4 Punizione

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La punizione più grande è starti lontano,

perché il non vederti mi fa soffrire come se fossi colpevole.

Lucy

Luce.

Apparecchio per il pranzo e mi siedo come al solito a capotavola; sento un buon profumino di cipolla e carne macinata provenire dalla cucina. Che fame! Non ho fatto colazione per colpa di quel dannato rosmarino.

Mia madre ha preparato la pasta al ragù e io non vedo l'ora di mangiare. Per via della fame tremenda mi sono dimenticata della questione dello psicologo; o meglio, ho deciso di vederla sotto un'altra ottica.

Forse è meglio così, avremo la sicurezza che non è un problema psicologico, e magari si convinceranno anche loro.

Mio padre si siede alla mia destra, come ogni giorno; abbiamo i nostri posti fissi come in tutte le normali famiglie. Ci scambiamo uno sguardo affabile, poi lui mi chiede: «Com'è andata oggi a scuola?», e mi sorride con dolcezza, probabilmente perché si sente ancora in colpa per poco prima.

«Come sempre, ma al compito di letteratura francese del mese scorso ho preso una A» gli sorrido di rimando, compiaciuta.

«Congratulazioni!» È felice per me e gli occhi gli si illuminano d'orgoglio.

Mia madre si avvicina con la pentola e serve un po' di pasta a mio padre, poi viene da me. Con il mestolo ne prende una bella porzione e, posandola nel piatto, uno schizzo di pomodoro finisce sui miei pantaloni. La chiazza di sugo rosso e olio si spande sul tessuto con estrema velocità.

Buio.

Moon

Luce.

«Cazzo, mamma!»

«Lucy Moon Laiden! Non si parla così a tua madre!» mi urla contro mio padre, furioso.

«Cazzo, ma fai attenzione!»

Lui mi guarda torvo.

«Ecco perché devi andare dallo psicologo, Lucy» afferma lei dolcemente, come se non le avessi detto niente di cattivo.

Non ci faccio più caso a quel "Lucy"; è da quando sono piccola che tutti mi chiamano con il mio secondo nome... come se Moon non esistesse, e forse è davvero così. Forse io, Moon, non esisto.

«Stasera sei in punizione!» Mio padre è arrabbiato e deluso del mio comportamento.

«Che giorno è oggi?» domando con cipiglio, guardandomi attorno per cercare una risposta. Con le innumerevoli amnesie, ho perso la percezione del tempo.

«Sabato, e tu starai a casa.»

Lo guardo, ammutolita; non so come replicare. In casa comanda mio padre; io e mia madre siamo succubi di un patriarcato. «Non è giusto, papà» mi oppongo.

«Invece sì, sei maleducata e te lo meriti. Starai a casa, Lucy.»

Ho l'appuntamento con il ragazzo biondo! Dannazione! «No, stasera no...» il mio tono suona come una supplica.

«Farai come ti dico, se non vuoi rimanerci per tutto il resto del mese.»

«Cazzo!» impreco ad alta voce, mentre mio padre mi fulmina con lo sguardo. «Ok, come ti pare» alzo gli occhi al cielo.

«Faresti meglio a studiare matematica stasera, dal momento che in quella materia scarseggi.»

«Vado in camera mia...» dico, innervosita e con tono stanco; prendo il mio piatto e faccio per dirigermi nella mia stanza.

«Sì, meglio» afferma lui con disinteresse, picchiettando l'indice sul tavolo con nervosismo.

«Vai, cara, riposati» dice invece mia madre con dolcezza, sempre con quell'aria sottomessa.

Mi dà sui nervi questo suo comportamento remissivo; non lo sopporto proprio, come se fosse sempre sua la colpa. Ma mia madre è troppo buona per averne.

Appena entrata in camera, mentre mangio, mi metto a disegnare un po', per lo più immagini minimal, di quelle fatte con un'unica linea di matita che non viene staccata dal foglio, rigorosamente in bianco e nero. Passo il pomeriggio a rigirarmi sul letto; provo persino a concentrarmi sui compiti, ma mezzora dopo sono ferma sulla stessa pagina. Aaah! Al diavolo!

