Capitolo 21. The Night We Met - Lord Huron

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Mi coprii il viso con le mani. Mi stava scoppiando la testa e i suoni dell'interno della discoteca mi arrivavano nelle orecchie come musica lontana e attutita. Quando mi scoprii il volto, davanti a me c'era solo Fabio, in ginocchio, che si stava scrollando di dosso un masso di grumi immaginari dalle sue spalle. Si era alzato in piedi, sovrastandomi con la sua altezza, pulendosi il naso e il labbro sporchi di sangue. Mi aveva guardato esterrefatto, ma con un'aria soddisfatta negli occhi. Avevo distolto lo sguardo, affranta.

Dino era sparito dentro il locale.

Prima che Fabio potesse di nuovo osare rivolgermi la parola, mi affrettai a raggiungere l'interno dell'Old Fashion, camminando come un gambero ubriaco e con tutta la scarsa velocità che mi potesse permettere il vestito stretto che indossavo. Raggiunsi i piani superiori, cercando gli altri ragazzi strizzando gli occhi, accecati dai faretti turbinanti che si muovevano sul soffitto come lucciole impazzite, irrorando di verde acido e giallo oro pochi angoli delle pareti. Tutto il resto era immerso nell'oscurità bluastra e psichedelica della discoteca.

"Dino?" scrollai la spalla di un ragazzo con la camicia bianca che si voltò di scatto, scocciato, mentre beveva il suo cocktail con una tipa accanto a lui, seduti sul divanetto. Alzai la mano scuotendo la testa con l'intenzione di scusarmi, poi mi guardai intorno. E li vidi. Bea e Eddie appoggiati alla porta sul retro, in fondo alla pista. C'era Dino dietro di loro. Mi affrettai a raggiungerlo, ridiscendendo quelle scalette che si stavano facendo sempre più strette e ripide. Avevo i piedi in fiamme.

Bea mi aveva visto da lontano, e prima che mi potessi avvicinare, si era appoggiata al mio petto con entrambe le mani, urlandomi forte per farsi sentire e sovrastare la musica assordante:

"Emilia, vai!"

"Che stai dicendo?" le respinsi le mani, rinviandole al mittente: "Fammi andare da Dino!" Mi riafferrò le mani, tentando di bloccarmi:

"Ci pensiamo noi. Credimi, non è il momento giusto, adesso!"

"E dove dovrei andare, scusa? Togliti di mezzo, Bea, fammi questo favore!" Alzai lo sguardo oltre la sua testa, giusto in tempo per vedere la porta antipanico sbattere violentemente, e il corpo di Dino sparire al di fuori della discoteca. Cazzo. Mi divincolai, lasciando Bea con Eddie, che nel frattempo ci aveva raggiunto, scuotendo la testa, e seguii lo stesso percorso del loro amico.

Fuori, l'aria fredda mi sferzò le guance, asciugandomi di botto quelle due lacrime che mi avevano bagnato il viso poco prima. Dovevo avere un aspetto orribile. 

"Dino!" cominciai a chiamare, guardandomi intorno nella strada buia. Camminai verso una direzione a caso, notando solo pochi passanti ubriachi che stavano lasciando la discoteca per raggiungere le loro case. Continuai per poche decine di metri, sentendo i crampi ai polpacci e reggendomi alle auto parcheggiate, aguzzando la vista per cercare Dino e la sua rabbia cieca.

Alla fine, rinunciai. Chiamai un taxi con il servizio telefonico, ci misi un po' a trovarne uno libero.

Tornai in albergo.

Aspettai.

Mi tolsi lentamente gli abiti per darmi una ripulita, ci misi più tempo del dovuto perché speravo da un momento all'altro di vederlo tornare. Indossai un paio di pantaloni della tuta e una maglietta pescata dalla valigia, restando finalmente scalza, poi mi sedetti sul bordo del letto ancora intatto, e afferrai il telefono, massaggiandomi i piedi con una mano.

Rispondi, Dino.

