Capitolo 13. I Want You to Want Me - Fiona Apple

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Strofinavo le mattonelle del bagno, avvolta da uno strano silenzio. La casa era immersa in una quiete a cui non ero più abituata: ogni tanto potevo sentire un paio di zampe grattare nel tiragraffi dal terrazzino coperto accanto alla cucina, le telefonate della vicina al piano di sotto, il ferro da stiro che batteva forte sulla tavola dell'altra vicina al piano di sopra e le urla della coppia nell'appartamento adiacente al mio. Suoni così familiari ma che non sentivo da mesi, ormai. Adesso li ritrovavo, riemergevano dal nulla in cui erano sprofondati, e provavo un sentimento misto di familiarità e avversione. Ricordai perfettamente il motivo per cui non avrei mai più voluto vivere in un condominio di 20 famiglie, stipate in appartamenti troppo angusti, divisi da pareti e solai troppo sottili. Sorrisi tra me e me, al pensiero del meraviglioso e confusionario rumore che regnava in casa, quando Dino girellava per le stanze, suonando e cantando da solo, e provando a rincorrere i gatti. Contro qualsiasi logica, sentivo la sua mancanza fra quelle mura. La sua spensieratezza era contagiosa, chiassosa e anarchica.

Ripensai a quei giorni in cui mi sorprendeva alle spalle, coprendomi il viso con la sciarpa, e provava a farmi suonare al pianoforte in sua presenza. Inizialmente euforica per quella strana modalità di esecuzione, finivo per bloccarmi, e le dita si fermavano dopo poche note. La magia della prima volta non riusciva più a catturarmi. L'emozione era troppo forte, l'intimità troppo profonda persino per Dino, il quale, nonostante tutto, continuava a incoraggiarmi, a bucare quelle barriere invisibili che avevo creato fra me e quel processo creativo. Lui sapeva che era lì, poteva visualizzarlo insieme a me, ma né io né lui eravamo ancora in grado di codificarlo.

Gettai lo straccio umido nella cesta dei panni sporchi, anch'essa quasi vuota. Tirai fuori, con ancora la mano inguantata, una maglietta a maniche corte di Dino, dimenticata in fondo tra qualche asciugamano che aveva usato prima di andarsene. La sollevai con entrambe le mani, inginocchiandomi sul pavimento del bagno, ispirando il suo odore, e ripensai a pochi giorni prima, quando era salito con Bea a caricare le sue cose per una nuova partenza. L'incontro con il manager che li avrebbe messi in lizza per partecipare al festival di Sanremo. Avrebbe bypassato il giorno di Natale, lontano da me, e dalla sua famiglia, e questo esodo forzato ma molto importante per la sua carriera mi aveva esonerato da qualsiasi decisione da prendere riguardo al pranzo tanto atteso, che avrebbe alzato ulteriormente ogni aspettativa sul misterioso ragazzo di Emilia che tutti volevano assolutamente conoscere.

Avevo visto salire Dino e Bea con due borse grandi per uno, e li avevo osservati chiacchierare, nervosi, aggirandosi per le stanze di casa mia.

"Mili, dove ho lasciato quel maglione grigio? Quello con l'etichetta staccata?" Dino si era avvicinato a me, piegando il collo e scompigliandosi i capelli con una mano.

"Deve essere qui..." gli avevo risposto, ma prima che mi voltassi per raggiungere la camera da letto, mi aveva afferrato per i fianchi, stringendo il mio corpo al suo, smorzandomi il respiro.

"Dio, se mi mancherai, Mili." Mi aveva sussurrato sulle labbra, sfiorando le mie e socchiudendo gli occhi.

"Devi stare via solo altre due settimane."

"Non mi scappare, ok?" mi prese il viso con le mani, costringendomi a guardarlo.

"E chi si muove?" feci spallucce, vedendo, con la coda dell'occhio, Bea a braccia incrociate osservare i miei gatti, con lo sguardo basso e circospetto, come ci si osserva tra simili. Sembrava pronta a soffiare, mi aspettavo di vederle spuntare da un momento all'altro una coda e un paio di orecchie a punta sulla sua capigliatura viola.

Aiutai Dino a imbracciare le due borse piene, e lo vidi scendere per caricare la sua macchina. Attesi sulla porta che tornasse poi a prendere la chitarra. E Bea.