Dopo un po' prendo la box della musica e vado in bagno, sbattendo la porta della stanza con il piede e provocando un forte colpo che fa tremare gli infissi. Mi spoglio, aprendo il rubinetto della doccia per far scaldare l'acqua.

Accendo la box e la metto al massimo volume per infastidire volutamente i miei genitori; vado sotto il getto caldo, che rilassa i nervi tesi, e sento scivolare via nello scolo tutta la rabbia che mi pervade.

Così va molto meglio.

«Lucy?» mi chiama mia madre.

«Sììì» le urlo, per farmi sentire nonostante il volume alto della musica.

«Stai facendo la doccia?»

No, gioco con le paperelle. Ma che razza di domanda è?

«Sbrigati, devo andare al bagno. Tuo padre e io dobbiamo uscire!»

Meno male.

Mi lavo anche i capelli e passo la spugna sul corpo con movimenti veloci. Quando ho finito, mi avvolgo un asciugamano attorno al corpo e uno sulla testa, e mi lavo i denti con energia. Non si sa mai... Sorrido al pensiero.

Prendo il phon e mi dirigo in camera con una spazzola. Mi posiziono davanti allo specchio e inizio a districare i capelli, poi indosso la biancheria intima, rigorosamente nera, e mi siedo sul letto con le ante dell'armadio aperte, per cercare qualcosa da indossare che non sia rosa o giallo canarino.

La maggior parte dei miei vestiti è colorata e da ultraottantenne, neanche ai mercatini vintage li venderebbero... possibile non abbia niente di nero?!

Trovo in fondo all'armadio un paio di jeans e una canottiera senza maniche proprio di quel colore.

Indosso il pigiama per non destare sospetti. Farò finta di andare a dormire da brava ragazza. Accendo il pc e faccio partire una serie tv. Aspetto che i miei genitori escano di casa per finire di prepararmi.

Mia madre fa capolino e, con un grande sorriso, mi dice: «Buonanotte, tesorino», e viene alla scrivania dove sono seduta per darmi un bacio in fronte. «Fai la brava! Torniamo verso le undici, ma sono sicura che tu dormirai già.»

Contaci un ghigno aleggia involontariamente sulle labbra.

«Bussare no?» aggrotto le sopracciglia.

«La prossima volta» ridacchia lei.

«Penso che rimarrò alzata a vedermi un film, dal momento che sono in punizione...!»

«Solo per stasera» ammicca con un sorriso.

Mio padre la chiama dal piano di sotto: «Marieee?»

«Arrivo!»

La saluto e lei se ne va richiudendo la porta dietro di sé, accompagnandola per non fare rumore. Li osservo dalla finestra dirigersi alla macchina, salire e andarsene.

È il momento.

Lascio la mia postazione e vado a prendere la trousse. Mi trucco: spando un po' di fondotinta con il pennello, poi del blush; metto l'eyeliner e del mascara, e infine un rossetto rosso Chanel.

Non sarà troppo? penso per un attimo. Ma poi guardo la mia immagine riflessa nello specchio e mi compiaccio. Chi se ne frega!

È il momento giusto per uscire. Prendo la borsa tascapane nera, metto gli stivaletti scuri Dr. Martens e la giacca di pelle, ed esco. Mi avvio a piedi verso il centro della città. Sono circa due chilometri, ma ho talmente tanta adrenalina in corpo da non sentire la stanchezza del tragitto nelle gambe. Sono incredibilmente emozionata, come non lo ero da tempo, dalla mia ultima uscita con un ragazzo due anni fa: un certo Michael. Ci baciammo in riva al lago, poi lui partì per la Francia e non ci vedemmo né sentimmo più. Meglio così, non sapeva farci.

Arrivo al Cinema e mi siedo su una delle panchine attaccate al muro dell'edificio, e aspetto il ragazzo dai capelli biondi. Duro poco, non riesco a stare ferma, così mi alzo e, accendendomi una sigaretta, comincio a fare avanti e indietro per lo stretto viale alberato; sono agitata, sembra mi abbia morso una tarantola!

Non so da quale direzione arriverà, ma dovrebbe raggiungermi a momenti, sono le 20:02.

È da prima di cena che non ho amnesie, per fortuna... che siano finite?

