18 - Shopping

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"Sono gli abiti a portare noi,

e non noi a portare gli abiti;

possiamo far sì che modellino bene un braccio,

o il seno, ma essi ci modellano a piacer loro il cuore, il cervello, la lingua."

– Virginia Woolf –

LUCY

Sabato ci sarà il saggio musicale a scuola, ho ancora una settimana scarsa per esercitarmi e per trovare qualcosa da mettermi.

Oggi è lunedì, sono in vacanza, e domenica sarà Pasqua. Mi sveglio tardi, alle 11:00, e scendo svogliatamente a fare colazione. Mentre sto addentando la mia fetta biscottata alla marmellata, mia madre m'informa: «Oggi andiamo a fare shopping».

«Perché?»

Da quando si è saputo della mia diagnosi, in casa sono tutti più gentili e accomodanti nei miei confronti, e non so se deve farmi piacere o farmi sentire una povera malata di mente.

«Come perché?» chiede lei, con un gran sorriso.

«Ho abbastanza vestiti, non me ne servono degli altri» alzo gli occhi al cielo, perché odio fare shopping e non ho davvero necessità di riempire ulteriormente l'armadio.

«Hai bisogno di un abito per il concerto.»

«Mamma, nei negozi che piacciono a te non trovo mai nulla...»

«Nemmeno se andiamo da Pin-up second hand store?» chiede, stuzzicandomi.

Mi scappa un sorriso, perché è il mio negozio preferito. «Ok, allora possiamo andare» mi addolcisco.

«Troveremo il più bel vestito per la più bella giovane ragazza che conosco.»

«Sono tua figlia... lo dicono tutte le mamme.» roteo gli occhi.

Mangio qualche altra fetta biscottata sull'amaca sotto il portico e poggio la mia tazza di caffè su uno sgabello. Lo sorseggio lentamente, mentre leggo un po' di Molière: Il Misantropo.

Forse ha ragione lui: i rapporti tra le persone sono effimeri, alimentati dalla falsità, l'avidità e la stupidità. Per un secondo la mia mente vola a Nash e a come si sia preso gioco di me, senza pensarci neanche un minuto. È un falso, e devo cercare di togliermelo dalla testa, non può rendermi felice un ragazzo del genere.

La mattina passa in un lampo tra lettura, caffè e amaca. Quando sto per alzarmi, il telefono squilla. Karin mi sta chiamando.

«Sì, Karin?»

«Lucy, che fai oggi?»

«Shopping con mamma» sbuffo.

«Ma che bello! Posso accompagnarvi?»

«Sì, ma solo se non dai ragione tutto il tempo a mia madre» le dico in tono esasperato.

«Giuro, ti ascolterò! Lo prometto!» ridacchia.

«Ok, vieni a casa mia per le sedici. A dopo.»

«A più tardi!» Sento dalla sua voce al di là della cornetta che è molto felice e non vede l'ora; purtroppo non comprendo affatto la sua gioia.

Pranzo con i miei genitori; mia madre ha cucinato i carciofi fritti, come lei non li sa fare nessuno. Li passa prima nella farina, poi nelle uova sbattute e per finire nel pan grattato. Sono speciali: croccanti all'esterno e morbidi nel cuore.

La mia amica arriva puntuale, sprizza felicità e adrenalina da tutti i pori. Le apro la porta di casa e, appena la vedo, noto come salta sul posto senza riuscire a tenere a freno l'esultanza che le procura ogni volta il fare compere in centro.

Mia madre le viene incontro, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. «Da quanto tempo, Karin! Che bello vederti! Ma diventi sempre più bella!»

«Veramente? Io mi vedo sempre uguale» ride, arrossendo, e nel frattempo mi osserva, come a cercare rifugio in me dall'imbarazzo.

Io sorrido, vittoriosa, e faccio un cenno di assenso con la testa. Mi piace vederla a disagio. Quando diventa rossa, il colore della pelle fa pendant con i capelli. Mi fa ridere; le lentiggini sul naso risaltano come tante piccole lucciole.

Mia madre va a prepararsi, e ci dice di aspettarla in auto. Allora lungo il tragitto decido di prendere un po' in giro Karin. Le do una leggera spallata e sghignazzando affermo: «Ma quanto sei dolce, carotina!»