Dopo pochi squilli, la connessione si interrompeva. Riprovai. Telefono staccato. Scagliai il telefono contro il muro, rischiando di spaccarlo. Mi alzai di scatto, pentendomi subito del gesto.

"No, no, no, no." Presi delicatamente il mio iPhone, premendo il tasto laterale. Non si era rotto. Abbassai gli occhi, benedicendo la protezione divina che mi ero augurata di avere. Osservai il display, con una bella scheggiatura, nuova di zecca, che attraversava tutto lo schermo.

Dove sei?

Scrissi velocemente su WhatsApp, senza aspettarmi nessuna risposta. Mi piegai sul telefono, continuando a scrivergli:

Torna in albergo. Sono qui. Ti aspetto.

Mi buttai sul materasso, di schiena, osservando le ultime storie su Instagram, scorrendo i commenti dei post, concentrandomi su altro. Poi vidi la storia di Emma: stava inquadrando Sabrina, chiedendole di avvicinarsi a lei per un brindisi. La ragazza sorrideva oltre l'inquadratura della telecamera, sorrideva ad Emma, e annuiva con un bel sorriso e uno scatto della testa per scostarsi il ciuffo dalla fronte. Sorrisi fra me e me: alla fine ce l'aveva fatta a parlarle. E chissà cos'altro era riuscita a fare nelle successive due ore dalla pubblicazione di quella storia. Le scrissi subito un messaggio:

Abbiamo una vincitrice? Miss S?

Strinsi le labbra, trattenendo le lacrime e stringendo gli occhi, sforzandomi di distrarmi. Poi mi sciolsi i capelli, liberandoli selvaggi sulle spalle. Tornai sdraiata. La chiamata di Emma arrivò dopo poco.

"Che cazzo fai, Emilia?"

"Ma ciao Emma. Che significa che cazzo faccio? Ti disturbo per caso?" mi arricciolai distrattamente una ciocca con il dito, arricciando contemporaneamente il naso.

"No, dico. Tu. Dopo una serata del genere, lì a Milano, pensi di fottermi e di fare finta di pensare a me?"

"Non posso pensare a te?"

"Che succede, Emi. Ti sento già dalla voce che qualcosa è andato storto. Andato storto? Andato a merda, stasera...avanti, che succede?"

"Io... Dino..." mi si riformarono delle grosse gocce davanti agli occhi, non vidi più il lampadario elegante sopra di me, le parole mi morirono in gola.

"Che ti ha fatto quello stronzo? Ora vengo lì e lo ammazzo, lo strozzo, giuro che gli..." la sentii gridare come un cavernicolo prima dell'attacco di un animale.

"Non so dove sia. Ha dato un pugno a Fabio poi è sparito e... e..."

"Frena un attimo. Sparito? Pugno a Fabio? Sangue? Dove eravate, in un ring, invece che alla première?"

Le raccontai quello che era successo, ricostruendo l'escalation della discussione, ma Emma cercò di calmarmi, mi disse che Fabio era un imbecille, ed era sicura che Dino sarebbe tornato, che avremmo chiarito. Mi fece compagnia al telefono fino alle prime luci dell'alba, promettendomi di venirmi a prendere se ne avessi avuto bisogno l'indomani. La sentii sbadigliare a lungo, e prima di salutarmi, mi confessò che con Sabrina era riuscita a scambiarsi un bel bacio a stampo prima della fine della serata al pub. Chiusi la telefonata, restando seduta a terra, fissando la portafinestra, da cui usciva una luce grigia, densa di pioggia.

Dino rientrò poco prima delle sette, in un tintinnio di chiavi incerto e maldestro. Non mi mossi da quella posizione, spossata e incapace di muovere un muscolo. Non aveva neanche risposto ai miei messaggi, non sapevo neanche se li aveva letti. Lo sentii fare dei passi pesanti verso la camera, aprire l'armadio e prendere degli asciugamani puliti, poi chiudersi a chiave in bagno e aprire l'acqua della doccia, senza una parola.

Mi voltai in direzione del rumore, gli occhi gonfi per il pianto.

