una smorfia. «Vuoi tornare sulla Sedia?» 

I volti erano alla stessa altezza, le labbra a cuore di Gabriele si dischiusero, le palpebre si allargarono e le pupille si contrassero e si dilatarono. Abbassò lo sguardo, che fosse arrossito?
Samuel allungò una mano e gli sfiorò una guancia con la punta delle dita, incrociò i suoi occhi. «Ti è piaciuta?» 

Gabriele sbarrò ancora di più le palpebre e annuì, frenetico. «È stata l'esperienza più intensa della mia vita. Io...», boccheggiò, «come facevi a sapere... non l'avrei mai immaginato.» 

«Ho una specie di sesto senso per quello che potrebbe piacere alle persone», Samuel si strinse nelle spalle. 

«Con me, ci hai preso in pieno», Gabriele posò una mano su quella di Samuel che gli sfiorava il viso, «però la prossima volta, puoi essere tu quello che mi... tortura?» Un guizzo malizioso gli oscurò lo sguardo. 

Un'ondata di calore si sparse dallo stomaco fino al petto di Samuel, avvicinò il viso e gli posò un bacio a fior di labbra. Si allontanò subito, sfilando la mano da quella di lui. «Scusa.» 

«Non scusarti, ci speravo», mormorò Gabriele. 

«Avrei dovuto chiedertelo comunque» Samuel si alzò di scatto dal divano, sbatté lo stinco contro il tavolino da caffè di vetro, la fitta di dolore gli strappò un grugnito misto a una bestemmia e zoppicò verso la cucina. 

«Tutto bene? E comunque», Gabriele calcò sulla parola, «questo non era nemmeno un bacio, ne ho dati di più passionali a mia zia quando le faccio gli auguri di Natale.» 

«Kinky» commentò Samuel con un ghigno, aprendo il frigo. «Vuoi una coca? O... un bicchiere d'acqua? Tè? Caffè?» 

«Sto bene così, grazie. Ehi, cosa hai fatto alla mano?» Gabriele aveva posato il mento sugli avambracci appoggiati allo schienale del divano. 

Samuel mosse la mano fasciata nell'aria. «Niente, sono...», una morsa gli chiuse la bocca dello stomaco, la voce finì in un sussurro, «ho avuto una serata piena». 

«Vuoi parlarmene?» 

Accidenti a lui, perché gli faceva tutte quelle domande? Samuel richiuse l'anta del frigo con l'anca e tornò verso il divano. «Oh, non hai mica voglia di starmi a sentire, credimi...» 

«Mh», Gabriele incrociò le gambe sul divano, «come vuoi, non insisto.» 

Samuel si fermò accanto al divano. Perché Gabriele si era così incaponito a volerlo come Dom? A insistere nel vederlo? Perché lo aveva aspettato fuori dal locale e perché era lì? Cosa voleva da lui?
«Forse dovresti andare.» 

Gabriele saltò su con la schiena, il bel viso corrucciato dall'ansia. «Ho detto o fatto qualcosa di male?» 

«No, no.» 

«Perché mi mandi via, allora? Perché ti sei rattristito? Per il bacio?» 

Samuel si morse l'interno della guancia. Perché voleva buttarsi a piangere sul letto con la testa affondata in un barattolo di gelato. Perché aveva fatto cose terribili a delle povere persone e gli era piaciuto. «Per favore», mormorò. 

L'uomo abbassò la testa e sospirò. «Ok», fece pressione sui cuscini del divano, sciolse l'incrocio delle gambe e si alzò in piedi, «ok. Volevo solo ringraziarti della serata, della punizione e-» 

Che diritto aveva di infliggere punizioni? Di torturare e dare ordini? E trattare come delle merde quelli che avevano la sventura di passare dalle sue grinfie? 

«Samuel,» Gabriele avanzò di un passo e gli afferrò le braccia, «siediti.» 

Non era una richiesta, o comunque non una gentile. Gabriele lo trascinò e lo spinse all'indietro sul divano. Samuel si accasciò sui cuscini e si abbracciò le gambe con le braccia. «Dovresti davvero andartene», mugolò. 

«No. A meno che non mi dici che chiami qualcuno, non ti lascio in queste condizioni.» Gabriele si allontanò a grandi passi dal divano. 