Vedo Malek arrivare, ma allo stesso tempo sento qualcuno chiamarmi alle spalle. È Karin. Oh, Dio mio, mi perseguita... Che diamine vuole ancora? La guardo accigliata.

«Ciao, sei in anticipo!» mi dice lei.

«Anche tu, evidentemente.» Non so cosa avevamo in mente di fare, ma cerco di svignarmela, ho previsto di meglio per stasera!

«Entriamo?» mi prende sottobraccio per avviarsi all'interno del Cinema.

«Ehi, ragazza scontrosa! Dove te ne vai? Abbiamo un appuntamento, ricordi?» esclama Malek, che si avvicina con passo felino e in modo talmente sexy da farmi rabbrividire.

«Ehi... ragazzo vergine.»

«Lo hai chiamato vergine???» domanda la carota accanto a me, con gli occhi fuori dalle orbite. «Lucy, ma da quando siete così in confidenza?»

«Sì, be', è da qualche giorno che ci parliamo», le rispondo spavalda.

«Hai un appuntamento con lui?!» mi guarda, sempre più sorpresa.

«Sì, è così strano?» arriccio le labbra.

«Cavolo, Lucy, è una vita che attendi questo momento!»

«Be', posso andare con lui? Mi dai la benedizione?»

«Certo, vai!»

Le sorrido. Forse è più simpatica di quello che sembra.

Mi avvicino a Malek, che è vestito in modo molto simile a me. «Dove mi porti di bello?» sogghigno disinvolta.

«È una sorpresa.» Mi regala un occhiolino e io cerco di contenere il fremito che mi provoca nella pancia.

Ci avviamo per la strada principale; sto lontano da lui, lo seguo a tre metri di distanza. Passiamo tra file di case tutte uguali e arriviamo a un incrocio, poi svoltiamo a destra. Ci addentriamo in un viale e ci ritroviamo di fronte a un edificio illuminato. Fuori ci sono due lampioni e accanto alla porta è appesa una targa vintage con scritto: "Bib's Pub", in verde su una lastra di metallo gialla; in rilievo, accanto alla scritta, c'è un boccale di birra chiara.

«Questo è... un pub» inarco un sopracciglio, perplessa. Perché un pub?

«No, mia cara, è molto di più! C'è una sala da biliardo all'interno e l'ho prenotata per due ore. Hai tempo a sufficienza per battermi, ma dubito che tu ci riesca, sei troppo imbranata.»

«Certo, e tu rimani un coglione cieco e vergine!»

Mi dà sui nervi questo suo atteggiamento. Mi fa sentire sempre una stupida! Fosse per la mia parte razionale, sarei già andata via, ma purtroppo qualcosa in lui mi attrae come una calamita e non riesco a tornare a casa.

«Allora? Che hai da guardarmi così?» mi domanda lui.

«Osservo come sbavi per me, vergine.»

«Non è che, tanto tanto, la vergine sei tu?»

«Vuoi insegnarmi qualcosa?»

Malek

Insegnarti no, ma fare l'amore con te tutta la notte, sicuramente sì. Mentre penso a lei nuda, mi eccito, e per un attimo mi sento a disagio, ma poi subentra in me una sorta di menefreghismo. Questa ragazza è così sfrontata. Non c'è niente di male, sono un uomo, dopotutto.

Mentre entra nel locale, mi cadono gli occhi sul suo fondoschiena e una fiammata mi sale dal basso ventre.

«Mi stai guardando il culo, morto di fame?», chiede aggrottando le sopracciglia.

«Ti metto alla prova.»

«Perché?» domanda lei, ingenua.

«Per vedere quanto riesci a trattenere la tua eccitazione mentre ti guardo», mi passo la punta della lingua sulle labbra per punzecchiarla.

Lei in risposta mi lancia un'occhiataccia, e io sogghigno. Colpita e affondata.

Entro anche io e noto che la sala principale del locale è completamente piena. Richiudo dietro le spalle la porta in legno scuro a vetri gialli.

«Cosa vuoi bere?» le chiedo, passandomi il dito sul bordo della bocca.

«Una coca-cola andrà benissimo.» Mi sorride senza frenarsi ed è la prima volta questa sera. Quanto è bello il suo sorriso.

«Se vuoi una birra, puoi averla, conosco il barista...»

