Capitolo 14. Cornflake Girl - Tori Amos

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Grandi Sogni era l'unica bottega nel raggio di 500 metri a non avere musica natalizia in filodiffusione all'interno del locale. Ero grata ad Ignazio per non avermi dato l'onere di consumare la testina del giradischi per le Mariah Carey e i Michael Bublé della situazione. Odiavo il Natale. O meglio. Odiavo tutto ciò che girava intorno a questa aspettativa. Il Natale era roba per bambini. La magia che sussurrava dolcemente nelle orecchie dei bambini che Babbo Natale avrebbe attraversato il globo terrestre per consegnare i regali tanto desiderati. Schiacciai il pulsante della radio, già impostata su Freccia, mentre mi dedicavo a un rapidissimo controllo sul registro dei corrispettivi. Il mio libro di Valérie Perrin era fermo alla pagina 93, a prendere polvere sulla mensola, in attesa dei miei occhi a ridargli vita e dignità.

Radio Freccia cominciò a diffondere le note malinconiche di Noel Gallagher, e mi ritrovai a canticchiare nervosamente un motivetto che non mi usciva dalla testa da quando ero montata in bicicletta sotto casa. Lo ignoravo, continuavo a farlo come con la canzone degli 883, ma senza successo. Le parole erano solo un contorno. Avevo questa melodia che mi stava ossessionando, avevo provato pure su Shazam a cercarlo, ma l'applicazione non era riuscita a produrre alcun risultato.

"Basta!" mi sgridai sottovoce, battendo i pugni sul bancone vuoto, e facendo solo tremare il libro di Perrin. Saltai giù dalla pedana per scorrere tra gli scaffali, scorsi con le dita lungo i vari manuali in vendita, finché non trovai quello che cercavo.

"Eccoti!" borbottai, nervosa, sfilando il quaderno pentagrammato, utile per gli studenti di musica.

Sfilai una penna dalla mia borsa, di quelle più mordicchiate e degradate possibili, cominciando a scrivere tutte le note che continuavano a rimbalzarmi in testa come un labirinto senza uscita. Abbassai il volume della radio per concentrarmi meglio, mugolando le note con le labbra, china ma in piedi sul bancone. Il maglione con il collo alto mi pizzicava il collo e mi stringeva, ma continuai a sudare su quelle note scritte freneticamente, con una grafia veloce e irrequieta. I capelli annodati sulla testa si sbilanciarono appena davanti alla mia fronte. Li riportai indietro con la sciarpa azzurra che usavo come fascia.

Sollevai di scatto il quaderno davanti a me, guardandolo come si fa con un quadro, o un disegno, e rilessi le battute che avevo scritto. Me le cantai sottovoce, ripartendo dall'inizio, cambiando il ritmo, modificando qualche accento, sostituendo una minima con una semiminima qua e là e non mi accorsi subito della voce che mi aveva chiamato.

"Posso? Scusi?"

Abbassai immediatamente il quaderno, con un colpo secco sul legno del bancone, trovandomi davanti un ragazzo allampanato, con grandi cuffie a incorniciargli il collo magro, riccioli castani che gli coprivano le orecchie e naso all'insu. La sua felpa, che intravedevo dal giaccone aperto, mostrava un disegno ben riconoscibile del Grinch con la scritta Merry Grinchmas in basso.

"Certo."

Lo osservai aggirarsi tra i libri, sfilando di tanto in tanto qualche volume e sfogliandone le pagine. Le annusava. Riabbassai gli occhi sui pentagrammi scarabocchiati. Il mio motivo era sparito dalle mie orecchie, e si era trasferito sulla carta, e sorrisi tra me e me, scoprendo finalmente il modo per togliermi di torno qualsiasi ronzio dalla testa. Mi ripromisi di suonarlo, una volta arrivata a casa. Non feci in tempo ad afferrare il telefono per dirlo a Dino, che il ragazzo si era avvicinato alla cassa con tre volumi in mano.

"Serve una busta?"

"Sí, grazie."

Mi passò velocemente la carta di credito per il pagamento, e non potei fare a meno di leggere il nome dell'intestatario. Aggrottai le sopracciglia, indecisa se chiedere conferma dell'identità di questo ragazzo italianissimo con un nome straniero, ma non feci in tempo a rialzare lo sguardo che lui mi anticipò con la sua carta di identità in bella vista, a dimostrazione che la sua non fosse una carta rubata. Mi sorrise, comprensivo.

"Origini francesi." Disse e spinse un lato della bocca verso l'alto, fissandomi con i suoi occhi verdi e luminosi dall'aria gentile e simpatica.

"Ok." Ritirò l'acquisto e mi augurò buone feste. Lo osservai uscire dal negozio con la busta dei suoi acquisti in una mano, mentre con l'altra si ributtava le sue cuffie sulla testa riccioluta.

Chissà se sarebbero state veramente buone feste per me, mi domandai, mentre chiudevo il quaderno pentagrammato e lo nascondevo gelosamente dentro la mia borsa a tracolla.