Lei mi dà una spintarella per farmi zittire.

«Cosa farai il giorno in cui un ragazzo ti farà un complimento?»

«Ho ancora tempo per allenarmi» replica con una linguaccia.

Ci dirigiamo verso la macchina e la sblocco premendo il tasto di apertura sul piccolo telecomando. Mi siedo davanti, accanto al guidatore, mentre Karin si posiziona tra i due sedili posteriori e mi sta con il fiato sul collo. Oggi sembra essere super attiva.

Mia madre ci raggiunge, sale a bordo e accende la macchina. Dopo dieci minuti, siamo al parcheggio vicino al centro.

«Hai già in mente cosa ti piacerebbe mettere?» mi domanda lei mentre usciamo dall'auto.

«Un vestito?» rispondo, ovvia.

«Sì, ma di che genere?»

«Non lo so, mamma...»

«Io le vedo addosso qualcosa di celeste!» si intromette Karin.

«Non saprei...»

«Un bel celeste polvere!» la asseconda mia madre.

Queste due insieme non mi piacciono, penso, varcando la soglia dell'edificio.

C'incamminiamo verso il viale dei negozi. Dalle vetrine vedo che non mi piace niente; sto perdendo le speranze, perché sono già le diciotto. Ci dirigiamo al mio negozio preferito, quello che vende abiti di seconda mano, ma Karin si ferma con gli occhi strabuzzati di fronte alla vetrina di una boutique proprio accanto. La indica e ci dice: «Questo».

Nell'esposizione ci sono anche alcuni addobbi pasquali: una piccola cesta con uova colorate in ceramica e un coniglietto dello stesso materiale, grigio, con un campanellino al collo.

Intercetto l'abito a cui fa riferimento Karin. È indubbiamente bello, ma è troppo per me. «Oh, ma dai, con quello sembrerei una fatina!» ribatto, e faccio per andarmene.

«Provatelo!» gridano le due donne dietro alle mie spalle.

Karin si avvicina, con lo sguardo più dolce che le riesce, sbattendo le palpebre come Bambi.

«Ti prego, ti prego, ti prego.»

Non ho speranze! Sbuffando, la assecondo, ed entriamo nella piccola boutique, dove una signora anziana dai capelli grigi e ricci, con il rossetto troppo rosso, ci saluta con voce squillante.

«Buonasera! Desiderate?»

«Lei» mi indica Karin, «vuole provare quel vestito in vetrina!»

«Uh, ti starebbe d'incanto con quegli occhi celesti che ti ritrovi!» La donna si avvicina ad alcuni abiti appesi. «Una S?»

«Direi di sì, dovrebbe andare, sono piatta come una tavola.»

«Tanto meglio! Quest'abito non sta bene alle donne formose come me, che hanno sfornato quattro figli, e altrettanti ne hanno allattati al seno», ride imbarazzata, mentre io la guardo con occhi sgranati, pieni di sorpresa. «Lì trovi il camerino, ti appendo il vestito nella cabina.»

La ringrazio con un dolce sorriso. Entro e mi chiudo la tenda dietro le spalle. Mi svesto e tolgo anche il reggiseno. Apro la chiusura lampo del vestito in raso e me lo infilo.

Mi calza alla perfezione. Lo scollo a barca lascia libere spalle e clavicole. Tutto sommato mi sta bene, sorrido alla mia immagine riflessa.

My best dress – Florence + The Machine

I'll kiss you once for life
I'll kiss you twice for death
Hold you close for comfort
Wearing my best dress

Apro la tenda e mostro la schiena per farmi chiudere la zip da mia madre; faccio una giravolta su me stessa, la gonna si muove con un leggero fruscìo. È lucido e brillante. La signora aveva ragione, mette in risalto i miei occhi.

«Sei... bellissima, Lucy» mia madre si commuove; una lacrima le bagna il viso.

La commessa interviene dicendo: «È un abito elegante e ben confezionato. È un prodotto Fairtrade; sembra esserle stato cucito addosso».

«Ha ragione, mi dona ed è davvero stupendo.» Guardo mia madre e con un sorriso le dico: «È lui».

Karin batte le mani per la gioia e urla: «Evvivaaa!»

Dopo averlo acquistato, decidiamo di andare alla gelateria "ECI", ed è lì che avviene una nuova collisione.