"Non hai niente di cui preoccuparti, sai." La voce di Bea mi fece sobbalzare. Me la trovai alle mie spalle, ferma sul corridoio, con le braccia ancora incrociate al petto, intenta a squadrarmi. Il corpetto di pelle nera fatto di lacci intrecciati non riusciva nell'intento di darle un'aria aggressiva come credo lei volesse. Il suo stile gotico non la involgariva, anzi, qualsiasi cosa indossasse questa ragazzina diventava una sorta di anime, uscito direttamente dalle pagine di un fumetto.

"Come dici?"

"Ho detto che non devi preoccuparti per lui. Dino."

"Ok."

"Lo conosco bene, credimi. Lui fa sempre così con le sue...ehm..." agitò le mani per concludere quella parola che non le veniva in mente.

Scossi la testa, cercando di ignorare quel buco che mi si stava formando nella pancia: "Le sue...?" mormorai, fingendo indifferenza.

"Sì, hai capito, l'amore...queste cose qui. Insomma, sto cercando di dirti che Dino ci tiene davvero molto a te."

"Lo so." Feci spallucce, sfilando davanti a lei. Restai ferma, dandole le spalle, imponendomi di bloccare quel martellino che avevo in testa, ma alla fine decisi di approfittare dell'assenza di Dino per continuare. Mi voltai di scatto ed eccola ancora lì, che mi fissava, con un sorriso storto: "Hai detto che lo conosci bene, eh?"

"Certo. È il mio migliore amico." Poi alzò di scatto le mani verso l'alto, affrettandosi ad aggiungere: "E non guardarmi come una che ha chissà quali intenzioni. Ci sono cresciuta insieme, conosco tutto di lui, e non mi sognerei mai di portarmelo a letto."

"Grazie per la tua sincerità." Le risposi, aggrottando le sopracciglia.

"Però. Ti assicuro che se lo fai soffrire sarò costretta a fartela pagare."

"Grazie anche per non aver promesso di uccidermi, allora."

"Non so se ne sarei capace. Solo per quello."

Parlava con un'aria saccente e legava velocemente una parola all'altra. Era una ragazzina davvero spigolosa e mi ricordò molto una giovane me, di molto tempo fa. Mi scappò uno sbuffo dal naso.

"Era tutto il pomeriggio che avevi voglia di dirmelo, vero?" le chiesi, titubante.

"Un po'. Dino è un ragazzo strapieno di entusiasmo. Anche troppo, per i miei gusti, lo so. Quello che fa, lo fa con il cuore, nel bene e nel male. E quando si incazza...beh, prova a immaginare lo stesso impeto che ha ora. Ma al contrario."

"Posso immaginare." Non avevo nessuna voglia di affrontare questo tipo di dialogo con lei. Non era il suo maledettissimo avvocato difensore, le future ed eventuali discussioni che avremmo avuto io e Dino, potevamo gestirle tranquillamente tra noi, senza che nessun altro si mettesse di mezzo, soprattutto non questa ragazzina dagli occhi azzurri truccati con un kajal spessissimo intorno alle palpebre.

"Mi fai vedere il tuo pianoforte?" mi domandò poi, di botto, spalancando gli occhi, e rivelando la sua vera aurea di bambina, scuotendo le code morbide e viola che aveva portato davanti al petto.

Quando Dino e Bea se n'erano andati, alla volta degli studi di Milano, raggiungendo gli altri membri del gruppo, la mia casa era piombata in una tranquillità serena e totale.

Pedalai velocemente lungo le strade trafficate della città, mentre, dopo la mia consueta oretta in piscina, raggiungevo Grandi Sogni per un'altra giornata di lavoro. Avevo gli auricolari ben fissati sotto la mia papalina di lana e i capelli svolazzavano inquieti, picchiando pesanti contro la mia schiena. Ancora con l'abituale If darkness had a son dei Metallica in testa, spalancai la porta del negozio, trovandolo già aperto, con Ignazio occupato a servire un cliente. Mi salutò con un cenno del capo, mentre posavo la mia borsa a tracolla.

Mi tolsi gli auricolari, staccandoli dal mio iPhone e arrotolandoli velocemente tra le dita per ficcarli nella taschina laterale della borsa. La gettai in un punto indefinito dentro lo stanzino buio sul retro del bancone e cominciai la mia solita routine.

"Emilia." Bubbolò Ignazio, facendo scivolare gli occhiali sul naso con un solo gesto secco del volto. Mi fissò nella controluce opaca del negozio, avvolto nella nube invernale. Mi voltai, scostando la ciocca dalla fronte: "Messaggio." Indicò il mio telefono con il mento, con un ghigno divertito.

