III. BENVENUTA A CASA

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Qualcuno afferrò Dorina per il braccio. Una figura possente, incappucciata. Dorina lanciò un grido, da brava principessa indifesa non riuscì proprio a farne a meno, e colpì con un pugno. Il suo aggressore lo schivò e nel farlo il cappuccio scivolò indietro, rivelando un viso dai tratti aguzzi, gli zigomi alti, le labbra carnose, folti capelli neri e... due occhi grigi come la tempesta. La ragazza lo fissò, ghiacciata dalla sua bellezza. C'era qualcosa di familiare in quei tratti, qualcosa di...

-Ti ricordavo più tranquilla- e sollevò gli angoli delle labbra in un sorriso. Un sorriso che assomigliava al ghigno di un lupo. La luce delle stelle disegnava ombre sul suo viso.

-Siete... - e finalmente Dorina capì il perché di quella sensazione di familiarità. –Kaas- esitò.

Lui continuò a fissarla. Senza parlare. La cosa le provocò un brivido. Era quella la creatura a tratti mitologica che si era aspettata. A Londra tutti parlavano di Kaas. Ora però averlo davanti era molto diverso. Molto più che immaginarlo nelle notti solitarie, quando si rigirava nel letto. Quando i ricordi la soffocavano. Quando avrebbe voluto che fosse suo e non di sua zia.

Un tuono ruppe il silenzio. Dorina lanciò un gemito e subito si sentì sciocca. Soprattutto davanti a Kaas. Però con lui faceva sempre brutta figura.

-Si prepara un temporale, dovremmo affrettarci-

Un temporale? Si sarebbe bagnata tutta! Un lampo graffiò il cielo, come a darle ragione. Dorina sospirò. Non voleva rovinarsi l'abito. Sarebbe stato....

Kaas le passò un braccio sotto le ginocchia e uno intorno alle spalle. Senza nemmeno un'esitazione. Forte. Qualcosa in lei vibrò. Come un pugnale nello stomaco.

-Io posso camminare- protestò.

-Non ne dubito- non la lasciò. Cominciò a camminare, la ragazza tra le braccia, come una bambola, i capelli che le ricadevano sugli occhi. Gli alberi le scorrevano intorno, con rami simili a dita scheletriche.

-Non c'è bisogno che mi porti in braccio- scalciò, il cuore in gola. Si sentiva tanto piccola. E fragile. Una bambolina.

-Decido io cos'è necessario-

Dorina avrebbe dovuto protestare. Il problemi con Kaas era che non ne aveva la forza. Si lasciò quindi trasportare e si concentrò su altro.

-Cos'ha aggredito la carrozza?- le sue parole si perdevano contro la morbida stoffa del mantello di Kaas.

-Lupi-

Lupi? Liquidava così la faccenda? -Lupi parecchio grossi- lo punzecchiò.

-Enormi lupi-

E tu cosa ci facevi qui?

Non lo disse. Il suo fu solo un pensiero che si schiantò nella mente. Mantenne il silenzio e lasciò che lui la portasse via. Stretta tra le braccia come una principessa.


Dorina aveva perso il conto del tempo. Sapeva solo che tremava, il respiro che le bruciava i polmoni. Il tocco di Kaas la confondeva. Spostò lo sguardo. Il castello incombeva su di lei. Alte torri, mura grigie, finestre ovali e quadrate. Molto più maestoso e inquietante di quanto ricordasse. Sembrava una vecchia signora che si vestiva a festa, con il trucco esagerato e il passo traballante. Prometteva una notte di solitudine e nostalgia per un passato che non sarebbe più tornato.

Si morse il labbro inferiore. L'ultima volta che era stata lì aveva dieci anni e parecchi centimetri in meno. Ora, alla veneranda età di diciotto anni Dorina era una donna che aveva debuttato nei salotti londinesi ed era trattata con riguardo da tutta l'alta società inglese. Proprio non capiva allora perché l'avessero spedita in quel paesino in mezzo alle Dolomiti. Beh, certo, c'era stato quel piccolo scandalo... poca cosa.

Kaas la posò appena oltre la soglia. Come una sposa. Il pensiero la trafisse come una pugnalata. Lo guardò. Il viso era coperto dalle ombre. Dorina si trovò a pensare che non c'era nulla di più bello di quei tratti. Contrasse la mascella, guardò altrove, inspirò.

Kaas era un uomo sui venticinque anni, con il portamento elegante, folti capelli neri e due occhi grigi come la tempesta. Tutto in lui gridava disciplina e mistero. Le era sempre sembrato una strana creatura mitologica, uscita da una storia. Non una persona vera. Non poteva essere fatto di carne e ossa come tutte le persone. Doveva esserci in lui qualcosa di speciale. D'irreale. Ricordò che con la spada in mano si muoveva rapido come il vento. La sua era una danza letale. Sparava senza bisogno di prendere la mira.

