6 - Psicologo

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"Senza emozione, è impossibile trasformare

le tenebre in luce e

l'apatia in movimento."

- Carl Gustav Jung -

Exit Music (for a film) - Radiohead

Breathe, keep breathing
Don't lose your nerve
Breathe, keep breathing
I can't do this alone

Lucy

È lunedì, e questa mattina ho l'appuntamento con lo psicologo; non andrò a scuola per questo motivo, sono giustificata.

Mi preparo: indosso un paio di jeans azzurri con alcune parti consumate e un maglione giallo a strisce rosa con il collo arrotondato. Non mi trucco, non ce n'è bisogno per andare dal dottore. Nel frattempo mia madre mi aspetta di sotto in cucina, seduta all'isola, a bere un caffè.

Appena sono pronta, scendo e le dico: «Eccomi! Possiamo andare».

Non sono preoccupata. Secondo mio padre, i miei sbalzi d'umore sono frutto dell'adolescenza, e io la penso come lui. Mia madre, invece, sembra ansiosa. Mi accompagna, ma più per paura che faccia qualche pazzia e non mi presenti all'appuntamento.

Saliamo in macchina, mi allaccio la cintura e sento il nervosismo salirmi in gola, tutto d'un tratto non sono più tranquilla. Andava tutto bene fino a due minuti fa! Cerco di non pensare a cose strane, devo avere fiducia in me. Io sto bene.

«Allora, sai cosa dire?» mi chiede la mamma.

«Più o meno» rispondo, fingendomi calma.

«Ricordati, Moon...»

«Lucy» la interrompo.

«... Lucy, sii sincera se vuoi essere aiutata.»

«Certo, lo sarò.» Abbasso lo sguardo e inizio a passarmi il bordo della maglia tra le dita.

Parcheggiamo in uno spiazzale sotto alcuni alberi e c'incamminiamo verso lo studio del medico. Suoniamo al citofono che riporta la dicitura "Dott. Black - medico psicologo".

«Sì?» la voce della segretaria prorompe dal piccolo altoparlante.

«La signorina Laiden» dice mia madre, prontamente.

«Salite, terzo piano.»

Un "clack" apre il portone e noi varchiamo la soglia. Mi sudano le mani. Saliamo gli scalini beige in marmo e lascio scivolare le dita sul corrimano. Il freddo del metallo mi fa rabbrividire e mi riscuote.

Arrivate al piano, suoniamo il campanello all'ingresso: un pulsante color oro su una piccola lastra dello stesso colore. Una signorina giovane, probabilmente sui trent'anni, vestita con un elegante tailleur grigio chiaro, e uno chignon senza un capello fuori posto, ci fa entrare.

«Accomodatevi nella sala d'attesa qua accanto, verrete chiamate a breve. Il dottor Black ha quasi fatto.»

La ringraziamo con un cenno del capo e ci accomodiamo sulle sedie della saletta. La stanza è tutta bianca; in alto sulla porta svetta un condizionatore che rilascia una lieve brezza fresca. Nell'angolo, una pianta a foglia larga regala l'unica nota di colore in quell'ambiente asettico. Mi guardo attorno, l'agitazione inizia a farsi palpabile. Mi mordo l'interno della guancia sperando che il dolore possa calmarmi, ma il gesto non ha molto successo. Un ragazzo, all'incirca della mia età, è seduto di fronte a me e quello accanto a lui è, in tutta probabilità, suo padre; si assomigliano molto. Entrambi hanno i capelli e gli occhi neri come la pece.

«La signorina Laiden?»

Mi volto di scatto. Un uomo di mezza età, con gli occhi di ghiaccio, mi fissa dalla porta.

«Salve, sono la madre di Lucy.» mamma si alza e gli stringe la mano.

Il dottore le sorride, cordiale, e poi sposta la sua attenzione su di me. «Allora, andiamo?» mi domanda, senza smontare l'espressione calma e pacata.

«Sì» squittisco, lanciando un ultimo sguardo a mia madre. Lei ricambia con occhi dolci per incoraggiarmi.

Seguo il medico all'interno dello studio e mi siedo a una grande scrivania in radice di noce. Lui si accomoda dal lato opposto, accavallando le gambe e incrociando le mani su di esse. Si infila gli occhiali dalla comune forma rettangolare e mi scruta.

«Hai diciottoanni, giusto? Nata il 30 maggio.»

«S-sì» deglutisco a fatica, poi respiro profondamente. Non è il momento di farsi prendere dal panico.

«Come stai?»

«Bene» mento, perché in realtà sono fuori di me dal nervosismo.

«Iniziamo con qualcosa di semplice per sciogliere il ghiaccio.»

«Ok.» Sono disorientata.

