Federico

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Attenzione: Nel seguente capitolo sono presenti riferimenti espliciti alla depressione, al Disturbo Alimentare e al suicidio. Questi contenuti potrebbero non essere adatti per alcuni di voi.

Un minuto prima di scrivergli ci credevo veramente alle parole nel messaggio, un minuto dopo una tempesta di dubbi mi ha travolto fin dentro le ossa.
Sento che c'è qualcosa che non va, ma non so cosa, e ogni volta che ci penso provo a reprimere l'impulso di rendermene conto, di renderlo evidente.
Tutto quello che mi circonda scricchiola, pronto a disintegrarsi sotto ai miei occhi. Ho come la sensazione che da un momento all'altro potrei rimanere solo senza nessuna ragione. Forse sono già solo e nemmeno me ne rendo conto.
Però Giulio c'è, è lì per me, no? Credo di sì. Anzi ne sono sicuro... certo, sicuro.

Scaldo un pezzo di lasagna solamente perché non voglio che mia madre ci rimanga male notando che non l'ho toccata.
Tornerà domani da una trasferta di lavoro e spero che non faccia troppe domande. L'ultima volta le ho risposto in malo modo e ci sono stato male per giorni.

È nel silenzio della cucina che rimbomba nel cervello il casino peggiore.
Vorrei scrivere a Giulio, ma probabilmente starà già dormendo, non mi va di disturbarlo.
Poi lui non è interessato a queste cose. Non è interessato a me, non gliene frega nulla.
Ma come mi saltano in mente certe cazzate? Ovvio che gli interessi... ovvio.
È davvero così ovvio?

Potrei contattare Michele, lui mi ha sempre ascoltato, lui c'è sempre stato.
Ma ora mi odia. Mi odia? Non lo so. Io non lo odio.
Magari ha cambiato numero, magari non gli fa piacere sentirmi, magari... magari...
Sono patetico.

Ho la nausea già al secondo boccone, al terzo sono con la testa sul water a vomitare.
Mi brucia la gola, la testa mi scoppia. Mi fisso nello specchio sopra al lavandino, non mi riconosco, sembro uno scheletro. Ho due occhiaie enormi, scure, scavate sotto gli occhi persi nel nulla.
Se domani mi sentirò ancora così, non credo che andrò a scuola.

Penso d'essere diventato tutt'uno col letto. Non so quanto tempo sia passato, so solo che non vado a scuola da un po' e che non vedo Giulio dalla nostra ultima uscita. In realtà non lo sento nemmeno, non mi scrive.
Gli ho detto che non stavo bene, un paio di giorni dopo mi ha scritto "ok" e ho sorriso, poi è sparito.
Probabilmente sono io quello che è sparito, lui mi sta solo aspettando, sì probabilmente è così. Il problema è che non ci credo e faccio finta di farlo.
Dopo la sua risposta si è rotto qualcosa, non riesco più a mentirmi, ci ho provato. È come se mi fosse impossibile non vedere la montagna di problemi che ci sono, la montagna di problemi che siamo.
Forse non si è rotto qualcosa, forse qualcosa sta soltanto cercando di rimettersi a posto.

«Amore, come stai?»
Mamma si siede ai piedi del letto come tutte le mattine in questi giorni. Cerca la mia mano, mi sfiora le dita, rispondo a malapena al suo tocco.
«Non benissimo, ma domani torno a scuola.»
Ride delicatamente. Sa che non è vero, ma non dice nulla.
So che ha gli occhi lucidi, che sul punto di piangere, non ho bisogno di guardarla, lo sento da come respira scharendosi la gola.
«Va bene» mormora.
«Vado a fare una spesa veloce. Hai bisogno di qualcosa?»
«No, tranquilla, vado a farmi una doccia e poi magari faccio un giro al parco.»
Sa che non andrò da nessuna parte, così come tutte le altre volte che gliel'ho detto negli ultimi mesi, ma non preferisce parola.
«Ok, a dopo.»
Mi stampa un bacio sulla guancia ed esce dalla camera.

Non mi sta forzando in alcun modo, non l'ha mai fatto e l'ho sempre adorata per questo.
Forse però ora dovrebbe provarci. Forse in questo caso costringermi a vivere sarebbe la soluzione migliore. Ho paura però che potrebbe ottenere l'effetto contrario, che potrei distruggermi del tutto, soprattutto sapendo che sarebbe lei a prendersene tutte le colpe.

Tutti quelli a cui tengo o a cui tenevo hanno notato la presenza di un disagio. Non mi è ancora chiaro se questo "disagio" sia in realtà fatto di carne e ossa, ma credo di sapere la risposta, devo solo buttarla fuori, proprio come le lacrime che si confondono con l'acqua tiepida della doccia che ho puntato dritto in faccia.

Solo uno sembra indifferente a tutto questo.
Forse la mia presenza è talmente scontata per lui che nemmeno ci pensa a una roba del genere.
Forse è così concentrato su sé stesso che anche volendo non si accorgerebbe di nulla.
Forse potrei metterlo alla prova, metterci alla prova. Potrei verificare se ci tiene a me, se sono più del sesso e nient'altro.
Sento il senso di colpa che si fa strada dentro la pancia.
Come posso anche solo pensare delle cose del genere della persona che amo?
Perché lo amo, no?
Se lo amassi lo accetterei per come è.
Lui non mi ha mai detto che mi ama, nemmeno una volta.

Il vetro del bagno è completamente appannato, lo sono anch'io.
Apro l'armadietto dei medicinali, c'è di tutto e di più, mamma vuole essere sempre pronta a qualsiasi evenienza.
Ho le braccia tese ai lati del lavandino, i vestiti sono appiccicosi sulla pelle umida.
Prendo un lungo respiro, di quelli che ti svuotano i polmoni così tanto che le costole e il petto iniziano a farti male.
Riempio il bicchiere d'acqua che uso quando mi lavo i denti.
Allungo la mano verso una confezione a caso di medicine e le butto giù senza pensarci, poi ancora e ancora e ancora.
Un secondo bicchiere d'acqua, altre pillole, un altro bicchiere, ancora medicine, le ingoio come fossero caramelle.

Il bicchiere mi sfugge dalle mani, scivola nel lavandino. Il suono sembra amplificato all'inverosimile.
Indietreggio verso il muro, la schiena tocca le piastrelle scivolose. Scendo verso il basso fino a sedermi a terra.
La testa pesa una tonnellata, il senso di nausea è così forte da impedirmi di mettere a fuoco la stanza.
Faccio fatica a respirare.
Che cosa cazzo ho fatto?
Cerco di avvicinarmi al water per vomitare, ma non ci riesco.
Sento il cuore esplodermi in petto.
È tutto sfocato e soffocante.
Crollo di lato come strattonato da un uncino invisibile.
La guancia sbatte sul pavimento bagnato e mi spengo.

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