Che cosa stava succedendo, mi chiesi. Perché non viene qui e mi parla? Non merito neanche di essere qualcuno a cui rivolgere la parola? Come si permette di trattarmi così. Balzai in piedi.

"Dino!" battei i pugni contro la porta del bagno, rabbiosa. "Dino, rispondimi, cazzo!" nessuna risposta dall'altra parte. Solo rumore fisso dell'acqua che scorreva.

"Stai bene, vero?" sentii un lieve tremolio nella mia voce, e mi maledissi per questa debolezza. Poggiai la fronte sulla porta, mentre il rumore dell'acqua spariva.

Dino aprì la porta di scatto, con l'asciugamano avvolto in vita, guardandomi dall'alto, inespressivo.

Non credevo che quel suo sguardo potesse farmi così tanto male. Che quel suo silenzio potesse farmi così male. Mi fissò per qualche istante, freddo, con ancora delle goccioline di acqua che gli scorrevano sul corpo, poi passò oltre, senza una parola, lasciandomi sola, di nuovo, davanti a una porta.

"Perché mi stai ignorando." Dissi, guardando per terra: "Dino, rispondimi. Perché mi stai ignorando!" gridai isterica.

"Ho bisogno di dormire." Fu la sua risposta. Una voce bassa e sottile. Era di spalle, fissava il letto ancora rifatto, quindi si voltò verso di me, serio: "anche tu hai bisogno di dormire. Non hai dormito. Vieni." Allungò un braccio nella mia direzione.

Mi grattai la testa con entrambe le mani, confusa e incredula: "Tu devi parlarmi. Noi dobbiamo parlare di quello che è successo ieri sera. Dove sei stato? Perché non mi hai risposto? Perché non parli, cazzo!" non riconobbi la mia voce, gli urlavo contro con tutto il fiato che avevo.

Mi avvicinai a lui e gli detti una spinta con tutte le mie forze. Provai a colpirlo di nuovo, ma lui mi bloccò i polsi, arreso ed esausto, scuotendo la testa e chiudendo gli occhi: "Non voglio parlare, adesso."

"Bene." Mi divincolai. Poi afferrai le mie cose raggiungendo la porta, voltandomi solo per dirgli di andare affanculo. Sbattei la porta dietro di me e chiamai l'ascensore, desiderando di essere già a casa, con i miei gatti, le mie piccole imperfezioni, le mie sicurezze, il calore dei miei amici, la comprensione negli occhi di chi mi guarda. Non mi ero mai sentita così sola. Non mi ero resa conto che stavo singhiozzando come una bambina davanti a quell'ascensore che aveva dei piani infiniti, a quanto pare.

Non mi ero accorta che ero scalza.

Mi asciugai il naso con il polso, impegnata a tenere con entrambe le mani la mia valigia. Non notai subito l'ombra alle mie spalle, e le braccia di Dino che mi avvolsero con il loro ardore improvviso, il suo fiato sul mio collo: "Ok. Parliamo."

Avevo appena fatto in tempo a sentire il clic della porta della camera che si chiudeva, di nuovo, alle nostre spalle, che subito avevo mollato la valigia a terra, e alzato le braccia, tuonando contro di lui.

"Dino, perché sei sparito?" lo aggredii.

"Non era chiaro?" Dino alzò a sua volta le braccia, facendo un passo verso di me: "Mi avete fatto incazzare di brutto. Tu sei una bugiarda, Emilia."

"Ah." Mi limitai a rispondere, interdetta.

"Perché a differenza di Fabio, a cui ho chiesto scusa per il pugno, con te adesso non so come comportarmi."

"Cosa?" esclamai.

"Hai mentito su Fabio. Mi hai preso per il culo, da sempre! Anche quando te lo chiesi. Non capisco perché tenermelo nascosto."

"Cos... io non ti ho preso per il culo. Aspetta, hai chiesto scusa a Fabio? Per cosa!" esclamai, sbigottita.

"Sì, abbiamo chiarito, sono andato a chiedergli scusa. Perché siete due stronzi, perché mi state mandando fuori di testa. E io voglio avere la coscienza a posto, la prossima volta che suoniamo insieme con il gruppo!" provò a giustificarsi, lui.