«Ti farò vedere alcune immagini astratte in bianco e nero e tu dovrai dirmi cosa ci vedi dentro. Semplice, no?»

«Sembra di sì.» Come no!

«Non frenarti, dimmi la prima cosa che ti viene in mente, di getto. Iniziamo.» Il dottore mi mostra un foglio. «Prima immagine.»

«Una farfalla.»

«Sicura?»

«Sì...» E che ne so?

«Non c'è una risposta giusta o sbagliata» puntualizza lui. «Seconda.»

Inclino il capo di lato per decifrare meglio quello che ho di fronte. «Un uomo senza testa» dico poi.

«Mmmh.» Appoggia il gomito sul ginocchio e la penna sulle labbra, e inizia a picchiettare con movimenti ritmici. Poi china la testa verso sinistra e segna attentamente su un blocchetto tutti i dati che gli riferisco, mentre mi fissa con insistenza; mi mette a disagio, forse lo fa apposta.

«Sembri una ragazza molto tranquilla...»

Lo sono! «Dicono che ogni tanto divento... irascibile.»

«Mmmh, capisco, e tu ti senti così?»

"Sii sincera" mi aveva detto la mamma. «Delle volte mi sento strana, mi sale tanta rabbia improvvisamente, e sono... furiosa.»

«E cosa faresti durante questi tuoi momenti di rancore?»

«Sbranerei chiunque mi stia davanti.» ridiamo entrambi.

«Ma riesci a controllarti, presumo.»

«Ci provo...»

«Hai mai provato l'ipnoterapia?»

«No, non so nemmeno cosa sia.»

«L'ipnosi non modifica la persona né la sua passata esperienza della vita.
Serve a permetterle di imparare di più su se stessa.
La trance terapeutica aiuta a superare i limiti appresi, così da poter pienamente esplorare e utilizzare le proprie risorse» dice Black. «Nell'uomo ci sono due settori: quello conscio, ovvero quando si è svegli, la razionalità, e quello inconscio, ovvero l'insieme delle nostre esperienze, il nostro vissuto. Delle volte, però, le capacità nell'inconscio possono essere nascoste o dimenticate. E l'ipnosi serve proprio per risvegliarle e per fare esperienze che risultano come vissute realmente dalla razionalità. Il mio lavoro è comunicare con l'inconscio.»

Dopo la sua spiegazione, mi osserva. «Allora, vogliamo provare?»

«Ok» rispondo, ma dentro di me sono preoccupata, perché è un'esperienza che non conosco. «M-ma, in pratica cosa facciamo? Mi farà guardare un pendolo ed entrerò in trance?»

«No, quello accade solo nei film» ride. «Dove ti trovi a tuo agio? Qual è un luogo dove ti senti bene?»

«In biblioteca, credo...» Che c'entra questo?

«Qual è la tua materia preferita a scuola?»

«Letteratura francese» Queste domande mi sembrano inutili.

«Cosa ti piace fare nel tempo libero?»

«Leggere e ascoltare musica.»

«Ottimo. Sdraiati sul lettino e mettiti comoda, rilassati. Non avere paura.»

Mi avvicino al lettino bianco in pelle e mi distendo, chiudendo gli occhi. Lui è in piedi accanto a me, sento il suo camice che mi sfiora il braccio. Poi inizia a parlare:

«Sei distesa in una stanza buia, ma ti alzi ed esci, percorri un corridoio e raggiungi una sala che ha un soffitto molto alto; si tratta di un luogo maestoso, tutt'intorno all'atrio ci sono scaffali ricolmi di libri».

Io ascolto attentamente, cercando d'immedesimarmi in ciò che racconta. D'un tratto tutta la mia pelle prende a formicolare e perdo il senso della realtà. Mi sono addormentata? Silenzio, non parla più e, anzi, lo sento respirare.

«L'odore dei libri ti fa sentire bene, leggera e nel posto giusto» riprende. «Da un lato ci sono delle scale in legno che portano al primo livello, dove si trovano scaffali con tomi di ogni genere: piccoli, grandi, spessi, fini. Sei incuriosita e ficchi il naso tra pagine e pagine, ti addentri sempre di più nella libreria, sali di piano in piano. Incontri una persona che sta leggendo un libro, è seduta su un divanetto in velluto verde bosco, poggiato al muro; la giovane donna ha le gambe accavallate e sta leggendo Molière. La osservi bene, ma poi decidi di continuare il giro. Trovi un volume che sembra interessarti, lo prendi e ti appoggi a una colonna per analizzarlo. Si tratta di Baudelaire, e una poesia ti colpisce:

La Musique - Charles Baudelaire

La musique souvent me prend comme une mer!
Vers ma pâle étoile,
Sous un plafond de brume ou dans un vaste éther,
Je mets à la voile;

La Musica - Charles Baudelaire

Spesso è un mare, la musica, che mi prende ogni senso!
A un bianco astro fedele,
sotto un tetto di brume o nell'etere immenso,
io disciolgo le vele.

