Capitolo 38. Across The Universe - Fiona Apple version

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Un giorno in più a Roma. Un altro giorno, e un altro giorno ancora. Giorni che mi sembravano infiniti, il mio contapassi era impazzito, dovevo avere delle gambe bellissime e affusolate come zampe di ragno, ma non perdevo mai così tanto tempo allo specchio. Uscivo e rientravo dallo studio di registrazione, mi attardavo per i colloqui con Alessi e i tecnici. Osservavamo le scene dove veniva inserita la mia musica.

"Alza il climax, abbassa la tensione, qui devi distendere, questa scena deve far piangere, sto piangendo? Guardami, sto piangendo, Emilia?"

Io piangevo, dentro il velo. Ma continuavo a riscrivere lo spartito secondo le indicazioni di Alessi. Camminavo ancora spedita dentro lo studio, dimenticandomi spesso di chiudermi dentro a chiave. Erano giornate piene, in cui la mattina uscivo dall'hotel molto presto, prendevo il mio caffè macchiato freddo al solito bar all'angolo, e arrivavo agli studi della Alessi production con la mia cartellina, le mani infreddolite dentro i guanti: uscivo che fuori era già buio e le strade si facevano piene di luci dei fari delle auto in fila nell'ora del rientro da lavoro. L'ansia era solo un sintomo premonitore, cominciava dalla punta delle dita e rincorreva tutte le mie terminazioni nervose, risaliva sui gomiti, mi incurvava le spalle e precipitava sulla schiena verso il basso, schiacciandomi sul pavimento.

Ero intrisa di paura.

Paura di avere le dita troppo infreddolite per suonare, e la paura di avere la testa troppo piena di pensieri per scrivere. Ma non c'era più tempo, e le riprese erano terminate, ora c'era la fase del montaggio.

"Allora." Alessi ci convocò per l'ultima riunione, prima della chiusura della produzione del film: "ho già parlato singolarmente con ognuno di voi, e vi ho ringraziato per tutto il lavoro svolto finora. Siamo stati una bella squadra." Ci guardò da dietro i suoi occhiali rotondi dalla montatura nera, camminando nervosamente ai due lati della piccola sala conferenze, dove ci eravamo riuniti. Qualcuno di noi aveva preso posto in uno dei pochi posti a sedere, le sedie con scrittoio che mi ricordavano tanto il mio periodo all'università: alcuni attori avevano aperto quel piccolo scrittoio per poggiare i loro iPhone e scrivere degli appunti, altri per scattare delle foto o rispondere ad altre proposte che si erano aperte sul loro prossimo futuro. Io ero in piedi, vicino alla porta, insieme ai tecnici, all'aiuto regista e ad altri membri della troupe che lavoravano, come me, dietro le quinte della pellicola. Mi portai la mano aperta sul collo, mentre Alessi ci parlava, e cercai di controllare il respiro.

Era finita. Era fatta.

"Vuoi un po' di ossigeno, Emilia?" mi sussurrò alle spalle Andy, sfiorandomi col dorso della mano sulla mia schiena. Mi voltai appena, verso di lui, solo per dirgli di stare zitto, e feci un passo in avanti. Sentii la risata sottovoce di Andy, e il rumore sordo del suo corpo contro la parete a cui si era addossato. Anche senza vederlo, sapevo per certo che aveva incrociato le braccia al petto e piegato una gamba per poggiare il piede contro il muro.

"Adesso vi farò inviare, dal mio collaboratore qui, la lista di eventi a cui siamo chiamati a partecipare come gruppo. Sono eventi ufficiali, a cui vi raccomando caldamente di partecipare se non avete voglia di passare delle grane belle grosse." Continuò Alessi nel suo monologo.

"Anche stasera ho perso la coincidenza per tornarmene a casa." Borbottò Andy con uno sbuffo, scocciato da quella perdita di tempo, sicuro che nessuno potesse sentirlo tranne i poveri diavoli accanto a lui.

Dovevo anche io avvisare Ignazio che non sarei rientrata a lavoro per un po'. Dovevo riorganizzare le mie giornate in base a questi impegni.

Una volta fuori dalla sala conferenze, raggiungemmo il bar Bistrot Mascagni, sempre nel Grand Hotel Plaza, dove alloggiava il regista, per un aperitivo tardo, per mangiare qualcosa, e poi tornarsene a letto. Brindai con gli altri colleghi della produzione, distaccandomi poi solo per rispondere al messaggio di Emma:

Allora?

Ero uscita dalla zona bar per richiamarla, mi guardai intorno per accertarmi di essere isolata abbastanza bene.

"Emma."

"Mi manchi. Ormai sei una stella nascente."

"Anche voi mi mancate tanto. State bene?"

"Diciamo di sì."

"E Alex? E mia sorella?" mi avvicinai al vetro di un finestrone, osservando il cielo, dove, nell'oscurità, un dirigibile volava sopra i tetti dei palazzi romani e pubblicizzava un velo azzurro di una marca di stoffe pregiate sul volto stilizzato di una donna, appena tratteggiato con una pennellata di nero. Strinsi gli occhi, toccandomi il velo vicino al collo.

