II. L'INCIDENTE

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Le tende erano tirate e l'ambiente risultava avvolto nel buio. Dorina s'irrigidì. Forse vedeva male. Sbatté le palpebre. La ragazza che le aveva parlato era immobile, riversa sul sedile, come una bambola rotta vestita a lutto. Gli arti erano scomposti. Le ciocche ovunque. Un giovane dai capelli castani le stava inginocchiato accanto e le tastava il polso, ma la bella straniera non si muoveva, gli occhi chiusi. Se ne stava riversa sul sedile nero. Come addormentata. Oppure...

-Come sta?- non si rese conto di averlo detto fino a quando il ragazzo non la guardò. Un bel giovanotto di circa venticinque anni, con grandi occhi castani e lineamenti delicati. Indossava un cappotto nero di ottima fattura.

-La conoscevi?- domandò.

Conoscevi. Passato. Era... -Lei è... morta?- le gambe le traballarono. Perse la presa sul giornale che cadde con un tonfo. Non si chinò a prenderlo. Temeva che sarebbe crollata anche lei.

Il ragazzo abbassò lo sguardo. -Mi dispiace, avrei dovuto farti sedere- si alzò e le andò vicino, un accenno di sorriso sulle labbra -sono un pessimo studente di medicina, io lo dico sempre a mio padre che avrei dovuto dedicarmi ad altro, ma... che si può fare? Certe cose non si possono cambiare-

Dorina non sapeva cosa rispondere. Troppe informazioni, troppi dubbi, troppo caldo, troppe persone intorno. -Lei... solo qualche minuto fa stava bene- le tempie le pulsavano. Ricordò la ragazza che le aveva parlato. Era impossibile. Doveva essere impossibile che fosse... non sembrava malata.

-Penso... soffriva di una qualche malattia?- lo sguardo castano la sfiorava. Aveva iridi intense. In cui perdersi. -Forse di cuore?-

-Non lo so- un groppo le stringeva la gola.

-Oh... la conoscevi da molto?-

-Da pochissimo- si sentì imbarazzata. Le persone borbottavano intorno a lei.

-Quindi non siete amiche?- sollevò le sopracciglia.

-No, non siamo amiche- le guance le bruciavano. -Abbiamo condiviso la carrozza, ma non per molto-

Il giovane annuì. -Io comunque sono Amadeo Roveto- le porse la mano.

La giovane indugiò, prima di prenderla. La stretta era forte. -Molto onorata, sono Dorina Noser-

-Un brutto ritorno a casa- dichiarò lui.

Non aveva torto. -Questa non è casa- non per davvero. Casa sua era Londra. Oppure i vari luoghi in cui aveva sostato con suo padre. Avevano visitato il mondo. Dorina però continuava a sentirsi una bambina. E a essere confusa.

-Tornate tutti nelle vostre carrozze- urlò una voce.

Amadeo le strizzò l'occhio. -A quanto pare devo salutare-

Dorina annuì. Aveva il cuore incastrato in gola. Non era certa di voler tornare nella carrozza da sola. Forse avrebbe potuto...

Un suono stridulo. Il treno cominciò a frenare e Dorina si aggrappò alla parete. Gelo sotto le dita. Si tenne per non cadere in avanti. Non voleva certo rompersi il naso. Chiuse gli occhi. L'immagine che le assalì la mente fu quella della ragazza. E ripensò all'articolo. Che posto orribile! E al castello avrebbe trovato pure Caterina. Pensò a quegli occhi color ghiaccio e ai capelli biondi come l'oro. Lei e Caterina erano sempre state in competizione. Si erano strappate i vestiti, i libri, i sogni. Da quando ne aveva memoria. Sospirò. Ci sarebbe stato tempo per pensare. Fin troppo.

La carrozza l'attendeva fuori dalla stazione. Impossibile non riconoscerla. Lo stemma della sua famiglia spiccava su un lato. Una falena con le ali nere spalancate. Come un oscuro presagio. Perché Kaas non le aveva mandato un'automobile? Oh, aveva idee da vecchio! Si avvicinò. Aveva lasciato le valigie a un adetto che le aveva garantito sarebbero arrivate a destinazione senza problemi. Aprì la portiera e salì. Fu accolta da un forte odore di polvere. L'interno era deprimente. I sedili erano lisi per il troppo uso. Tutto sapeva di vecchio e di tristezza. Si accomodò con una smorfia. Quanto odiava quelle cose!

-Buona giornata- esclamò, rivolta al cocchiere. Non arrivò nessuna risposta. Ripeté il saluto. Nessuna risposta. Che maleducazione! Si accomodò. Non fece in tempo a chiudere la portiera che la carrozza partì rapida. Tanto rapida che fu sbalzata di lato. Una follia! Ecco cos'era! E le cose sarebbero peggiorate.

Dorina tirò le tendine e provò a riposare, ma era impossibile. La carrozza procedeva a tutta velocità da parecchio tempo. E sobbalzava. Tanto da farle venire la nausea.

-Quanto manca al castello?- gemette Dorina.

Il cocchiere non rispose. Oh, ci mancava solo questo! Un grande maleducato! Ne intravedeva la schiena ampia. Il mantello che frusciava.

