7 - Incontro inaspettato

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L'incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche;

se c'è una qualche reazione, entrambe ne vengono trasformate."

– Carl Gustav Jung –

Lucy

Torniamo a casa per pranzo; mio padre, Karl, ha cucinato il pollo arrosto, perché il lunedì è il suo giorno libero.

Mangiamo insieme e accendiamo la tv per vedere il telegiornale. Ma nel mondo non succede niente di nuovo, la solita cronaca nera.

«Com'è andata?» mi chiede papà, aspettandosi una risposta che però non giunge subito, perché non so cosa dire.

«Credo bene...»

«Credi?» I miei genitori alzano le sopracciglia.

«Sì, be', abbiamo fatto l'ipnositerapia» spiego.

«Ma che bravo psicologo! Con me funzionò molto bene questa tecnica.»

«Sì, mamma, per il tuo problema! Il mio non sappiamo neanche quale sia!»

«Se vuoi andare da un altro professionista, basta che lo dici e lo cerchiamo» mi dice lei, comprensiva. Non riesco più a sopportare il suo sguardo compassionevole.

Mi ricordo degli occhi come il ghiaccio del dottore, che mi trasmettevano sicurezza e serenità. «No, torniamo da lui» rispondo, decisa. Lui mi aiuterà.

«Sicura?»

«Sì, lo sono» le sorrido, cercando di mostrarmi tranquilla. «Dopo pranzo vado a studiare da Karin» dico poi.

«Fate i compiti?»

«Sì, ci prepariamo per il compito in classe di Filosofia.» Ieri non ho studiato nulla... Nash mi ha deviata dallo scopo di quella giornata al porto.

«Bene, allora preparerò un ciambellone, così puoi portarne un pezzo per la merenda» ammicca.

«Ok!»

Finito di mangiare, sparecchio la tavola e mi metto a suonare un po' il pianoforte. Devo esercitarmi di più prima del saggio. Mia madre intanto inforna il dolce.

«Mamma, chiamami quando è pronto, così mi avvio. Salgo in camera, nel frattempo.»

Mi sdraio sul letto e penso a Nash... Il suo tocco delicato, il bacio, che mi ha fatto venire le vertigini, lui, che è perfetto. Sapevo che un giorno sarebbe successo. Noi due! Lo devo raccontare a Karin!

Accendo Netflix e guardo un film romantico, che si abbina perfettamente alle farfalle nello stomaco che ho da ieri pomeriggio. Dopo un'ora mia madre mi chiama dal piano inferiore:

«Lucy! Il ciambellone è pronto!»

Prendo il mio zaino e scendo di sotto.

«L'ho arrotolato nella carta stagnola, sta lì, sull'isola.»

Lo prendo e lo infilo nella tasca della giacca, che è abbastanza grande per contenerlo. Le sorrido e le stampo un bacio sulla fronte. «Grazie, mamy, a stasera!»

«Saluta Karin da parte mia.»

Prendo l'autobus 62 alla fermata vicino casa. Sta per iniziare a piovere, infatti faccio appena in tempo a salire sul mezzo, che il cielo comincia a piangere. Mi siedo nel primo posto libero e apro il libro di Molière, il Don Giovanni, e con le cuffie dell'iPod nelle orecchie, inizio a leggere.

Another Love – Tom Odell

I wanna sing a song that'd be just ours
But I sang 'em all to another heart
And I wanna cry, I wanna fall in love

Nash sbuca da dietro il mio sedile, mi toglie la cuffietta bluetooth bianca dall'orecchio e mi sussurra: «Dovresti leggere Filosofia, ieri non ti sei impegnata molto».

Mi volto, colta alla sprovvista, e inchiodo nei suoi occhi. Accidenti, smetterà mai di farmi questo effetto?

Ritrovo una parvenza di contegno. «È proprio quello che sto andando a fare!» rispondo, risoluta.

«Ah, sì? e dove?»

"Non sono affari tuoi" gli dovrei rispondere, ma affermo semplicemente: «Dalla mia migliore amica». Non voglio che pensi che gli sbavo dietro dopo ieri. Non ancora, almeno.

«E dove vive?»

«In Lion Street.»

«Ma guarda, è proprio dove devo andare anche io» ammicca.

Che coincidenza, eh? Sta scherzando, spero!

Spingo il bottone per la prenotazione della fermata, chiudo la zip della giacca e metto il libro di nuovo nello zaino.

«Accidenti, non sei riuscita neanche a leggere Molière! Anche oggi giornataccia per lo studio!»

«Il pomeriggio non è ancora finito, ho ancora tempo» esclamo, sorridendogli compiaciuta.

Intanto ha smesso di piovere e ne sono felice. Mi sarebbe scocciato davvero bagnarmi per due passi a piedi!

