Parte 29 - Privato del sorriso

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Cobra rimase di sasso. Lo sguardo perso nel vuoto.

Il suo intuito non lo aveva tradito. Tuttavia, pur avendo presagito l'esito della telefonata, aveva sperato in una reazione diversa. Il cuore gli batteva all'impazzata, mentre il silenzio risuonava nella sua mente come un'eco inquietante.

«E che diamine! Volevo solo sapere come stava. Non sono mica un terrorista, mannaggia la miseria!», esclamò a gran voce, mentre continuava a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore. Non si dava pace: «Richiamare ora non avrebbe alcun senso. Potrei mandarle un messaggio, dirle che sono tornato libero... o forse no. Calma...», si disse, muovendo gli occhi da un angolo all'altro della stanza.

Spossato, si lasciò cadere sul divano, prendendosi un momento per riflettere. Poi, appoggiò la testa sullo schienale e rimase immobile a fissare il soffitto.

Dopo qualche minuto decise di fare un'altra telefonata, questa volta senza nascondere il suo numero. Dall'altra parte della linea una voce rispose: «Ciao Cobra, come va?».

Era Ismaele. Purtroppo, non aveva il solito tono allegro e spavaldo a cui Cobra era abituato. «Ciao amico, che piacere sentirti! Beh, direi male... sono finito in un casino bestiale. Roba da non credere», spiegò provando a infondere un po' di energia nella sua voce.

«Qualcosa all'orecchio mi è arrivato», replicò Ismaele rimanendo sul vago per non rigirare il coltello nella piaga.

«Immagino», reagì Cobra con un tono di voce più cupo. «Tuttavia, pur non sapendo cosa ti sia stato riferito, ti posso garantire che dietro quello che mi è successo c'è soltanto un enorme malinteso, frutto di una mente malata. Non può essere spiegato diversamente».

«Infatti, mi sembra paradossale conoscendoti... raccontami se vuoi», lo incoraggiò Ismaele.

Da quel momento la telefonata durò a lungo. Cobra cercò di spiegare l'assurdità della sua situazione raccontando tutto ciò che gli era accaduto. Ismaele ascoltava senza esprimere un giudizio. Ogni tanto accennava qualche esclamazione di incredulità: «Pazzesco», «Pensa te», «Sono senza parole».

Alla fine, Cobra tornò a parlare di Dorina: «Mi manca tantissimo. Non riesco a smettere di pensare a lei. So che ciò che è successo quella notte l'ha devastata, ma credo che insieme potremmo superarlo e forse riprendere da dove eravamo rimasti. Potresti aiutarmi con lei?», chiese con un lamento strascinato.

«In che modo?».

«Facendo da intermediario, mettendo una buona parola».

Dopo alcuni istanti di silenzio, Ismaele spiegò: «Cobra, io ti capisco e credo fermamente che tu non sia la persona così come è stata descritta dai giornali, ma Dorina non ti conosce altrettanto bene e si è fatta delle idee tutte sue. Poi ha anche smesso di parlarmi e, come se non bastasse, Elisabetta si è fatta trasferire in un'altra sede. In pratica non vedo più nessuna delle due. Anche volendo non saprei proprio come aiutarti».

Le parole di Ismaele colpirono Cobra come un pugno nello stomaco. Era stato sciocco a pensare che le cose potessero risolversi così facilmente. In silenzio cercò di elaborare quanto aveva appena sentito. Era una situazione complicata da gestire. «Okay, se non altro adesso so qualcosa in più. Forse è arrivato il momento di voltare pagina e di aprire un nuovo capitolo della mia vita», rispose profondamente amareggiato.

«Devi aspettare che l'onda di marea si plachi. Poi vedrai che tutto tornerà alla normalità».

«Già, non vedo alternative», considerò Cobra abbattuto.

«Ora devo salutarti, ma appena possibile ci beviamo una birra insieme. Va bene?», fece Ismaele.

«Sì, certo, a presto», replicò Cobra chiudendo la telefonata in uno stato di profonda delusione. Le parole di cortesia di Ismaele, con quel "appena possibile", gli fecero capire altresì che pure lui si era allontanato, voltandogli le spalle.

Cobra guardò fuori dalla finestra, ma non vide nulla di interessante, niente che potesse attirare la sua attenzione o sollevargli il morale. L'entusiasmo del mattino era svanito, del tutto evaporato.

La presa sullo smartphone era ancora stretta. Fissò di nuovo lo schermo, come se fosse in attesa di un messaggio che sapeva non sarebbe mai arrivato. Per lo scoramento lo lanciò sul divano, dove rimbalzò cadendo a terra.

L'oppressione e il senso di vuoto erano così forti da farlo sentire estraniato dalla realtà, tagliato fuori dal mondo. Ogni suono, ogni immagine, ogni sensazione gli giungevano attutiti, come filtrati da una coltre di struggente malinconia. Era come un fantasma, sospeso in un limbo senza emozioni, privato del sorriso e della gioia di vivere.

Lo riportò alla realtà lo squillo del citofono.

«Chi è?», chiese nella cornetta in modo atono.

«Salve, sono il tecnico chiamato per la sistemazione della porta».

«L'aspettavo...», disse aprendo senza nessun entusiasmo.

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