"Stanno bene. Tuo padre sta bene, e anche Teresa. I tuoi gatti stanno da loro che è una meraviglia, girellano in giardino tutta la notte, devi sentire le russate che si fanno tutto il giorno sul divano di Moro!"

Il dirigibile cambiò la sua rotta, sull'altro lato c'era la frase: Un velo per ogni cosa. Appoggiai la mano sulla finestra, sfidando il riflesso delle luci alle mie spalle, e seguendo la tratta dell'aeromobile, che finiva di attraversare il centro della città.

"Sei sempre tutta intera laggiù?"

"Avremo la prima proiezione il prossimo mese."

"Sembra interessante." Mi incoraggiò Emma dall'altra parte.

"Alessi mi ha già anticipato che sono una probabile candidatura del Nastro d'Argento alla miglior colonna sonora, quest'anno."

Sentii un tonfo dentro il microfono del telefono: "Emma?" mi allontanai lo smartphone per osservare il display, che stava registrando i minuti della chiamata, a vuoto.

"Emma? Non ti sento."

"Sei una dannatissima stronza!" mi urlò nel telefono, abbassai velocemente il tasto del volume, guardandomi intorno: "Mi devi avvisare quando mi dai notizie del genere! Cazzo! Sono scivolata dallo sgabello in cucina, mentre inzuppavo il dito nel barattolo di Nutella. Hai presente il casino che ho fatto? Sembra mi sia vomitata la merda addosso su tutto il pigiama!"

"Sei sempre così esagerata." Mi osservai la mano libera, da entrambi i lati, muovendo le dita e lasciandole volteggiare nell'aria come se stessi dirigendo un'orchestra invisibile.

"Tuo padre lo sa, vero?"

"Sì..." annuii con una voce sottile, carica di emozione: "E anche Nicla."

"Potresti vincere..."

"Non voglio pensarci, adesso..."

Sentii una lunga pausa dall'altra parte. Emma stava prendendo fiato, e potei avvertire, dai fruscii del microfono, che stava cambiando posizione e si stava avviando in sala, per mettersi sul divano.

"Emi, ti dico solo una cosa." Fece un'altra pausa, carica di tensione: "In realtà devo dirtene due. Quale vuoi la meglio o la peggio?"

"Fai tu."

"Ok. Ok. A dirti la verità non è che questi due aggettivi le definiscano proprio bene. Quindi, sarei partita da quella che mi pare, comunque."

"Va bene." Socchiusi gli occhi, facendo qualche passo lontano dalla sala del bar.

"La prima. Siamo tutti orgogliosi di te. Davvero. Per tutto quello che hai fatto, e non vediamo l'ora di vedere il film di Alessi per goderci la tua musica. Finalmente, aggiungerei."

"Grazie, Emma." Sentii salire le lacrime agli occhi.

"La seconda. Ecco, non è niente di certo, ma mi sembra di aver capito da Ignazio che..."

"Pronto? Emma. Non ti sento più."

"...Dino."

"Dino, cosa?" cercai una poltrona vicino a me, per sedermi su una superficie morbida che mi inghiottisse: "Sta bene?" sentii tremolare la mia voce e un dolore improvviso allo stomaco come tante punture di spilli sottili.

"Sì, Emi. A quanto ne so, sì. È stato qui in città per un paio di giorni. Ignazio crede di averlo visto, perché è stato anche in negozio. Però non ne è sicuro. Volevo solo dirtelo. Forse ti stava cercando." Emma continuò a parlare a ruota libera: "non so perché te lo sto dicendo, non voglio che tu ti distragga, ma mi sembrava corretto che tu lo sapessi, ecco. Ora non ti struggere con questo pensiero, ok? D.O. sta bene, l'ho visto passare nei reel promozionali..."

Non riuscivo a immaginarmi Dino. Mentre Emma parlava, riuscivo però a vederlo. A vederlo come il primo giorno di tanti anni fa. Avevo ancora il ricordo di un ragazzino con i capelli arruffati castani, e gli occhi lucidi, che attraversava la strada, correndo con le sue gambe lunghe sul marciapiede opposto. Sbatteva le sue dita da musicista sulle grate di un cancello facendole vibrare forte camminando velocemente, mentre con l'altra mano afferrava il punto più alto che potesse di un lampione e si sollevava per fare un salto ancora più in avanti. Entrava trafilato a Grandi Sogni e spulciava qualche disco, si guardava intorno grattandosi la testa e portandosi i capelli sulla fronte, mentre mi cercava.

Ma la realtà era che quel Dino era solo nei miei ricordi offuscati. Magari, ora, quel Dino aveva i capelli corti, il viso più sciupato. Magari entrava strascicando i piedi, con un maglione nero sformato e guardava Ignazio, o sua nipote Carolina, venuta a dare una mano allo zio.

"Posso aiutarti?" gli avrebbe detto lei con una voce squillante, riconoscendo Dino Olivares, D.O., dietro le occhiaie scure e l'abbigliamento anonimo. E lui l'avrebbe guardata, con un'aria assente, trapassandola con gli occhi grandi color nocciola, e schiudendo le labbra.

"No." Avrebbe semplicemente detto.

Una volta salutata Emma al telefono, tornai nel Bistrot, raggiungendo gli altri membri della troupe e cercando qualcosa da mangiare, prima di tornare a dormire nel mio piccolo albergo.

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