Nash

Sto scherzando e spero lo capisca, mi piace stuzzicarla un po'. È così carina quando mette il broncio.

Usciamo insieme dall'autobus, lei si dirige spedita verso una stradina perpendicolare a quella che stiamo già percorrendo. Svolta a destra e cammina sul marciapiede, rimettendosi la seconda cuffia nell'orecchio, come per non volermi ascoltare.

Le sto così antipatico? Eppure ieri non mi pareva proprio. Sta fingendo anche lei?

«Mi stai seguendo?» interrompe il silenzio.

«In realtà devo andare anche io in questa direzione.»

«Sì, certo, come no...»

«Giuro!» E io sto dicendo la verità, anche se non mi crede.

Mantiene una notevole distanza, come non voglia la mia compagnia, ed è un peccato perché a me la sua è mancata da quando ieri pomeriggio è rientrata in casa. E ha lasciato le mie labbra.

Si ferma davanti a una casa bianca con la staccionata rossa. Karin, la "ragazza carota", come la chiamiamo ironicamente Markus e io, le viene incontro nel viottolo e si abbracciano a metà strada tra il cancelletto e la porta d'ingresso. Si vede lontano un miglio che Karin vuole molto bene a Lucy; la stringe forte e le sorride con tenerezza.

Io sono dall'altro lato della strada e le osservo, facendo finta di allacciarmi le scarpe. Si voltano insieme verso di me e io mi maledico per averla seguita. Sto facendo la figura del coglione...

Mi salutano con un minimo gesto della mano, senza impegnarsi troppo. Lucy è in imbarazzo, lo noto dagli occhi nervosi che si guardano sempre intorno in cerca di salvezza. E quando entrano in casa, lei si gira verso di me un'ultima volta e mi sorride, timida. Io ricambio e le faccio l'occhiolino.

Finalmente un sorriso.

Posso finalmente raggiungere il mio psicologo nello studio, perché lei è in buone mani e posso stare tranquillo. E poi perché sono riuscito a strapparle un cenno di interesse. Tengo molto a lei, anche se non la conosco così bene.

Di norma non credo nel destino, ma se ci siamo incontrati su quell'autobus un motivo deve pur esserci! Ma non solo sull'autobus, c'è qualcosa che mi lega a lei.

Siamo come due calamite, c'incontriamo e rincontriamo nei momenti e nei luoghi più impensabili. Collidiamo senza volerlo. Un motivo deve esistere! mi ripeto, mentre percorro la strada che mi separa dallo studio del dottor Dilon.

Lucy

«Prima che me lo dimentico, mia madre ti saluta, e» tiro fuori dalla tasca l'involucro di carta stagnola, «ci ha dato un po' di ciambellone per la merenda. Eccolo.»

Glielo porgo e lei lo posiziona su un piatto in ceramica verde acqua. Prepara poi due bicchieri con succo d'arancia e, indicandoli, dice: «Questo, invece, lo offre mia madre».

Scoppiamo a ridere entrambe. «Mi sa che hanno paura che rimaniamo senza cibo» dico, bevendo un sorso di aranciata.

«Ok, adesso mi dici cosa sta succedendo?» mi chiede lei, incrociando le braccia.

«In che senso?»

«Sei uscita con Nash...!»

«Non proprio uscita... ci siamo incontrati per caso al porto.»

«Daiii, non parlo di quel giorno, ma di sabato!»

Sabato? Ma non dovevo uscire con lei sabato? «Non so di cosa tu stia parlando.»

«Di Malek, dai!» La guardo, ancora più confusa di prima. «Ora si fa chiamare così a quanto pare...» sventola una mano davanti al viso, come se fosse un'informazione superficiale.

«Sono sinceramente confusa...»

«Sì, vabbè. Ho capito, non è andata bene. E Nash che ieri ci provava con te, invece?»

«Sì, con lui sono stata molto bene... Ci siamo baciati e abbiamo pranzato insieme, poi mi ha riaccompagnata a casa.»

Karin spalanca la bocca come un pesce. «Veramente? Non ci credo!» Ha gli occhi fuori dalle orbite.

«Te l'avevo detto!», esclamo facendole la linguaccia, compiaciuta. «Lui è quello giusto.» La fisso, per farle capire quanto siano serie le mie intenzioni.

«È necessario essere in due a dirlo per esserne sicuri» afferma, mentre io rido, perché sono a disagio.

«Mi racconti di sabato? È evidente che io non mi ricordi nulla.»

«Veramente non sai cos'è successo? Hai di nuovo amnesie?»

«Sì, purtroppo.» Abbasso il viso. Questa cosa mi mette sempre una certa angoscia. Potrei fare qualsiasi cosa e non ricordarmela due minuti dopo.

