2 Ricreazione

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Una vita con amnesie è degna di essere vissuta?

Nash

Luce.

«Te la sei scopata, allora?», mi domanda Markus sogghignando, poggiandosi con la spalla alla porta della classe e guardandomi.

«Chi?» chiedo, con fare distratto, rilassandomi addosso al muro dell'uscio.

«Matilde, naturalmente!»

«Non credo, perché?» Arriccio le labbra a disagio.

«Avevi un appuntamento con lei l'altro sabato...»

«Non ricordo...»

«Dai, non fare lo stronzo!» Markus mi da una lieve spallata.

Markus è convinto che lo stia prendendo in giro. «Ma di che parli?»

«Matilde! Quella con cui volevi perdere la verginità! La ragazza sexy che hai conosciuto in discoteca.»

«Veramente?» Sono confuso e sconcertato allo stesso tempo.

«Ma allora sei proprio stronzo!» Alza la voce il mio amico.

Ma di cosa accidenti parla Markus? L'unica che voglio è Lucy. Mi piace da sempre. Solo l'idea di vederla nuda mi fa arrossire, lei è perfetta.

Ma neanche mi nota... purtroppo.

Buio.

Malek

Luce.

«Io sarei uno stronzo? Attento a quello che dici se non vuoi che ti cacci a calci in culo dalla squadra di basket!» dico subito a Markus. Che idiota! Si è bevuto il cervello?

«Ma se sei tu che mi stai prendendo per il culo! Fai finta di non conoscere Matilde» tenta di scusarsi.

«Ma che stai dicendo?» Alzo un sopracciglio, innervosito.

«Stavamo parlando di lei... te la sei portata a letto, sì o no?»

«Ah! No... se n'è andata con quel cretino di Elia.»

«Elia? il suo ex? Non ci credo...»

«Sì, be', ha preferito lui per una scopata.» Fingo noncuranza.

«Che stupida... c'eri quasi, accidenti!»

«Forse... Ma non me ne frega un cazzo. Può darla a chi vuole.» Se Markus sapesse che ho un debole per una ragazza castana, con gli occhi azzurri, dai fianchi femminili e la vita sottile...

Buio.

Nash

Luce.

You're the one that I want - cover by Angus and Julia Stone

You better shape up, you better understand

To my heart I must be true

You're the one that I want

Ooh-ooh-ooh, honey

Stavo pensando a una ragazza, ne sono sicuro, perché sono eccitato e lo noto dal rigonfiamento nei pantaloni. Me ne vergogno e ci metto subito le mani per nasconderlo.

Il pensiero, d'istinto, va a lei... Lucy... e la situazione peggiora.

Digrigno i denti in una muta imprecazione, perché il pantalone si stringe ulteriormente attorno alla mia intimità. Mi sento esplodere dal desiderio.

Markus

Lui è strano; non più del solito comunque...

«Hai le pupille dilatate, Nash, ti sei forse eccitato?» gli chiedo, beffardo. Beccato.

«No, no, figurati! Siamo a scuola...» prova a difendersi lui, ma io non me la bevo.

«Matilde fa quest'effetto a tutti i ragazzi, tranquillo. Dicono che scopi da Dio» cerco di aiutarlo, lo vedo in difficoltà.

«Scusa, Markus, vado... vado al bagno!» afferma lui velocemente, sembra stia scappando da qualcosa. Sì, è decisamente strano.

Nash fa uno scatto improvviso con il braccio. Penso stia per allungarmi uno schiaffo, e invece ruggisce con un:

Malek

«E comunque è Elia che dice che Matilde scopa da Dio! Vagli a credere. Sarebbe disposto a dire qualunque cosa per difendere la sua figura da stupido pavone.» Come se tutti dovessero credere a quel borioso.

«Sì, ma sta' calmo! Sei teso, amico» esclama Markus, accigliato. «Non dovevi andare al bagno?»

«Sì, ora vado!» sbotto. Ma io non devo andare alla toilette, perché l'ho detto?

Mi sento tirare nella zona dell'inguine, guardo in basso e capisco che ho un'erezione in atto. Un sorrisetto aleggia sul mio volto.

Stai calmo, Don Giovanni, è il momento sbagliato per far vedere cosa sai fare.

M'infilo in una cabina della toilette e tiro giù i pantaloni; provo a fare pipì, anche se con un pene eretto non è semplice per niente. Alla fine riesco, ma bussano alla porta con prepotenza.

«Quanto cazzo ci metti, amichetta

Mi tiro su i boxer e i pantaloni, e chiudo la zip, incazzato. Apro la porta, pronto a cantarne quattro a chiunque mi abbia disturbato. Mi trovo davanti un ragazzo con un cappellino con la visiera girata indietro, che mi sorride masticando svogliatamente una gomma.

«Ehi, dolcezza, sei caduta nel cesso?»

Rido, ma non perché mi diverta, trovo ridicolo questo stronzetto ed è meglio che me lo tolga di torno.

«Stai attento, guardati le spalle se vuoi rimanere vivo» lo affronto, fissandolo negli occhi e puntandogli l'indice addosso. Vado a lavarmi le mani, poi mi passo la mano tra i capelli, sbuffando.

«Dovrei avere paura di te, biondino?» replica lui alzando un sopracciglio.

«Sì, forse dovresti.»

Prima di uscire dal bagno gli passo accanto e gli lancio un ultimo sguardo truce, poi vado via sbattendo la porta. Quel tipetto voleva fare lo spavaldo, ma se la stava facendo addosso dalla paura, potevo percepirlo.

Torno da Markus con un sorrisetto compiaciuto.

«C'è stato movimento, cos'è successo?» chiede, guardando incuriosito in quella direzione.

«Niente, i soliti scemi che si vogliono prendere a pugni.»

«Nulla di nuovo, allora» ride.

Buio.

Lucy

Luce.

Sorrido a Karin, sono di ottimo umore. So che è la ricreazione perché c'è un gran caos in giro per la scuola, anche se non so come sono arrivata al termosifone. La maggior parte degli studenti è ammassata davanti al distributore automatico come piccole formiche in cerca di cibo.

Sono arrivata al radiatore con le gambe, sì, ma non ho ricordi dell'ora precedente. Amnesia! Accipicchia! Ancora! All'improvviso mi sento frustrata, perché ho la sensazione che non cambierà mai nulla: vivrò e morirò con amnesie. È degna di essere vissuta una vita del genere? Senza ricordi duraturi e con la paura che possa dimenticare l'aspetto o la voce di mia madre o di una persona a me cara...

Mi trovo spalmata sul radiatore perché sento freddo e spero tanto che non mi stia ammalando. Mi porto la mano alla fronte per testare la temperatura e mi sembra che tutto sia sotto controllo: non scotto.

Mangio un po' della mia pizza e, dopo il primo morso, la osservo, sbigottita. Non ricordo neanche di averla comprata. È con il rosmarino, ma a me non piace! Con una smorfia di sdegno la ripongo nel mio portapranzo.

Un ragazzo dagli occhi come il cielo e i capelli troppo biondi, lunghi fino alle spalle, mi osserva, anzi mi sta proprio fissando. Quegli occhi... li ricordo bene.

Lui è Nash, il ragazzo che mi piace da un'eternità, praticamente da tutta la mia giovane vita. Mi sta facendo un gesto di scuse con le mani, unendole tra loro davanti al petto, chiudendole a mo' di preghiera. Gli sorrido, arrossendo; sono in imbarazzo, non so che altro fare, lui incatena le pupille alle mie. Perché tutta questa confidenza? Lui non sa neanche che esisto! Oddio, Nash! Lui mi ha-ha Karin interrompe i miei pensieri sorpresi.

«Non dirmi che il ragazzo più fico della scuola si è appena scusato con te?» esordisce Karin, spostando lo sguardo da me a Nash.

«Chi? Nash Rainbow?» mi attorciglio le mani davanti al corpo.

«Ti ha fatto un gesto con le mani! Mi stai nascondendo qualcosa?» aggrotta le sopracciglia

«Ma figurati! Saresti la prima a saperlo! Te lo direi immediatamente. Mi piace da...»

«... Da quando hai cinque anni, sì, lo so. Me lo hai ripetuto almeno una ventina di volte, come anche il fatto che sei sicura sia la tua anima gemella...» mi sorride, accondiscendente.

«Ma lui lo è davvero!» quasi urlo e metto il broncio incrociando le braccia al petto con disappunto perché non mi crede.

«Sì, sì, sai quante ragazze di questa scuola ne sono convinte? È praticamente perfetto! Tutte lo desiderano, ognuna di queste ragazze nel corridoio sogna di sposarlo. Non sei la prima, né l'ultima.»

«Anche tu?» domando palesemente delusa.

«No, io sono l'eccezione alla regola» risponde con un sorriso raggiante che mi trasmette sicurezza e fiducia.

«Saprai la verità il giorno in cui ci uniremo in un rito civile e avremo tre figli» replico, sicura di me.

«Perché tre?» domanda sorpresa sghignazzando. Mi sta prendendo in giro e questo la diverte.

«Uno si sentirebbe solo, due sono troppo pochi, e tre è il numero perfetto.» rispondo seria, fissandola.

«Va bene.» risponde, soffiando su una ciocca di capelli, stanca di discutere su un argomento tanto futile, almeno per lei.

Si vede che non mi crede affatto; io, invece, sono certa di quello che dico. Lui è il ragazzo con cui invecchierò, è così, lo sento.

Non ho finito di mangiare la pizza, il rosmarino mi disgustava, quindi adesso ho ancora fame.

«Vado a prendermi un caffè» dico a Karin.

«Ti accompagno!» esclama, e mi raggiunge, quasi prendendomi per mano, ma alla fine mi passa il braccio sulle spalle.

Mentre siamo in fila, sto per perdere la pazienza e per un attimo mi sento strana, come se il mio umore stesse cambiando da un momento all'altro. La mia attenzione viene però spostata su una figura molto alta che mi si avvicina lentamente.

«Ciao» mi saluta. È un ragazzo.

Non alzo subito gli occhi perché mi sembra di riconoscere il calore della sua voce. Sento una morsa stringermi lo stomaco, con una tale severità da farmi mancare il fiato. Gli osservo le scarpe, delle banali Converse nere; ha le gambe lunghe, porta dei jeans scuri. Il mio sguardo, accompagnato dalla mia testa, si alza lentamente, sfiorando il suo corpo così perfetto.

Dei brividi mi percorrono le ossa; non ho freddo, ho la pelle d'oca. Una fiamma di desiderio mi avvolge. È lui. Lo riconosco, è la mia fiamma, la mia anima gemella, la mia stella.

Alzo gli occhi e finalmente lo guardo dritto nelle pupille; mi manca il respiro, sento che potrei implodere da un momento all'altro. Il suo sguardo mi ustiona, fa male, brucia ogni singola parte del mio corpo. Le gambe tremano e le percepisco crollare sotto il mio stesso peso, come fossero fatte di ricotta.

«Ciao» sussurro, come se non arrivasse abbastanza aria ai polmoni. Il cuore mi batte nel petto talmente forte che ho paura possa sentirlo anche lui.

Smettila di guardarmi così o sarò costretta a fuggire via, per paura tu possa leggermi nell'anima! Distolgo lo sguardo, perché non sopporto più quel contatto visivo.

Karin mi dà una gomitata nelle costole che mi fa trasalire; mi volto verso di lei e ricevo un occhiolino beffardo.

Nash

Luce.

Vedo Lucy dirigersi verso il corridoio a sinistra.

Starà andando a prendersi un caffé, dal momento che il precedente è caduto a terra per colpa mia.

«Vado alla macchinetta» dico a Markus, alzando il braccio e aprendo la mano in un saluto.

«Ok, a dopo» lui fa lo stesso di rimando, schioccando la lingua.

Mi avvicino a Lucy, la osservo dall'alto: lei è piccolina, un metro e sessantacinque circa, mentre io uno e novanta.

«Ciao» la saluto.

Torreggio su di lei, mi viene voglia di prenderla in braccio e proteggerla per quanto è piccola, ho sempre la sensazione di doverla difendere.

È in compagnia di quella sua amica con i capelli rossi, ma io ho occhi solo che per lei.

Segue con lo sguardo la mia figura, probabilmente si sta chiedendo chi io sia. Forse mi sono avvicinato troppo, ma non ho resistito.

I capelli castani le ricadono sul viso. Alza piano lo sguardo finché i suoi occhi non incontrano i miei e mi trafiggono il cuore, mi sfondano il petto. Sento il viso arrossire e lei inclina dolcemente la testa. Mi piace come mi guarda, come se mi conoscesse da tempo e sapesse tutto di me. Mi smarrisco nelle sue iridi dello stesso colore dell'oceano e mi sento come un musicista che si lascia ispirare dalla sua musa.

Le prendo una ciocca di capelli e gliela fermo dietro l'orecchio, mentre lei arrossisce e abbassa lo sguardo.

Dio, quant'è bella...

«Be' io torno in classe, devo copiare gli appunti di ieri, ci vediamo dopo!» dice la sua migliore amica, ammiccando.

«Scusami, per prima... non volevo venirti addosso.»

Giusto... prima! Se solo me lo ricordassi! «Ma figurati! Non ti preoccupare!» rispondo lo stesso, fingendo di sapere a cosa allude.

«Mi sei sembrata arrabbiata.»

«Davvero?» Io arrabbiata con lui? Penso proprio non possa essere possibile. Non me lo ricordo.

«Sì, eri irriconoscibile» dice con voce flebile, quasi sussurrando.

Cosa diamine sarà successo?

«A ogni modo, questo caffè lo offro io, per farmi perdonare» mi sorride con dolcezza.

Coffee in the morning - James Price

As of now we're far away

But it doesn't mean that's how our hearts will stay

If you call on me, oh darling, can't you see?

I'll be beside you still

Happiness is coffee in the morning sitting by your side

«Ma davvero, non ce n'è bisogno!» Cerco di insistere e tappo il buco delle monete del distributore per non fargliele inserire.

«Se ne vuoi uno, sarai costretta a togliere quella mano da lì!»

«Lo farò quando non potrai accorgertene!»

«Possiamo aspettare fino a domani, allora, perché non ho intenzione di distogliere gli occhi da te», afferma sogghignando.

Mi strizza l'occhio e il mio cuore fa le capriole dalla gioia.

«Fidati di me, è necessario» mi sorride, affabile, ed è il sorriso più bello che io gli abbia mai visto fare, anzi, mi correggo, il più bello della mia vita. Uno sul quale vorrei stampare le mie labbra.

Alcune ciocche di capelli ribelli gli carezzano la guancia, incorniciandogli il viso. Maledizione! Odio il suo viso! Odio i miei occhi! Odio quello che provo per lui!

Quanto mi piace... Se solo sapesse che il mio cuore è suo di diritto e che aspetto il suo bacio da dodici anni...

«Cosa vuoi?» mi chiede, indicando il distributore con un cenno del capo.

Un bacio. «Un cappuccino» rispondo, arresa.

«Ma quello di prima era un espresso...»

Arrossisco. «Sì, ma adesso mi va' un po' di latte. O pensi che io sia troppo grassa per potermelo permettere?» picchietto l'indice sul mento. Ma che ho detto? Sto facendo una figura da scema!

Il suo sguardo si fa perplesso. «Punto primo, non lo penso affatto, e punto secondo, non ti direi mai una cosa del genere. Stai benissimo così.»

Mi sciolgo come un gelato d'estate. Divento ancora più paonazza, percepisco le lentiggini schizzarmi via dal viso per nascondersi.

Prende il mio bicchierino e me lo porge, poi inserisce altre monetine e spinge il bottone per un altro cappuccino. Presa anche la sua bevanda calda un minuto dopo, ci avviciniamo alla finestra del corridoio e ci sediamo sul davanzale. Accavallo le gambe e ci poggio le mani che stringono il piccolo contenitore fumante. Lui le osserva e si lascia sfuggire un sorriso.

«Che c'è?» Arriccio le labbra e sostengo il suo sguardo.

«Hai le mani da pianista» mi dice. «Mia madre aspetta sempre che suoni tu, perché non vede l'ora di ascoltarti, dice che sei un angelo.» Quelle parole mi scaldano il cuore.

Arrossisco così tanto da dover nascondere il viso tra le mani. «Non puoi dirmi una cosa del genere, Nash!»

«Sì che posso, se è la verità.»

Cosa intende farmi capire? Che anche per lui sono un angelo? Cavolo, Nash, sii più chiaro!

«Sei Lucy?»

«S-sì, sono io... perché?» Si ricorda il mio nome! Oddio! Sa chi sono!

«Prima mi hai detto di non esserlo, mi hai addirittura mandato a quel paese.»

Alt! Cosa? Cosa ho fatto?!

Nash

Mi osserva come se non volesse farsi sfuggire alcun dettaglio del mio viso; riconosco quel suo sguardo, lo stesso che ha quando legge: di ammirazione e stupore.

Chissà a cosa sta pensando ora... I miei pensieri invece sono tra le stelle, perché lei me ne ricorda una.

La guardo e i suoi occhi sono così magnetici. Potrei scriverci sopra una poesia. Una poesia? Santo cielo, sono proprio andato!

Mi viene da ridere, le sorrido con imbarazzo prima che scoppi in una fragorosa risata.

Una volta gliene scrissi una, tanto tempo fa, ma non gliela consegnai mai, e per fortuna! Avrei fatto la figura dello stupido.

Lei inclina la testa e mi fissa negli occhi con aria interrogativa.

La poesia recitava così:

Le tue iridi sono come il mare in tempesta

La tua bocca come una fragola succulenta, laccata di rossetto in un giorno di festa

I tuoi capelli così soffici come una coperta

Io ti guardo e tu guardi me perché ne sei certa:

Ti amo e questo è tutto ciò che siamo

Noi due uniti

A baciarci finché non saremo sfiniti.

Improvvisamente suona la campanella: la ricreazione è finita. La magia si conclude, svanisce come nuvole al vento.

«Be', allora, buona giornata» le dico, felice di aver avuto il coraggio di parlarle.

«Anche a te!» mi sorride, e io faccio altrettanto.

Ci dirigiamo alle aule della prossima lezione.

Sono di buon umore. Finalmente sono riuscito a parlarle e lei si è ricordata persino il mio nome.

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