"Immagino lui abbia fatto la stessa cosa. Si sarà scusato per tutto ciò che mi ha urlato contro." Sbuffai, sarcastica.

"Perché non me l'hai detto? Perché non mi hai detto di te e di Fabio?" Dino ignorò la domanda e mi fissò, mantenendosi a un metro da me.

"Oh, certo. Ancora quella storia. Scusami, cucciolo, se non ti ho coccolato abbastanza. Ma sai cosa c'è, Dino? Io avevo una vita, anche prima di conoscerti!" mi morsi la lingua troppo tardi.

"Che stronza che sei. Ma ti ascolti? Dovevi dirmelo."

"Io non dovevo dirti proprio un bel niente!" mi difesi: "È una storia vecchia, sepolta, decrepita."

"E credi che il fatto che io e Fabio siamo amici e lavoriamo insieme non sia rilevante?"

"No, non lo è."

"E invece per me lo è, cazzo! Soprattutto ora che noi..." scosse la testa, scompigliandosi i capelli. Mi strinsi nelle spalle, non potendo fare a meno di notare i muscoli delle braccia tirarsi accanto al suo viso contratto.

"Noi...?" lo invitai a continuare, con le labbra tremanti.

"Lo sai che quando siamo usciti insieme la prima volta io mi ero visto con una pochi giorni prima?" disse a un certo punto.

"Questo, scusami, ma cosa c'entra?"

"Dopo la nostra prima uscita, ho chiamato quella ragazza..." si voltò, per versarsi un bicchiere d'acqua. Attesi che finisse di bere, alzando gli occhi al cielo, impaziente.

"Che le hai detto, sentiamo."

"Le ho detto che non sarei più uscito con lei." Posò il bicchiere sul mobile del minibar, fissandolo, e contraendo le mascelle. Poi i suoi occhi si spostarono sui miei.

"Mi sembra tu sia stato corretto." Commentai, aggrottando le sopracciglia.

"Sì. Lo sono stato."

"Bravo."

"Sono innamorato di te, Emilia."

Il calore delle sue parole mi irradiò il petto come una palla di fuoco. Mi portai la mano alla bocca, trattenendo il fiato, e chiusi gli occhi. Mi aspettavo che venisse verso di me, che mi stringesse. Mi mancava il suo abbraccio forte, che stritolava le ossa, che non faceva respirare. Mi mancava la sua risata, che avevo sentito solo fino alla sera prima, mi mancava che lo facessi ridere, e che mi facesse ridere.

Invece restò distante, immobile, con le mascelle tirate. Aspettava la mia reazione, con gli occhi fissi su di me.

Neanche io riuscii a muovermi, a fare un solo passo verso di lui. Restai paralizzata al mio posto, una maschera vuota, priva di emozioni.

Quei sentimenti con cui tutti fanno i conti, prima o poi, erano lì, volteggiavano tra di noi.

Era arrivato anche il mio momento, e io non avevo fatto niente, avevo solo abbassato le braccia lungo il corpo, distogliendo lo sguardo.

"Forse anticiperò la mia partenza per Londra. Ho bisogno di riflettere, ora." Disse, infine, voltandosi per cercare i suoi vestiti.

Disse che aveva bisogno di riflettere perché la nostra storia aveva avuto un'impennata che non si aspettava. Che anche io ero piombata nella sua vita come un uragano e che aveva paura di perdermi. Di perdersi. Si sentiva in bilico tra il viversi al massimo i nostri momenti insieme, e il riuscire a riconoscere se stesso, staccato da me. Non sapeva più dove erano i suoi confini, non vedeva più i suoi contorni. La discussione con Fabio era solo una punta dell'iceberg: lui non era ferito dalla bugia, lui era ferito dal modo in cui si era sentito. Al guinzaglio dei suoi sentimenti. Non era un addio. Voleva ricomporre i pezzi di se stesso per darne una versione migliore a me, per rendermi orgogliosa di lui, per crescere con me e rendersi più forte per me.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro