Parte 28 - Un gelido silenzio

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Il sole brillava alto nel cielo. Cobra, avvolto dai suoi raggi dorati, appena fuori dal carcere cadde in ginocchio con le mani giunte.

Finalmente si era lasciato alle spalle quelle mura maledette. Il sapore della libertà era un piacere puro. Una sensazione di leggerezza senza vincoli.

Davanti al portone in acciaio appariva come un morto appena resuscitato, spaesato e col cuore in gola. Le sue emozioni erano un misto di felicità e commozione. Mosso dall'istinto alzò le braccia al cielo ed esplose in un urlo di gioia. Con una voce impastata gridò: «Sì, porca puttana! Non poteva che finire così!». Il suo era uno sfogo liberatorio, frutto della rabbia troppo a lungo repressa.

Ritornato alla realtà si alzò in piedi e iniziò a camminare sul marciapiede con le gambe tremanti. L'aria fresca e il movimento erano come un balsamo per il suo spirito. Ogni respiro era ossigeno che riempiva i suoi polmoni, beatitudine che raggiungeva ogni cellula del suo corpo.

La città gli appariva incantata e affascinante.

Era incredibile come ogni cosa gli sembrasse più bella, interessante e colorata di come la ricordava. A ogni passo godeva della vista di ciò che lo circondava. Tutto gli appariva luminoso e pieno di significato: il verde degli alberi, le sfumature azzurre del cielo, persino l'odore che si respirava nell'aria - pregno di smog - gli sembrava piacevole. Tante piccole cose a cui prima non aveva mai prestato attenzione e che ora erano capaci di sorprenderlo e di riempirlo di nuove sensazioni. A ogni svolta, la sua anima beneficiava di quella meraviglia che prima aveva dato sempre per scontato. «Le cose si apprezzano solo dopo averle perse», commentò quasi per darsi conforto.

Strada facendo si fermò davanti a un bar. Il suo cuore pulsava tra timore e disagio. Strinse gli occhi osservando l'interno, chiedendosi se fosse davvero il caso di entrare. Aveva paura che potessero leggergli dentro i suoi trascorsi e magari associarlo alle foto che di lui erano circolate sui giornali, quasi che avesse la sua storia scritta in faccia. Eppure, sapeva che doveva affrontare quella resistenza e vincere la paura, altrimenti non sarebbe mai riuscito a ritornare a una vita normale.

Dopo la prima esitazione, l'incertezza lasciò lentamente il posto alla determinazione. «Vediamo cosa hanno di buono», sussurrò decidendo di abbandonarsi al flusso degli eventi con animo aperto e trepidante. Quindi posò una mano sulla maniglia e la spinse, entrando.

All'interno vi era un bancone lungo, alcuni sgabelli alti e pochi clienti. L'atmosfera era accogliente, sobria e animata da musica di sottofondo. «Buongiorno! Cosa posso offrirle?», chiese il barista anticipandolo.

«Un cappuccino e un cornetto al pistacchio per favore», rispose con voce incerta. Poi si sedette a un tavolino ad aspettare la preparazione.

«Ecco a lei», disse la cameriera servendolo.

Lui si limitò ad abbassare la testa, apprezzando con un sorriso accennato la decorazione a foglia fatta sulla schiuma. Quindi fece un sorso lungo e poi diede un morso al cornetto. La sua pasta morbida gli si sciolse in bocca. Si rammaricò del fatto che prima si era sempre privato di quel piacere.

Mentre stava lì a godersi il momento, cominciò a pensare alle cose da fare e a come riprendere in mano la sua vita. Sicuramente aveva bisogno di procurarsi un nuovo smartphone e un portatile per sostituire quelli che gli erano stati sequestrati dagli agenti. Senza i suoi dispositivi si sentiva perso e fuori dal mondo.

Una volta finito, rimase seduto ancora qualche minuto a riflettere, poi si alzò, pagò e si diresse verso il più vicino centro commerciale. Puntò un negozio di elettronica e, dopo aver valutato le varie opzioni, comprò un computer e un cellulare di ultima generazione. «Almeno così per un po' sono a posto!», valutò.

Lasciò il centro e si diresse verso casa. Arrivato all'ingresso del condominio, salì al piano e, con suo stupore, trovò davanti a sé una situazione disastrosa.

La porta di casa era tuttora sfondata.

«Porca miseria! Ma guarda che devastazione!», sbottò con frustrazione profonda. Rimase a fissarla per qualche istante, stabilendo come fosse impossibile sistemarla. «Che gente di merda!», sbottò.

Nonostante la situazione precaria, spinse ciò che restava dell'uscio ed entrò per assicurarsi che in casa non vi fossero altri guai.

Guardandosi intorno vide che l'appartamento era sottosopra e in condizioni peggiori di come l'aveva lasciato. Ovunque regnava il caos, con la polvere che ricopriva ogni cosa. Si sentì parzialmente sollevato dal fatto che, nel frattempo, nessuno lo aveva occupato abusivamente.

Poggiò la busta col portatile sul tavolo e si avvicinò al letto fermandosi a osservarlo. Quel giaciglio gli ricordava l'ultima sera trascorsa con Dorina.

Girandosi verso la cucina vide il piccolo vaso rovesciato con la rosa rossa ancora dentro. Appassita. In quell'istante il suo cuore venne trafitto da un'emozione intensa, fatta di rimpianto e rimorso.

«Ma pensa che situazione assurda», disse facendosi malinconicamente pensieroso. Sfortunatamente quella esistenza si era interrotta bruscamente e non gli restava che il ricordo. Quella visione retrospettiva gli faceva male quanto un colpo al basso ventre.

Si avvicinò alla finestra e si affacciò a guardare fuori. Quel panorama gli era mancato. Quasi gli sembrava strano non avere davanti a sé un piccolo quadrato di cielo separato da sbarre d'acciaio.

Ritornato al centro della stanza si guardò nello specchio a parete. Non era più abituato a scrutarsi dalla testa ai piedi. Osservandosi gli sembrava di esaminare il riflesso di uno sconosciuto. Una persona che stranamente rispondeva ai suoi comandi e si muoveva come lui.

Senza nemmeno avere il responso della bilancia notò che era dimagrito ulteriormente. Aveva la barba lunga, i capelli arruffati e il viso scavato. Era trascurato e imbruttito.

Decise di radersi. Voleva ricominciare da zero, da quell'immagine di sé che aveva prima di quella sciagurata sventura. Prese quindi la macchinetta e iniziò ad accorciarsi i capelli. In un moto di vanità notò che adesso crescevano folti e numerosi come mai prima li aveva visti. La barba la tolse completamente.

Quando ebbe finito, si guardò nuovamente a figura intera.

Si sorprese nel riscoprire quel viso che aveva imparato a conoscere dopo le varie operazioni chirurgiche. «Ecco, così va meglio», bisbigliò con un cenno di approvazione. Poi si fece una lunga doccia e si vesti con abiti nuovi. Infine, tolta la polvere con una mano, si sedette al tavolo come faceva un tempo quando doveva lavorare. Accese il telefono e parallelamente il portatile. Dopo varie procedure riuscì a ripristinare i suoi dati e a essere nuovamente operativo.

Come prima cosa contattò un professionista per la sostituzione urgente della porta e come seconda verificò lo stato delle sue finanze. Fortunatamente, durante la prigionia le azioni in suo possesso non avevano perso valore, ma anzi erano leggermente salite, e questo lo rinfrancò.

Poi si guardò intorno. In quelle condizioni il monolocale gli appariva estraneo e desolato. Provò a rimettere in ordine e a ripristinare ogni cosa. Quando finì - rimasto solo con i suoi pensieri - tornò a concentrare la sua attenzione su Dorina, a rimuginare su come le cose si fossero messe male tra di loro. In mente gli tornarono le parole che si erano detti quell'ultima sera: «Vuoi stare con me per sempre?».

Sulle sue labbra comparve l'accenno di un sorriso amaro. La nostalgia di quei giorni felici gli creò un groppo in gola. Si chiese ancora una volta se avesse la possibilità di farla tornare indietro, di farle capire che quello che era successo era esclusivamente frutto di un maledetto equivoco e di una mente perversa.

Tuttavia, il fatto di non essere stato ancora assolto, ma solo rilasciato grazie al lavoro indefesso del suo avvocato, lo gettò nell'inquietudine. La sua mente era confusa, divisa tra la disperata voglia di provare a sentirla e la terrificante paura di essere respinto.

«Voglio e devo provare!», mormorò con tono deciso.

Prese il telefono e cercò il suo numero.

Sullo schermo lo fissò a lungo, chiedendosi ancora una volta se fosse la cosa giusta da fare. «Peggio di così non c'è nulla!», sbottò mesto. Trovò il coraggio e decise di chiamarla in modo anonimo, sperando che così Dorina avrebbe risposto e forse parlato.

«Pronto, chi è?». La voce di lei risuonò nell'altoparlante. Il suo cuore si strinse per l'emozione.

«Ciao Dorina! Sono Cobra! Come stai? Possiamo parlare?», disse lui in rapida sequenza. Quindi rimase immobile, col fiato sospeso, con l'ansia che lo agitava dentro, ma dall'altra parte giunse solo un gelido silenzio.

Poi la telefonata venne chiusa, senza che nessuna parola venisse pronunciata.

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