Samuel nascose il viso sulle ginocchia. «Sto bene», aveva solo un po' freddo. Si meritava di avere freddo, se lo meritava. E anche di stare da solo. 

«Ora ti preparo una bella tazza calda di...» Rumore degli sportelli della dispensa che venivano aperti e richiusi, acciottolio di stoviglie e ceramiche. «Dove tieni il tè?» 

«Fuori dalla porta», mugugnò Samuel contro la stoffa della tuta. 

«Cosa hai detto? Ah, l'ho trovato. Ok.» 

Scroscio dell'acqua del rubinetto che riempiva qualcosa, lo scatto della porta del microonde, il bip della manopola e poi il ronzio. 

Gabriele ricomparve ai piedi del divano. «Tra due minuti è pronto. Ora, fatti in qua», mosse le braccia verso il bordo del divano, «così ti posso abbracciare. E non provare nemmeno a protestare.» 

Samuel slacciò l'incrocio delle braccia e scivolò sull'imbottitura. «Perché?» 

«Perché lo sai meglio di me cosa ti sta succedendo. Hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te, almeno per un po'», Gabriele si sdraiò sul divano a pancia in su e gli circondò le spalle con le braccia, tirandolo verso di sé, sul petto. 

Era così caldo e morbido. Samuel chiuse gli occhi e posò la testa nell'incavo del collo. Profumava di buono, spezie e fiori. E di sudore e di sesso. Non si era fatto la doccia. Meglio.
Samuel mormorò contro la lana soffice del maglioncino: «Non è il drop.» 

«E cos'è, allora?» 

«Sono...», Samuel si sistemò tra le gambe dell'uomo, gli accarezzò i fianchi, «sono una merda, Gabriele. Un inutile sacco di merda», terminò la parola in un singhiozzo soffocato. 

Un macigno gli pressava sul petto, sullo stomaco, nel cervello. Tutto lo schifo che aveva fatto. E che gli era piaciuto fare. Il sangue che usciva dal naso di Edoardo, le sue urla. «Ho stuprato un uomo, stanotte.» 

«No, non hai stuprato nessuno», Gabriele gli posò un bacio sulla fronte e gli accarezzò i capelli all'indietro. «Non puoi stuprare qualcuno che acconsente. Giusto?» 

Samuel nascose il viso contro il petto dell'uomo. «E... parli proprio tu», rabbrividì, «ti ho fatto legare e...» 

«E ho goduto come un riccio. Non hai fatto del male a nessuno» Gabriele gli accarezzò la schiena, con l'altra mano, lunghi tocchi lenti dalle scapole, sulla colonna vertebrale, fino ai reni, lungo i fianchi, di nuovo sulle scapole. Ogni tocco gli infondeva calore e calma, come essere cullati. Non se lo meritava. «E questo mi pare proprio il drop, eh...» 

In lontananza, il microonde segnalò che aveva finito. 

«Perché sei rimasto?» Samuel aveva un groppo in gola, gli occhi gli pizzicavano dalla voglia, dal bisogno di piangere. 

«Perché», Gabriele ebbe un attimo di esitazione, fermò la mano sulla schiena, il petto si sollevò e si riabbassò, «perché non volevo lasciarti da solo.» 

«Nemmeno mi conosci, che te ne frega.» 

Se non se ne fosse andato a breve... stupide lacrime, volevano uscire a tutti i costi. 

«Chiamala la mia buona azione della giornata.» 

Samuel sollevò il petto, allontanandosi da lui. «Se non vai via subito, vedrai una scena ben poco seducente.» 

«Non sono qui per il sesso, Samuel. Credi che abbia problemi a trovare qualcuno con cui passare la notte?» 

Un velo di lacrime gli appannò la vista, sbatté le palpebre, ma quelle stupide non andavano via, il mento gli tremò. «No.» 

Gabriele gli accarezzò una guancia con le nocche dell'indice e del medio. «No, sono qui per te.»
Dall'angolo di un occhio una lacrima impertinente sgattaiolò via e scivolò fuori. «Vuoi uscire con me domani, a pranzo?» 

