Capitolo 24: LE RAGAZZE DEL FUTURO

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I primi raggi del sole attraversano le grandi vetrate, percorrono la stanza e finiscono sulla mia pelle, dritti dritti, fino alle ossa.

Mi sveglio con uno strano senso di vertigine. Non sto nel mio letto e per di più sono totalmente vestita. Stiro le braccia, sollevandomi a sedere. Il mio abito sembra eccessivamente stropicciato. Impiego alcuni secondi prima di rendermi conto di dove mi trovi. Le pareti scure e le cornici argentee creano, nell'insieme, un contrasto decisamente azzeccato. Gli spessi tendaggi, appoggiati ai lati della finestra, lasciano entrare tutta la luce del giorno.

Pian piano la mia testa ricorda; la panchina, Ian e il suo arrivo. La metro era quasi deserta nella sua ultima corsa della notte ed io a malapena mi reggevo sulle ginocchia.
L'hotel Clarke e l'ascensore lento fino a quest'ultimo piano, i morbidi cuscini e infine il buio più completo. Ho infranto un patto, quello di non toccare più dell'alcool e ho dormito in un letto che non è il mio. La moquette è soffice sotto alla pianta dei piedi, non è affatto fredda come le mattonelle di certi locali.
Questo sembra proprio un posto accogliente, se non fosse per la sua irritante proprietaria. Certo, svegliarsi di prima mattina e pensare a Melinda Clarke non è esattamente un buon risveglio.

Mi avvicino alla finestra. I miei occhi si riempiono dell'alba e di tutto il pacato movimento che hanno di fronte. Osservare dall'alto le acque blu scure del St Jhon's River, attraversate dal Main Street Bridge, mi lascia letteralmente senza respiro.

"Sei già sveglia, piccola Holland?"

La voce di Ian mi fa sobbalzare, così come il suo modo ingenuo di chiamarmi. Mi volto verso l'interno della stanza e ho un vero e proprio tuffo al cuore.

Ian è a petto nudo, dentro al suo solito paio di jeans. Inutile dire che le vertigini post sbornia si ripresentano come due grandi ondate devastanti.

"Ti ho portato qualcosa da mangiare" mette in mostra un vassoio con sopra quella che sembra essere una deliziosa colazione alla francese.

Il gesto mi lascia a bocca aperta, anche se la vista del cibo mi fa capovolgere lo stomaco.

"Sono sceso in cucina presto ed ho preparato personalmente il cappuccino" pone il tutto sopra il tavolino della camera. "Sono bravo con la schiuma e il caffè"

Osservo il vassoio e poi di nuovo il ragazzo gentile che lo ha appena portato. Improvvisamente mi assale una strana sensazione, come un pensiero che ha l'aria di essere soltanto sbagliato e inesistente, ma si piazza fermo nel mio stomaco, esattamente al centro, chiudendomi il respiro.

C'è un lasso di tempo che non riesco affatto a ricordare ed è quello nel quale sono piombata nel buio più assoluto. C'è qualcosa che non mi convince in questo assurdo risveglio e anche nell'atteggiamento così premuroso di Ian. Abbiamo fatto pace, questo lo ricordo, ma se avessi detto o fatto qualcosa in più? Qualcosa di irreparabile? Mi sforzo di ricordare cosa sia successo dopo il nostro arrivo in hotel, ma vedo soltanto la notte.

"Ian" La mia voce è appena un sussurro, mentre i miei occhi non riescono a distogliere l'affascinante visione che hanno dinnanzi. "Io, tu, questa stanza...noi non abbiamo..."

"Holland!" Ian si avvicina, facendomi battere ancora più forte il cuore. "Sono un uomo sposato, cosa ti salta in mente?"

Il suo sguardo si chiude nel mio, costringendomi vacillare ulteriormente. La vicinanza della sua pelle nuda, del suo odore, della sua semplice presenza mi invadono tutta.

"Ti ho portata fin qui solo perché cercavi una stanza dove passare la notte. Eri così distrutta che appena hai toccato il cuscino sei crollata come un sasso"

Il mio stomaco si apre di nuovo, il buio si schiarisce ed io torno a respirare. Non ricordavo quanto fosse noioso non essere lucidi.

"Ho dormito sul tappeto, proprio come nella tua stanza al campus, con me puoi stare tranquilla, lo sai" mi scosta la sedia e fa in modo che mi accomodi di fronte al vassoio imbandito.

Improvviso un sorriso. Mi sento il vestito troppo incollato addosso e i capelli arruffati dalla notte e dalla sbronza.

"Credo di aver bisogno di una doccia e anche di cambiarmi" spilucco la brioche.

"Hai il tuo trolley" me lo indica in un angolo nascosto della stanza.

Fisso la mia valigia con espressione assente, non rammentando questo particolare. Come ci è arrivata qui? E cosa ho messo dentro?
Vuoto totale.