-Quanto manca al castello?- ripeté, più forte. Questa volta pretendeva una risposta.

-Pochi chilometri al limitare del bosco- borbottò l'uomo.

Il limitare del bosco? E cosa importava a lei del limitare del bosco? -A me interessa sapere la distanza dal castello!-

-Io non vi porto al castello- la voce era roca.

-Perché?-

-Non sono pazzo, non voglio essere fatto a pezzi da una di quelle... creature- la paura gli faceva tremare la voce.

Creature? -Intendete lupi?- quando era piccola le dicevano di non allontanarsi troppo a causa dei lupi.

-Lupi, se volete chiamarli così- fece spallucce. -Io non mi avvicino-

Dorina sbuffò. Perché Kaas non le aveva scritto che il villaggio era pieno di persone superstiziose? -Il proprietario del castello è disposto a pagarvi qualsiasi cifra se mi portate dentro i cancelli- e poi se la sarebbe vista con lui. Poteva immaginare Kaas che si metteva a discutere con quel cocchiere. Le sfuggì un sorrisino. Si sarebbe divertita.

-Nessuna cifra vale abbastanza per farmi rischiare la vita-

-Addirittura la vita?- cercò di scherzare. Di civettare. A Londra usava.

-Nessuna cifra è abbastanza, con le cose che si muovono nel bosco-

Dorina provò un brivido. Paura. Come quando da bambina sentiva quegli orrendi rumori nel muro. Topi, così la sua governante li spiegava. Topi molto grossi, pensava lei. Peccato che nessuno li avesse mai visti in giro per il castello. Caterina, crudele come sempre, s'inventava molte storie al riguardo. Godeva nel narrare quei racconti. Dorina, piccola e sciocca, ci credeva. Piangeva perfino quando la lasciava sola in quella stanza grande, gelida, buia. Ora sarebbe stata più coraggiosa. Sì, avrebbe...

Il mondo s'inclinò. Dorina finì contro la portiera. Restò immobile. Non riusciva a comprendere cosa stesse succedendo. Un cigolio. Il cuore le batté più forte quando comprese. La carrozza si era inclinata su un fianco. Sbatté le palpebre, incredula più che spaventata. Com'era possibile? E poi sentì il lamento. Non avrebbe saputo dire a che animale appartenesse. Era una specie di grugnito. Qualcosa che aveva ben poco di umano. E molto di animalesco. Lupo? O le creature di cui parlava il cocchiere? Restò immobile, raggomitolata su un fianco, il cuore schizzato in gola. Doveva essere un incubo. Non poteva essere che un bruttissimo incubo. Hilda avrebbe detto che solo lei era capace di trovarsi in una situazione così complessa prima ancora di arrivare a destinazione. Hilda. Il solo pensarla le fece venire le lacrime agli occhi. La sua più cara amica. Quella che un tempo era stata la sua più cara amica. Prima dell'incidente. Prima che ogni cosa...

La carrozza si spostò. Dorina ebbe appena il tempo di aggrapparsi alla portiera che cominciò a rotolare. Sopra, sotto, sopra, sotto. Il mondo le vorticava intorno. Probabilmente quella sarebbe stata la sua fine. Strizzò le palpebre e pregò. L'unica cosa che si poteva fare in una simile situazione. Rotolava, rotolava, rotolava.

Batté la schiena, la testa, le braccia, le gambe. Il vestito le si strappò. Sentiva solo dolore e paura. E quando credette che quell'incubo sarebbe durato per sempre la carrozza si fermò. Contro un albero, suppose. In equilibrio. Fino a quando non fosse caduta di nuovo. Ansimò. Doveva uscire di lì, a qualsiasi costo. Chiamò il cocchiere. Nessuno rispose.

Dorina inspirò l'aria carica di polvere. Era il momento di agire. Non era mai stata una donna d'azione. Al contrario, era più simile a una principessa in difficoltà. Quello però non era il momento per rimanere legati agli stereotipi. Diede un calcio alla portiera. Non si aprì e le provocò una fitta al piede. Strinse i denti. Non si sarebbe arresa. Colpì ancora. Ignorò il dolore. Calciò. Tremava. Colpo dopo colpo. La portiera cigolava, ma non cedeva. Forse leggeva l'animo da principessa di Dorina. Si aiutò con le mani. Colpi, colpi, colpi. Diede perfino qualche graffio. Si ruppe un'unghia. Il dolore la fece gemere. Non si arrese. E alla fine la portiera cedette. Uno stridio. Uno spiraglio attraverso il quale vide delle foglie. Dorina provò una gioia che le diede le vertigini. Sorrise. Poteva farcela.

C'era poco spazio, certo. Dorina però era molto magra. Si attorcigliò la gonna intorno al corpo, cosa poco elegante ma necessaria. Scivolò fuori. I rami le graffiarono il viso, le braccia, le gambe. Strinse i denti. Il cuore le batteva all'impazzata. Ce la stava facendo. Il busto era fuori. L'aria le schiaffeggiò il viso. La inspirò. Stelle enormi illuminavano la strada buia. La speranza la scaldò. Mancava poco. Sarebbe stata libera. E poi un'ombra si avventò su di lei.



NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Che ne pensate di questo capitolo? E cosa credete che succederà nel prossimo capitolo?

A presto ❤

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