Altre volte bonaccia, grande specchio ove scorgo
la mia disperazione!

Finito di leggere la poesia, lo riponi di nuovo al suo posto e continui ad addentrarti tra le mensole. Arrivi fino all'ultimo livello e dall'alto osservi l'immensa vecchia biblioteca. Tra i tomi c'è polvere sparsa come zucchero a velo su una torta. Prendi un altro volume: "Simbologia e significato dei segni zodiacali", e scorri fino a quello dei gemelli, il tuo.»

Ancora una volta sento il respiro regolare del dottore, che procede a ritmo con il mio.

«Leggi ad alta voce: "Caratterizzato dal numero due, che indica dualità. Il mito più famoso è quello di Castore e Polluce, conosciuti anche come Dioscuri e figli di Zeus, una divinità celeste e un eroe spartano. Erano gemelli, nati da Leda, ma si dice che lei li avesse concepiti separatamente, unendosi nella stessa notte prima con Zeus e poi con suo marito, il re spartano Tindaro: dall'unione con il dio sarebbe nato Polluce, dotato di natura immortale; da quella con Tindaro, il mortale Castore." Terminato di leggere, adesso lentamente torni indietro verso la stanza, ma continui a percorrere il corridoio fino all'uscita dell'edificio. L'aria fresca ti riempie le narici. Guardi nella tua borsa e noti che hai portato via con te un libro: Il candido di Voltaire, lo leggerai appena tornata a casa. Ti allontani dalla biblioteca, lasciandotela alle spalle, e continui fino a non scorgerla più. Cammini con passo svelto. Adesso tranquillamente ti risvegli, ti riavvicini alla tua coscienza e apri gli occhi...»

E così faccio. Mi sembra di aver fatto un pisolino e di aver sognato. Sto per alzarmi dal lettino, ma il dottore mi ferma posandomi la mano sulla spalla per trattenermi seduta.

«Fai con calma, quando ti senti pronta, non essere troppo frettolosa.»

«Posso dire una cosa?»

«Devi.»

«È stato strano... ho dormito.»

«A te sembra di averlo fatto, ma in realtà il tuo inconscio era tutto fuorché addormentato!»

«Posso dire un'altra cosa?»

«Certo!» Adesso il dottor Black sta sorridendo.

«La ragazza nella biblioteca, chi era?»

«Dimmelo tu» esclama lui.

«Era uguale a me. Sembravo io, ma allo stesso tempo non lo ero...» Non so se ha senso quello che sto dicendo, ma non saprei spiegarlo diversamente.

«Hai notato altre differenze?»

«Sì, sembrava arrabbiata... e indossava colori scuri, il mio esatto opposto» dico, osservandomi i vestiti sgargianti e fuori moda.

«Mmmh.»

«Non è strano?»

«No, direi di no, il nostro subconscio lavora di continuo e lo stava facendo anche il quel momento.» Detto questo si allontana dal lettino e torna alla scrivania per appuntare altre cose sui suoi fogli. Poi torna su di me. «L'ora è passata, quando ti senti pronta possiamo tornare da tua madre. Continueremo con questo lavoro la prossima volta.»

Passano cinque minuti di silenzio in cui siamo entrambi molto pensierosi. Cerco di analizzare il mio stato d'animo. Mi sento bene, non mi fa male niente e sono abbastanza tranquilla. Direi che posso andare.

«Pronta!» esclamo allora, scendendo dal lettino.

Ci dirigiamo alla sala d'attesa, mia madre ci vede arrivare e si alza. Osserva il dottore con un'espressione indecifrabile, ma lui le sorride.

«Viva e vegeta» afferma, tranquillo.

«Grazie» dice lei, che noto essere preoccupata. «Allora, dottore? Che problema ha?»

Lui ride. «È ancora presto per capirlo! È necessario dell'altro tempo. Queste cose non si risolvono alla prima seduta. Abbiate fede e pazienza.»

Mia madre abbassa lo sguardo, un po' in imbarazzo.

«Alla prossima, allora.» Si stringono la mano.

«Arrivederci» diciamo io e lei in coro.

Paghiamo la seduta alla segretaria e prendiamo il prossimo appuntamento per dopodomani. Lasciamo lo studio e ripartiamo verso casa, ma sono silenziosa, più del solito.

«Come mai così taciturna?»

«Niente, sto solo pensando.» Faccio la vaga, ma la verità è che non so esattamente cosa pensare. Qualcosa è successo lì dentro, ma cosa?

«Ok...» Mia madre mi guarda, ancora preoccupata.

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