«Dunque, l'altro ieri dovevamo vederci per andare al Cinema, e invece sei uscita con lui.»

«Mi stai dicendo che sono uscita con lui prima di ieri?» Pazzesco!

«Sì, te ne sei andata con Nash, ed eri a tuo agio» continua Karin, decisa.

«Possibile che io abbia rimosso un evento di questa portata?» Sono scioccata. Chissà cosa abbiamo fatto a questo punto! Poi mi viene in mente lo strano SMS di ieri. «Ho ricevuto un messaggio ieri sera, da un certo Mal.»

«Era lui! Fammelo leggere!»

Prendo il cellulare e le faccio vedere il messaggino su WhatsApp.

Lei rimane senza parole, e anche io, perché lo avevo accantonato senza rimuginarci troppo. Alla luce delle nuove rivelazioni, però, quelle parole assumono un altro significato.

«Cos'è successo ieri sera? Pensi di aver perso la verginità?!» Karin sta diventando isterica e la cosa non mi aiuta per niente.

«Non credo, dovrei sentirmi... diversa? Non dovrei almeno ricordarmi questo?»

«Non lo chiedere a una ragazza vergine» alza le mani, «sinceramente non credo cambi poi molto.»

«Chissà...»

«Credi di aver fatto sesso con lui?»

Deglutisco. Non posso saperlo. «Queste continue amnesie mi fanno perdere la percezione della realtà.»

«Posso solo immaginare, deve essere terribile...»

«Come faccio a capire se sono ancora vergine?» Nascondo il viso tra le mani, in un moto di frustrazione.

«Be'... ginecologo?»

Alzo di nuovo la testa. «Mi rifiuto! Non ci vado per chiedergli se il mio imene è ancora intatto! Sarebbe assurdo!» Ci guardiamo per un attimo e poi non riusciamo a trattenere una risata.

«Lucy, non so che dirti... Lo scoprirai quando farai sesso.»

«Allora aspetterò anni prima di sapere la verità!»

«Pensi che con Nash non succederà?» mi chiede, addentando subito dopo un pezzo di dolce.

«Non per il momento.»

«Vedrai, prima o poi starai meglio e tutto si risolverà.»

«Spero davvero che questo psicologo mi aiuti» sbuffo.

«Lo farà sicuramente, ne sono certa!» cerca d'incoraggiarmi.

Lo fa sempre. È la mia migliore amica, senza di lei mi sentirei persa. L'amicizia è anche questo: appartenere a qualcuno, fidarsi ciecamente, spalleggiarsi a vicenda. E noi siamo questo: due pezzi dello stesso cuore. La mia carotina preferita.

«Iniziamo a studiare?» mi chiede lei, facendo il gesto del braccio di ferro.

«Sì, dai. Altrimenti rischio di non concludere niente anche oggi. Da cosa iniziamo?»

«I sofisti, direi; poi Socrate, Platone e Aristotele.»

«Bene. Voglio impegnarmi e prendere un bel voto; una B, come minimo.» Comincio con il ripetere a voce alta: «Socrate è il più grande dei padri fondatori della filosofia greca, dottrina che trasmette tramite il suo discepolo Platone», affermo.

«Bene, poi?» domanda Karin, che ascolta per rinfrescarsi la memoria.

«Lui afferma che è necessario riconoscere la propria ignoranza per raggiungere la conoscenza. Solo chi sa di non sapere è spinto dal desiderio di conoscere.»

«Giusto, sono d'accordo con lui.»

Le lancio uno sguardo di sbieco e lei mi sorride imbarazzata.

«Il concetto di ironia: facendo le giuste domande, si demolisce la presunzione di chi pensa di sapere tutto. Attraverso il sarcasmo si cerca di mettere in difficoltà l'interlocutore, facendogli ammettere la sua ignoranza.»

«Mi sta proprio simpatico questo Socrate!»

«Smettila di corteggiarlo, non è così che supererai il compito con una A.»

«Non ho mai pensato di prendere un voto così alto! Non sono una secchiona come te» mi fa la linguaccia, sapendo che essere definita tale mi urta alquanto.

La ignoro e continuo: «Il concetto di idea: ognuno compie delle azioni che ritiene "buone", ma spesso ciò che per noi è bene, non lo è per la collettività e la società; non è il concetto universale di "buono". L'unico modo per giungere alla verità, e quindi al bene, è il sapere».

«Come fai a sapere tutte queste cose, Lucy?» Karin sembra quasi invidiosa e io gongolo un po'.

«Leggo» rispondo, sorniona.

«Giusto.»

Il silenzio ci avvolge e procediamo la nostra sessione di studio matto e disperato.

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