Le storie dei Fabio che scorrevo su Instagram stavano mostrando una sorta di teaser del loro video, in uscita per Natale. Dino era sullo sfondo, sguardo basso sorridente sulla chitarra, canotta a rete dorata che lasciava poco spazio all'immaginazione e jeans chiari strappati a vita bassa, in uno scenario molto simile a un acquario. Il bel visino di Bea era spesso trascurato per dare più spazio, invece, al suo culo, fasciato da calze a rete dorate e bucate, ma il protagonista assoluto era, appunto, Fabio, vestito con un bel completo sobrio di paillettes dorate con tanto di cravatta illuminata con lampadine nere intermittenti. Chiusi per un attimo gli occhi, tormentata da tutto quel brillio, tornando indietro con i polpastrelli e cercando di immortalare quei nano secondi in cui Dino veniva inquadrato per farne un screenshot. Appena fui soddisfatta del risultato, un Dino che saltava con la chitarra fra le mani e il sorriso a denti pieni che piaceva a me, glielo inviai, accompagnandolo con un cuore rosso.

Erano appena passate le 20, una chiamata di papà.

"Chicca, hai saputo di Nicla?"

"Non ci sarà, a Natale, vero?" intuii.

"Mi dispiace tanto, amore mio. Mi ha detto di dirti che ti vuole tanto bene."

Mi vuole tanto bene, lo stesso, aggiunsi dentro di me.

Nonostante tutto, completai.

Sbuffai silenziosamente dentro la coperta di lana che avevo sotto il mento. Kobe alzò appena il muso per osservarmi, interrogativo.

"Perché non ha scritto anche a me, stavolta?"

"Non lo so, forse temeva una tua reazione. Non aveva voglia di discutere. Sai com'è tua madre..."

No. Giuro che non lo sapevo. Non lo avrei mai saputo, di questo passo.

"Papà, oltre alle torte salate, hai bisogno che porti qualcosa di particolare?" volevo essere utile alla famiglia di papà, utile per qualcuno, indispensabile per mio nipote, la ragione di felicità per gli occhi di chi avrebbe aperto i miei regali. Qualsiasi cosa, pur di non pensare a Nicla che quel giorno lo avrebbe passato lontano dalla sua unica figlia. Un altro giorno da aggiungere alla sfilza di Natali persi, senza di lei.

Il suo pacco era arrivato con una settimana di anticipo. Conteneva una lettera prestampata natalizia, delle caramelle mou, le mie preferite, in un sacchetto di nailon decorato, una lunga collana d'oro di Cartier, e un filo rosso da legare al polso, accompagnato dalla scritta: Tendiamo nel vuoto molteplici fili di ragno per formare la tela che possa trattenere la felicità. Avevo riposto accuratamente tutto il contenuto dei suoi regali nel suo pacco e lo avevo spinto in fondo al mio armadio, sfilando solo il sacchetto di caramelle, che avrei mangiato più tardi davanti alla tv.

Nel frattempo, la risposta di Dino si era fatta attendere, ma era arrivata a infondermi un po' di vera felicità:

Quando ho saltato, ho urlato EMILIA! forte.

Gli risposi che non era normale. Lui mi invitò a una videochiamata. Accettai, sdraiata sul letto, con i capelli sciolti e aggrovigliati ad incorniciarmi il viso. Anche lui era sdraiato sul suo letto d'albergo, potei intravedere le sue spalle nude muoversi di tanto in tanto sullo schermo.

Ci guardammo, sghignazzanti.

"Per favore, Dino." Lo incalzai, afferrando un secondo cuscino, da mettere sotto la testa.

"Credevo fossi fuori a bere. O a messa." Dino si portò una mano dietro il collo per mettersi più comodo, il suo viso occupava tutto lo schermo, ma, mentre per i comuni mortali questa inquadratura poteva rivelare le mostruosità più nascoste in ogni poro della pelle, in Dino era tutto perfetto: mascelle tirate in un ghigno divertito, occhi scuri che bucavano lo schermo e provavano a leggermi dentro, riccioli castani che si spostavano di tanto in tanto dalla fronte liscia.
Il suo neo che catturava i miei occhi mentre muoveva le labbra morbide e sorrideva, scoprendo due fossette sulle guance.
Ebbi un tuffo al cuore, al pensiero che avevo avuto questa specie di essere alieno nel mio letto tutti questi mesi.

"A messa ci andrai tu. Io sono solo in ritiro spirituale per il pranzo di domani."

"Vorrei essere lì con te." Sospirò.

"Me lo immagino." Ironizzai.

"Hai questi occhi... faccio uno screenshot, aspe'..."

"No! Dino, asp..." notai la sua bocca aperta, concentrata a scattare il mio stato pietoso di quella sera: "Sarò costretta a prendere provvedimenti per questo comportamento."

"Facciamoci un selfie. Giuro che non lo pubblico. Un selfie così, a distanza."

Sfoderai il mio migliore sorriso, stringendo gli occhi, poi gli augurai la buona notte con un bacio sulla fotocamera. Mi scordai di raccontargli di aver scritto la mia piccola pagina di successo. Ma avrei avuto il tempo per farlo. Dovevo solo superare l'indomani.

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