«Rimango sulla Coca, grazie» mi rassicura.

Mi avvicino al bancone e saluto il barista con un paio di pacche sulle spalle.

«Vi accompagno nella saletta, seguitemi» ci dice, indicando una porta in fondo.

Gli andiamo dietro, mantenendo una certa distanza tra noi. Lei mi guarda ancora male. Ti farò cambiare idea, dolcezza.

«Eccoci arrivati. Lì appese trovate le stecche e qui le biglie. Il triangolo è al muro.» Il barista ci dà tutte le indicazioni per iniziare la partita, poi ci porge le bibite che abbiamo ordinato.

Lei prende il bicchiere di vetro con la coca-cola alla spina e si siede sul divano in velluto verde posto nell'angolo; si toglie la giacca, poi anche il cardigan e mostra le sue braccia delicate, ma muscolose. Si mette comoda e sorseggia la bevanda fredda. Prende uno dei cubetti di ghiaccio nel bicchiere e se lo infila in bocca, masticandolo e succhiandolo. Il rumore è simile al ticchettio che producono un paio di scarpe col tacco che camminano su un pavimento in marmo.

La trovo sexy da morire, ma non è ancora il momento di fare alcuna mossa.

Mi siedo accanto a lei, mantenendo sempre un po' di distanza, e il nostro sguardo si muove sul barista che ci dà spiegazioni.

Moon

«Grazie», gli rispondiamo in coro.

Il barista mi si avvicina e mi bisbiglia all'orecchio: «Cerca di farlo perdere, altrimenti chi lo sente poi...»

Io gli sorrido. «D'accordo, ci proverò, promesso.» Dico queste parole guardando Malek.

«Ci conto!» Saluta e scompare dietro la porta da cui siamo entrati.

«Passami il triangolo, faccio io» mi dice lui con un guizzo di sicurezza.

Sembra prenda seriamente il gioco, quasi troppo. Non credo mi lascerà vincere con molta facilità. Glielo porgo, sfilandolo dal chiodo al muro.

Prepara tutto, poi spacca le biglie, mirando a quella bianca con la stecca. In questo modo si distribuiscono tutte sul tavolo da gioco.

«Ok, io ho quelle a colore pieno, tu quelle con la striscia.»

«Ok, professionista» lo prendo in giro.

Mi posiziono al meglio e miro una biglia con la striscia verde.

«Sei sicura di quello che stai facendo?»

«Allora, non iniziamo a rompere le scatole facendo il giocatore master della situazione, dai sui nervi.»

«Ok, come non detto...»

Quindi colpisco la bianca, che prende di striscio a destra quella che era il mio obiettivo, facendola spostare leggermente verso sinistra, e avvicinandola al buco nell'angolo.

«Ahia, c'è mancato poco!» schiocca le dita, mentre io lo guardo con occhi pieni di sfida.

«Sarà per la prossima!» gli sorrido, diffidente. «Ho ancora tempo...»

«Non prendertela comoda, se non vuoi perdere» mi fa la linguaccia e in quel momento intravedo un oggetto di metallo nella sua bocca.

«Hai un piercing?», domando con gli occhi sgranati.

«Sì, sulla lingua, lo vuoi assaggiare?»

«Sei disgustoso.»

«Peccato, peggio per te, non sai che ti perdi.»

Lo immagino bene, invece, purtroppo.

Lui ovviamente imbuca subito due biglie al tiro successivo. Sbuffo e soffio su una ciocca di capelli che mi ricade sul viso, mentre Malek mi sorride gongolando. Arriccio il naso, perché mi dà fastidio la sua esagerata tranquillità.

«La tua è solo fortuna» sputo, «fortuna del principiante.»

«Sì, dite tutte così.»

«Ah, sì? Quindi le porti tutte qui la prima volta?»

«Quasi sempre, l'altra metà delle volte le porto direttamente a letto.»

«Ti piacerebbe scopartele!» Ma quanto è spocchioso?

«Chi ti dice che io sia ancora vergine? Ne sei così certa?» Alza le sopracciglia, sicuro di sé.

Mi ammutolisco. Giusto, perché ne sono così convinta?