Il volto di Ian è attraversato da un fioco raggio di sole. "Hai visto il tuo ragazzo insieme alla tua amica, questo lo ricordi?" chiede.

Hunter che esce dallo Starbucks insieme alla capo cheerleader. Sì, lo ricordo molto bene.

"Phoebe non è esattamente una mia amica" puntualizzo.

"E Ashley? Neanche lei lo è più, adesso?"

La mia testa quasi esplode nel riportare a galla il litigio con la mia compagna di stanza. Improvvisamente mi sento più debole e fiacca del solito, come rotta in mille pezzi. Non appartengo più agli IN e neanche a Ashley.

"Ho detto tutto ad Ashley, le ho raccontato la verità, su mia madre e sulla mia vera provenienza. Ho chiuso con lei" sospiro.

"Ashley è una cara ragazza" Le sue braccia si portano davanti al petto a incrociarsi l'una sull'altra. Cerco di non fissare troppo il delicato guizzo dei suoi muscoli lisci e perfetti. "E' solo troppo presa dal sistema"

"Ashley è parte del sistema" puntualizzo. "Lei e Phoebe sono le regine del mondo degli IN, tutti coloro non alla loro altezza sono gli scarti di quel sistema. Sopravvivere al college, come vedi, non è poi così banale"

"Le gerarchie sono sempre esistite, in ogni epoca e in ogni generazione. Nessuno meglio di me può assicurartelo"

La sua risposta mi lascia con l'amaro in bocca. Sono qui a lamentarmi per una stupida lite tra ragazze, quando lui è nei guai fino al collo.

"Mi dispiace" mi affretto a rimediare, "non volevo essere insensibile, sto parlando di tutte queste cose degli IN e degli OUT, del campus, di Ashley, non dovrei, scusami...tu stai affrontando un problema ben più importante, insomma..."

La sua mano si posa sulla mia, frenandomi.

"Ehi, va tutto bene. E' la tua vita ed io sono felice di ascoltarti. Parlare ti farà bene, poi penseremo anche a me" mi sorride.

La sua presa e il suo sorriso baciato dal sole del mattino mi sciolgono. Mi limito ad annuire, ignorando la velocità con il quale il cuore ha deciso di pompare.

"E poi, a proposito della tua compagna di stanza, bè ecco...lei..."

Seguo lo sguardo di Ian che si sposta sulla finestra, oltre i tendaggi. Resto con il fiato corto, quasi bloccato a metà.

"Lei?" sussurro.

"E' così...intraprendente!" sposta la sua mano dalla mia per passarsela sui capelli con un movimento repentino e davvero molto sexy. "Penso proprio che abbia frainteso le mie intenzioni. Volevo essere solo galante la sera del party, invece credo abbia pensato di avere una speranza...in quel senso, capisci?"

Ascolto il rossore delle mie guance intensificarsi, sembra quasi di sentire il rumore della pelle che assume la stessa identica tonalità dei miei capelli ramati.

"Sono tornato al college questa settimana per continuare le mie ricerche in biblioteca. E dico la verità, anche con la speranza di incontrare il tuo compagno di corso, Tom Felton, ma non ho trovato niente e Ashley mi si è attaccata dietro per quasi tutto il tempo. Credo che dovrò parlarci apertamente, prima che si faccia inutili castelli in aria. Non voglio dirle troppe cose sulla mia vera identità, giusto che non sono interessato a lei"

Sono senza parole. Mi sento improvvisamente rinata, come appena uscita da un bagno rigenerante, proprio quello che avrei bisogno di fare adesso.

"Il fatto è che voi, ragazze del futuro, siete così aperte e determinate che a volte mi spaventate!" sorride di nuovo.

E quei denti bianchi e quelle labbra morbide mi provocano un gran giramento di testa, molto più dell'alcool. Il suo sorriso sono dieci Long Island, dieci giri sulle montagne russe. Il suo sorriso sembra conoscermi e a me sembra di conoscere lui più di ogni altra cosa al mondo.

"Tra pochi minuti inizia il mio turno di lavoro. Resta qui quanto vuoi, fatti un bagno e rilassati. Sei la mia ospite e questa sera ti porto a cena, mi hanno detto che ci sono dei bei ristorantini dalle parti di Atlantic Beach"

Osservo Ian infilarsi dentro una camicia bianca e passare le dita sui bottoni, chiudendola fino al colletto. Devo dire che l'abbigliamento da cameriere gli dona molto.

"Spero di ritrovarti qui più tardi" mi fa occhiolino prima di voltarsi e andare via, lasciandomi da sola nella stanza.

Torno a gettarmi sul letto di schiena, con il naso all'insù. Il soffitto, ogni piccola crepa o imperfezione si sfuma alla mia vista. Lo stomaco è caldo e la nausea è sparita.

Solo adesso mi rendo conto di quanto l'odore di Ian faccia parte di questa stanza e di queste lenzuola. Il suo sorriso mi sta salvando e il mio cuore trova un po' di pace.

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