Dorina sentì la gola stringersi. Kaas aveva ucciso sua zia. Di questo lei era certa, nonostante non avesse prove. E adesso Kaas era il suo tutore, fino a quando i genitori non avessero deciso di richiamarla a Londra. Strinse i pugni tanto forte da farsi male. Non aveva mai capito cosa lui provasse per lei. Non sapeva come comportarsi.

Con Kaas non sarebbe servito a nulla il tentativo d'ingraziarselo. Tutti sapevano che era dedito solo al lavoro. A lui non importava neppure del genere femminile. A parte Mirella. Lei era stata l'eccezione. Forse per questo Dorina l'odiava. Perché lui metteva una muraglia tra sé e il mondo, lei compresa.

-Vieni dentro-

Dorina lo seguì, le gambe tremanti. Kaas la precedette lungo un buio corridoio. Il cuore le batteva in gola. L'aria sapeva di muffa. Un'ondata di nausea le risalì in bocca. La soffocò con una smorfia. Lui non doveva sapere. Lo stomaco le si contrasse. Kaas entrò in un salottino tappezzato di velluto rosso. Dorina si fermò a qualche metro da lui, vicino alla soglia.

Kass le dava le spalle. Guardava fuori dalla finestra, le mani unite dietro la schiena, la divisa nera da generale, o qualsiasi altra carica avesse nell'esercito, che gli stava addosso alla perfezione. Dorina vide riflesso nel vetro il viso di Kaas. Il cuore perse un battito. Se lo ricordava diverso. Non con quei lineamenti decisi, le labbra carnose, gli occhi così grigi. Non resse. Abbassò lo sguardo. Le succedeva anche da bambina. Non riusciva a reggere quel maledetto sguardo. Ogni volta si trovava a dover guardare altrove. Sembrava che quelle iridi le scavassero dentro come artigli. Pelle, ossa, muscoli. Qualcosa dentro di lei vacillò. Da bambina aveva invidiato la zia. Aveva osservato quel ragazzo con il desiderio che fosse suo. Ed ora eccola qua.

-Dorina- Kaas non si voltò, ma disse il suo nome con un marcato accento straniero. Non lo aveva mai perso quell'accento. Dorina non sapeva che origini avesse. Tedesche, forse. Oppure... ah, sì, Kaas veniva dalla Transilvania, anche se ci aveva vissuto poco. –Spero che il viaggio sia andato bene-

Una stretta allo stomaco. Non le diceva che era felice di vederla? –Non credo che abbia importanza- voleva mostrarsi rancorosa, voleva mettere una barriera tra di loro, prima che...

-Credi che non m'importi di te?- si girò di scatto. Dorina sussultò e si odiò per questo. Non doveva mostrare esitazione, spavento, o altro. Restò muta, lo sguardo sulle crepe del pavimento di pietra, il cuore che le rombava nelle orecchie. –Lo sai cos'ho fatto non appena ho saputo la situazione della tua famiglia? Ho chiesto che venissi mandata qua, sotto la mia responsabilità- uno scalpiccio.

Dorina sentì qualcosa afferrarle il mento e sollevarlo. Le sue dita, coperte dagli spessi guanti neri che portava sempre. Il mondo s'incrinò ed esplose quando i loro occhi si scontrarono. Dorina strinse i denti. Avrebbe potuto svenire. Aveva sempre avuto l'impressione che Kaas le rubasse l'anima con quello sguardo. Gliela succhiava un po' per volta. Sorso dopo sorso, come si beve un vino prezioso. Forse aveva ucciso sua zia in quel modo. Bevendola. E lei nemmeno se n'era accorta tanto era presa da quello sguardo. Dorina avrebbe solo voluto poter controllare il proprio corpo. Il cuore, il respiro, la mente. Con quegli occhi su di lei, però, era impossibile. E poi inspirò il suo profumo. Tuberosa. Le sembrò di tornare a un pomeriggio, lei bambina che spiava Kaas e sua zia che amoreggiavano sotto un albero, la mano di lui che scivolava dentro il corpetto di lei. Le guance le bruciarono.

-Avreste dovuto lasciarmi a Londra- fu un gemito. Parole di cui nemmeno lei comprese il significato. Se ne pentì non appena vide il volto di lui contrarsi.

-Sei una testarda come tua zia, non capisci- e fece la cosa peggiore che avrebbe potuto fare. La lasciò. A Dorina sembrò di barcollare sull'orlo di un precipizio. Avrebbe voluto allungarsi e aggrapparsi a lui. Non poté farlo. Si piantò le unghie nei palmi per sopprimere l'impulso che le bruciava nelle vene come un veleno. –Io voglio solo il tuo bene, Dorina, per questo ti ho chiesto di venire qua-

-Io non ti ho chiesto di venire, però!- la rabbia la faceva tremare.

-Sei sotto la mia responsabilità- Kaas era calmo. Gelido.

C'erano tutti i presupposti perché la loro convivenza si tramutasse in un disastro.

-Benvenuta a casa- e lui lo disse come se fosse una cosa brutta. Quella però non era casa sua. Non la sarebbe mai stata.



NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di Kaas?

Grazie mille a tutti coloro che leggono la storia.

A presto ❤

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