Le meravigliose dolcissime labbra a cuore di Gabriele si aprirono in un sorriso. «Certo. Ma solo se smetti di provare a cacciarmi, ok?» Raccolse la lacrima con la punta del pollice e se la portò alla bocca, per baciarla. 

Samuel nascose di nuovo il viso nell'incavo del collo. «Ok, visto che insisti tanto.» 

La mano di Gabriele sulla schiena si insinuò sotto la felpa. «Posso?» Mormorò, premendogli le labbra sulla fronte. 

«Mh, puoi.» 

Era calda e morbida a contatto con la sua pelle, gli massaggiò i muscoli lombari, alleviandogli la tensione accumulata durante la serata. «Hai fatto un ottimo lavoro, S.» Premette con il pollice nell'incavo della spina dorsale e risalì fino al collo. «Un ottimo lavoro. Ed eri un gran figo in giacca e cravatta», gli massaggiò il collo fino alla nuca, «con il rossetto e gli occhi truccati. Per poco non me la sono fatta nei pantaloni.» 

Samuel ridacchiò. «Vuoi dire che non hai visto com'ero conciato prima?» 

«Prima?» 

«Cosa ti sei perso», Samuel si strinse a lui, tirò su con il naso, «la Domme Lù mi ha proposto di indossare un paio di cose sue...» Sollevò il viso e incontrò i suoi occhi. «Nello specifico, mi ha fatto mettere un minuscolo perizoma nero di pizzo che mi si è arrampicato in mezzo al culo.» 

Gabriele sgranò le palpebre. 

«Una minigonna giro-passera di pelle, con dei lacci sui fianchi, quindi praticamente due pezzetti minuscoli di stoffa, uno davanti e uno dietro. E...» 

«Non ci posso credere.» 

«E, aspetta, non è finita» un ghigno divertito gli comparve sul viso, «reggicalze, collant a rete, harness senza nient'altro. E» Samuel fece una pausa, trattenendo il respiro. 

«No. Non mi dire che hai messo i tacchi?» 

«Tacchi a spillo, dodici centimetri di follia e dolore.» 

«Ok, pago qualunque cifra per avere delle foto e dei video o» Gabriele fece un sorrisetto maligno, si morse il labbro inferiore, «per vederteli addosso, magari in privato.» 

«Mi dispiace, Paganini non ripetEH» gli sfuggì un urletto dalle labbra, Gabriele lo aveva girato e messo a pancia in su sul divano, sotto di lui. 

«Cosa dicevi?» 

Samuel gli circondò i fianchi con le gambe. «Ti stai approfittando della mia debolezza?» 

«Sì», Gabriele si appoggiò su di lui e gli lasciò un bacio leggero sulle labbra. «Me ne sto approfittando.» Gli prese i polsi e gli piegò le braccia verso l'alto. 

Una vertigine fece ondeggiare e rimpicciolire la stanza. «No», sussurrò Samuel, «no, ti prego, lasciami. Non sto giocando, non stanotte.» Tremava, un velo di lacrime gli offuscò di nuovo la vista. 

Gabriele gli lasciò i polsi e si tirò su a sedere. «Oddio, scusa. Scusami, sei bianco come un morto. Non...» 

Samuel scivolò verso il bracciolo e si abbracciò le gambe. «Se vuoi restare, te ne prego, te ne prego», il cuore gli esplodeva nel petto, «solo coccole. Ok? Ti prego. Non voglio giocare.» 

Gabriele aggrottò le sopracciglia e annuì. «Non hai solo giocato, stanotte.» 

«Non ne voglio parlare», Samuel nascose il viso contro le ginocchia, «lasciami in pace.»

«D'accordo, scusami. Solo coccole, prometto.»

Samuel risollevò il viso, Gabriele aveva allargato le braccia ed era in attesa che fosse lui ad avvicinarsi, l'espressione da cucciolo che aveva fatto una marachella sul bel viso olivastro. Scivolò verso di lui e si lasciò abbracciare e stringere contro il petto. «Solo coccole.»

«Prometto.» Gabriele gli baciò la fronte e i capelli. «Solo coccole, perché sei stato molto bravo, te le meriti. Mh? Ti meriti di essere abbracciato e amato.»

Samuel serrò le palpebre, non lo meritava affatto. Però era così dolce starsene stretti a lui. 


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