Sto salendo le scale in marmo bianco dell'edificio e sono voltata verso mia madre e Karin, quando quest'ultima improvvisamente mi urla: «Att...!», ma non fa in tempo a finire la parola, perché sbatto contro un ragazzo ed entrambi cadiamo a terra con un forte tonfo.

Lui mi guarda, sbigottito, con quei suoi occhi troppo azzurri che mi accecano. Per un attimo vedo tutto offuscato; strizzo gli occhi e la vista torna lentamente a fuoco.

Lui ride e tiene ancora in mano il cono gelato al pistacchio e cioccolato.

Sono in imbarazzo e arrossisco.

MALEK

«Guarda chi si vede! Moon, che onore» esclamo.

«N-Nash...» la sento balbettare.

Non è lei... conosco bene gli occhi di Moon. Questi sono troppo insicuri, troppo ingenui.

Ma poi fa uno scatto improvviso con la testa e sembra cambiare.

Che diavolo...?

MOON

Sono addosso a Malek, e mia madre e Karin mi stanno guardando sorprese; mi parlano, vedo le loro bocche muoversi, ma io non le sento. Il mio udito è ovattato. Il mio cuore scalpita: il ragazzo che amo è proprio lì, di fronte a me, e io non so cosa fare.

Perché ci siamo scontrati? Ho avuto un'amnesia, non so come altro spiegarmelo...

Malek mi guarda con quei suoi occhi che sono belli da far male; lasciano una cicatrice ogni volta che i nostri sguardi s'incastrano. E io, ormai, ne sono completamente ricoperta; le ustioni che mi provoca lasciano il segno, ma è un dolore dolce e soltanto nostro.

Il gelato che tiene tra le dita è a un palmo dalla mia bocca, non resisto alla tentazione; mi avvicino e lo mordo. Malek rimane a bocca aperta di fronte al mio gesto, non sa cosa dire.

Sono riuscita ad ammutolire il super tenebroso! sghignazzo dentro di me. Non sa come replicare; mi domanda soltanto: «Pure? Non solo mi vieni addosso, ma mangi anche il mio gelato?», con una punta di ironia.

«È la giusta ricompensa, mi sei ancora debitore per la partita a biliardo che hai vinto!» rido di gusto.

«Ahhh, è così? Non vuoi la rivincita, piuttosto?»

«Ci penserò su.» Ridiamo entrambi.

Mi sento osservata, quindi mi alzo e faccio cenno a mia madre e Karin di proseguire per prendere il gelato. Io e Malek ci guardiamo ancora per un attimo, poi lui si alza, mi fa un rapido occhiolino, e continua a camminare verso la spiaggia dove probabilmente i suoi amici lo stanno aspettando.

«E così, ecco il ragazzo che mi tenevi nascosto!» esclama mia madre raggiante, mentre ci avviamo al bancone dei gelati. «È bello, più di quanto ricordi.»

«Sì, lo è» confermo con fare sognante.

Sono tra le stelle in questo momento. Stelle luminose, che fanno luce su di noi.

«È il ragazzo più carino della scuola, sì, sì. La mia amica ha scelto bene!», interviene Karin, e mi strizza un occhio.

Prendo un cono con gli stessi gusti che ho assaggiato da quello di Malek, mentre le altre due optano per la frutta: mango e limone una, fragola e ciliegia l'altra.

Ci avviciniamo alla spiaggia e lui è seduto su una panchina poco lontano da noi. Mi fissa intensamente e si morde le labbra.

Dio, smettila!

Mi torna in mente la mattina in cui abbiamo fatto l'amore; ero così felice da farmi venire il mal di pancia.

Ricambio le sue occhiate in modo altrettanto malizioso; cerco di essere forte, di fare la dura, ma in realtà sono fragile come una foglia secca che si sbriciola al primo tocco. Con lui la mia corazza non regge molto, perché mi ha già scalfita creando delle piccole crepe nella mia anima e non c'è più niente da fare: sono stata modellata per lui.

Mi arriva un suo messaggio:

– Ti devo rivedere, non ce la faccio più. –

Sorrido.

– Aspetta, vieni sabato al concerto della scuola. –

Non mancherò per nulla al mondo.

Voglio ben vedere! A sabato 😉 –

A sabato, sarai bellissima.

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