Ci riprovo con un'altra biglia; faccio due giri attorno al tavolo e prendo il bicchiere di Coca per berne un sorso frizzante, poi mi sporgo sul piano da gioco proprio davanti a lui: il mio sedere si piega di fronte ai suoi occhi. Mi diverto a stuzzicarlo un po'. La biglia, però, va in una direzione completamente diversa da quella calcolata.

Una volta osservato il fiasco totale del mio tiro, lui esclama: «Spostati, sta a me», e mi dà una pacca sul sedere.

Alzo la mano per tirargli uno schiaffo, ma lui mi blocca il polso con la sua. «Nessuno si vuole fare male stasera» sibila a un passo dalla mia faccia.

«Allora tieni le tue mani e il tuo piercing al posto loro» sputo.

«Va bene, scusa.» Molla la presa e alza le mani in segno di resa, anche se la sua espressione rimane beffarda.

Lui chiaramente ne imbuca altre due e mi fa la linguaccia.

«Sempre fortuna si chiama» dico, mentre dentro di me, e non solo, perdo la speranza di poter vincere.

«Dai, stavolta ti aiuto, prima che ti esca il fumo dalle orecchie per la rabbia.»

«Ok...» dico, poco convinta. Poi aggrotto le sopracciglia quando mi si avvicina, perché non voglio che mi tocchi.

Mi posiziono per tirare, quasi stendendomi sul tavolo, lui si avvicina e allunga le braccia attorno alle mie, stringendomi le mani.

«Sai, vero, che questa posizione potrebbe essere fraintesa?!» dico a denti stretti. Non oso muovermi per non urtarlo inavvertitamente.

«Ok, ricevuto» sogghigna e allenta un po' la presa. «Quella con la striscia rossa, la vedi?!»

«Sì» bisbiglio.

«Con un colpo secco ed energico colpiamola sul lato destro, in questo modo andrà nella direzione opposta. Così, al tre.» La sua voce è ferma e professionale, quindi mi lascio guidare e seguo le sue istruzioni.

«Uno.»

Mi preparo, inspirando profondamente.

«Due.»

Il mio cuore scalpita, espiro.

«Tre!»

Mi gira di scatto verso di lui, facendomi poggiare col sedere al tavolo da gioco. Ho le braccia lungo il corpo, le mani ancorate al ripiano in legno. Posiziona le sue sulla mia schiena, quasi in un abbraccio.

Sono bloccata, mi ha colta alla sprovvista.

L'aria si fa densa e carica di desiderio; si respira ovunque, i miei polmoni ne sono pieni. Senza che io abbia il tempo di dire o fare qualcosa, chiude gli occhi e poggia le sue labbra sulle mie.

Dura una frazione di secondo: la sua bocca è morbida, proprio come l'avevo immaginata.

La reazione successiva lo lascia senza parole. La mia mano lo colpisce sulla guancia in maniera talmente forte da fare un rumore simile a un palloncino che scoppia. Lui si porta subito il palmo sul punto dolente, e dice solo una parola, in maniera fin troppo calma: «Ahia!»

Sulla pelle arrossata per il colpo, c'è il disegno delle mie cinque dita.

Lui, inaspettatamente, ride. «Ok, questo me lo sono meritato!» esclama. «Sapevo che non sarebbe stato così semplice! Credimi, so che non sei una ragazza facile.»

«E comunque ci hai provato lo stesso!»

«Sono un uomo, Moon.»

Lo fulmino con gli occhi. «Sei proprio uno stronzo, altroché!» Lo ammazzo! «Ancora non hai capito che non tutte le donne ti sbavano dietro?»

«Non l'ho mai pensato!» risponde, sulla difensiva.

«Come ti pare, ma scordati che ti baci! Non sei il mio tipo, sei un pavone sbruffone, e soprattutto sei l'ultimo a cui cederei una parte del mio orgoglio.» Gesticolo con le mani, perché sono nervosa e agitata.

«È di questo che si tratta? Del tuo orgoglio?» aggrotta le sopracciglia.

«Anche, sì.» Ho il fiatone, come se avessi corso una maratona. Non mi piace l'effetto che mi fa. Sono incazzata nera!

Lui si avvicina di un passo e io mi ritrovo inchiodata nelle sue iridi color del mare. Rabbrividisco, e per un momento temo che voglia riprovarci, invece si mette al mio fianco e riprende a giocare come se nulla fosse accaduto.