Afferrai il mio telefono velocemente, certa che ormai la curiosità del mio capo avesse preso il sopravvento su di lui, facendogli sbirciare l'anteprima del messaggio, e mi allontanai con il viso leggermente arrossato.

Ho scritto una canzone, mentre eravamo in treno. Non vedo l'ora di fartela ascoltare, Mili.

Sorrisi tra me e me e mi affrettai a rispondere:

Ed io non vedo l'ora di ascoltarla.

"Mh." Mi sentii borbottare alle spalle.

"Che c'è, Ignazio?" mi riscossi, infilando il telefono in tasca, afferrando il messaggio sottinteso e rimettendomi al lavoro.

Poco più tardi ero rimontata sul sellino della mia bici, indecisa se scrivere o no ai miei amici. Indugiai. Poi scrissi rispettivamente ad Alex e ad Emma. Un semplice come va'? poteva andare come inizio. Prima che potessi infilare gli auricolari nelle orecchie, Alex mi aveva risposto subito:

Non male. Allora vieni da noi?

Un po' freddino, ma me lo aspettavo. Non feci in tempo a digitare la risposta, che la chiamata di Emma mi abbuiò lo schermo di WhatsApp. Scrollai sul tasto verde dello schermo senza aprire bocca, temendo il suo esordio.

"Lo sai che sei proprio una stronza?"

"Ciao, Emma."

"Ciao, Emma, un cazzo, Emilia. Ma che fine hai fatto? Eh!? Stavolta sei proprio sparita. Credevo che il tuo fidanzato ti avesse tipo uccisa e chiusa a pezzi nei sacchi dell'immondizia sotto casa! Stavo per chiamare la polizia, te lo giuro."

"Come sei tragica." Scesi dalla bici, rimettendola a terra. Poi mi strofinai la fronte, trovando posto a sedere sul marciapiede. Osservai distrattamente gli operai arrampicarsi sui tralicci con le impalcature apposite, per istallare le luminarie natalizie della via. Sulla mia strada erano a forma di campane. "Lo so, sono stati giorni molto frenetici."

"Sì, sì, vabbè. Il contratto con la casa discografica...i vostri pomeriggi a suonare e a fare chissà cos'altro. La tua casa sembra diventata una specie di castello di Krak!"

"Non dire così, siamo stati solo incasinati." Mi tappai gli occhi con la mano.

"Lo sai che mi sono ritrovata veramente a pensare di essere gelosa? Gelosa di te! Io! Pensa a quanto sto impazzendo."

"Sei gelosa per Dino?"

"No, per Johnny Depp! Certo che sono gelosa per Dino. Da quando lui è entrato nella tua vita ti vediamo solo col binocolo. Ci siamo perse parecchi pranzi insieme, non ho più i tuoi consigli, mi manca la tua compagnia, ecco. L'ho detto! Ma sono davvero l'unica che sta soffrendo per questo?"

"Rimedierò. Promesso. Mi dispiace, Emma."

"Non è che vi sposerete, vero? Dimmelo per tempo perché devo prendermi una settimana di ferie per scegliere il vestito!"

"No, scema! No, che non ci sposeremo." Giocherellai con dei sassolini al mio fianco, tirandoli sulla strada davanti a me, in quella fiacca ora di pranzo.

"Ah, ecco. Mi avrebbe un po' preoccupato, per lui, ovviamente. Ha vent'anni."

"Veramente ne ha ventiquattro."

"Ah, scusa, hai ragione. La cosa cambia enormemente."

"Percepisco dell'ironia."

"Dimmi una cosa, Emi. Ti sei innamorata? Dico, veramente?"

Feci trascorrere qualche istante di silenzio, dopo la sua domanda, trovandomi di colpo senza fiato. Lo ero?

"Emma, sinceramente? Non lo so. Non lo so, se sono innamorata. So solo che quando sto con lui ritorno la persona che sognavo di essere quando ero bambina. Piena di idee, di cose da fare. Dino mi fa sentire esattamente così. Una versione migliore di me."

"Sembri felice, dalla voce."

"Sono solo un po' stravolta da tutta la situazione. Ora che lui non c'è, credo che mi manchi."

"Stasera sei da me. Non si discute. Anche io ti manco!" asserì, perentoria.

"Andata! Grazie, Emma." Le risposi con una risatina.

"Ti voglio bene, stronza. A più tardi. Ciao."

"Anch'io. Ciao."

Chiusi la telefonata, e mi avviai a casa di Melanie per fare da babysitter a mio nipote, mentre loro sarebbero usciti per un paio d'ore in totale relax. Avrei avuto tempo anche per Alex. Almeno, ci sperai.

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