Capitolo 20. Mr Brightside - The Killers

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Mi rigirai fra le mani quei biglietti da visita, mentre l'abito era appoggiato pigramente sul letto in attesa di essere indossato. Lessi su quella carta stampata, fine e professionale, più o meno decorata, con loghi interessanti, quei nomi di gente del settore musicale che Dino aveva conosciuto, con cui aveva interagito, e con cui secondo lui potevo dare un futuro al mio progetto.

Almeno, così lo aveva chiamato lui.

Il progetto.

Io non davo un nome al mio processo creativo. Era arrivato come un uragano a rompere la mia routine, era arrivato con Dino e temevo che, con lui lontano, non sarebbe stata la stessa cosa, la stessa magia. Poggiai delicatamente quei numeri e contatti stampati sulla grande scrivania in legno decapato in azzurro, sollevando gli occhi per ammirare la mia immagine.

La camera affacciava direttamente sul bellissimo giardino sospeso dell'albergo, in una terrazza ad uso privato grande quanto il mio appartamento, e una parete intrecciata dello stesso legno della scrivania incorniciava il mobile e lo specchio di fronte a me. Il mio trucco era leggero e impercettibile, i capelli ben tirati all'indietro grazie all'aiuto della stylist che aveva appena lasciato la nostra stanza per dedicarsi agli altri membri del gruppo, e, con solo l'accappatoio addosso, respirai a lungo per prepararmi alla sua serata. La premiére dell'album dei Fabio: DiStorte e DisTratti. Avrebbero suonato qualche brano ai Grandi Magazzini e festeggiato, con bagno di folla annesso, all'Old Fashion di Milano, e mi chiesi se fossi veramente pronta a far parte di tutto questo.

Ripensai alle parole di papà, che nei giorni scorsi era venuto a trovarmi, solo, e aveva letto per qualche minuto il pezzo che avevo scritto, lasciando il salotto dove ci eravamo accomodati noi due a bere un caffè, e chiudendosi nella Stanza della Musica. Li per lì avevo aggrottato le sopracciglia, interdetta, non riuscendo a decifrare tutto quel silenzio che rimbombava nelle stanze. Poi lo avevo visto rientrare dalla porta con un'espressione furba stampata in viso, e il mio spartito nella mano.

"Eccola qua, la mia Emilia. Sei tornata." Mi aveva indicato con un sorriso a trentadue denti, e fatto cenno di seguirlo. Ci eravamo seduti al pianoforte, come tante volte ormai avevo fatto nei primi anni di vita con lui, e fu come ritornare a respirare a pieni polmoni l'aria buona che emetteva ogni tasto che toccavamo. Avevamo provato il pezzo insieme, lui mi aveva suggerito i tempi giusti da usare e registrare, senza tuttavia mettere mano alla melodia, ed io avevo riscritto in bella copia Emilia, ripulendola da tutti gli scarabocchi, dandole una veste elegante e più sobria possibile, pronta per essere registrata e mandata poi ad allietare altre orecchie.

"Che ne pensi, papà? Davvero. Sii sincero." Gli avevo mormorato, sporgendo il labbro inferiore in una smorfia quasi infantile che non mi apparteneva. Lui non aveva staccato gli occhi dai miei, cercando le parole giuste per ricacciare indietro le lacrime che gli facevano capolino sotto le ciglia.

"Io non devo stupirmi." Si era strusciato il viso velocemente, per asciugarsi il volto da un velo invisibile di malinconia: "sapevo che lo avresti tirato fuori prima o poi. Ce l'hai qui dentro." Mi aveva toccato delicatamente all'altezza del cuore: "né io né mamma lo abbiamo mai potuto sfiorare davvero. Ma c'è."

Aveva detto la parola mamma come se noi tre fossimo ancora insieme.

"Che cosa? Che cosa c'è qui dentro?" mi ero anch'io toccata il petto, con entrambe le mani, cercando conferma da lui.

"Il talento. È il tuo. È quello che sai fare." Papà aveva stretto le labbra, scacciando una mosca invisibile: "avanti, lavoriamo un po' sullo stile." Mi aveva preso i polsi, poggiandomi le dita sui tasti, mentre seguivo attentamente le sue istruzioni: "quando ti muovi e suoni, ho notato che chiudi gli occhi. Perché?"

"Per sentire la melodia dentro di me?" Avevo domandato, scrollando le spalle.

"Ok. Benissimo. Ma attenta, perché così ti perdi. Puoi perdere il controllo, ed è bello. Ma devi sapere esattamente dove stai andando. Chi ti ascolta deve perdersi, quello sì. Ma non tu. Tu li stai guidando, li stai facendo cadere, scivolare. Puoi far fare loro tutto quello che vuoi. Ma tu no. Tu non ti perdere. Tieni gli occhi aperti, guarda per aria, guarda cosa vuoi, ma stai sul pezzo. A un passo dal baratro, ma sul pezzo."

"A un passo dal baratro." Avevo ripetuto, sforzandomi di seguire il suo ragionamento.

"A un passo dal baratro." Aveva annuito, convinto, lui, picchiandosi una mano sulla coscia, e invitandomi a ricominciare.

Dino mi appoggiò una mano sulla spalla nuda, avvicinando il viso e sfiorandomi il collo con le sue labbra morbide. Indossai un paio di orecchini lunghi e fini come aghi di pino. Ero pronta. Mi voltai verso di lui, guardandolo dal basso all'alto coprendo il mio sorriso con una mano, constatando che la sobrietà non faceva parte del suo armadio: che indossasse un paio di scarpe da ginnastica bianche sui pantaloni neri di uno smoking era accettabile, la camicia bianca ok, la cravatta annodata male, ci sta. La giacca era un tripudio di accozzaglie geometriche bianche e nere che non aveva senso. Calzò il suo cappellino di tela con la tesa sul davanti, per coprirsi il bellissimo viso che aveva e si voltò, sculettando e imitando le dive di Hollywood, facendomi ridere.

"Ti prego, Dino. Vuoi seriamente lasciarti il cappellino?"

"Per avere un'aria misteriosa." Sporse le labbra verso di me, con l'ombra della tesa che gli oscurava il viso e copriva gli occhi. Poi si tirò dritto sulle spalle: "Me lo toglierò, Mili. Ma mentre suono ti giuro che tutte quelle luci puntate addosso mi bucano il cervello. Mi danno fastidio, non vedo le mie dita, non so quello che sto facendo, mi deconcentrano." Si discolpò, girando la tesa dietro la nuca e venendo verso di me. Era un po' nervoso.

"Posso rifarti il nodo alla cravatta, almeno?"

"Ok." Dino aprì le braccia, lasciandomi avvicinare a lui. Mentre gli sfacevo il nodo, sentii le sue mani percorrermi i fianchi, chiudendomi le braccia dentro le sue. Mi strinsi ancora di più nelle spalle.

"Non farmi togliere di nuovo il mio vestito."

"Ma non importa toglierselo."

Mi riabbassai la gonna aderente e a vita alta, di colore azzurro, che le sue mani stavano arrotolando verso l'alto. E mi risistemai il top coordinato, con la chiusura sul collo. Una volta annodata la sua cravatta, percorsi con le dita della mano il suo collo, fino ad appoggiarle sulle sue labbra, avvicinandole alle mie.

"Andiamo." Gli sussurrai, abbassando il viso e sfiorando il suo delizioso neo con il mio naso.

"Sì. Andiamo." Mi fece eco lui, un po' seccato, prendendomi la mano, e raggiungemmo l'uscita della suite per scendere nella hall principale, dove l'autista ci stava aspettando.

Non era come stare in prima fila ad ascoltare il tuo gruppo preferito. Era meglio. Ero nel backstage, strizzata tra i tecnici del suono e i regolatori delle luci che mi sfrecciavano da un lato all'altro mentre io, con le mani intrecciate e le braccia stese davanti a me, mi stavo godendo lo spettacolo che i Fabio stavano regalando al pubblico. Stavo spostando il peso da un piede all'altro, entrambi intrappolati in un paio di sandali bianchi intrecciati, tacchi alti e vertiginosi cui non ero abituata per niente.

"Guarda bella questa." Mi urlò nell'orecchio Jenny, la ragazza di Fabio, mostrando una foto che aveva appena scattato, in cui la parte superiore e ben delineata delle natiche del frontman sbucava dai pantaloni di pelle color oro mentre camminava da un lato all'altro del palco, microfono in mano, braccio in alto in segno di vittoria.

"Bella..." confermai stringendo le labbra in una smorfia poco convinta. Entrambe muovevamo le teste al ritmo incalzante del pezzo che stavano suonando.

Jenny era truccata come se avesse voluto utilizzare tutto il suo beauty case, a un passo dalla scadenza dei prodotti: strati e strati di fondotinta, per coprire l'acne sugli zigomi e reggere l'impietosa intransigenza delle luci della ribalta, e lunghissime ciglia finte nere e spesse; le sopracciglia erano folte, un po' rinforzate dal microblading e pettinate accuratamente, la bocca era disegnata alla perfezione da un rossetto viola scuro, peccato per il filler sulle labbra che la rendeva più simile a una bambola gonfiabile che a una persona in carne ed ossa. Era una ragazza giovane e molto carina, nella vita reale: lineamenti marcati da latino-americana, con lunghi capelli ondulati e schiariture biondo ghiaccio a contrasto con la radice nero corvino, che mettevano in risalto i suoi grandi occhi scuri. Indossava una maglietta bianca a maniche corte, strappata sulla scollatura, e con il disegno della copertina dell'album dei Fabio, tema carnevale di Venezia, che si poteva intravedere se le buttavi meglio l'occhio sulle tette, e un paio di leggings di pelle nera, retti da sandali dorati alti come grattacieli. Era concentrata a fare i video da caricare nelle sue storie: in una di queste, mentre girava la fotocamera verso se stessa, potei intravedere il mio volto inquadrato. Feci un mezzo sorriso mentre lei strizzava l'occhio, facendo il segno di vittoria con la mano. Io la imitai, alle sue spalle, gonfiando le guance, del tutto impacciata. Tornammo ad ascoltare, attente, il concerto che stava facendo tremare la Terra, nell'immenso spazio dei Magazzini Generali.

Ogni pezzo era una scarica di adrenalina, la loro sintonia era palpabile, come se ognuno di loro facesse parte di un organo di un corpo vivo.

Il pubblico poteva ammirare, alle spalle dei musicisti, l'immagine a schermo pieno di una foto in bianco e nero che mostrava un figurante di una sfilata di maschere veneziane, seduto scomposto e con la testa appoggiata al portone scalcinato di un palazzo degradato, con gli abiti sgualciti e l'espressione indecifrabile dietro la mascherina nera che gli copriva occhi e naso: era la copertina del loro album. Tutti i membri del gruppo avevano lo stesso disegno della maschera sul volto. Come se una mano di vernice nera avesse loro coperto fronte, occhi e naso. Le loro bocche erano colorate tutte di nero.

Dino non aveva cambiato posizione, si muoveva nel suo prezioso reticolo immaginario indicato appositamente dalla X sul pavimento del palco, il volto sempre abbassato e coperto dal trucco nero e dal cappellino che gli serviva, a detta sua, per concentrarsi.

"Scusate?" ci sentimmo chiamare da una voce scocciata. Io e Jenny ci voltammo simultaneamente, mentre il ragazzo trasportava, con l'aiuto di un collega, una trave di metallo da un lato all'altro delle quinte. "Siete un po' in mezzo."

"Sì, scusa." Mi affrettai a dire, mentre Jenny lo incenerì con lo sguardo, parandosi davanti a lui:

"Sì, ma stai calmo." Incrociò le braccia al petto, facendo trasbordare mezzo seno fuori dalla maglietta.

"Sto lavorando." Non si fece intimorire lui, trapassandola con i suoi occhi di ambra infuocata.

"Vieni, Jenny. C'è il pezzo che ha dedicato a te." La distrassi, tirandola per il gomito lontana dalla direzione di tiro di quella trave. Arretrai, zampettando maldestramente all'indietro per la gonna lunga che mi fasciava fino alle caviglie, tenendo Jenny vicino a me.

"Grazie." Mi disse il ragazzo guardandomi significativamente e spingendo in alto sulla fronte un sopracciglio, torvo e a denti stretti, le mascelle contratte per lo sforzo, mentre ci sfilava davanti.

"Cazzo, mi voglio togliere tutti i vestiti e restare nuda. Sto soffocando dal caldo!" fu la prima cosa che sentii dire da Bea, mentre tutti e cinque lasciavano il palco, a concerto finito. Osservai Jenny e Fabio appartarsi in un angolo a bisticciare, e aspettai Dino, che scendeva traballante dalle scalette dietro il palco, reggendo la chitarra per il manico.

Sembrava stanco, spossato.

Lo raggiunsi a piccoli e rapidissimi passi, mentre veniva verso di me, con un sorriso fiacco ed esausto. Il trucco nero leggermente scolorito e colato sulle guance come se un temporale si fosse abbattuto su di lui.

"Queste tempere ad acqua...non le usavo nemmeno a quattro anni." Disse lui, notando la mia espressione, asciugandosi le guance dalle sbavature nere, mentre gli reggevo la sua preziosa chitarra.

"Vieni qui." Lo tirai a me, sentendo il suo corpo bollente, sotto la camicia, aperta e senza quella orribile giacca addosso. La cravatta era sparita chissà dove. Gli tolsi il cappellino scompigliandogli i folti ricci sulla testa, e lui mi tirò a sé, tirandomi un bacio immaginario senza toccarmi.

"Siete stati bravini, dai." Gli bisbigliai.

Dino mi dette una spinta facendomi barcollare all'indietro con una risata.

"Vi adoro." Mi corressi.

"Lo pensi davvero?" mi osservò, con quei buffi occhi truccati di nero. Sollevò le sopracciglia, ancora incapace di respirare normalmente.

"Non mi sono persa una singola nota. È ufficiale: sono vostra fan. Sono tua fan."

"Sei mia..."

"...fan." Completai. Mi tirò verso il suo corpo caldo e sudato, stringendomi forte a sé.

"Andiamo?" urlò isterico Fabio, richiamando l'attenzione di tutti. Il minivan fuori dal capannone ci stava aspettando. La serata non era ancora finita.

L'aria pungente di quella sera di maggio aveva tutti colto impreparati, con brividi frizzanti sulla pelle.

Nel minivan, un piccolo rinfresco, offerto dalla casa discografica, attendeva i Fabio come ringraziamento per la serata andata sold out. C'era champagne, vino, frutta fresca, cioccolata a pezzi, e una zuccheriera, che conteneva della cocaina. Sentii una specie di nausea, mentre Fabio e Bea si piazzavano davanti a quel tavolo, scossi dalle curve del mezzo, e si servivano di ogni cosa presente a loro disposizione.

"Sei nervosa, Koll?" mi interpellò, Fabio, poi, mentre si alzava soddisfatto. Scossi la testa, sedendomi dal lato opposto e osservando la strada buia dal finestrino. I miei occhi incrociarono quelli di Dino, accanto a me: rimase in silenzio, interdetto dalla domanda, fatta come una battuta fra vecchi amici.

Fabio prese posto accanto a me, mentre Dino raggiungeva gli altri, senza toccare l'offerta sul tavolo. Sembrava che neanche Eddie e Ricardo fossero interessati, e mi rilassai leggermente. Dino non amava queste cose, diceva che era abbastanza schizzato di natura, ma almeno sapeva come controllarsi. E allora perché avevo questa sensazione che stesse per esplodere?

Non volli guardare nella sua direzione, non volevo sapere.

"Che vuoi, Fabio." Mi lesse chiaramente in volto che volevo essere lasciata in pace.

"Una volta queste cose ti piacevano." Sghignazzò.

"Sai, come si dice. Sono cresciuta." Feci spallucce, girandomi verso di lui e troncando il discorso. Mi preparai una sigaretta decidendo di ignorarlo, così Fabio alzò le mani, discolpandosi, si passò una mano sulla testa, buttando indietro i lunghi ciuffi sulla fronte e si spostò di nuovo per prendere posto vicino alla sua ragazza.

Passammo da una location all'altra con la stessa rapidità con cui ti versi un bicchiere d'acqua, e in un attimo eravamo all'Old Fashion. La festa ospitava qualche celebrità, invitata per l'occasione della première, ed altri giovani avventori della discoteca. La musica degli Skunkanansie riempiva tutti gli angoli del locale. L'operatore addetto ad accoglierci ci guidò, mettendo mano all'auricolare nell'orecchio, accompagnandoci nei piani superiori. Vidi sparire, in un attimo, Dino e Fabio, che riscesero velocemente insieme per andare a prendersi i loro complimenti da tutti coloro che li stavano attendendo sulla pista. Mi ero sentita stringere le dita dalla sua mano, Dino si era voltato appena mimando un torno subito, con il braccio di Fabio intorno al collo, che lo tirava a sé. Annuii, stringendo le labbra, e portandomi la cannuccia alla bocca per bere qualche sorso di quel cocktail colorato che aveva un sapore dolciastro, e che poco incontrava i miei gusti.

I miei occhi incrociarono quelli di Ricardo, che, avvicinandosi a me, aveva brindato col suo bicchiere contro il mio, prima di sorseggiare la sua caipirinha.

"Tu non scendi giù con gli altri, Ricardo?" alzai in mento in direzione delle scale.

Ricardo scosse la testa con un gesto secco: "Prima bevo, poi parlo."

"Ricevuto." Gli sorrisi, restando a girovagare, sentendomi ogni tanto tirare il fianco da Bea, che, insieme a Jenny, si stava scattando dei selfie. Sperai con tutta me stessa che postasse la foto dove ero venuta tagliata fuori dall'inquadratura.

"Emilia, vieni a ballare." Bea mi prese la mano, guidandomi con lei. I suoi pantaloni neri a vita bassa le lasciavano scoperta la pelle bianca della pancia piatta e fine, stretta in un gilet bianco e corto con nient'altro sotto. Le curve del suo piccolo seno si intravedevano sensuali, mentre le ciocche viola sbiadito sbattevano sulle spalle ad ogni scalino. Mi dissi che, tutto sommato, poteva essere l'occasione per raggiungere Dino e gli altri membri del gruppo.

Dopo qualche leggera spinta in mezzo alla calca, raggiungemmo Fabio che stava dando spettacolo, girando su se stesso e prendendosi il bagno di folla che secondo lui era strameritato. Dino era con Eddie a saltellare con altri ragazzi e ragazze sulla canzone Mr Brightside dei The Killers. D'altronde, se si chiamava Old Fashion, quel posto, un motivo doveva pur averlo. Io e Bea ci unimmo a loro, buttai le braccia al collo di Dino, che cominciò meccanico a cantarmi a memoria le parole in inglese della strofa, guardandomi serio, dritto negli occhi e a un centimetro dalla mia faccia, facendomi ridere:

"I'm coming out of my cage

And I've been doing just fine

Gotta gotta be down

Because I want it all

It started out with a kiss

How did it end up like this?"

Buttò la testa indietro, seguendo i giri di batteria, e muovendosi al ritmo con gli occhi chiusi. Imitai il ballo, stringendo i pugni in alto e muovendoli come un'elica ruotante ed incerta.

Lo osservai cantare, a bocca spalancata scoprendo i denti, la parte finale, che ripeteva I never tante volte, mentre un folto gruppo di esaltati lo inghiottiva e spariva dalla mia vista. Il pezzo dei Rancid, Tomorrow never comes aveva sostituito la vecchia canzone, ed io ero letteralmente rimasta imbottigliata tra persone che si spintonavano in una sorta di pogata generale. Un paio di mani a un certo punto mi avevano tirato fuori dalla rissa sfiorata per un pelo tra due ragazzotti ubriachi. Le due mani mi trascinarono fuori, stringendo le mie, al lato della pista. Alzai gli occhi per costatare che era Fabio, il principe azzurro venuto in mio soccorso, che camminava a ritroso per guidarmi senza torcermi le braccia. Il trucco nero gli dava un'aria inquietante che gli si addiceva alla perfezione. Cominciò a ballare scatenato davanti a me, ma senza trovare alcuna reazione degna di rilievo da parte mia, che lo osservavo piatta.

"Un grazie potrà bastare." Mi anticipò, facendomi l'occhiolino. Poi guardò oltre la mia testa, portandosi una mano tesa sulla fronte e scuotendo i capelli bagnati sul suo collo: "Ok."

"Vado a fumare..." dissi, prima che mi invitasse di nuovo in mezzo alla pista.

"Ti faccio compagnia."

Mi seguì, senza attendere risposta, verso il giardino interno della discoteca, dove pochi ospiti stavano riprendendo fiato. Mi sedetti al bracciolo di una poltroncina, restando in bilico, e osservandolo da dietro la mia sigaretta. Mi stava studiando, attento, stringendo leggermente le mascelle. Lo sapevo, stava per dirmi qualcosa.

"Così tu..." cominciò, camminando intorno a me con una mano sulla bocca, come un puma che segue la sua preda: "hai convinto Dino a fare quella cosa."

"Fare cosa?" chiesi, indifferente, sentendo aria di guai.

"Pensi davvero che possa avere un futuro da solista? Lui? Seriamente."

"Io credo che debba semplicemente seguire la sua strada."

"Sei una pessima compagna, lasciatelo dire."

"Che cazzo vuoi, Fabio? Cos'è? Credi che Dino valga qualcosa solo perché è un elemento che completa il puzzle del tuo progetto?"

Con la coda dell'occhio mi accorsi che Dino, dall'altra parte della vetrata, si stava guardando in giro, una mano sulla spalla di Eddie, mi stava cercando. Mi sforzai di togliermi di mezzo Fabio il prima possibile. Ma lui si era avvicinato ancora di più, chiudendomi ogni passaggio con le braccia appoggiate allo schienale della poltroncina su cui mi ero seduta.

"Credo che tu ti debba dare una ridimensionata."Mi fissò serio con gli occhi marroni che scintillavano contro i lampioni del giardino.

"Cosa c'entro io." Ricambiai il suo sguardo, sbattendo lentamente le palpebre.

"Lo stai distraendo. E Dino non è il tuo nuovo giocattolino. Gli metti in testa strane idee. Lo so, sai. Cosa credi, che sia uno scemo? Lo so che sta per produrre il suo album...lo hai convinto tu." Mi picchiettò il suo dito ossuto contro la spalla. Strinsi i denti.

"Mi ha convinto a fare cosa?" urlò Dino dalla porta, avvicinandosi in due passi a noi. Fabio si sollevò velocemente, voltandosi verso di lui, sorridendo e dandogli una pacca sulla schiena. Una morsa allo stomaco mi paralizzò le parole, che mi morirono in gola.

"Dino, unisciti a noi. Stavamo chiacchierando del più e del meno, niente di che."

Dino si spostò di scatto con una spallata contro Fabio, osservando prima lui e poi me. Si rivolse di nuovo a lui.

"Che le hai detto." Chiese, a voce bassa.

Iniziai a controllare il mio respiro, che era accelerato nel giro di un secondo. Sentii le palpitazioni fino a sopra la gola.

"Emilia e io ci siamo confrontati su una cosa. Ci conosciamo abbastanza bene, sai?"

"Dino..." provai a parlare, ma Dino mi fulminò con lo sguardo, spegnendomi le parole sulle labbra. Non fece in tempo ad aprire bocca che la risata di Fabio squarciò l'aria come il grido di una cornacchia.

"Lei fa sempre così." Cominciò: "Dino...Dino..." mi fece il verso con una voce stridula, sbattendo le ciglia verso di lui. Poi guardò me, con una finta aria contrita e un tono comprensivo: "si attacca alle persone, le ispira, fa credere loro che siano al centro del suo universo. Cosa è, Emilia? Hai ancora paura di essere abbandonata, come mi dicevi a sedici anni?" vidi Dino stringere i pugni lungo i fianchi.

"Sta' zitto, Fabio." Gli sibilò, poi.

"Fabio, vaffanculo!" Mi alzai di scatto, mettendomi fra loro.

Ma Fabio non aveva ancora finito.

"Tu hai questa capacità di succhiare tutto. Tutto il bello delle persone, vero?" fece un gesto osceno con la mano chiusa a cilindro che si muoveva avanti e indietro verso la sua bocca. Osservò la reazione di Dino, che provò a togliergli bruscamente la mano davanti alla sua faccia. Ma Fabio la ritirò velocemente dietro di sé, senza farsi afferrare, indietreggiando di un passo e continuando a parlare.

"Poi ti finisce di masticare e ti scarnifica ben bene, perché è questo che ha imparato dalle relazioni, vero?"

"Basta, ti prego." Sussurrai. Gli occhi mi si stavano riempiendo di lacrime, ma decisi di trattenerle dentro di me. Ancora per un po'. Volevo andare via da lì.

"Tu trattieni tutto l'affetto che puoi, Emilia, perché hai paura di perderlo ogni volta. Come hai fatto anche con me...per fortuna è stato breve. Me ne sono accorto in tempo." Si scrollò le spalle, scrocchiando il collo e fissando Dino, mentre parlava.

"Tu..." la bocca di Dino era completamente asciutta.

"Ah. Non te l'aveva detto. Scusa."

Osservai Dino girarsi una volta verso di me, incapace di parlare, allargando i suoi occhi in un'espressione che non gli avevo mai visto prima, mista a dolore, confusione, e rabbia. Sbattei gli occhi, sentendo due lacrime rigarmi il viso.

"Dino..." riprovai, con la gola secca, la salivazione azzerata.

Dino strinse i pugni, serrando le labbra e flettendo le guance in una smorfia schifata.

"Ops." Continuò imperterrito, Fabio: "La ragazza sta in fissa con i musicisti, non lo sapevi? Dicono in giro che si scopa solo loro. Se fossi in Eddie e Ricardo mi guarderei le spalle...Credo che tu debba rivedere un attimo le persone che decidi di fotterti, amico mio."

"Dino!" gridai, poco prima che il pugno raggiungesse la faccia di Fabio, spaccandogli uno zigomo, facendolo crollare a terra con un grido sordo.

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