Malek

Dopo la fregatura del bacio, mi sono meritato uno schiaffo e dovevo aspettarmelo da una come lei. Ricominciamo a giocare; tolgo di mezzo la sfera gialla. Lei ci riprova: imbuca quella con la fascia blu, ma a me manca solo quella rossa e la nera per vincere.

«Hai avuto sfortuna, mi dispiace», sogghigno imitando una faccia triste per lei. «Però, ora che ho la vittoria in pugno, posso esprimere un desiderio.»

«Del tipo?» alza un sopracciglio.

«Voglio un bacio» dico, e mi avvicino, mentre lei indietreggia.

«Scordatelo, vergine.»

«Puoi smetterla di chiamarmi così?»

«E perché?»

«Perché... stai ferendo il mio orgoglio maschile» le dico con finti occhi tristi.

«E tu hai ferito il mio da vincitrice imbattibile, siamo pari!»

«Vincitrice imbattibile?» trattengo una risata, e lei mi guarda in modo truce. «Ok, ok, va bene lo stesso» mi affretto a dire. Ci manca solo che si incazzi ancora di più.

«Andiamo a fumare?», chiede per cambiare argomento; ci rimettiamo le giacche e usciamo fuori, e lei si adopera subito per estrarre il porta tabacco e prepararsi una sigaretta.

«Ne vuoi una compatta già bella e finita?» Gli porgo una sigaretta perfettamente rollata.

«Non ci penso proprio. Fumare è un rito, la parte più bella è rollarsene una! Se me la dai già pronta, il gusto scompare.»

«Ok.»

«L'attesa aumenta il desiderio» ammicca.

Ragiono sulla sua affermazione e cerco di capirla. So cosa vuole dire: è come annullare l'attesa in un incontro, è il momento più intenso.

C'è la preparazione, la curiosità di conoscere qualcuno, l'emozione e l'adrenalina dell'ignoto, e quando finalmente l'incontro avviene, tutto finisce dritto al suo posto. Così è per lei prepararsi una sigaretta: aumenta il piacere di godersela alla fine, ha tutto senso.

"L'attesa è essa stessa il piacere", come disse Lessing.

Quando ha finito mi porge l'accendino. Io me lo passo tra le dita, ridendo; lo osservo da vicino e intanto continuo a sghignazzare.

«Ti sento ridere, non sono sorda. E ho una spiegazione» alza lo sguardo e le restituisco un'espressione dubbiosa. «L'ho trovato per strada» dice, puntigliosa, e appena finisco di accendere la mia sigaretta me lo strappa dalle mani per rimetterlo in borsa. Che tipa!

Una ventata fredda e violenta ci scompiglia i capelli; tiriamo e in sincrono sputiamo il fumo. Una nuvola bianca si spande su di noi. Lei guarda in alto per osservarla, e gli occhi le si illuminano di una luce piena di sorpresa e meraviglia.

Non so neanche per quale motivo, le prendo la mano e gliela stringo in una carezza.

«Stai simpatizzando con l'arma del delitto?» mi chiede sorridendo. Almeno non mi ha azzannato la mano!

Il suo respiro caldo mi solletica la pelle del viso. È tutto così perfetto in quel momento, è pura magia. Moon sbatte le palpebre, incredula, perché si rende conto che la sto guardando come non avevo mai fatto finora. Abbiamo giocato, ci siamo punzecchiati, ma ora c'è qualcosa. Desiderio.

Vorrei averla più vicina, carne a carne.

«Ho fame» mi dice con un sorriso, distogliendo lo sguardo dal mio.

«Anche io» mi affretto a rispondere, e le lascio la mano. «Andiamo a prenderci un pezzo di pizza. Aspetta solo che vado a salutare James, il barista, e poi sono tutto tuo!»

«Sono disposta a spartirti con qualcun altro» mi stuzzica.

«Già ti sei stufata di me?» Sporgo il labbro in fuori, come i bambini.

«Potrei sopportarti ancora un pochino» ride, facendomi la linguaccia.

Dalla porta guardo James e noto che si stanno comunicando qualcosa. Lei fa spallucce e con il labiale gli dice: «Ci ho provato», e lui le sorride.

Sono quasi geloso, mi dà fastidio come si guardano, la loro intesa mi irrita.

Andiamo a comprare da mangiare, e poi ci sediamo lungo il porto; io mi sdraio su una roccia, mentre lei si siede accanto a me: alza lo sguardo in cielo e mi indica la luna.

«È piena! Stupenda, rimarrei ore a fissarla...»

«Ho tutto il tempo che vuoi.»

«Ma io no! Devo essere a casa per le undici.»

«Sarai felice di sapere che sono le dieci e mezza.»

«Cazzo, devo andarmene subito!» Scatta in piedi e afferra la borsa.

«Già mi abbandoni? Sarò costretto a ubriacarmi per il resto della serata» la guardo con occhi tristi.

«Puoi sempre accompagnarmi» alza gli occhi al cielo, in una finta esasperazione.

Alla fine, abbiamo intesa.

«Sarà fatto!» Mi metto in piedi con un balzo e le offro la mano.

Run run run - Phoenix

You know, I tried to, now I'm running outta lies
It's a clear view, when all you are is g'tting' paid
No more favors, I know what we can do about it
I think I'd better run, run, run

Lei la afferra e comincia a correre; le sto dietro, finché non si ferma sulla parte opposta del marciapiede, di fronte a una villetta a schiera.

«Eccoci, quella è casa mia!» mi sorride e indica l'abitazione con un cenno, ma poi i suoi occhi felici si spengono in un attimo.

«Cosa succede?»

«I miei sono tornati prima...»

«E allora?» sollevo le sopracciglia.

«E allora dovrei essere in punizione...» abbassa lo sguardo con un po' di vergogna.

«Oh-oh» dico semplicemente, incrociando le braccia al petto.

«Ci vediamo a scuola» mi saluta lei, allontanandosi con estrema lentezza, come se non volesse staccarsi da me.

Entra in casa e ne riesce due minuti dopo, correndo nella mia direzione.

«Già di ritorno? I tuoi non ci sono?»

«Shhh» mi zittisce, posando l'indice sulle mie labbra. «Apri la mano.» Io la assecondo e lei mi poggia un biglietto sul palmo, ci sono dei numeri scritti sopra. «Se e quando avrai voglia, scrivimi» mi sorride.

«Voglio un altro appuntamento!» le urlo dietro, mentre sta per entrare in casa.

«Tutto a suo tempo!» replica.

Moon

«Tutto a suo tempo!» mi volto per guardarlo un ultimo istante.

Entro in casa e mi chiudo la porta alle spalle, cercando di fare il meno rumore possibile. Mi sfilo le scarpe e le poggio nella scarpiera; mi muovo come un felino, con passi veloci e sordi, facendo attenzione a dove metto i piedi.

Salgo verso la mia camera, ma inchiodo al terzo scalino, perché la voce di mia madre rompe il silenzio.

«Chi era quel bel ragazzo?» chiede, con una nota di rimprovero.

«Mamma, scusami, scusami tanto per essere uscita, ma non ti dirò chi è lui. Non sono affari tuoi.» Mi volto a guardarla.

«Lo so... è proprio per questo che te lo chiedo. Sono sempre affari miei, sei mia figlia, e mi preoccupo per te.»

«Mamma, era solo un ragazzo e ho diciotto anni, non sono una bambina» inizio a esasperarmi.

«Questo lo so, ma preferirei non scappassi di casa.»

«Papà lo sa?»

«No, e non sarò io a dirglielo.»

«Ok...» la guardo perplessa. «Vado a dormire, buonanotte.»

«Buonanotte, Lucy.»

«Moon» replico.

«Buonanotte, Moon» mi lancia un bacio con la mano, ma io noto nella sua espressione un accenno di sofferenza.

Non ho tempo per questo. Sono stati loro a mettermi in punizione per una stupidaggine!

Mio padre sta guardando la tv in camera, sento la voce del notiziario delle ventitre. M'infilo il pigiama e mi lavo i denti, in silenzio. Non ho voglia di litigare con lui adesso. Sono stata talmente bene stasera che non voglio rovinare il mio buon umore.

Non mi capita spesso di sentirmi così appagata...

Buio.

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